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LA BELLEZZA

martedì 25 febbraio 2020

I DEMONI DEL NOSTRO TEMPO



La paura e i suoi “cibi” prediletti costituiscono i “demoni” del nostro tempo, ovvero quelle carenze o – al contrario – quegli eccessi – a livello dei centri energetici detti “chakra”. Nell’articolo che segue sono presenti alcuni dei “mali” che ci affliggono e qualche consiglio su come tenere a distanza il peggiore di essi: la paura.
 
Nel suo libro sui chakra, Anodea Judith utilizza la parola “demoni” per indicare i fattori frenanti della nostra crescita fisica e spirituale. Sono fattori individuali, ma anche societari in quanto possono riguardare sia i singoli individui sia le masse: cosa sono, infatti, le masse se non insiemi di individui? Secondo l’autrice, tali blocchi sono sette, ovvero uno per ogni centro energetico. Personalmente, concordo con l’ipotesi secondo la quale ogni chakra avrebbe un blocco specifico, ma sento comunque il bisogno di approfondire la questione a modo mio.
Il demone del primo chakra è la paura, ma – a mio parere – la paura accomuna tutti e sette i centri energetici. Questo blocco è dovuto a una scarsa conoscenza di noi stessi e all’assenza di relazioni profonde (con noi stessi e con gli altri). Ne consegue una sensazione che assomiglia alla mancanza di terra sotto ai piedi; non riusciamo a sviluppare o – al contrario – tendiamo a sovrasviluppare il radicamento con la materia, che è la nostra primaria fonte di energia. Mentre pensavo a come strutturare questa sezione sul primo demone, mi sono venuti in mente gli uomini primitivi: avevano paura, quando cacciavano? E – se sì – era paura di morire per i colpi dell’animale o paura di morire di fame nel caso in cui la caccia non fosse andata a buon fine? La risposta, forse, è che non avevano neppure il tempo di provare paura e – se mai si fossero concessi il “lusso” di averne – probabilmente ne sarebbero rimasti paralizzati e il rischio di morire sarebbe aumentato esponenzialmente. Oggi, invece, il nostro meccanismo di attacco/fuga è sempre attivo e questo ci porta ad impiegare male la nostra energia, a dirigerla verso gli scopi sbagliati e a sprecarla. E il coraggio non è la risposta alla paura. Perché? Perché il coraggio del nostro tempo non è “vero” coraggio. È una tendenza diffusa, ormai, quella di scambiare atteggiamenti altezzosi, spavalderia, spocchia, boria o alterigia per coraggio, ma questi comportamenti sono spesso delle corazze dentro cui ci barrichiamo quando ci vergogniamo di mostrare la nostra sensibilità. L’ossessione di essere considerate persone forti e potenti prende il sopravvento sul bisogno di lasciarsi andare all’indulgenza, e la paura che gli altri abbassino il livello di stima nei nostri confronti fa sì che si produca uno squilibrio nel primo chakra. Tale immagine illusoria e distorta, in contrasto con le nostre sensazioni autentiche, ci porta al demone del secondo chakra: il senso di colpa. Il senso di colpa è la paura di essere sbagliati, la paura di non rispondere ai canoni che la nostra società ci impone. È strettamente collegato alla vergogna (demone del terzo chakra) poiché entrambi ci fanno credere che  ciò che proviamo sia sbagliato o – addirittura – non sia lecito. Temiamo le ripercussioni che potrebbero avere su di noi le sensazioni che proviamo e – complice un grave impoverimento della lingua italiana – non sappiamo neppure dare un nome al nostro sentire. Coviamo la paura di essere derisi o allontanati dal gruppo o dai gruppi a cui apparteniamo, che siano essi la famiglia, la comunità religiosa, i colleghi d’ufficio o la compagnia di amici, poco importa, ciò che temiamo è di perdere quei privilegi legati al gruppo (protezione, approvazione, consensi, ecc.) e di rimanere soli. Questo accade anche perché abbiamo un’idea errata di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato. Giusto e sbagliato, infatti, non indicano necessariamente lecito e illecito in quanto i primi due riguardano leggi naturali, mentre gli altri due sono legati a leggi artificiali (e, in alcuni casi, artificiose), cioè create dall’uomo. Le regole della specie si scontrano con le regole della società che non tengono conto di emozioni e sensazioni… E qui entra in gioco il giudizio. Abbiamo conferito a delle autorità il compito ingrato, pericoloso e – lasciatemelo dire - praticamente impossibile di giudicare il nostro operato di cittadini, perché temevamo che regolandoci sulla base delle sole leggi naturali saremmo state creature crudeli e avremmo fatto cose orribili, essendo fuori controllo. Ma siamo sicuri che ciò che viene giudicato giusto sia giusto in assoluto e che ciò che viene giudicato sbagliato lo sia in assoluto? Il giudizio è un’arma a doppio taglio: c’è chi sale in cattedra per giudicare perché pensa che, così facendo, sarà “immune” dal giudizio altrui e c’è chi non lo fa, proprio per lo stesso motivo, cioè per la paura di essere sottoposto a giudizio. E il giudizio può arrivarci da altri, ma anche da noi stessi, pertanto incute ancora più timore! Per questo timore mettiamo a tacere persino il gusto personale, provando vergogna per ciò che desideriamo e senso di colpa per il solo fatto di desiderarlo. Tutto ciò ci porta ad eliminare il desiderio dalla nostra vita, a soffocarlo per paura della sofferenza, comportamento – questo – che produce grande frustrazione. Così raccontiamo e ci raccontiamo bugie, mentiamo a noi stessi e agli altri, per paura della verità, e negli altri ci rispecchiamo, vedendo menzogne ovunque. È proprio così: la verità terrorizza quanto la menzogna; vogliamo sapere, ma temiamo di sapere; temiamo le bugie, ma siamo i primi a dirle, se non agli altri, quantomeno a noi stessi. È il demone del quinto chakra, la bugia; è quel nodo in gola che sentiamo quando non possiamo o non vogliamo dire qualcosa o – al contrario – è quella logorrea inarrestabile che ci fa assomigliare ad un fiume in piena…
E, se parliamo di desideri, non possiamo non fare una distinzione tra desideri e bisogni: il desiderio è ciò che vuoi perché ti piace, mentre  il bisogno è ciò che vuoi perché ti serve. In quest’ultimo caso, in particolare, la nostra attenzione si concentra sulla mancanza e sul verbo “dovere”. Chiarissimi i motti con cui erano scandite le mie giornate da bambina: “Prima il dovere e poi il piacere” e “L’Erba Voglio non cresce neanche nel giardino del Re”. Purtroppo, tra i desideri, ci sono quelli autentici e quelli indotti: i primi contengono quelle cose che vogliamo a prescindere dalle influenze esterne, i secondi – invece – ci vengono inculcati dalla pubblicità e dal mercato, attraverso la creazione del bisogno. E diventiamo incapaci di distinguere il bisogno dal capriccio, il necessario dal superfluo e – per estensione – anche tutto ciò che riguarda i diritti viene inficiato dal condizionamento esterno. A proposito di desiderio è poi importante menzionare anche quella particolare forma di desiderio che si sviluppa per la paura della perdita: si tratta del demone del settimo chakra, ovvero il demone dell’attaccamento. Provoca il bisogno di accaparramento o – nei casi che riguardano le relazioni umane – la dipendenza affettiva. Per coloro che si lasciano soggiogare da questo demone, la paura dell’abbandono è fortissima: queste persone non riescono a disfarsi di ciò che possiedono, non sanno lasciare/si andare, oppure temono di essere lasciati soli. Chi è preda di uno squilibrio nel settimo centro energetico  potrebbe dunque avere difficoltà nell’essere autonomo e probabilmente non sa distinguere il confine tra penuria e abbondanza, tra povertà e ricchezza. Persino la paura dell’oblio rientra, secondo me, nel raggio d’azione di questo demone: oggi più che mai bramiamo la notorietà, la fama e – perché no? – la cosiddetta “gloria” e temiamo  di essere invisibili o di essere dimenticati.
 Un po’ del settimo e un po’ del terzo demone ha, invece, la paura di perdere il controllo, per via  di una intrinseca/implicita ossessione  nei confronti dei confini. Il dilemma è atroce: difesa dei confini contro desiderio di espansione! La seconda opzione porta con sé molti vantaggi, tra i quali figurano la crescita interiore e l’aumento di “potere”, ma sussiste anche la possibilità che tali vantaggi degenerino in sete di dominio o manie di controllo. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che in ogni istante della nostra vita siamo – contemporaneamente – carcerieri e carcerati di noi stessi (e degli altri, in qualche modo). Ci hanno insegnato, fin da quando eravamo piccoli, che dobbiamo controllarci, contenerci, dominarci. L’unica strategia (inefficace e deleteria) che abbiamo sperimentato per arginare questo fenomeno di autocontrollo è quella che prevede il dominio degli altri perché speriamo sempre che, così facendo, loro non controllino noi (come in una sorta di attacco preventivo). Temiamo la disobbedienza (nostra e altrui) perché essa rappresenta una forma di libertà; temiamo la trasgressione perché, come dice la parola stessa, ci porterebbe “oltre”, in un territorio a noi sconosciuto, forse oltre i nostri limiti, al di là del nostro ristretto mondo mentale…
In tutto questo mio peregrinare, però, non mi sono dimenticata del demone del quarto chakra: il dolore. Nell’epoca degli analgesici, non è tanto il dolore fisico che ci fa paura, quanto quello dell’anima. La sofferenza, la tristezza, la depressione, sono tutti demoni caratteristici del nostro tempo, e dalla ricerca della vera felicità allo stordimento/ottundimento dei sensi ad opera di palliativi/anestetici inutili e pericolosi (come alcool e droghe) il passo è breve, purtroppo. Dov’è finita l’unica “droga” veramente efficace, ovvero l’amore?
Per quanto riguarda, invece, il demone del sesto chakra (l’illusione), possiamo dire che il suo “cibo” prediletto è l’ossessione. Più o meno a tutti sarà capitato, almeno una volta nella vita, di avere un’idea fissa in testa, ecco, quell’idea ha il potere (se lasciata agire indisturbata) di condizionare molte delle nostre scelte/azioni quotidiane. Ci convinciamo di qualcosa, non importa di che cosa, e non siamo più in grado di vedere il mondo fuori da quella interpretazione.
Altri blocchi/eccessi che, secondo me, andrebbero annoverati tra i demoni sono: l’ansia, la già citata libertà (vs schiavitù), il fallimento e il suo opposto (il successo), il tempo e l’ozio con il suo contrario, ovvero la produttività; e, per chiudere, il demone della rabbia e quello del silenzio/rumore.
Vittime dell’ansia (soprattutto quella da prestazione), viviamo ogni nostro fallimento (ovvero ogni caduta), piccolo o grande che sia, come una personale inadeguatezza alla vita, alimentando – in tal modo – il senso di colpa. “Ho fallito” non equivale a “sono un fallito”: ricordiamocelo! E, se proprio dobbiamo rincorrere degli obiettivi, facciamo almeno in modo che siano i nostri sogni e non quelli di altri…
Questo ci porta alla famigerata libertà: essere liberi significa non avere condizionamenti (esterni o interni), ma anche assumersi tutte le responsabilità delle proprie azioni. La libertà fa paura perché così come ci permette di fare ciò che è meglio per noi (nel rispetto della libertà altrui), ci scarica addosso tutto il peso di ciò che facciamo (nel bene e nel male)! In questa società, in cui abbiamo barattato la nostra libertà con un illusorio stato di sicurezza, abbiamo perso anche un’altra cosa: il potere. Il potere delle decisioni e dell’autonomia con tutto ciò che esse comportano.
Proprio così, abbiamo perso il potere e siamo diventati vittime del suo opposto, ossia il demone dell’impotenza, non tanto quella legata alla virilità (ancora oggi, nel 2020, un tabù) quanto quella umanitaria. Quando notiamo qualcosa che non va, nel nostro piccolo o su più vasta scala, non siamo in grado di contrastare quel qualcosa. Il potere, per contrasto, è un modo per fronteggiare i problemi, ma – soprattutto – un modo per decidere cosa è meglio per noi.
“Il potere non è una cosa, ma un modo […] Possediamo potere quando osiamo vivere in modo autentico, quando entriamo in noi stessi e diciamo la nuda verità. Più osiamo assumerci dei rischi, porci in discussione o resistere alla pressione di andare contro i nostri sentimenti, più facile diventa. Il potere giunge quando siamo disposti a compiere degli errori e ad assumercene la responsabilità, a imparare da essi e a correggerli […] Il potere è la capacità di determinare il nostro destino”. [Pp. 225 e 226 de “Il libro dei chakra”].
“L’autorità ci solleva dalla responsabilità di un’azione indipendente”. [Cit. Starhawk, da pag. 244 de “Il libro dei chakra”].
“[…] viviamo col vuoto dentro. Essendo vuoti dentro, il nostro mito culturale ci dice che la potenza sta al di fuori di noi, nell’approvazione degli altri, nei gadgets tecnologici o in un dio lontano e autoritario. E così impoveriamo noi stessi, le nostre risorse e il nostro pianeta, cercando di raggiungere un potere esterno, un potere su qualcuno, un potere che ci renderà solo schiavi”. [Pag. 244 de “Il libro dei chakra”].
Confondiamo troppo spesso il potere con il dominio, dimenticando che il potere è un mezzo, mentre il dominio è un fine, solitamente poco nobile.
Ricapitolando, essere liberi significa avere il potere di decidere cosa sia meglio per noi, in autonomia e senza il condizionamento (implicito o esplicito) di una qualsiasi autorità a noi esterna.
Ma veniamo alla rabbia. Può scaturire da un rifiuto, dalla sopracitata impotenza, dalla disperazione, dall’indifferenza altrui, dalla frustrazione o da molte altre cose. Di solito, il mondo si divide in coloro che la sfogano in maniera distruttiva, in quelli che la convogliano in un progetto costruttivo e in coloro che la trattengono, trasformandola in rancore o – addirittura – in vendetta. È spesso equiparata all’ira o alla collera, ma – in realtà – è un’evoluzione (in negativo) di queste due emozioni che, invece, sono foriere di reazioni pressoché immediate a quella che consideriamo un’ingiustizia. Ecco, la rabbia è quel che ci avviluppa se non esprimiamo subito il nostro dissenso. Si vede più rabbia che ira, ultimamente, soprattutto sui social. La paura di sfogarci ci fa trattenere e il trattenerci ci fa – per dirla in modi figurati - “rodere il fegato” o “ci fa venire il sangue amaro”. E d’altronde i detti popolari hanno sempre un fondo di verità: il fegato, infatti, produce la bile (altro modo per definire la rabbia), un liquido giallo, dal sapore amaro. [Si dice anche: “Rodersi dalla bile”].
E poi c’è il tempo. Siamo ossessionati dall’idea di non avere tempo, eppure lo sprechiamo in tutti i modi possibili. La tecnologia, a tal proposito, ci ha fatto tanti doni, ma noi li abbiamo impiegati e continuiamo a impiegarli in maniera impropria, impedendoci di vivere serenamente ogni istante. Come strani carcerati o ladri maldestri, ci illudiamo di poter rubare tempo al tempo, ritagliandoci qualche ora di libertà tra una prigionia e l’altra, riducendoci a vivere soltanto una manciata di minuti alla settimana. Se e quando riusciamo a concederceli…
Strettamente legati al tempo e all’ansia da prestazione ci sono, poi, il demone dell’ozio e quello della produttività. Due concetti agli antipodi eppure così vicini nelle loro conseguenze estreme: entrambi possono sfociare in un profondo nichilismo, visto come annientamento della personalità. La noia improduttiva e l’eccessiva attività sono parimenti deleterie per l’essere umano, se protratte a lungo!
E chiudiamo col demone del silenzio/rumore.
“Come ci è possibile ascoltare le nostre vibrazioni individuali in un mondo assordato dai boati della civiltà? Come possiamo esprimere la nostra verità quando si oppone al conformismo istituzionalizzato della conversazione educata? Nel regno sottile del quinto chakra, come potremo trovare la pace necessaria per ascoltare la verità che ci portiamo dentro?” [Pag. 357 de “Il libro dei chakra” di Anodea Judith, Neri Pozza].
Vero. Ma se il rumore (sia quello fisico sia quello psichico) non ci permette di ascoltare noi stessi, è anche vero il contrario: abbiamo paura del silenzio. Da una parte lo bramiamo, dall’altra lo rifuggiamo perché ci permetterebbe di dare spazio ai nostri desideri, alla “nostra verità” e potremmo scoprire che quest’ultima non collima con ciò che ci hanno insegnato o con ciò che ogni giorno ci viene imposto. Sentiremmo il bisogno di trovare la nostra personale autenticità e questo, probabilmente, ci allontanerebbe dal mondo che abbiamo costruito con tanto sacrificio e rinunciando a noi stessi; ci lascerebbe senza quelle false certezze in cui abbiamo fatto lo sforzo di credere per tanto, troppo tempo, ma – in cambio – ci fornirebbe l’opportunità di cercare/trovare la nostra strada.
Molti altri demoni pasteggiano con la nostra paura e si nascondono tra le pieghe della nostra civiltà: l’abitudine, l’indifferenza, l’odio, sono solo alcuni di questi mostruosi tarli…
A questo punto sorge un interrogativo inevitabile: come si sconfigge la paura?
Penso che la conoscenza sia fondamentale, senza di essa  infatti – siamo inermi e vulnerabili. L’ignoranza è – per dirla tutta - la principale alleata della paura…
L’ascolto è un altro efficace mezzo di contrasto: ascoltare davvero, noi stessi e gli altri, senza pregiudizi, senza saltare a conclusioni affrettate…
Il desiderio, quello autentico, è un grande aiuto per sapere quale strada percorrere, ma solo se accompagnato dalla volontà (di fare, di essere, di diventare). E non parlo di una volontà forzata dal bisogno o dal dovere, bensì di quella volontà che nasce e si sviluppa come spinta interna e individuale, indipendente dal volere collettivo…
Lo sviluppo dei sensi è un altro fattore che può contribuire a farci prendere coscienza del mondo interno e di quello esterno a noi…
L’amore e la fiducia e – perché no? – forse anche la compassione e la solidarietà possono rivelarsi utilissimi…
E – se me lo permettete – aggiungerei anche la consapevolezza di essere cellule di un organismo vivente che, seppur sconfinato (o, forse, proprio perché sconfinato) può colmarci di energia…

2 commenti:

  1. è la prima volta in assoluto che lascio un commento sul web ma il tuo scritto è davvero bello e profondo e il confronto sulla società partendo dal libro di Anodea Judith (di cui ho letto Chakras ruote divita)mi ha colpita e quindi ho pensato di scriverti il mio positivo pensiero per ringraziarti...sarebbe importante che molti lo leggessero...Debora

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  2. Ciao Debora, mi scuso per il ritardo nella risposta, ma vedo solo ora il tuo graditissimo commento. Sono lieta che tu mi abbia lasciato il tuo pensiero e sono ancora più felice per il tuo apprezzamento. Piacerebbe molto anche a me che si sviluppasse più consapevolezza all'interno della nostra società - anche attraverso la lettura del mio articolo - da parte delle persone, e ciò che mi hai scritto mi sprona a portare avanti il mio lavoro di redazione. Perciò ti ringrazio di cuore! Mela

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