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LA BELLEZZA

lunedì 29 ottobre 2018

"1984" E "VOX": DISTOPIE A CONFRONTO




IL LINGUAGGIO IN “1984”: NEOLINGUA E BIPENSIERO
In “1984” il linguaggio viene ridotto ai minimi termini con l’introduzione della cosiddetta “Neolingua”, la quale mette in moto un meschino ma prodigioso “lavaggio del cervello”:
“Fine specifico della neolingua non era solo quello di fornire, a beneficio degli adepti del Socing, un mezzo espressivo che sostituisse la vecchia visione del mondo e le vecchie abitudini mentali, ma di rendere impossibile ogni altra forma di pensiero”.  [Pag.307]
“La neolingua non era concepita per ampliare le capacità speculative, ma per RIDURLE, e un simile scopo veniva indirettamente raggiunto riducendo al minimo le possibilità di scelta”. [Pag.308]
“Anche nei primi decenni del XX secolo le parole e le espressioni a incastro avevano costituito una delle caratteristiche del linguaggio politico e si era osservato che la tendenza a usare formazioni abbreviate di questo tipo era più marcata nelle organizzazioni dei paesi totalitari. Si pensi a parole come NAZI, GESTAPO, COMINTERN, INPRECOR, AGITPROP.
[…] si era compreso che nell’abbreviare in tal modo una parola se ne restringeva e alterava sottilmente il significato, eliminando gran parte delle associazioni mentali a essa connesse”. [Pag.315]
Cosa ha a che fare tutto questo con ciò che accade oggi? Ve lo starete sicuramente chiedendo. Anche oggi è in corso questo impoverimento linguistico, con modalità molto simili, tra l’altro. Abbiamo parole che, quasi, scoppiano per l’esorbitante quantità di significati che sono costrette a sopportare e a supportare (es.  “amore”, “morte”, ecc.) perché tutti i termini che venivano utilizzati per indicare concetti e idee sono stati via via soppressi, dimenticati, gettati in un oblio linguistico dal quale non esiste ritorno. E perché – al posto di quei termini – abbiamo deciso di adottare o rubare (o prendere in prestito, se preferite) vocaboli di altre lingue, di altri popoli con la loro storia e il loro passato. L’Italiano è una lingua che langue schiacciata dal peso dei neologismi (che non significano sempre ed inequivocabilmente evoluzione e progresso)  di cui oggi si vede la nascita come dei funghi dopo la pioggia nel bosco. “CIAONE”, “SCHISCETTA”, “BREXIT”, “PETALOSO” E “FAKE NEWS” sono solo alcuni dei 1500 termini entrati a far parte del nostro vocabolario [che contiene nella versione cartacea (Devoto-Oli di Le Monnier) oltre 70.000 voci e 250.000 definizioni  che diventano 110.000 voci e altre 300.000 in quella digitale], ma – contrariamente a quanto si possa pensare – usiamo un numero sempre minore di vocaboli nel nostro parlare quotidiano. Quelli che usiamo – complice anche l’utilizzo sfrenato dei Social – sono abbreviati in modo che risultino irriconoscibili per chi non sia avvezzo al linguaggio delle sole consonanti, dove “XK” o “XKè” vengono usati in luogo di “PERCHE’”, dove “CM”, “QND”, “SN”, “CMQ”, “QLCN” (e via dicendo) vengono usate per indicare rispettivamente le parole “COME”, “QUANDO”, “SONO”, “COMUNQUE”, “QUALCUNO”. Per non parlare del fiorire incontrollato delle emoticon, ovvero delle “faccine” digitali in sostituzione delle parole indicanti le emozioni e i sentimenti. E – parlando di cambiamenti significativi nella nostra società – è impossibile non soffermarsi a parlare della nascita delle nuove professioni e – con esse – delle nuove figure professionali come quella del SALES ACCOUNT MANAGER,  o quella del DIGITAL CONTENT WRITER/CREATOR.  Un nuovo mondo che nasce con la nascita di ogni parola e – contemporaneamente – un mondo che muore quando smettiamo di usare un’altra parola.
“Tu credi, immagino, che il nostro compito principale consista nell’inventare nuove parole. Neanche per idea! Noi le parole le distruggiamo, a dozzine, a centinaia. Giorno per giorno, stiamo riducendo il linguaggio all’osso. […] E’ qualcosa di bello, la distruzione delle parole. Naturalmente, c’è una strage di verbi e aggettivi, ma non mancano centinaia e centinaia di nomi di cui si può fare tranquillamente a meno. E non mi riferisco solo ai sinonimi, sto parlando anche dei contrari. Che bisogno c’è di una parola che è solo l’opposto di un’altra? Ogni parola già contiene in sé il suo opposto. […] Alla fine del processo tutti i significati connessi a parole come bontà e cattiveria saranno coperti da appena sei parole o, se ci pensi bene, da una parola sola. Non è una cosa meravigliosa?” [Pag.55]
Creata, dunque, per distruggere significati, per epurare le poche parole rimaste da significati indesiderabili e – in ultima (o in prima) analisi – per impedire alle persone di pensare, la neolingua NON E’ affatto una cosa meravigliosa. Immaginate cosa accadrebbe: poche parole, pochi pensieri, per di più indotti, pilotati, inculcati, contratti, brevi, amputati. A partire dalla riduzione del numero di verbi. Certo, perché i verbi indicano delle azioni e se non si hanno parole per indicare determinate azioni non si pensa neppure di compiere quelle stesse azioni. Impossibile commettere  certi tipi di reati se non si sa neanche che esistono e non lo si sa perché, appunto, non esistono parole specifiche per identificarli ed esprimerli. Ecco – dunque – gli scopi della neolingua: epurare il pensiero (e ridurlo all’osso, al minimo indispensabile per servire il Partito e il Grande Fratello con gioia fanatica e intramontabile fedeltà) e, a lungo termine, prevenire i “peccati di pensiero” tramite l’instaurazione, l’”innesto” di una forma mentis “ortodossa” basata sul bipensiero.
“Il bipensiero implica la capacità di accogliere simultaneamente nella propria mente due opinioni tra loro contrastanti, accettandole entrambe”. [Pag.220]
E’ così che il partito detiene il potere, d’altronde:
“Se si desidera governare e si vuole continuare a farlo, si deve avere la capacità di condizionare il senso della realtà creando un vasto sistema basato sulla capacità di ingannare la mente. Nella nostra società, quelli che sanno perfettamente ciò che sta succedendo sono anche quelli che meno riescono a vedere il mondo così com’è. In generale, più si sa, più grande è la delusione: il più intelligente è anche il meno sano di mente”. [Pag.221]
Comprensibile che sia così: come si fa a mantenere a lungo al proprio interno due posizioni contrastanti sapendo che lo sono? Prima o poi subentrerà inevitabilmente una sorta di schizofrenia o qualcosa che tradirà il vero pensiero, il vero sentimento che coviamo. Un’espressione facciale, un’inflessione vocale, un gesto… Potrà essere guidato dalla consapevolezza o dall’inconsapevolezza, ma metterà in moto – comunque – gli occhi e le orecchie del Grande Fratello che tutto osserva e tutto ascolta.
OGGI SIAMO O NON SIAMO VITTIME DEL BIPENSIERO?
Pensate ai vaccini. Siete pro o contro? Quante volte le persone hanno già cambiato idea in proposito? Non sto dicendo che cambiare idea sia deplorevole, anzi, direi che è legittimo e lodevole, ma se questo viene fatto a seguito di pensieri e ragionamenti dotati di solide basi, non a seconda della “convenienza” o della semplice accettazione passiva delle argomentazioni proposte a favore dell’una o dell’altra “fazione” ad opera di personaggi politici o di scienziati vittime delle pressioni delle case farmaceutiche.
E’ necessario domandarsi: sono pensieri veramente miei? Oppure qualcuno me li ha forniti “già pensati” e ben preconfezionati per indirizzarmi a suo piacimento verso un’opinione piuttosto che verso un’altra, a seconda di cosa gli tornava utile al momento? Lo schieramento è sempre volontario o è indotto subliminalmente?
“Un tempo era segno di follia credere che la terra girasse intorno al sole, oggi lo era il ritenere che il passato fosse immutabile. Poteva darsi che lui [Winston Smith, il protagonista, n.d.r.] fosse il solo ad avere una simile convinzione, ed essendo il solo doveva per forza essere pazzo. Tuttavia non lo disturbava granché il pensiero di essere pazzo: più orribile ancora era la possibilità che non lo fosse. […] Un bel giorno il Partito avrebbe proclamato che due più due fa cinque, e voi avreste dovuto crederci. Era inevitabile che prima o poi succedesse, era nella logica stessa delle premesse su cui si basava il Partito. La visione del mondo che lo informava negava, tacitamente, non solo la validità dell’esperienza, ma l’esistenza stessa della realtà esterna. Il senso comune costituiva l’eresia delle eresie. Ma la cosa terribile non era tanto il fatto che vi avrebbero uccisi se l’aveste pensata diversamente, ma che potevano avere ragione loro. In fin dei conti, come facciamo a sapere che due più due fa quattro? O che il passato è immutabile? Che cosa succede, se il passato e il mondo esterno esistono solo nella vostra mente e la vostra mente è sotto controllo?” [Pag.84 e pag.85]
Nel romanzo di Orwell in questione, i processi di “ri-educazione” e di manipolazione del pensiero sono attuati anche per mezzo della ri-scrittura dei libri e della distruzione degli originali. Tutto deve rispondere ai criteri imposti dal Grande Fratello.
“Da qualche parte stavano i cervelli pensanti, rigorosamente anonimi, che coordinavano il tutto e fissavano le linee politiche che imponevano di preservare, falsificare o distruggere un determinato frammento del passato”. [Pag.46]
 Anche i testi delle canzoni vengono (nel romanzo) “assemblati” (facendo, tra l’altro, uso di una macchina chiamata “versificatore”) accostando parole vuote di significati e, con essi, di concetti. Ogni giorno si muta il passato divenuto scomodo o contraddittorio e si rinnega tale mutamento. I libri, quelli autentici, sono pericolosi perché invitano al pensiero, alla riflessione e un uomo che pensa liberamente è sempre stato e sempre sarà pericoloso. E’ preoccupante, a tal proposito, il fatto che un numero sempre inferiore di persone legga libri. E che, di questi pochi, una percentuale ancora più piccola legga libri di valore, intendendo - con l’espressione “di valore” – libri di una certa caratura letteraria, libri che possono fornire al lettore non solo un bagaglio culturale importante, ma anche un invito al libero pensiero. Si preferiscono i libri di intrattenimento a quelli di un certo “spessore”; si prediligono le serie televisive alla lettura. La povertà di linguaggio va di pari passo con la pigrizia. In “1984” è vietato - pena la tortura (e la morte) – tenere diari: anche la scrittura a mano è ridotta ai minimi termini e, chi può, fa uso del “parlascrivi”, un altro dispositivo automatico che limita l’azione (e il pensiero) dell’uomo. Le persone che non leggono e che non scrivono sono più facilmente controllabili e calpestabili.
“Se, infatti, il benessere e la sicurezza fossero divenuti un bene comune, la massima parte delle persone si sarebbero alfabetizzate, apprendendo così a pensare autonomamente; e una volta che questo fosse successo, avrebbero compreso prima o poi che la minoranza privilegiata non aveva alcuna funzione e l’avrebbero spazzata via. Sul lungo termine, una società gerarchizzata poteva aversi solo basandosi sulla povertà e sull’ignoranza”. [Pag.198]
L’ignoranza è a un passo dalla schiavitù. E – per dirla proprio tutta - siamo sicuri che ogni volta che scriviamo qualcosa su un Social Network (o, meglio, su un Social Media) trasmettiamo davvero ciò che pensiamo? Siamo proprio sicuri che ciò che postiamo non sia vittima di un condizionamento esterno o di un’auto-censura? Prima di caricare qualcosa in rete non ci domandiamo, forse, cosa penseranno gli altri? Approveranno? Riceveremo un numero di consensi tale da appagare il nostro ego? Oppure rischieremo di essere bloccati, censurati o bannati?  E tenere un diario pubblico esclude a priori che possiamo tenere un diario privato, magari cartaceo, scritto a mano con la nostra personale grafia (a patto che usiamo una grafia tutta nostra e non copiata da altri)?
IL PASSATO E’ DAVVERO IMMUTABILE?
“Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato” (pag.37 e pag. 255), recita uno degli slogan del Partito, ma è proprio così? Nel profetico romanzo di Orwell il passato viene costantemente modificato per risultare coerente, in ogni momento o circostanza, con la politica del Socing e con la visione del Partito. E’ una tecnica mentale, oltre che una pratica concreta, che implica la continua sostituzione di determinati ricordi con altri ricordi e il dimenticarsi di aver operato tale sostituzione. Non ricordare di essersi dimenticati, insomma. Questa operazione avviene non soltanto con ricordi che riguardino dati, date e avvenimenti, ma anche con i sentimenti. Attraverso atroci torture fisiche e sofisticate tecniche di manipolazione del pensiero, il Partito è in grado di modificare persino i sentimenti di ogni individuo. Questa operazione viene chiamata “conversione”. Perché arrivare a tanto? Per il potere: il potere fine a se stesso, il potere per il potere.
“Il vero potere, il potere per il quale dobbiamo lottare notte e giorno, non è il potere sulle cose, ma quello sugli uomini”. [Pag.273]
“Noi controlliamo la materia perché controlliamo la mente. La realtà si trova nella scatola cranica. […] Le cose esistono solo in quanto se ne ha coscienza”. [Pag.272]
“Noi non distruggiamo l’eretico per il fatto che ci resiste. Anzi, finché ci resiste non lo distruggiamo. Noi lo convertiamo, penetriamo nei suoi recessi mentali più nascosti, lo modelliamo da cima a fondo. […] lo portiamo dalla nostra parte, anima e corpo […] Prima di ucciderlo, ne facciamo uno di noi”. [Pag.262]
Orwell fa, così, entrare in campo il SOLIPSISMO, un “termine che si riferisce alla dottrina filosofica secondo cui l’individuo pensante può affermare con certezza solo la propria esistenza poiché tutto quello che percepisce sembra far parte di un mondo fenomenico oggettivo a lui esterno ma che in realtà  è tale da acquistare consistenza ideale solo nel proprio pensiero, cioè l’intero universo è la rappresentazione della propria individuale coscienza”.  [Wikipedia]
A questo punto la domanda sorgerà spontanea nei più attenti: “Il mondo in quanto tale, la realtà oggettiva – insomma – esiste a prescindere da noi?”
E’ proprio qui che vuole arrivare Orwell: una cosa è reale perché è reale o è reale perché siamo noi a percepirla tale? Così si muta il passato, inducendo – cioè – l’individuo a pensare che una cosa sia reale in quanto percepita come reale dalla nostra mente. Siamo tutti legati al passato più di quanto siamo disposti ad ammetterlo; guardiamo al passato con gli occhi del presente, ma il presente è troppo labile per reggere il confronto poiché ad ogni istante scivola via dalle nostre dita diventando passato. Siamo i nostri ricordi (e lasciamo che i nostri ricordi spiacevoli influiscano giorno per giorno nelle nostre vite più di quelli piacevoli), ci identifichiamo con essi e ad essi ci aggrappiamo con tutte le nostre forze immortalando ogni istante della nostra vita con foto, filmati e post su diari di pubblico dominio quali sono i Social, sperando di renderli più “reali”. Così facendo non viviamo i momenti personalmente, ma attraverso dispositivi elettronici a cui ci rifaremo all’occorrenza per pescare dalla nostra memoria quei momenti. Non cogliamo l’attimo, ma il suo ricordo in un’immagine o in una serie di immagini o di suoni. Per la foga di scattare una foto ci impediamo di goderci le emozioni, le sensazioni e i sentimenti che la situazione “apparecchia” dentro di noi.  Saltando questo passaggio fondamentale, quando ripescheremo la foto in questione dall’album,  inventeremo un sentimento che non abbiamo provato perché non ci siamo permessi di viverlo al momento opportuno. Se – di colpo – sparisse ogni nostra traccia informatica, probabilmente non saremmo in grado di raccontare chi siamo né come abbiamo vissuto, né – tantomeno – ciò che abbiamo provato vivendo. Pensiamo sia impossibile alterare il passato se lo si immortala minuto per minuto, ma questo assunto non è sempre vero: alteriamo di continuo i nostri ricordi, ingannandoci, raccontandoci bugie in cui ci sforziamo di credere per dare di noi un’immagine che non rappresenta ciò che siamo realmente, ma un miscuglio informe  di ciò che vorremmo essere, di ciò che gli altri vorrebbero che fossimo, di ciò che pensiamo di essere e di ciò che gli altri pensano che siamo. Millantiamo una coerenza che non ci appartiene… Nel caso di “1984” questa alterazione del passato è estesa non soltanto al privato dei singoli individui, ma anche ai fatti storici. Complici sono – naturalmente – anche i mezzi di informazione, primi fra tutti gli onnipresenti teleschermi, i quali trasmettono - senza sosta alcuna - notizie false, studiate e progettate nei minimi dettagli per assolvere il compito di manipolare le menti dei cittadini. Le attuali fake news di cui si discute tanto da un po’ di tempo a questa parte rappresentano, a ben guardare, dei rozzi prodromi di una realtà come quella prospettata da Orwell nella sua distopia. E – d’altronde – le modalità con cui i mezzi di informazione ci comunicano le notizie sono, di per sé, controllate e studiate per scatenare in noi reazioni ben precise. Infatti, proprio come in “1984”, anche nella nostra realtà la “nuova aristocrazia” è composta da “burocrati, scienziati, tecnici, sindacalisti, esperti in pubblicità, sociologi, insegnanti, giornalisti e politici di professione […] decisi, più che mai, a spazzare via l’opposizione”. [Pag.212]
“L’invenzione della stampa, però, rese più semplice manipolare l’opinione pubblica, un processo al quale diedero ulteriore impulso il cinema e la televisione. […] Per la prima volta diveniva possibile indurre nelle coscienze non solo una cieca obbedienza alla volontà dello Stato, ma anche una totale uniformità di opinioni”. [Pag.212]
“Solo il collettivismo poteva garantire all’oligarchia il suo potere. Il benessere e il privilegio si difendono meglio quando sono un bene comune”. [Pag.213]
Da qui all’”abolizione della proprietà privata” il passo è breve e, ad oggi, il nostro piede si trova a mezz’aria se consideriamo la proprietà privata di cui parlava Orwell come la moderna Privacy. Abbiamo l’illusione che la nostra Privacy sia tutelata, protetta, custodita, ma la verità è che ogni giorno essa viene violata sotto nostro esplicito (o implicito) consenso. Siamo davvero sotto controllo anche se crediamo di essere i detentori di quel controllo. La tecnologia ci tiene sotto scacco coi suoi telefonini, con i suoi computer, con le sue webcam. GPS, microfoni, videosorveglianza sono solo alcuni dei mezzi utilizzati per monitorarci. E – proprio come nel romanzo – la nostra mente è manipolata dai media. Le opinioni che scioriniamo al bar davanti al cappuccino ogni mattina sono frutto del pensiero di qualcun altro: opinionisti, giornalisti, autorità politiche e religiose, e l’elenco non si ferma certamente qui.
“Quegli occhi vi seguivano ovunque e ovunque vi avvolgeva la stessa voce. Nella veglia o nel sonno, al lavoro o a tavola, in casa o fuori, a letto o in bagno, non c’era scampo. Nulla vi apparteneva, se non quei pochi centimetri cubi che avevate dentro il cranio”. [Pag. 29 e pag. 30]
Teleschermi ovunque anche nella distopia di Ray Bradbury, “Fahrenheit 451”, installati come palliativo della solitudine e per  intrattenere il più possibile i loro utilizzatori: cittadini sempre più connessi, ma – paradossalmente - sempre più alienati, addestrati e abituati a non nutrire la mente e a non pensare. Un mondo, quello creato da Bradbury, in cui i pompieri non hanno il compito di spegnere gli incendi, bensì di appiccarli. Vittime designate di questa follia sono i libri, considerati troppo pericolosi per essere lasciati in circolazione. I libri spingono al pensiero, inducono coloro che li leggono a porsi domande e, nella società di “Fahrenheit 451”, i cittadini vengono messi in condizione non solo di non potersi fare domande, ma anche e soprattutto di non volersele fare. Bombardati di risposte, non possono far altro che lasciarsi invadere da realtà precostituite e inattaccabili.
Perché si è sviluppato tutto questo bisogno di condivisione? Orwell riporta spesso il lettore al passato e ricorda che, un tempo, era abitudine dei potenti vergare le menti dei sudditi con l’imperativo: “Tu devi!” Quando fu chiaro, ci spiega ancora l’autore, che tale imperativo son sortiva l’effetto desiderato, si passò al: “Tu non devi!” Ma neanche questo sembrò funzionare, così, ecco che nelle vicende di “1984” si escogita il: “Tu sei!”, sottintendendo, però, una realtà ben più drammatica, ovvero quella del: “Tu non esisti!”
“«Il Grande Fratello esiste?»
«Certo che esiste. Il Partito esiste. Il Grande Fratello è l’incarnazione del Partito.»
«Esiste nello stesso modo in cui esisto io?»
«Tu non esisti» rispose O’Brien”. [Pag.266]
Come faceva, Orwell, a sapere che il tasto dolente dell’uomo del nostro secolo sarebbe stato l’”essere”? Come faceva a sapere che avremmo puntato tutto sul singolo individuo e sullo studio delle identità? E – soprattutto – come faceva a sapere che quel bisogno di autoanalisi e di autoconoscenza sarebbe stato frustrato a tal punto da provocare l’effetto contrario, ovvero l’annullamento dell’”IO”? Sì, perché tutti quanti hanno a cuore l’appartenenza ad un gruppo, ad una comunità. Insieme, si ha l’illusione di essere meno soli e intoccabili. Tutto diventa collettivo, compresi l’odio e il disprezzo e si è disposti a sacrificare la propria unicità per quell’illusione di protezione che il gruppo fornisce. Il singolo individuo ha paura perché, se lasciato da solo, sente ricadere tutto il peso delle responsabilità su di sé. Perciò si rifugia nel “NOI”. Stando in quel “NOI”, l’”IO” non ha più necessità di pensare per proprio conto e rinuncia a farlo, sia per pigrizia sia per paura.
“Le masse non si ribellano mai in maniera spontanea, e non si ribellano perché sono oppresse. In realtà, fino a quando non si consente loro di poter fare confronti, non acquisiscono neanche coscienza di essere oppresse”. [Pag. 214]
“Finché non diverranno coscienti della loro forza, non si ribelleranno e, finché non si ribelleranno, non diverranno coscienti della loro forza”. [Pag.75]
 Da tutto questo – dicevamo – anche l’odio ne risulta amplificato, soprattutto l’odio per il diverso. La conseguenza è una giustificazione per il perenne stato di guerra.

“LA GUERRA E’ PACE. LA LIBERTA’ E’ SCHIAVITU’. L’IGNORANZA E’ FORZA.”
Così recitano gli altri tre motti del Partito…

“Persino l’alleato ufficiale del momento viene visto col massimo sospetto. A parte i prigionieri di guerra, il cittadino qualunque dell’Oceania non vede mai un abitante dell’Eurasia o dell’Estasia, e gli è interdetto l’apprendimento delle lingue straniere. Se gli si consentisse di avere contatti con stranieri, scoprirebbe che sono persone come lui e che la maggior parte di quanto gli è stato detto di loro è pura menzogna. Il mondo chiuso e separato nel quale vive andrebbe in pezzi e potrebbero svanire la paura, l’odio e l’ipocrisia su cui si basa il suo morale”. [Pag.203 e pag.204]
Si teme ciò che non si conosce e più lo si teme più si arriva ad odiarlo e, per quanto affermiamo di vivere in un mondo civilizzato e globalizzato, siamo anche noi, nel 2018, vittime dell’odio. Se pensiamo alle nostre reazioni di fronte all’immigrazione potremo notare quanto siamo vicini all’”universo Orwelliano”.
“[…] la guerra […] è un’autentica impostura. […] Pur essendo fasulla, però, […] non è priva di significato. Essa divora tutti i beni di consumo in eccedenza e contribuisce a conservare quella speciale disposizione mentale di cui ha bisogno una società organizzata gerarchicamente. […] Al giorno d’oggi nessuno combatte veramente contro un altro. […] Non si sarebbe probabilmente lontani dal vero se si affermasse che, diventando perenne, la guerra ha cessato di esistere. […] Se i tre superstati, invece di combattersi vicendevolmente, stabilissero di vivere in sempiterna pace, ognuno inviolato entro i propri confini, l’effetto sarebbe identico”. [Pag.206]
Abbiamo visto, dunque, come si produce l’odio, ma vediamo, ora, come lo si alimenta:
“Quando fai l’amore, consumi energia. Dopo ti senti felice e te ne freghi di tutto il resto, e questo loro non possono permetterlo. Loro vogliono che tu stia sempre lì a scoppiare d’energia: tutte queste marce, queste grida di acclamazione, questo sventolio di bandiere, non sono altro che sesso andato a male. Se dentro di te ti senti felice, perché mai ti dovresti entusiasmare per il Grande Fratello, i Piani Triennali, i Due Minuti d’Odio e tutta quella merda?” [Pag.139]
La repressione sessuale produce isteria, condizione necessaria perché il Partito possa convogliare l’odio della massa verso i sovversivi o verso i nemici del Socing. In “Fahrenheit 451” il Sistema applicava il controllo dei cittadini fornendo loro intrattenimento fino allo sfinimento, nel caso di “1984” si preferisce alimentare l’energia della massa, ma solo per poterla indirizzare contro un ipotetico nemico del benessere e della tranquillità civile.
L’atto sessuale, totalmente avulso dal concetto di piacere,  assume unicamente lo scopo di procreare. La riproduzione – a sua volta – è trattata come fosse una forma di dovere nei confronti del Partito che, in tal modo, acquisisce nuove reclute da inserire nei  ranghi delle sentinelle e delle spie.  Esiste persino la cosiddetta “Lega Giovanile Antisesso” a presidio di questa ideologia di mantenimento della castità. Anche il nostro rapporto col sesso è fortemente degenerato, nel tempo, e ha dato origine a numerose problematiche fisiche, tra cui le malattie sessualmente trasmissibili sempre più gravi e spaventose e un incremento notevole delle violenze. Colpa – probabilmente – di una finta liberalizzazione che ha originato ancora più tabù, ancora più perversioni  e ancora più discriminazioni.
Molte sono le somiglianze tra il mondo di “1984” e il nostro, quello in cui viviamo
attualmente, ma queste mi sembrano le più eclatanti e ho sentito il bisogno di sottolinearle. Molte sono anche le somiglianze tra “1984” e “Vox”, il romanzo d’esordio di Christina Dalcher. L’azzeramento di lingua e linguaggio, la nostalgia per un passato che sembra impossibile da rievocare, il bisogno di dare vita ad una forma di resistenza segreta che possa cambiare la situazione non appena se ne presenti l’occasione, la frustrazione dei sentimenti e del sesso, l’educazione dei più piccoli, le forme di tortura, le reminiscenze del periodo nazista, la presenza ingombrante di telecamere installate ovunque  e la fomentazione di odio perfino tra i membri della propria famiglia sono solo alcune delle tematiche che ricorrono in “Vox” così come in “1984”.
Il linguaggio, come lascia intuire il titolo stesso, è il leitmotiv di tutto il romanzo. Alle donne è consentito l’uso di 100 parole al giorno, soltanto. Alcune non possiedono neppure questa “concessione” e sono condannate a tacere per tutta la vita. Al polso portano un braccialetto conta-parole che, appunto, tiene il conto di ogni vocabolo pronunciato durante l’arco della giornata. Non possono sforare, pena atroci torture. Anche i gesti e gli sguardi sono costantemente sotto controllo per via dell’installazione di telecamere dislocate pressoché ovunque.
“Sono ovunque, le telecamere. Nei supermercati, nelle scuole, dai parrucchieri e nei ristoranti, pronte a catturare qualsiasi cosa possa essere interpretata come comunicazione non verbale, per quanto rudimentale”. [Pag. 46]
Anche le webcam private sono tenute sotto controllo dal governo e il riferimento a “1984” è addirittura esplicito:
“Non siamo certo messi male come Winston Smith, che deve accucciarsi nell’unico angolo cieco del suo monolocale perché il Grande Fratello non l’osservi attraverso uno schermo, ma abbiamo telecamere anche noi. Ce n’è una all’ingresso principale, una sul retro, una sul garage, puntata sul vialetto. Ero presente quando sono state installate, un anno fa, lo stesso giorno in cui io e Sonia abbiamo ricevuto i contatori da polso. Nessuno potrebbe monitorare tutte le case per tutto il giorno, non ci sono abbastanza uomini per una sorveglianza costante. Nonostante questa consapevolezza, faccio ben attenzione a tenere la busta premuta contro di me, mentre do le spalle alla cassetta delle lettere e torno a casa”. [Pag. 253]
In “Vox” non c’è solo un impoverimento della lingua e una drastica modificazione del vocabolario, ma un vero e proprio assassinio delle parole (attraverso un’afasia di massa).
“A sei anni, Sonia dovrebbe avere diecimila lessemi, un esercito formato da truppe che si raggruppano e si mettono sull’attenti, obbedendo agli ordini del suo cervello giovane e duttile. DOVREBBE AVERE, perché le tre competenze un tempo previste per la sua età – leggere, scrivere e far di conto – di questi tempi si sono ridotte a una: l’aritmetica elementare. Dopotutto, un giorno da mia figlia ci si aspetterà che sappia fare la spesa e gestire le faccende di casa, che sia una moglie devota e diligente, e per queste mansioni serve saper contare e non certo conoscere l’ortografia, né la letteratura. E non serve nemmeno avere una voce”. [Pag. 10 e pag. 11]
Poche parole, pochi pensieri. E viceversa, naturalmente. Zero parole, zero pensieri. Almeno per quanto riguarda la sfera femminile perché, per i maschi, tutto funziona diversamente. Possono parlare, i maschi, e a scuola viene loro impartita un’educazione di tipo “ortodosso”, nella quale la prima cosa che imparano è che le donne sono inferiori e che gli uomini hanno il sacro compito di dominarle. L’intero sistema educativo è distorto e riplasmato perché supporti questa ideologia. I libri in circolazione appartengono a tale stampo, persino la Bibbia è stata modificata per permettere la calcificazione di questa mentalità.
“Cosa studiano ora, le nostre bambine? Un po’ di addizioni e sottrazioni, come leggere l’ora e calcolare il resto. Contare, ovviamente. E’ la prima cosa che imparano. Fino a cento”. [Pag. 104]
“Questa è la scuola, adesso, e sarà così ancora per un po’ di tempo. Forse per sempre.
La memoria è odiosa.
Invidio la mia unica figlia: non ricorda com’era la vita prima delle quote di parole, o la scuola prima che il Movimento per la Purezza prendesse piede”. [Pag. 106]
 Anche qui, come nel romanzo di Orwell, torna prepotentemente la nostalgia per il passato, per un tempo in cui gli uomini erano liberi di pensare, di esprimersi, di agire e di amare. E – a proposito dell’amore - anche qui, un Movimento di censura ha preso piede, un Movimento che si occupa rendere le donne schiave devote, anche in ambito sessuale. Anche qui non esiste più il “fare l’amore” per il piacere di stare insieme intimamente: l’atto sessuale si svolge meccanicamente e con l’unico scopo di procreare. Banditi i preservativi, naturalmente, ma accettata la prostituzione. Il piacere – come è ovvio - è riservato soltanto ai maschi. L’omosessualità  non è tollerata nell’orripilante universo distopico di cui ci parla la Dalcher:
“Non ci sono più famiglie con due mamme o due papà: i figli di partner omosessuali sono affidati al parente maschio più prossimo – uno zio, un nonno, un fratello maggiore – finché il genitore biologico non si sposa come si deve. Che buffo, dopo tutte le chiacchiere sulle terapie di conversione, nessuno aveva mai pensato al metodo infallibile per riportare i gay sulla retta via: togliere loro i figli”. [Pag. 104 e pag. 105]
La discriminazione del diverso, l’ostinazione nel voler vedere nell’omosessuale soltanto una persona malata, sessualmente deviata (e, pertanto, passibile di “conversione”), come se l’inclinazione sessuale dipendesse da una scelta, è – come ben sappiamo - una realtà con cui la nostra società si è sempre trovata a fare i conti.  Di diritti si discute molto, come si discute di femminismo e parità dei sessi. In tutto questo, però, ci si dimentica sempre di includere un fattore determinante: il sentimento. Il sentimento è escluso a priori quando si parla di articoli di legge, giurisprudenza e Diritto, ed è significativo il fatto che  dai personaggi “buoni” di  entrambi i romanzi il sentimento venga, invece, riconosciuto come fulcro fondamentale attorno al quale far ruotare la vita intera.
L’unico sentimento tenuto in seria considerazione da chi detiene il potere, in entrambi i libri, è l’odio. Chi governa riconosce soltanto il valore dell’odio, scardinando completamente il sentimento dell’amore dalle menti dei suoi sudditi. L’amore, così come il libero pensiero, è troppo pericoloso perché sia predicato e lasciato libero di insinuarsi e di albergare nel cuore degli individui…
“Mi chiedo quale tipo di punizione il reverendo Carl e il suo branco di Uomini Puri abbiano ideato per i sovversivi. In un mondo in cui le donne vengono spedite in Siberia – in North Dakota, cioè – per crimini innocui come la fornicazione, e in cui Jackie è condannata a marcire per sempre in un campo di concentramento per omosessuali, di sicuro alle donne che trafugano segreti di Stato sarà riservato un orribile trattamento specifico”. [Pag. 252]
E’ chiaro che ci si voglia liberare da un regime dittatoriale tanto simile a quello instaurato dai Nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. In entrambe le distopie di cui parlo in questo articolo ci sono riferimenti agli orrori commessi in quel preciso periodo storico ed è chiaro che sia la protagonista di “Vox” sia il protagonista di “1984” sognino e si attivino personalmente per costruire un futuro in cui quegli orrori non si ripetano. Dai teleschermi di Orwell e dalle televisioni della Dalcher escono realtà fasulle e distorte:
“Oggi il presidente Myers era di nuovo in televisione. Mi sembra che sia sempre in televisione, sempre a proclamare un nuovo piano per trasformare il Paese sempre a raccontarci che oggi stiamo molto meglio di prima”. [Pag. 122]
“Lavaggio del cervello”: anche questo accomuna i due romanzi. Come ci sono riusciti, in “Vox”? Oltre che imbavagliando le donne, modificando i testi su cui far studiare i ragazzini e applicando torture di ogni genere, con la persuasione (sia quella plateale, applicata sciorinando prediche e sermoni pubblici, sia quella subdola):
“Ecco, è così che ci sono riusciti. Intrufolandosi in un corso qui un’associazione là, ovunque potessero attirare i ragazzi con la promessa di rendere più appetibili le loro candidature.
E’ bastato”. [Pag. 53]
Quel che salta all’occhio a un certo punto è il significato che il gruppo, la massa, assume nei due libri: in “1984” l’idea di associazione di persone è consentita solo a patto che il gruppo in questione sia coalizzato contro i nemici del Partito e del Grande Fratello; per quanto riguarda “Vox”, l’idea di gruppo è prevista come forma di aggregazione per il controllo reciproco.  Il risultato non è molto diverso, anzi, anche in “Vox” i membri della stessa famiglia si tradiscono tra loro. L’unica differenza è che il rimorso di coscienza è molto più evidente e, sicuramente, più produttivo in “Vox” che in “1984”.
“Puoi portare  via molte cose a una persona: soldi, lavoro, stimoli intellettuali. Puoi anche portarle via la voce senza intaccare la sua essenza più profonda. Ma, se le impedisci di sentirsi parte di un gruppo, se le togli lo spirito di squadra, le cose cambiano”. [Pag. 47]
In entrambe le distopie, cambia la percezione di cosa è normale e di cosa non lo è. Diventano normali cose che ledono i diritti umani ed eretiche le cose che prima sancivano quegli stessi diritti.  Tornano in vigore le torture, sia quelle fisiche sia quelle mentali, le persone ritenute “scomode” – semplicemente – vengono fatte sparire, dall’oggi al domani, il potere è fine a se stesso. “Immaginate come sarà svegliarsi una mattina e scoprire che non avete più voce in capitolo su niente”. [Pag. 20] Ci si pone persino la stessa domanda, a un certo punto:
COSA SARESTI DISPOSTO/A A FARE PER RICONQUISTARE LA TUA LIBERTA’?