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LA BELLEZZA

domenica 29 ottobre 2023

GIANNI CARAVAGGIO, Per analogiam

 


Andando spesso alla GAM ho capito che ogni esposizione non va mai considerata soltanto singolarmente, ma va anche inserita in un contesto più ampio. E la nuova mostra – che ha come protagoniste le opere di Gianni Caravaggio – non fa eccezione: va infatti considerata sia la mostra in sé sia il ciclo in cui è inserita, anzi, amalgamata. Un ciclo iniziato con “Sul Principio di Contraddizione”[1] (2021) e proseguito con “Hic sunt dracones” (2022).

“Contraddizione, metamorfosi e analogia sono tre territori dell’indefinito che la filosofia, sin dalla sua nascita, ha cercato di espungere come forme aberranti contrarie alla logica, alla razionalità e al pensiero scientifico deduttivo. Le ha relegate allo spazio del mito, dell’immaginazione simbolica e prescientifica. Rappresentano però, non solo alcuni dei processi più naturali con cui la mente umana dà senso all’esperienza del mondo, ma sono il terreno stesso di nascita dell’espressione poetica e artistica”.                   Elena Volpato

Se durante la prima mostra ci si è trovati alle prese con il tema della contraddizione e durante la seconda è stata esplorata la metamorfosi, in questa terza esposizione si avrà a che fare con l’analogia. Non a caso il titolo di questa esperienza artistico-poetica è “Per analogiam”[2].

Come è in cielo, così è in terra; ciò che si può vedere nel grande, si può riscontrare anche nel piccolo; ciò che sembra tanto lontano da noi, è – in realtà – dentro di noi. Su questo principio di corresponsione tra gli elementi che compongono l’universo si regge la mostra. Mostra in cui nulla è lasciato al caso: dalle forme scelte per le opere

Gianni Caravaggio, "Giovane Universo"

 

 

ai materiali che le compongono, dal luogo in cui sono collocate al modo in cui sono state posizionate. Mostra che rientra nell’ambito dell’arte performativa, ma nello stesso tempo ne crea un’espansione, trasformando l’osservatore – che può essere anche l’artista stesso – nel soggetto che compie la performance.

Gianni Caravaggio, "Via dalla luce mia (la verità)"

 

Nel silenzio quasi sacrale delle sale immerse in una cornice atemporale e a-spaziale (ottenuta grazie all’accostamento di tonalità cromatiche neutre che sfumano dal bianco al grigio) il visitatore dà inizio al proprio viaggio tra le opere. Sarà un viaggio strano, il suo, perché si troverà a camminare sul confine tra i mondi, contemporaneamente presente in un macrocosmo che lo inizia ai misteri dell’Universo e in un microcosmo che è quello del suo stesso Io.

“Come una risonanza interiore e un mistero che attraversa il tutto e svela la corresponsione del dettaglio con l’assoluto. Quella risonanza è l’analogia, […]”.

E le opere rivelano allo spettatore le loro infinite sfaccettature, i loro punti luminosi e le loro ombre – che mutano al mutare della posizione o dell’angolazione dello sguardo – e le innumerevoli interpretazioni a cui sanno prestarsi. Ma non è semplice arte concettuale, è – piuttosto – arte universale, dove scopriamo che l’infinità – dell’universo, per l’appunto – corrisponde all’infinità della mente; dove le stelle che dimorano in cielo possono stare tranquillamente anche su uno scampolo di stoffa adagiato qui, sulla Terra, per terra.

Gianni Caravaggio, "La coperta dell'eremita"

 È una mostra in cui il ragionamento, tipica modalità di pensiero dell’essere umano, lascia finalmente il campo all’intuizione, cioè a quel guizzo che ci illumina e che in quel lampo, tanto breve quanto intenso, ci svela ogni cosa. Ci svela l’immensità contenuta in un piccolo seme, ci svela il passato, il presente e il futuro riunendoli nella sola dimensione del “sempre”.

“Lo stupore è nuovo ogni giorno”, questo ci dice Caravaggio variando un frammento di Eraclito che recita: “Il sole è nuovo ogni giorno”. Con questo assunto, l’artista “evoca la forza creativa di ogni moto di stupore in cui contemplazione, formazione e rispecchiamento si fondono in un unico impulso: l’indefinito riaccadere dell’incipit nel permanente divenire che è continua nascita del tutto”.

Questa continua rinascita è particolarmente evidente in una delle opere di Caravaggio in cui l’artista ha ricostruito il cielo della propria nascita su una lastra metallica forata in corrispondenza della posizione delle stelle e sollevata da terra in modo tale da rispecchiare se stessa sul pavimento. Ne risulta così una molteplice corresponsione; tra la nascita dell’artista e il cielo inclinato sul pavimento; tra il cielo inclinato e il suo riflesso; tra lo spettatore e la propria nascita.

Gianni Caravaggio, "Lo stupore è nuovo ogni giorno"

Nascita e rinascita, luce e ombra, contrazione ed espansione, creazione e distruzione, materia densa e sostanza effimera… Lo spazio e il tempo sarebbero invisibili se non ci fosse il cambiamento a tradirli! Noi percepiamo questi due grandi concetti proprio quando le cose cambiano: la rotazione della Terra dà vita alle stagioni, al giorno e alla notte, alla luce e al buio, al caldo e al freddo… Anche la Creazione si dice sia avvenuta perché Dio è cambiato, perché ha contratto se stesso per far spazio al mondo. Nella cultura ebraica questo fenomeno prende il nome di Tzimtzum e, col nostro movimento (cioè attraverso il cambiamento di posizione) attorno alle opere, anche noi possiamo creare e ricreare, ma anche modificare o persino distruggere la nostra percezione delle cose e l’interpretazione ad essa abbinata.

Ogni oggetto proietta un’ombra diversa a seconda della posizione della luce che lo colpisce: noi, con la nostra sola presenza, possiamo influire su quelle proiezioni.

Gianni Caravaggio, "Testimoni di uno spazio invisibile", dettagli.

Ogni oggetto, se guardato da un punto di vista diverso, rivela facce, dettagli, caratteristiche differenti: noi, col nostro movimento, siamo in grado di vedere l’ “oltre” guardando oltre. E  non è solo un gioco di parole, è il frutto di una sensazione che mi ha portata a un’intuizione, e viceversa.

Gianni Caravaggio, "L'ignoto"

“Né il soggetto che conosce né l’oggetto conosciuto ma il conoscere: è tale relazione miracolosa come puro divenire, pura sensibilità, che la forma è in grado di testimoniare. Tale relazione, quando accade, si manifesta in noi con una sensazione emotiva e al contempo con una sensazione di incertezza, che in sostanza definiscono la circostanza psichica dell’apertura poetica. È per via di questa ‘fragilità’ che l’apertura poetica va difesa”.

 È capitato tutto in un “Attimo”[3],

Gianni Caravaggio, "Attimo"

 

 

 

nell’istante esatto in cui mi sono trovata (o ritrovata?) di fronte a una delle opere di Caravaggio, una foto appesa a un filo da pesca, 

Gianni Caravaggio,"Melancolia"

che proiettava la propria ombra sul pavimento. Non era un effetto voluto o cercato dall’artista (gliel’ho chiesto), ma in quell’ombra involontariamente ottenuta c’è – a mio parere – tutta l’essenza della mostra. L’immagine si specchia sul pavimento proiettandosi nei panni di un’ombra,

L'ombra proiettata da "Melancolia" di Gianni Caravaggio

 come un negativo fotografico, come l’altra faccia della medaglia, come il lato oscuro e impenetrabile di ognuno di noi che scaturisce da quello in luce, come un’anima che si rapporta al corpo… E non è un caso, probabilmente, che una sia in alto e l’altra in basso, anzi, in questa dislocazione contrapposta c’è la grande simbologia dell’intero universo. 

In alto: "Melancolia" di Gianni Caravaggio. A dx: "Attimo" di Gianni Caravaggio. In basso: l'ombra proiettata da "Melancolia".

 

Attraverso le opere-simbolo di Gianni Caravaggio ci rendiamo conto che ognuno di noi vede le cose a modo proprio, si accorge di determinate cose e non di altre e si sofferma su determinate cose e non su altre. E scopriamo che le cose, spesso, si rendono manifeste solo attraverso le loro conseguenze. E poi intuiamo che c’è un filo (visibile) che lega le sostanze e uno (invisibile) che, invece, collega le essenze.

Gianni Caravaggio, "Agire come la falce di Cronos".

Dire “Per analogiam”[4] è come dire “per corrispondenza”, ed è così, per corrispondenza, che una foglia può divenire l’immagine di se stessa perché l’immagine di una foglia non è che la foglia stessa. Ed è così che il passato di quella foglia si intreccia al suo futuro dando vita a una proiezione del suo presente, in forma d’ombra, perché il presente – essendo un continuo ed eterno divenire – è etereo ed effimero. Foglie che somigliano a mani con le dita intrecciate perché, in fondo, siamo tutti specchi gli uni degli altri…

Gianni Caravaggio, "Il tempo mi scorre tra le dita"

L’artista è come un poeta e la sua opera d’arte diventa poesia, cioè quella formula magica che ci mette in connessione con il mondo delle sensazioni e delle intuizioni. Perché la poesia è quella forma letteraria che nasconde l’infinito dietro alla finitezza delle parole, le quali – probabilmente non a caso – vengono anche chiamate “termini”. Perché dietro un illusorio confine fatto di lettere o corpi o materia, si spalanca l’indicibile, l’inafferrabile, l’imponderabile.

 Se andrete a vedere la mostra, vi suggerisco di portarvi a casa anche il libro (che è veramente bellissimo!) perché possiate confrontare le vostre impressioni con i messaggi che l’artista ha voluto lanciare. Sappiate, infatti, che l’esposizione non ha didascalie sui muri, per non distrarre il visitatore durante le sue epifanie. 

Gianni Caravaggio, "Orione prima di Giza"

Ma non preoccupatevi, perché è disponibile una mappa orientativa che vi darà le indicazioni necessarie! Tra l’altro – non a caso, di nuovo – ho usato la parola “mappa”: l’artista ha voluto giocare con il suo pubblico “sfidandolo” anche a una caccia al tesoro, dove il “tesoro” – un’opera che si rispecchia  nella “gemella” presente in Galleria – è collocata in giardino.

 Ve lo avevo detto: i performers siete voi!



[1] Trovate il mio articolo qui, sul blog.

[2] Gianni Caravaggio, “Per analogiam”, 1 novembre 2023 – 17 marzo 2024.

[3] “Attimo” è il titolo dell’opera di Gianni Caravaggio posta dietro alla fotografia di cui parlo poco dopo. I titoli stessi sintetizzano concetti complessi, tanto è vero che Caravaggio usa il termine "proposizione" al posto di "titolo".

[4] Dal Lat.: ănălŏgĭa, ae, f., analogia, conformità, VARR.; term. gramm. analogia, regolarità (contr. anomalia), VARR. e a. [gr.].

sabato 28 ottobre 2023

LIBERTY - TORINO CAPITALE

 

 

LIBERTY - TORINO CAPITALE

LIBERTY – TORINO CAPITALE, la nuova mostra allestita nella Sala del Senato di Palazzo Madama, è a cura di Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica e della SIAT – Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino (con la collaborazione di Mondo Mostre) e sarà visitabile fino al 10 giugno 2024.

LE FONDAMENTA DEL LIBERTY

Nonostante la nuova mostra allestita a Palazzo Madama sia incentrata sullo stile Liberty che ha caratterizzato e che caratterizza ancora oggi la città di Torino, qualcosa mi spinge a fornire un quadro più ampio di questa interessantissima forma d’arte, perciò penso proprio che partirò… dall’inizio…

Molte speranze erano state riposte nella scienza che avrebbe dovuto alleggerire il carico di lavoro all’uomo, a seguito della Rivoluzione Industriale. Molti contadini si erano riversati nelle città, spinti dalla necessità di un lavoro più appagante e più remunerativo, ma la loro urbanizzazione forzata non sortì gli effetti sperati: non soltanto avevano abbandonato le loro radici, subendo tutti i disagi propri di qualsiasi emigrazione, ma ciò che avevano trovato dall’altra parte era una realtà massacrante, non adeguatamente stipendiata e per nulla gratificante. In aggiunta a tutto questo, i prodotti che uscivano dalle industrie erano qualitativamente scadenti e tutti uguali. La produzione in serie aveva appiattito non soltanto i prezzi, ma anche l’originalità. Non c’era arte in quel tipo di produzione!

Si sentiva, negli ambienti artistici (soprattutto in quelli inglesi) la necessità di un cambiamento radicale che riconsiderasse gli scopi stessi del lavoro operaio e la qualità dei prodotti industriali.

Fu William Morris[1] a far scattare la scintilla di quel cambiamento. Morris riteneva, infatti, che bisognasse restituire al lavoro operaio quella “spiritualità” e quel sentimento che erano stati soppiantati dall’uso delle macchine. Perciò, nel 1861, dette vita alla ditta Morris, Marshall, Faulkner & Co. che produceva elementi per l’arredamento e per la decorazione delle abitazioni. Tra i suoi prodotti c’erano oggetti di uso comune, ma anche vetrate colorate, carta da parati, stoffe per rivestimenti, tappezzerie e tessuti ricamati.

Nonostante i propositi fossero di ridare importanza e dignità all’artigianato e di permettere anche alle classi operaie di usufruire di bellezza e qualità, i prodotti della ditta di Morris erano molto costosi e trovavano il loro pubblico in una ristretta cerchia di persone.

Ecco perché, nel 1888, Morris fondò la Arts and Craft Exhibition Society, un’associazione di arti e mestieri che si prefiggeva di conciliare la produzione industriale con l’arte, in modo che ogni oggetto – pur se di serie e di basso costo – avesse un bel disegno e godesse di un certo prestigio artistico. Detto in parole povere, lo scopo di William Morris era di consentire ai meno abbienti di acquistare oggetti d’uso comune di buona qualità, esteticamente belli e a prezzi contenuti.

Nel 1890 nacque anche una tipografia, la Kelmscott Press[2], fondata dallo stesso Morris per ridare lustro al settore editoriale, riprendendo i fasti del libro miniato medievale.

Arte decorativa in ogni campo, dunque, che utilizzava tralci, fiori, foglie e motivi sinuosi ripetuti per impreziosire i prodotti ai quali era applicata.

Ecco quindi riassunte le fondamenta gettate da William Morris e dai suoi seguaci, basi che costituiscono i presupposti immediati dell’Art Nouveau.

L’ART NOUVEAU

A cavallo tra l’Ottocento e il Novecento vanno delineandosi due esigenze: riqualificare in chiave artistica gli oggetti di uso comune prodotti in serie dall’industria, e dare vita a un’arte diversa, più moderna, specchio dei tempi e in linea con le nuove aspettative delle persone.

L’Art Nouveau (che in francese significa appunto “arte nuova”) ricalca proprio queste esigenze e diventa, in breve tempo, il gusto di un’epoca: la Belle Époque. Essa incarna nel modo più vero e profondo lo spirito e le contraddizioni di una società che, senza rendersene conto, sta precipitando a gran velocità verso la catastrofe della Prima Guerra Mondiale.

In ogni paese d’Europa l’Art Nouveau si sviluppa in modo diverso assumendo anche nomi diversi:

·         In Francia, come abbiamo visto, si chiama Art Nouveau (dall’insegna di un negozio di arredamento d’avanguardia aperto a parigi nel 1875).

·         In Germania diventa Jungendstil (ovvero “stile giovane”, in riferimento anche alla rivista Jungend (“giovinezza”) che aveva iniziato le pubblicazioni a Monaco di Baviera nel 1896.

·         In Austria prende il nome di Sezession (ovvero “Secessione”) dal movimento artistico d’avanguardia formatosi a Vienna nel 1897. Fra i promotori della Secessione viennese Gustav Klimt è senza dubbio la figura più rilevante.

·         In Belgio si chiama Stile Horta, dal nome di Victor Horta, che ne fu il massimo esponente.

·         In Spagna, invece, assume il nome di Arte Jóven o – anche – Modernismo.

·         In Italia diviene Liberty, dalla ditta di arredamenti moderni Liberty & Liberty Co., attiva a Londra fin dal 1875.

L’ART NOUVEAU NEI TESSUTI

Il rinnovamento dei tessuti ha riflessi immediati anche nella moda. Gli stilisti del tempo, infatti, aboliscono le rigidità dei bustini rinforzati e delle gonne rigonfie proponendo forme estremamente più morbide e fascianti che esaltano le linee sinuose del corpo femminile, ispirandosi – nel contempo  - all’armonia di soggetti floreali o addirittura alla raffinata eleganza di alcune korai greche.

L’ART NOUVEAU NEL VETRO E NELLA CERAMICA

Essendo due materiali che ben si prestano a torsioni e trasparenze, anche il vetro e la ceramica rimangono invischiati nel vortice di novità a cui l’Art Nouveau ha dato vita.

L’ART NOUVEAU NELLA GRAFICA

Anche grazie ai progressi fatti nel campo della riproduzione di immagini a colori (dovuti al perfezionamento delle tecniche litografiche), spopolano manifesti, locandine, riviste e cartoline illustrate, per di più in grande tiratura. Questa massiccia diffusione permette agli artisti di esercitare un’importantissima funzione educativa su larga scala: è infatti più facile far viaggiare le idee e stimolare i “palati” del pubblico con gusti nuovi.

 

L’ART NOUVEAU NELLA PITTURA E NELL’ARCHITETTURA

Come nel piccolo, così nel grande, potremmo dire. A questo punto, infatti, l’Art Nouveau ha ormai messo radici nelle piccole cose quotidiane, ha abituato le persone alla sua presenza, mettendole così in condizione di accogliere positivamente il vento del cambiamento che soffia anche in quegli sconfinati campi artistici che sono la pittura e l’architettura.

Anche in questo caso, comunque, vige il detto “Paese che vai, usanza che trovi” (anche se la lingua italiana soffre ogni volta che qualcuno pronuncia questa frase…), perciò, a seconda del Paese di riferimento, cambiano anche le “declinazioni” dello stile. Ciò che invece rappresenta una costante è l’uso nuovo e funzionale del ferro e della ghisa. Sono le strutture stesse a diventare decorazione, magari attingendo con piena libertà di rielaborazione al vasto repertorio offerto dal regno animale (farfalle e pesci sono i soggetti che ricorrono di più) o da quello vegetale, con fiori, foglie e piante.

LO STILE LIBERTY A TORINO


Torino è una città che ha il Liberty come leitmotiv stilistico. Io abito in questa città da trentotto anni e ancora mi meraviglio di fronte alla bellezza di certe costruzioni, ma mi sono resa conto che c’è anche chi si è abituato a questa città – tanto che non riesce più a coglierne le forme, i dettagli, le particolarità – e chi non l’ha mai guardata con attenzione. Chi non l’ha mai visitata, naturalmente, è scusato…


Sapevate, per esempio, che la famosa Fontana dei Mesi, al Parco del Valentino, è uno dei simboli principali del Liberty?

Fontana dei Mesi

 Una cascata di 600 litri di acqua al secondo, con due pennacchi lanciati a 20 metri d’altezza la rendono stupefacente. Costruita nel 1898 sul progetto dell’architetto Carlo Ceppi, è realizzata in cemento ed è luminosa e imponente in quanto costituita da quattro gruppi statuari (raffiguranti rispettivamente i fiumi Po, Dora, Sangone e Stura) e da 12 statue (femminili); ognuna di esse raffigura un mese dell’anno.

 



 Io sono particolarmente legata a quella che rappresenta il mese di Novembre: immaginate il motivo?

Novembre alla Fontana dei Mesi

LIBERTY – TORINO CAPITALE

L’esposizione racconta con un centinaio di opere il fondamentale ruolo di Torino per l’affermarsi del Liberty, un’arte che nella capitale sabauda diviene il fulcro di una storia che travolge ogni aspetto della vita dei cittadini, oltre che di tutte le forme d’arte (dall’architettura alla pittura, passando persino per la moda e l’arredamento di interni). Tra il 1880 e il 1920 il Liberty riuscì non solo a trasformare e rinnovare l’aspetto della città di Torino, ma riuscì anche a definire un approccio al contesto urbano che inciderà su tutta l’architettura occidentale, prima, e mondiale,  poi.

Questa esposizione è una mossa fondamentale per l’ingresso di Torino nel RANN di Bruxelles e la sua candidatura a Città Patrimonio Mondiale Unesco per il Liberty.

La mostra, è suddivisa in cinque sezioni:

1)    Eterno femminino

2)   La casa moderna

3)    La Gran Via

4)   Nuovi linguaggi per una nuova società

5)    Dalla Sfinge a Città del Messico

Prendetela come una passeggiata per le vie della città, priva – però – delle scocciature e dei pericoli propri del traffico urbano.

Nella prima sezione, la protagonista indiscussa è la donna che, tra l’Ottocento e il Novecento, emerge sotto molteplici aspetti (sociale, ruolo, immagine).

Nella seconda sezione fa bella mostra di sé la splendida ricostruzione di un bow window (interno della Palazzina Turbiglio), con: un lampadario dell’Officina Mazzucotelli, pregiati complementi d’arredo, un abito femminile e accessori moda.

BOW WINDOW


Nella terza sezione risiede il cuore della mostra che racconta Torino attraverso la sua architettura, a partire dalla rivoluzionaria Esposizione Internazionale del 1902, rievocata attraverso opere allora esposte e gli apparati iconografici concepiti, che presentano non solo i fermenti culturali dell’epoca, ma soprattutto, indagandone la materialità, portano all’essenza del Liberty torinese.

E, poiché questa corrente permea ogni settore cittadino (dalle scuole alle fabbriche, dalle case popolari alle ville signorili, dai bagni pubblici ai palazzi, dall’arredamento d’interni all’editoria scolastica e dalla grafica pubblicitaria alle riviste passando persino dall’abbigliamento), la mostra è veramente molto ricca e rende anche la quarta sezione espositiva un luogo in cui soffermarsi a lungo.

Banchi di scuola in stile Liberty

 

 

 

 

 

 

La quinta e ultima sezione, invece, è un viaggio all’interno della creazione di un’opera d’arte in stile Liberty: dal bozzetto all’opera compiuta.

Leonardo Bistolfi, "La Sfinge", 1890. Bozzetto in gesso per la Tomba Pansa al Cimitero di Cuneo.

 

 

 

 

 

L’esposizione si avvale, inoltre, dell’eccezionale contributo dato dalla campagna fotografica  appositamente svolta dall’architetto Pino Dell’Aquila.

Selezione d'immagini della Prima Esposizione Internazionale d'Arte Decorativa Moderna tratte dal servizio fotografico originale del quotidiano "La Stampa".

 

L’allestimento, la mostra e il catalogo – edito da Silvana Editoriale – sono a cura di Beatrice Coda Negozio, Roberto Fraternali, Carlo Ostorero, Rosalba Stura e Maria Carla Visconti che, anche come SIAT – Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino -, da decenni hanno intrapreso un percorso di tutela e approfondimento dei temi della cultura Liberty a Torino, rendendosi protagonisti di importanti iniziative scientifiche, editoriali e divulgative.

All’esposizione si accompagna il ricco programma off Libertyamo, che vede il supporto della Camera di Commercio di Torino, orientato al massimo coinvolgimento della città e dei cittadini alla riscoperta delle proprie radici e dell’eccezionalità del contesto architettonico della loro quotidianità.

UN ASSAGGIO DELLA MOSTRA

LIBERTY - TORINO CAPITALE

 

Come dicevo, il mio consiglio è di fruire della mostra come se fosse una passeggiata, ma la mia non è un’affermazione fatta a caso… L’allestimento, infatti, è stato organizzato in modo da agevolare questa modalità di visita, perciò troverete grandi foto di palazzi che si susseguono.

Gottardo Gussoni, Casa a Crescent, 1911, Torino, c.so Re Umberto 65/67

 Ad ognuna di esse è 

 

associato un corredo di dettagli ingranditi, piante (intese come mappature, non come vegetali, eh! ;) ), documenti storici e curiosità. Tra i nomi degli architetti/ingegneri che hanno progettato tali strutture abitative si annovera anche quello di Pietro Battaglia, la cui Villa Scott è nota per essere stata protagonista del film “Profondo rosso”, di Dario Argento. E l'illuminazione è data da lampioni che riprendono esteticamente e idealmente i lampioni della città.

Giuseppe Velati Bellini, Casa Florio Nizza, 1901, Torino, via Bertola, 20.


C’è anche un filmato che mostra palazzi e dettagli architettonici davvero sorprendenti!

Troverete poi una carrellata dei materiali specifici di cui si avvale il Liberty, tra i quali spicca una serie di grandi barattoli in cui sono contenuti pigmenti dai colori vivi e vibranti  che – sono sicura – attireranno la vostra attenzione, così come hanno attirato la mia.

Una selezione di pigmenti che va dai colori delle terre al verde cromo, passando per il rosso cocciniglia e il blu oltremare artificiale.

E, per gli amanti dell’editoria, ci sono libri e riviste.

 

 

Ci sono dipinti 

Giovanni Boldini, "Fuoco d'artificio", 1890 circa.

 

 

 

 

 

 

 

 

e sculture, 

Edoardo Rubino, "La danza"

 

 

 

 

 

 

 

ma anche locandine, 

Alphonse Mucha, "Ferdinand Champenois Imprimeur-Éditeur 1897", litografia a colori.

 

un ventaglio, un cappello, un pettine e delle spille. C’è persino un Monumento funerario con la relativa riproduzione fotografica.


 

Ci sono arredi e complementi d’arredo…

Insomma, c’è tanto da vedere, e la cosa più bella è che tutto è concentrato in un unico luogo! Perciò, se vi è piaciuto l’assaggio, non vi resta che andare a visitare la mostra e poi, magari, divertirvi a cercare le impronte del Liberty per le vie – quelle vere – della città di Torino.

Buona passeggiata!



[1] Nato a Walthamstow nel 1834, Morris studiò a Oxford. Fu pittore, pubblicista, decoratore e grafico. Frequentatore assiduo del Victoria and Albert Museum (inaugurato nel 1872 con la denominazione di South Kensigton Museum), il primo a occuparsi esclusivamente di arti decorative, ne divenne in seguito collaboratore in qualità di membro del suo comitato di esperti. Morì ad Hammersmith nel 1896.

[2] Dalla tipografia di Morris proviene la più pregevole edizione dell’opera omnia di Geoffrey Chaucer.