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LA BELLEZZA

sabato 11 aprile 2020

J G. BALLARD, "IL MONDO SOMMERSO" E "IL CONDOMINIO", Feltrinelli.


JAMES GRAHAM BALLARD (1930-2009) è considerato uno dei più originali scrittori inglesi contemporanei. Innovatore della letteratura fantascientifica, si concentra sugli effetti che la modernità produce su psiche e società. Ha scritto il suo primo romanzo, “Il mondo sommerso”, nel 1961.
J. G. Ballard, "Il mondo sommerso", Feltrinelli.
IL MONDO SOMMERSO
Ne “Il mondo sommerso”, Ballard ci prospetta il futuro del pianeta Terra in seguito ad un ipotetico surriscaldamento globale: cosa potrebbe accadere al paesaggio, alla natura, alle città, agli animali, alle piante e – soprattutto – al genere umano. Non si tratta di un nuovo mondo, ma di un ritorno alle origini, così come non si tratta di progresso o di evoluzione dell’uomo, bensì di regressione e di involuzione.
“Si potrebbe semplicemente asserire che, in seguito all’aumento della temperatura, dell’umidità relativa e del livello di radioattività, la flora e la fauna di questo pianeta stanno cominciando ad assumere ancora una volta le forme che le avevano caratterizzate all’epoca in cui queste stesse condizioni ambientali si sono verificate, l’ultima volta… per dirla in breve, nel Triassico. […] Ovunque si è verificato lo stesso processo: infinite mutazioni hanno trasformato completamente gli organismi per permettere loro di adattarsi alle condizioni di sopravvivenza del nuovo ecosistema”. [Pag. 47]
Per quanto riguarda le ripercussioni sulle persone, Ballard immagina che l’aumento della temperatura e della radioattività risveglino nei protagonisti codici temporali e antichi ricordi – i ricordi più antichi del mondo – presenti in ogni gene e cromosoma.
“Come la psicoanalisi si prefigge di ricostruire la situazione traumatica originaria al fine di provocare  la liberazione del materiale rimosso, così ora noi stiamo precipitando nel nostro passato archeopsichico, riscoprendo gli antichi tabù e gli istinti primordiali, rimasti sopiti per migliaia di anni. Il pensiero della brevità della singola vita umana è fuorviante. Ognuno di noi ha la stessa età dell’intero regno biologico e il nostro flusso sanguigno è immissario dell’immenso oceano della sua memoria collettiva”. [Pag. 49]
Il tempo non va più calcolato, dunque, secondo la solita modalità, vale a dire sulla base degli orologi e della durata media della vita di un individuo, ma su una scala immensamente più ampia, una scala cosmica.
“L’orologio girava all’indietro”, ci racconta uno dei personaggi del romanzo di Ballard:
“Più lento era un orologio, più riusciva ad approssimarsi alla progressione maestosa e infinitamente graduale del tempo cosmico: in realtà, invertendo la direzione delle lancette e facendole ruotare all’indietro, si poteva inventare un orologio che, in un certo senso, si muoveva ancor più lentamente dell’universo e che, di conseguenza, faceva parte di un sistema spazio-temporale ancora più grande”. [Pag. 71]
E i sogni, le visioni oniriche che invadono la mente dei protagonisti della storia, sono – quindi – ricordi di un passato ancestrale, primordiale, responsabili  della perdita  di ogni distinzione tra il reale e il surreale, al punto che sogni e realtà arriveranno a coincidere. Accadrà quando la regressione sarà completa e il tempo dell’individuo sarà stato riassorbito dal suddetto tempo cosmico. Sarà equiparabile a un azzeramento, alla formazione di un punto di ripartenza della vita , ma – di certo – non della vita come la conosciamo oggi. Una tale regressione porterà l’uomo a un ritorno nell’utero di Madre Terra e, forse, prima ancora. Simbolicamente, tutto questo rappresenta un bisogno inarrestabile di scoprire i segreti dell’inconscio, con le inevitabili conseguenze che tale bisogno trascina dietro di sé, tra cui la rinascita di rituali arcaici, i timori nei confronti di antiche divinità e numerosi tabù.
Sì, “Il mondo sommerso” è una sorta di evoluzione involutiva – se così vogliamo azzardarci a definirlo – “attivata” da un moderno “diluvio universale” il cui culmine o obiettivo implicito è l’avvento di un nuovo “Eden”. È il viaggio verso una diversa forma di psicologia, scatenato da una saturazione della mente. Di cosa è satura la mente dell’uomo moderno possiamo evincerlo facilmente  osservandone i comportamenti: schemi di pensiero asfittici e costrittivi, mancanza di rispetto per sé, per la natura, per il pianeta che lo ospita e per i suoi stessi simili. In questo caso, il ritorno alle origini prevede che l’uomo civilizzato si riappropri degli istinti animali sepolti sotto una spessa coltre di ipocrita moralità e resetti gli schemi di pensiero che lo hanno reso schiavo di se stesso. Certo, l’atmosfera che permea tutto quanto il romanzo è decadente, ma è proprio questa decadenza a rendere vivide le suggestioni e a conferire fascino alla narrazione.
Ballard è stato in grado di creare un mondo dentro al Mondo, un microcosmo dentro il Macrocosmo, con la conseguente nascita di un nuovo tempo, antico – è proprio il caso di dirlo - come il Mondo. E “i due mondi intersecati sembravano apparentemente sospesi in una strana giuntura temporale”. [Pag. 11]







 
J. G. Ballard, "Il condominio", Feltrinelli.



     “IL CONDOMINIO”
Anche il condominio rappresenta un mondo all’interno del Mondo, un microcosmo all’interno del Macrocosmo. Ancora una volta Ballard torna a scandagliare l’animo umano analizzandone le pulsioni e immaginandone il ritorno al primitivismo, agli istinti più reconditi e oscuri che albergano nel suo profondo. La natura animalesca trova la propria metafora perfetta nel riferimento allo “zoo verticale”, come spesso viene definito il condominio all’interno del romanzo. Naturalmente, i padroni indiscussi della scena sono – ancora una volta – la psicologia e l’analisi degli schemi di pensiero (e di comportamento) dei personaggi. L’analisi verte sugli effetti che gli eccessi (tecnologici e di modernizzazione) hanno sulle persone. Come già era accaduto ne “Il mondo sommerso”, la regressione e l’involuzione (attuate per compensazione) portano a una distorsione delle percezioni spazio-temporali: concetti come “vicino” e “lontano” diventano relativi così come il “prima” e il “dopo” diventano indistinguibili l’uno dall’altro. C’è soltanto il “qui e ora”. Ma procediamo con ordine. Il condominio è innanzitutto la rappresentazione simbolica della stratificazione sociale, la cui gerarchia è così definita:
“Di fatto, il grattacielo si era già diviso nei tre gruppi sociali classici, la classe inferiore, la classe media, la classe superiore. Il centro commerciale del decimo piano costituiva un chiaro confine fra i nove piani più bassi, con il loro “proletariato” […] e il settore mediano del grattacielo, che andava dal decimo piano alla piscina e alla terrazza-ristorante del trentacinquesimo. I due terzi centrali del condominio formavano la sua borghesia […]. Sopra di loro, ai cinque ultimi piani del grattacielo, c’era la classe superiore, la prudente oligarchia […]”.
Il grattacielo stesso viene personificato diventando – di fatto – sia teatro di scontri brutali e sanguinosi sia creatura viva e pulsante; un organismo perlopiù ostile, manipolatorio e decisamente inquietante. L’atmosfera è – se possibile – ancora più decadente di quella descritta ne “Il mondo sommerso”. Nonostante questo – inaspettatamente – qui come nel già citato romanzo, la sensazione di tensione resta costante fino alla fine. Anche quando ogni cosa sembra trasudare calma; si tratta, infatti, di una calma illusoria, surreale che contribuisce ad alimentare la suddetta tensione. La civilizzazione cede il passo a clan e tribù e, gradualmente, si riaffacciano sulla scena il culto dell’individualismo e la legge del più forte. Che cosa intendo quando parlo di decadenza, è presto spiegato: declino delle condizioni igienico-sanitarie, vandalismi, crudeltà, violenze, omicidi e molto altro, in una escalation di orrori. L’erosione all’esterno dell’edificio arriva a rispecchiare le condizioni interne, la fatiscenza, la putrefazione fisica, ma anche quella psichica che riguarda – nello specifico – la perdita dei valori morali ma, soprattutto, di quelli etici. L’unico valore che resta in piedi è costituito dalla lotta per la sopravvivenza, ma vengono meno il rispetto per i morti e quello per i vivi, eccezion fatta per quei vivi che detengono una qualsiasi forma di potere a cui ci si può assoggettare per ottenere in cambio protezione o favori. Ma, in quei casi, non è corretto parlare di rispetto: il termine più appropriato è, infatti “sottomissione”. Parole d’ordine sono, a tal proposito,  “supremazia” e  “prevaricazione”. Anche i rapporti uomo-donna sono alterati da tale ordinamento gerarchico: i consueti ruoli sociali e famigliari vengono meno, prepotentemente soppiantati da forza, egoismo, astuzia, sessualità aggressiva, rabbia e ferocia. Il disconoscimento degli affetti provoca alienazione nei protagonisti e, di conseguenza, un senso di straniamento nel lettore. Le immagini descritte da Ballard sono crude e disturbanti; i protagonisti sembrano essere indifferenti, in quasi tutto il romanzo, alla violenza e alla brutalità degli accadimenti, ma verso la fine si possono cogliere dei segnali di fastidio. D’altronde, solo la consapevolezza può fare la differenza, cioè: soltanto riconoscendo gli effetti devastanti delle proprie azioni si può cominciare a pensare di cambiare lo stato delle cose. Il finale è, in questo senso, ambivalente e può essere letto a seconda della propria inclinazione personale. Forse e, ripeto, FORSE l’unico modo per migliorare il nostro mondo è tornare indietro, regredire fino a toccare il fondo. Raschiare, se necessario, per scoprire/riscoprire i veri valori, i valori fondamentali, quelli essenziali per la nostra vita. Autodistruggersi per poi risorgere dalle proprie ceneri come un’enorme fenice. Una resurrezione che, naturalmente, implicherebbe il ritorno a una purezza incontaminata che solo le creature appena nate possiedono. Ma, il punto è: possiamo ancora redimerci o è troppo tardi? Impareremo a farlo o siamo destinati all’estinzione?

mercoledì 8 aprile 2020

"LA GIOIA DI SCRIVERE" DI W. SZYMBORSKA, EDIZIONI ADELPHI.

LA GIOIA DI SCRIVERE - TUTTE LE POESIE (1945-2009), W. SZYMBORSKA, ADELPHI

La poesia mi affascina. Da sempre. Da quando ho cominciato a padroneggiare l’uso della parola. Sì, perché, se le parole sono versatili, le poesie lo sono ancora di più: sono canzoni, le poesie. E lo stile di W. Szymborska è sempre così musicale, così armonioso che – leggendo – mi sembra di danzare, di saltellare leggera tra le sue parole come tra le note  di uno spartito. E, anche quando arrivo all’ultimo verso, una melodia rimane sospesa nell’aria…
Certo, non mancano i riferimenti biblici, le frecciatine alla politica, una forma di ironia velata ma tagliente, i miti greci, richiami ai Latini, alle culture e alle filosofie antiche, alla Storia con la “S” maiuscola, ma soprattutto a quella con la “s” minuscola, quella fatta da persone comuni che hanno fatto la Storia ma non trovano posto nelle pagine dei grandi libri; c’è  qualcosa che assomiglia all’incanto del disincanto, poi c’è il Tempo, lo studio della propria interiorità, la razionalità con il giusto pizzico di follia o – forse – “solo” di immaginazione. C’è l’amore, c’è la morte, c’è il dolore, c’è la sorte, c’è il tema della memoria (sia quella individuale sia quella collettiva), ma la cosa più sorprendente è che c’è una profondità infinita anche nelle parole e nei versi più semplici. Mai banale, mai scontata, mai noiosa, W. Szymborska sa trasportarmi, da sveglia, in un mondo onirico, e più perdo lucidità più mi accorgo di acquisirne…
“Conosciamo noi stessi solo fin dove
siamo stati messi alla prova.
Ve lo dico
dal mio cuore sconosciuto”.
[UN MINUTO DI SILENZIO PER LUDWIKA WAWRZYŃSKA]
La mente non ha confini… Ognuno di noi è molto più grande di quel che crede di essere e, ogni tanto, quella parte più grande viene a raccontarci cose meravigliose sul nostro conto. La vita ci sfida ogni giorno a scoprire un pezzetto in più di quell’immenso mistero che siamo… Se solo sapessimo dare ascolto a noi stessi…
“Esperti degli spazi
dalla terra alle stelle
ci perdiamo nello spazio
dalla terra alla testa”.
[AGLI AMICI]
Nella apparente semplicità (da non confondere con la banalità) sta la più grande forza di questa autrice:
“fuori svolazza il cielo
e fa il bagno nel mare”.
[LE DUE SCIMMIE DI BRUEGEL]


“Benvenuto e addio
in un solo sguardo”.
[ELEGIA DI VIAGGIO]
La caducità della vita e la durevolezza delle civiltà, la lotta tra il materiale e lo spirituale, dialoghi improbabili se non impossibili, perle di saggezza nella relatività dell’assoluto e nell’assolutismo della relatività:
“«Non è né troppo tardi né troppo lontano. l’isola
Qui è ovunque» disse il terzo pescatore.
Seguì una sensazione di disagio, calò il silenzio. È quel
che accade con le verità universali”.
[PARABOLA]
E, con lei, ci rendiamo conto di essere creature minuscole nell’infinito…
Con lei impariamo a guardarci con e attraverso gli occhi degli altri, a considerare noi stessi come creature immaginarie, quasi come riflessi di riflessi.
“Ombra reciproca nella mia ombra”.
[MOSAICO BIZANTINO]
Immagini così commoventi:
“Ruppe l’orologio del municipio per fermare una volta per tutte la caduta delle foglie dagli alberi”.
“Quando gli fu detto che non esisteva affatto, non potendo morire per il dispiacere – dovette nascere”.
[PROLOGO A UNA COMMEDIA]
Così romantiche, malinconiche, evocative:
“Il tempo si è arrotolato
negli anelli degli alberi”.
[APPUNTO]
Così enigmatiche eppure così illuminanti:
“Lui
ci ha allettati a uscire dall’interno della specie,
ci ha condotti fuori dalla sfera del sonno
prima della parola sonno,
in cui ciò che è vivo
nasce per sempre
e muore senza morte”.
[APPUNTO]
E ci insegna a osservarci da fuori, con sguardo distaccato, come se fossimo noi ma non fossimo noi, come se la vita che viviamo non fosse la nostra, non ci appartenesse e la vedessimo scorrere su uno schermo. Altrove. Una “scorporazione”, come se ognuno di noi fosse
“Esposto
alla propria assenza”.
[NATO]
La scelta accurata delle parole è bilanciata da spassosi giochi linguistici:
“La cipolla è un’altra cosa.
Interiora non ne ha.
Completamente cipolla
fino alla cipollità.
Cipolluta di fuori,
cipollosa fino al cuore,
potrebbe guardarsi dentro
senza provare timore”.
[LA CIPOLLA]
E ineluttabilità:
“E qualunque cosa io faccia,
si muterà per sempre in ciò che ho fatto”.
[UNA VITA ALL’ISTANTE]
E un fatto è un fatto e tutto è importante, anche ciò che non lo è.
Siamo un soffio, su questa Terra, ma nonostante ciò o – forse – proprio per questo:
“Animuccia, solo dubitando dell’aldilà
prospettive più ampie potrai avere”.
[SULLO STIGE]
L’autrice ci insegna a stare in una dimensione in cui non c’è il Tempo, una dimensione di essenza ma di non-esistenza, come parte di un Tutto che è sempre e prescinde da noi.
“Sono qui un istante, un solo minuto:
non saprò del dopo, non l’avrò vissuto.
Come distinguere il tutto dal vuoto?”
[COMPLEANNO]
“L’abisso non ci divide.
L’abisso circonda”.
[AUTONOMIA]
W. Szymborska ha il dono di rendere speciale la quotidianità, di trasformare cose ordinarie in cose straordinarie soltanto adottando una prospettiva differente, un punto di vista diverso. Anche nella normalità si cela lo straordinario…
E, destreggiandosi perfettamente tra solipsismi e riferimenti a innumerevoli correnti filosofiche, sa sfumare il confine che separa il sono dalla veglia, l’essere e il percepirsi attraverso la coscienza:
“neppure ricordando come fosse il non esserci”.
“quanto vuoto ci spetta dall’altra parte”,
un vuoto che è un non-spazio da cui essere
“testimone,
dell’evento d’una lunga attesa d’una vita breve”.
[***]
Sottintendendo, forse, che alla morte torneremo là dove eravamo prima di nascere… L’obiettivo principale è quello di invitarci a sfruttare al meglio ogni istante della nostra vita per trasformare l’attimo in una scintilla di eternità. L’Infinito e l’Eterno: vi siamo immersi e ne facciamo parte, ma l’autrice ci induce a domandarci dove siano i limiti e i confini di noi stessi. E tante altre domande ingenue e – tuttavia – pressanti siamo portati a farci, seguendo i suoi versi. Senza dimenticare i compagni dell’Infinito, ovvero il Tutto e il Nulla.
“C’è tanto Tutto
che il Nulla è davvero ben celato”
[LA VERITÀ ESIGE]
Domande pressanti quali, ad esempio: cosa è reale e cosa non lo è? Dov’è (se esiste) il confine tra sonno e veglia, tra sogno e realtà? E Tutto è dettato dal Caso o segue un Destino già scritto? E dove ha il proprio principio l’inizio?
“Ogni inizio infatti
è solo un seguito
e il libro degli eventi
è sempre aperto a metà”.
[AMORE A PRIMA VISTA]
Come definirei la poetica di W. Szymborska? Metafisica. Perché ha la capacità di andare oltre e portarmi con sé…