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LA BELLEZZA

lunedì 23 maggio 2016

DOPPIA RECENSIONE: "L'eleganza del riccio" & "Vita degli elfi" di Muriel Barbery. Edizioni e/o



"L'eleganza del riccio"

Renée ha 54 anni e si è cucita addosso il ruolo di portinaia, coprendo con molta attenzione la sua vera natura. Fa ciò che gli altri si aspettano che una portinaia faccia e sta bene attenta a non svelarsi. La vera Renée è intelligente, colta, brillante, arguta e appassionata d'arte, di cinema, di teatro, di musica, di letteratura, ma nessuno deve scoprirlo. Ha trascorso tutta la vita mimetizzandosi, omologandosi ed adattandosi ad uno stereotipo. Perchè? Per paura di soffrire, di incorrere in un destino segnato, di morire senza aver mai vissuto.
Paloma è la figlia dodicenne di una famiglia borghese che abita nello stabile in cui presta servizio Renée. Paloma si è cucita addosso il ruolo della ragazzina mediocre, coprendo con molta attenzione la sua vera natura. Fa ciò che gli altri si aspettano che faccia e sta bene attenta a non svelarsi. La vera Paloma è intelligente, colta, brillante, arguta e appassionata d'arte, di cinema, di teatro, di musica e di letteratura, ma nessuno deve scoprirlo. Ha trascorso ogni istante della propria vita cercando di non destare sospetti, abbassandosi ad un livello decisamente inferiore al suo. Perchè? Per paura di soffrire, di incorrere in un destino segnato, di morire senza aver mai vissuto.
Praticamente l'una il riflesso dell'altra - nonostante la sostanziale differenza di età - Paloma e Renée sono quasi la stessa persona. E' come se l'una fosse la continuazione dell'altra; l'una l'estensione e l'eredità morale dell'altra; l'una la gioventù dell'altra.
Paloma ha la ferma intenzione di suicidarsi e ha anche già stabilito la data in cui metterà in atto questo insano gesto.
Renée rappresenta quindi la persona che diventerebbe Paloma se decidesse di invecchiare e - allo stesso tempo - Paloma rappresenta la gioventù trascorsa da Renée.
A stravolgere le loro vite arriverà Kakuro, il quale - grazie alla sua enorme sensibilità d'animo e di pensiero - riuscirà a carpire il segreto che accomuna le due protagoniste; Kakuro incarna la spinta ad uscire dal guscio, incarna l'occasione, il destino e il desiderio di vivere secondo la propria essenza, senza veli, senza paura del domani. Kakuro sarà il collante tra Renée e Paloma e insegnerà alla prima ad aver fiducia in sè stessa e nel prossimo, così che Renée possa trasmettere questo messaggio di speranza a Paloma. Gli eventi assumeranno - in questo modo - delle pieghe assolutamente inattese e commoventi.
"L'eleganza del riccio" diventa così il manifesto ironico e - in alcuni tratti - sarcastico della critica alla borghesia, alla sua ricchezza in denaro contrapposta alla sua povertà intellettuale. E' un romanzo che mette al bando la superficialità, che cerca di svelarci l'importanza della vita e che ci spinge a vivere le nostre passioni e i nostri interessi "alla luce del sole" fino a che il destino ce lo consente. D'altronde non abbiamo alcuna idea di cosa ci riservi il domani, pertanto è inutile - se non deleterio - crearsi un mondo virtuale, una realtà perfetta che non potremmo condividere con altri. Solo lasciandoci trasportare dalle emozioni e dai sentimenti potremo dire di aver vissuto veramente.


"Vita degli elfi"  
 "Vita degli elfi" non è un romanzo comune. E' un libro di poesia pur essendo scritto in prosa; è un libro in cui - tra una parola e l'altra - sembra aleggiare la magia. La Barbery sa "galleggiare" tra il sacro e il profano, tra la religione e la magia e - anche se entrambe  prevedono la fede - il confine tra queste due tematiche è molto sottile e labile. L'onirico si mescola alla realtà, formando un amalgama perfettamente bilanciato. Per poter ottenere questo effetto, l'autrice si avvale di numerose figure retoriche all'interno della narrazione: personifica la natura, fa "sbocciare" ossimori evocativi di immagini e sensazioni, rendendo ancora più evidente la compresenza di realtà e magia. Le parole d'ordine per descrivere al meglio questo romanzo sono: osmosi e sinestesia. Osmosi perchè il passaggio dal mondo della natura al mondo degli umani è continuo; sinestesia in quanto tutte le sensazioni  e le emozioni provate dalle due protagoniste (Clara e Maria) sono convertite in immagini, suoni e profumi. Viceversa, immagini, suoni e profumi sono tramutati in sensazioni ed emozioni. In questo libro - infatti - sono coinvolti tutti e cinque i sensi più il sesto. Addentrarsi nella lettura di questo romanzo è come varcare la soglia di un mondo fatato, incantato. Impossibile non rimanere disorientati, all'inizio, ma lasciarsi condurre dolcemente dall'autrice passo dopo passo, si rivelerà essere la scelta giusta.  Flashback meravigliosi catapultano il lettore nel passato dei personaggi e gli consentono di vivere quelle vicende insieme a loro. La neve è il collante tra le storie, è la tavola bianca su cui vengono dipinte, di volta in volta, le vite delle protagoniste.
Vite ed esistenze normali si trasformano, in questo romanzo, in esistenze celestiali. Avvengono cose che hanno del reale e del surreale. Una narrazione "sospesa", quella della Barbery. Sospesa tra due mondi che si compenetrano a vicenda. "Vita degli elfi" è l'elogio della natura, della saggezza e delle usanze nonchè delle conoscenze ormai perdute quali - ad esempio - l'utilizzo delle erbe officinali e persino della pranoterapia. Muriel Barbery lancia un accorato appello al genere umano perchè finalmente torni ad essere in armonia con le forze della natura, affinchè l'eterna lotta tra i due mondi cessi. La chiave perchè questa pace si realizzi è l'alleanza; e non c'è alleanza senza rispetto. 
Che mondo meraviglioso sarebbe questo se noi umani potessimo parlare con gli animali, se potessimo guarire gli infermi con l'energia, e - soprattutto - se dispensassimo amore anziché odio! 

CONSIDERAZIONI PERSONALI
Questo libro sembra viaggiare su un'altra frequenza, sulla frequenza della  magia, la quale è posta a metà tra la realtà e la fantasia. Ci si può perdere tra le pagine pur restando comodamente seduti sulla poltrona di casa propria. Leggere questo romanzo significa prenotare un biglietto per salire su una macchina in grado di far viaggiare nello spazio e nel tempo; leggendo "Vita degli elfi" si entra e si esce - infatti - continuamente attraverso un portale le cui immagini sono sfocate e nitide allo stesso tempo, sfumate e dettagliate contemporaneamente. Cose visibili, ma impalpabili sono narrate in questo libro che è come una voce nel vento invernale o nella brezza estiva. Le forti emozioni che ho provato leggendo i romanzi della Barbery, mi hanno fatto pensare che questa autrice abbia il dono di scrivere romanzi all'interno dei romanzi stessi: sensazioni ed emozioni sono come altre storie scritte tra le righe. Moniti ed insegnamenti si percepiscono come presenze astratte, ma forti e ben delineate. La capacità dell'autrice di farmi emozionare e commuovere, si è rivelata imponente in entrambi i romanzi. Se possibile, trovo che ci sia stato addirittura un climax ascendente di abilità stilistiche, quasi una crescita da "L'eleganza del riccio" a "Vita degli elfi". Di sicuro, la Barbery ha - per quanto mi riguarda - confermato uno straordinario talento letterario.
Per terminare le mie considerazioni personali, oserei aggiungere che "Vita degli elfi" mi ha ricordato alcuni libri e anche alcuni film. Nella prima categoria annovererei: "Il barone rampante" di Italo Calvino (per l'abitudine della piccola Maria di passare buona parte delle giornate appollaiata sugli alberi), "Romeo e Giulietta" di William Shakespeare (per le considerazioni che la Barbery fa sull'essenza delle cose e il loro legame coi nomi) e "La Bibbia" (per un passo che mi ricorda il Peccato Originale). Nella seconda categoria ho trovato, invece, alcuni punti in comune con "Maleficent" (per la guerra tra i mondi), "La Profezia di Celestino" (per la visione dell'energia degli esseri viventi), "Semplicemente irresistibile" (per il passaggio delle emozioni tra i vari personaggi attraverso la musica, anche se nel film, lo stesso passaggio avveniva tramite il cibo) e "L'apprendista stregone" (per la miscellanea di realtà e magia). 

PUNTI DI CONTATTO TRA I DUE ROMANZI

-Entrambi i romanzi sono dei concentrati di filosofia e poesia. 
-Entrambi elogiano la semplicità e l'enorme ricchezza d'animo racchiusa nelle persone umili.
-Il tema della predestinazione ricorre in entrambi i libri, con la sola differenza che ne "L'eleganza del riccio" Renée e Paloma cercano in ogni modo di non incappare in un destino che sembra loro segnato, mentre in "Vita degli elfi" Maria e Clara vanno incontro ad una profezia che le vede protagoniste.
-Nel secondo romanzo - così come nel primo - il lettore può chiaramente verificare la presenza del passaggio di consegne dalla vecchiaia alla gioventù. L'esperienza del passato ricade inevitabilmente sul presente e quindi sul futuro.
-E' presente - in entrambi i romanzi - l'invito ai genitori a prestare maggiore attenzione ai propri figli e a riconoscerne i talenti.
-Questioni religiose permeano tutti e due i libri: dissertazioni sul bene e sul male, sul sacro e sul profano, sul credere e sul non credere.
-Viene conferita sempre grande dignità ai defunti e alla morte in generale.
-Il dolore attraverso cui l'autrice fa passare il lettore è sempre catartico e gli permette di "purgarsi" da pregiudizi, preconcetti e suggestioni dettati dal mondo moderno. Attraverso le lacrime che la Barbery fa versare ai suoi lettori, questi ultimi sono in grado di abbandonare i fardelli e lasciar andare le zavorre del superfluo, così da rivestirsi con valori morali ormai perduti o dimenticati. 



  

martedì 17 maggio 2016

Monologo: pensieri felini...

 
Arricci il naso con fare schifato
cercando a fiuto il punto in cui ho urinato
ritieni allora sia giunto il momento 
di tagliarmi...tutto l'apparato
e così niente più divertimento:
capisc'ammè...lo sai che cosa intendo...
 
Anche io, femmina di gatto
sono solita subire questo fatto...
Pure a me tagliano qualcosa
quando inizio a comportarmi da "smorfiosa".
Io lo so che lo fate per il bene:
voi umani ci alleviate delle pene,
ma ovviamente ad un maschio non conviene...
 
Unghie...Divano: non fan rima, lo so,
attrazione fatale tra noi...Però
una voce da poco distante mi fa:
"Cosa fai? Stà lontano da là!".
Con indifferenza io - sì - mi allontano da lì,
ma in un attimo poi - c'è intesa tra noi -
mi ritrovo, di nuovo, ad accarezzare sornione
quel tessuto intarsiato:
quanto è bello il velluto...!
Vi fate chiamare "padroni", 
ma padroni de che?
Guardatemi negli occhi 
e poi... Ripetetelo a me...!
Vita in panciolle quella del gatto: 
star fuori in strada... Son mica matto!
Dormo, poi mangio, poi gioco, poi... Sai...
Ma sì, quella cosa che fate anche voi...
Mi chiedono: "Gatto! Ma tu non ti annoi?".
Certo, non è che sia proprio un sollazzo,
ma è vero anche che non faccio mai un... PIFFERO.
E quindi mi godo la vita ancor più
che se fosse un gioiello oppure un bijoux:
mi lecco e rilecco, mi liscio un pò il pelo
poi tu mi accarezzi... Ed è uno sfacelo
perchè mi costringi a ricominciare
e la mia lingua riprende a leccare.
I boli di pelo mi danno il tormento:
eh, vomita tu quelle palle di cemento!
Allora, a volte, per vendicarmi
mi struscio languido sui tuoi vestiti
belli bianchi, belli puliti...
E te li lascio... Belli conditi...
Mi faccio di erba, ma almeno la mia
non è illegale come la tua:
com'è che la chiami?
Ah già, la Marija!
Vado a dormire sopra l'armadio
e lì son felice e contento
e quando mi chiami, eccome se sento!
D'altronde son gatto, son sempre attento.
Ma se non mi garba quel che hai da offrirmi, 
anche d'oro puoi ricoprirmi
perchè resto tranquillo lassù
e col... PIFFERO... Che vengo giù!
Un consiglio ti voglio dare:
apri del tonno Rio Mare...
Allora certo che salto di sotto
e mi butto pure a capofitto;
e se vuoi che mi scapicollo
dammi anche una coscia di pollo!
Cibo in scatola e crocchette di legno, 
usale tu per fare il tiro a segno.
A me dà prosciutto, olive e salmone
e vedrai che divento un gran coccolone!
No, non è vero che sono opportunista.
Semplice... Ho solo una mente d'artista:
estroso, lunatico, un pò "Prima Donna",
ma intanto ti scruto, ti studio e... Madonna!
Pure tu sei un gran casinista!
L'essere umano, che bestia strana:
pare mi odi... E invece...Mi ama.

sabato 14 maggio 2016

Recensione di "Forse cercavi", un romanzo di Zero. Edito da Mondadori.

"Forse cercavi" è un romanzo - più che mai - realistico, crudo, quasi sprezzante nei confronti della società moderna. Filippo - il protagonista - incarna il malessere, l'inquietudine e l'insoddisfazione dei giovani d'oggi. Filippo rappresenta le difficoltà lavorative, personali e relazionali che i ragazzi dei nostri giorni incontrano e vivono costantemente sulla loro pelle. Che sia per paura, per pigrizia, per debolezza o per rassegnazione, Filippo non decide - però - di dare una svolta alla propria esistenza, neanche quando il fratello - Franz, che vive in Inghilterra - tenta di proporgliene una. L'unica via d'uscita che Filippo vede per sè stesso è - se mi è concesso il gioco di parole - l'uscita di scena definitiva: il suicidio. Filippo non tenta di trovare la propria strada come, invece, ha fatto Franz o come tenta di fare Saverio (amico di vecchia data di Filippo). Filippo non è "i giovani d'oggi", ma una parte di essi; l'altra parte è rappresentata da figure di contrasto, personaggi che mettono in luce la volontà di andare avanti, nonostante tutto. E penso - per esempio - a Sara Perchettiàmo. Sara è l'altra faccia dei giovani, la categoria più ottimista e sorridente di essi. In tutto questo, le famiglie rappresentano uno sfondo trasparente, quasi inesistente, che non ha influenza alcuna sulla prole e non è in grado di comprendere il disagio che essa vive. E' proprio alla generazione dei suoi genitori che Filippo dà la colpa di tutto ciò che i ragazzi e le ragazze come lui stanno vivendo. Il salto generazionale è maggiormente sottolineato dalle figure di Bruno e di Virgilio, ex sessantottini che, coi loro discorsi, mettono a confronto due realtà agli antipodi: gli anni della loro gioventù e quelli della gioventù odierna. Sono qui ritratti genitori che vedono solo ciò che vogliono vedere e non sono disposti - o forse non sono più in grado - a fungere da cardini per i loro figli. Il collante di tutte le vicende narrate in questo romanzo è la tecnologia e il ruolo predominante e invadente che essa ha assunto nella vita dei ragazzi. La tecnologia ha aperto il mondo della connessione, della condivisione, ma ha spalancato le porte alla finzione e alla superficialità. La tecnologia ha ucciso i rapporti umani, il dialogo e il contatto diretto e ha - paradossalmente - favorito la chiusura e il "raffreddamento" delle relazioni interpersonali. 
Nel libro viene - finalmente - sfatato il mito dell'utilità di droga e alcool, i quali sono sempre e solo forieri di malesseri fisici  e mentali.
Grazie alla figura di Roberto - un disabile della cooperativa nella quale Filippo lavora come psicologo - e alcuni discorsi - presenti verso la fine del libro -  sul traffico d'organi, gli Zero gettano una luce inquietante sulla considerazione che lo stesso essere umano ha verso la vita umana; siamo classificati e ci auto-classifichiamo solo ed esclusivamente in relazione al denaro: ogni vita non è altro che un numero, una cifra, l'apporto economico che quella vita rappresenta all'interno della società. 
"Forse cercavi" è un romanzo dai risvolti inquietanti che fornisce uno spaccato quantomai realistico dell'Italia in cui viviamo. Un romanzo che, di sicuro, invita a riflettere e, se interpretato nel modo giusto - può spingerci a rivalutare positivamente la vita e a cambiarne il percorso per non cadere nella trappola in cui è caduto Filippo.

martedì 10 maggio 2016

Nostalgia... Vi racconto un libro del mio passato.

"La scimmia nella biglia" di Silvana Gandolfi. Salani Editore. Collana: Gl'Istrici.


Questo è stato il libro più importante della mia infanzia insieme ad "Ascolta il mio cuore" di Bianca Pitzorno, altro capolavoro della letteratura per i giovanissimi. E' il libro in cui mi sono ritrovata, in cui mi sono identificata pienamente con la protagonista, in cui mi sono immersa decine di volte per poter sognare in pace. La biglia di Sara (la protagonista) era diventata anche la mia biglia; era il mio cantuccio assolato, il mio angolo di Paradiso dove amavo rifugiarmi quando il mondo esterno mi opprimeva, mi faceva paura, mi umiliava e mi affliggeva. Lì e soltanto lì potevo dirmi al sicuro, lontana da ogni pericolo per  la mia mente, lontana da ogni minaccia, lontana da ogni insulto e da ogni calunnia. Molte volte mi ci sono rifugiata e, crescendo, ho fatto miei altri rifugi come quello, ma il calore e la protezione che sentivo leggendo quel libro sono stati unici e inimitabili. Per questa ragione, dopo averlo tenuto per tanti anni su un ripiano della mia libreria, ho deciso di rispolverarlo e di rileggerlo. Sto attraversando un periodo di transizione che ogni tanto mi trascina nello sconforto e da alcuni giorni "La scimmia nella biglia" continuava a farmi l'occhiolino da dietro il vetro azzurro della piccola sfera. Aluk (questo il nome della scimmietta) voleva assolutamente parlarmi. Voleva ricordarmi che dentro ognuno di noi ci sono sempre almeno due mondi: quello obbediente, remissivo, attento a compiacere gli altri e quello più spavaldo, meno avvezzo alle regole, ai tabù, alle restrizioni e alle limitazioni che gli vengono imposte. A volte emerge un lato, a volte l'altro; a seconda delle circostanze riveliamo una natura piuttosto che l'altra, ma non siamo mai veramente e pienamente noi stessi. Ciò che abbiamo dentro di noi, la nostra anima, il nostro spirito, è molto più grande del nostro corpo. Paradossalmente. A volte ci spaventa, a volte ci incuriosisce, a volte lo riconosciamo, a volte no; il nostro corpo non è che una gabbia, una piccola prigione in carne ed ossa, qualcosa di materiale che si occupa di cose materiali, di cose che per l'anima non hanno alcun valore. Aluk è il nostro Alter Ego, come lo è stato di Sara. Ci fa comodo che venga fuori ogni tanto per potersi prendere le responsabilità più pesanti, per tirarci fuori dai guai o per fornirci quella corazza di cui tanto abbiamo necessità in alcuni momenti della nostra esistenza. Ci sono momenti in cui, però, questa personalità spregiudicata, forte e giocosa ci risulta scomoda o, addirittura, invadente e bramiamo la nostra identità remissiva e obbediente. Succede spesso anche nel passaggio dall'infanzia all'adolescenza e da quest'ultima all'età adulta: abbiamo paura di tutto ciò che ci accade, siamo in lotta con tutti, non sappiamo come affrontare gli ostacoli, i cambiamenti o i sentimenti ed ecco che Aluk compare nella nostra vita e ci aiuta a prendere coscienza delle nostre capacità e delle nostre virtù; Aluk è lì quando abbiamo bisogno di tirare su il nostro "IO", di farci coraggio, di sapere quale via  dobbiamo percorrere. Basta lasciarsi andare e prendere la vita con entusiasmo e un pò di autoironia.  Credo che Aluk volesse dirmi questo, ma immagino che volesse anche mettermi in guardia dall'errore più comune che un essere umano possa compiere: vedere solo ciò che si vuole vedere. Come i genitori di Sara, ottusi e ciechi di fronte alle esigenze della figlia, tutti quanti - prima o poi - cercano di cambiare gli altri o loro stessi (in funzione delle aspettative altrui). Basterebbe solo provare a cambiare punto di vista per mutare la prospettiva; osservare le cose da un'angolazione differente basterebbe a farci comprendere che ingozzare il corpo dimenticandosi di nutrire la mente serve solo a farci ammalare di noia, di solitudine e di inadeguatezza. E come si nutre la mente? Semplice: con la fantasia, con l'immaginazione e coi desideri. Tarpare e tarparci le ali serve solo a farci vivere nella frustrazione e nella tristezza. Ecco cosa voleva dirmi Aluk. 
"La scimmia nella biglia" è il libro della crescita, dell'evoluzione interiore, il libro che mi ha permesso di formare il mio carattere e la mia personalità già una volta e, rileggendolo, ho capito che può farlo ancora e ancora e ancora. Fino a che ne sentirò il bisogno. 

lunedì 9 maggio 2016

Recensione del libro "Il bar sotto il mare" di Stefano Benni. Edizione Economica Universale Feltrinelli

Questo libro è come un banchetto di 24 portate (una per ogni racconto), ognuna delle quali sa deliziare in modo diverso. L'alternanza dei racconti è studiata "ad hoc" per trasportare il lettore su una montagna russa di emozioni e sensazioni, su una sorta di altalena di sentimenti e percezioni. Si ride moltissimo - a volte a crepapelle, a volte a denti stretti - ci si commuove, si riflette; si rabbrividisce, si prova amarezza, compassione, terrore, simpatia e antipatia, rabbia e inquietudine. I finali stessi sono mozzafiato, esilaranti o "da brivido" e in ognuno sembra di veder "aleggiare" un insegnamento, una morale. Per chi la vuole cogliere. Altrimenti ci si può semplicemente godere la trama dei racconti senza sentirsi obbligati a "guardare oltre".
"Il bar sotto il mare" impegna la mente e, allo stesso tempo la fa svagare perchè leggerlo è come guardare delle istantanee ben nitide o degli intensi cortometraggi. Benni descrive, infatti, ogni cosa, ogni persona e ogni vicenda in modo meticoloso e dettagliato senza però appesantire il lettore, bensì donandogli quasi dei "racconti subliminali". Leggere questo libro è pari al vedere, le vicende narrate, coi propri occhi. Sembra quasi di sentire quegli odori, di vedere e di toccare con mano quelle cose, nonché di udire quei suoni in prima persona. Tutto questo grazie, soprattutto, a due espedienti letterari: il particolare utilizzo del linguaggio e la figura del protagonista. Quest'ultimo parla, personalmente, solo all'inizio e alla fine del libro, ma percepiamo la sua presenza come "mezzo", come tramite tra noi e i cosiddetti ospiti. Il protagonista scopre, infatti, un mondo sommerso e fa immergere con sè anche il lettore. Il linguaggio - dicevamo - è l'altro espediente di cui l'autore si avvale per favorire "l'immersione" del lettore in ogni racconto e l'empatia con l'ospite. Benni utilizza un linguaggio diverso a seconda dell'ospite a cui dà voce. Passa volutamente e sapientemente da uno stile "sgrammaticato" ad uno colto e raffinato, dai termini ricercati, talvolta desueti; fa calare il lettore nel lugubre per poi farlo riemergere attraverso la creazione di neologismi "solitari" che a volte si incontrano e vanno a formare addirittura una lingua nuova, completamente inventata. Espressioni dialettali "svolazzano" tra le pagine e delineano i personaggi a 360 gradi, facendoli proprio "parlare come mangiano".
Benni è crudo, incisivo, schietto e diretto, ma, all'occorrenza, sa essere anche delicato, sensibile e discreto; la fantasia e l'inventiva traboccano e si amalgamano all'ironia e al sarcasmo. Si intravedono una vena poetica e una polemica e, proprio quest'ultima, si snoda in tre diversi tipi di critiche/denunce: quella politica, quella religiosa e quella sociale. Attraverso la vena poetica è possibile, invece, imbattersi in svariati tipi di amore e sentimento.
Grazie al talento letterario di Benni e alla sua fantasia, ogni pagina è una sorpresa, ogni storia è coinvolgente, ogni racconto e una scoperta di qualcosa di diverso, ma sicuramente mai banale o scontato.
Il protagonista rappresenta, in realtà, ogni lettore e, quando il libro finisce, si ha la sensazione che non finisca davvero, ma che - al contrario - continui alimentandosi con le storie dei lettori che decideranno di "immergersi" ne "Il bar sotto il mare".


Consigliato per chi vuole una lettura sostanziosa, ma leggera; per chi desidera allontanarsi dalla noia e dalla banalità quotidiane e per chi cerca un rifugio, un luogo sicuro ed accogliente, ma ricco di piacevoli imprevisti.

venerdì 6 maggio 2016

Recensione del libro "Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve" di Jonas Jonasson. Edizioni Bompiani

"Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve" è un romanzo in cui è presente veramente di tutto. C'è l'umorismo, dato dai personaggi fuori dagli schemi, ma ben caratterizzati, le cui vite si intersecano e si intrecciano in un viaggio dai risvolti esilaranti. C'è la commedia, ma anche il giallo e addirittura il romanzo storico; una storia nella Storia quella del protagonista Allan Carlsson, di cui sono delineate tutte le vicissitudini con una narrazione "a balzelli". L'autore, Jonas Jonasson, racconta la quantomai improbabile vita di Allan  facendo compiere al lettore dei salti nel tempo, narrando, alternativamente, un pezzetto del passato del suo simpatico vegliardo e un pezzetto del suo presente, fino a far incontrare le due tempistiche. Ripercorriamo così, insieme ad Allan, entrambi i conflitti mondiali, facciamo la conoscenza dei personaggi storici in essi coinvolti, ricordandoci, in questo modo, che la storia è fatta da noi, dagli uomini, da comuni mortali con le loro debolezze, i loro pregi e i loro difetti, i loro vizi e le loro virtù.
Questo è un romanzo in grado di trasportare il lettore in un mondo in cui c'è spazio per ogni individuo e per ogni animale; un romanzo che riesce a conciliare perfettamente un arzillo centenario, Mao Tse-Tung, il capo di un'organizzazione criminale, uno zelante commissario di polizia, la bomba atomica, il Presidente Truman, Stalin, una "controfigura" di Einstein e persino un elefante. Ma davvero molti altri personaggi prendono - o riprendono - vita in questo libro che dona dignità e valore ad ogni singola creatura.  Grazie alla maestria di Jonasson, la terza età torna infatti alla ribalta, ricordandoci che i vecchi (oggi, purtroppo, messi all'angolo) sono spesso depositari di un'enorme saggezza data dalla mole di esperienze che hanno accumulato nel corso degli anni; ricordandoci che anche gli anziani - un tempo - sono stati giovani e che qualcuno, nonostante l'età avanzata, non smette di sentirsi tale. Almeno non senza lottare... 

Recensione del libro "Malefica" di Maura Gancitano. Edizioni TLON







Da secoli l'uomo, per paura, ignoranza e brama di potere, sottomette la donna e, con essa, quegli istinti, quelle forze a lui sconosciute, indomabili, quasi bestiali e quella natura selvaggia che tutti, alla nascita, abbiamo ricevuto in dote. "Malefica" è un libro teso a ricucire questo strappo tra Animus e Anima, dove il primo è la parte maschile, obbediente, materiale, mentre la seconda è tutto l'opposto (quindi il femminile, la ribellione, l'istinto). Con questo libro, l'autrice ha ripercorso le tematiche del ripudio e del tradimento di una metà nei confronti dell'altra, avvalendosi della pellicola cinematografica "Maleficent", la quale racconta, in chiave moderna e in maniera assolutamente innovativa la fiaba de "La Bella Addormentata nel Bosco". La Gancitano si addentra nel cuore del film portando con sè il lettore che, in questo viaggio, scoprirà - o meglio, riscoprirà - quei punti della fiaba omessi, dimenticati, smussati e addolciti. Riportando alla luce questi fatti essenziali ci si può immediatamente rendere conto che tutti i conflitti che viviamo ogni giorno sono dovuti proprio alla scissione profonda tra Animus e Anima, tra uomo e donna, tra costruito e genuino.
Il lieto fine, però, esiste e risiede nella decisione di riunire le due metà divise, di riconciliarle, per poi passare ancora oltre quell'unificazione, fino a creare una nuova visione dell'essere umano e un mondo basato proprio su questa visione. Lo scopo è arrivare alla consapevolezza che insieme si è completi e quindi più forti. Solo tornando a stare insieme - come amalgama e non solo come alleati - ognuno può dire di aver raggiunto la pienezza di sè.
"Malefica" rappresenta la dualità insita in ogni donna e può aiutare le donne a prenderne coscienza, così come può insegnare agli uomini a non temerla e a lasciarla emergere anzichè schiacciarla, opprimerla e nasconderla in modo da poter ritrovare il giusto equilibrio tra le parti e ricreare l'Androgino del mito.
"Malefica" di Maura Gancitano così come "Donne che corrono coi lupi" di Clarissa Pinkola Estés, è un invito, una spinta, quasi un appello, sia alle donne sia agli uomini perchè insieme possano ridestarsi e ridestare qualcosa che non è distrutto, ma solo sopito...

Saggio meraviglioso, adatto soprattutto a chi non si accontenta delle mezze verità, ma desidera andare oltre. Se cercare nuovi spunti di riflessione su concetti che stanno alla base del vivere quotidiano vi entusiasma, allora questo è un libro che fa per voi. L'autrice stessa cita, infatti, Willis Harman per dare ancora più corpo e sostegno alla propria visione: "Nella storia, i mutamenti fondamentali nelle società non emergono dai dettami dei governi nè dal risultato delle battaglie, ma dal fatto che una gran quantità di persone cambiano la loro maniera di vedere le cose, a volte a poco a poco".
Ed io concordo pienamente. Con entrambi.

giovedì 5 maggio 2016

La Costituzione Manueliana

Art. 1. della Costituzione Italiana
L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. [...]
Art. 3. della Costituzione Italiana
[...] E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli [...] che [...] impediscono il pieno sviluppo della persona umana [...].
Art. 4. della Costituzione Italiana
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Art. 1. della Costituzione Manueliana
L'Italia è una Repubblica scaricabarilecratica, fondata sull'assenza di lavoro.
Art. 3. della Costituzione Manueliana
E' compito di ogni cittadino rimboccarsi le maniche e, se non basta, sgobbare e, se ancora non basta, calarsi le braghe e, se proprio non dovesse bastare, gettare la spugna, per conquistare i propri DIRITTI. Perchè ogni cittadino ha una mole infinita di DOVERI, ma i DIRITTI sono una CHIMERA, un SOGNO UTOPISTICO.
Art. 4. della Costituzione Manueliana
 "Qualcuno" ha detto che a tutti i cittadini è riconosciuto il diritto al lavoro, ma questo fantomatico "Qualcuno" si è fatto un giro in questo Paese, di recente? Ogni cittadino dovrebbe avere il sacrosanto diritto di svolgere, secondo le proprie possibilità, le proprie aspirazioni/inclinazioni, la propria SCELTA e i propri desideri, un'attività che gli piaccia, che lo soddisfi, che sia remunerativa (abbastanza da farlo vivere dignitosamente SEMPRE e COMUNQUE) e che lo gratifichi a sufficienza da non fargli considerare ciò che fa UN LAVORO, ma piuttosto UNO STILE DI VITA. Ogni cittadino dovrebbe avere il proprio posto nel mondo, ancor prima di nascere; ogni cittadino dovrebbe poter sviluppare le proprie PASSIONI e i propri TALENTI senza ostacoli o difficoltà, per concorrere al progresso materiale e spirituale proprio e altrui.

Eccomi. Mi presento. Mi chiamo Manuela Barbagallo e ho deciso che la mia vita avrebbe dovuto ruotare intorno a due cose: la lettura e la scrittura. Per questo motivo nasce il mio blog, con il quale tenterò di coniugare due passioni tanto simili eppure tanto diverse.
Un  caro saluto e un caloroso BENVENUTO a tutti coloro che vorranno visitare le mie pagine.