Post in evidenza

LA BELLEZZA

mercoledì 29 settembre 2021

“DELOCAZIONE” di Claudio Parmiggiani

 

Claudio Parmiggiani, "Delocazione" (1974) Video b/n mono 8' 13'' courtesy Archivio Storico della Biennale di Venezia.



Alla GAM di Torino ci sono moltissimi ambienti e, proprio ieri, ne ho scoperto un altro: la videoteca. Fino al 6 febbraio 2022 quello spazio ospiterà “Delocazione” di Claudio Parmiggiani. La mostra in questione, curata da Elena Volpato, è strutturata come una sorta di tetralogia comprendente: “Delocazione”, “Delocazione 2”, “Autoritratto” e una selezione di libri realizzati dallo stesso Parmiggiani. Le note del Concerto nº1 per clavicembalo in Do minore (un allegro di Bach) accompagnano il visitatore, come da disposizioni di Parmiggiani. Entrando nella sala dedicata a questo artista ci si trova immersi nell’assenza, tema dominante dell’esposizione insieme all’eternità.

Sulla sx: Elena Volpato (Curatrice).Sulla dx: Riccardo Passoni (Direttore GAM Torino).

 Ma procediamo con ordine.

 Immaginate di essere arrivati alla GAM. Fatto? Bene. Ora scendete le scale insieme a me… Adesso, lentamente, dirigiamoci verso la videoteca. Ci siete tutti? Perfetto. Un bel respiro… eeeh, prego, accomodatevi!

Alla vostra sinistra potete vedere una stampa fotografica che ritrae il primo grande assente. Avete presente (ops, scusate il gioco di parole) quando staccate un quadro dalla parete, ormai annerita, di una vecchia casa? Ecco, ciò che rimane – ovvero una macchia bianca su un fondo grigio – è proprio l’immagine che Parmiggiani ha voluto immortalare. State guardando “Delocazione 2” (1970). Probabilmente un senso di vuoto vi assalirà, ma voi non abbiate paura, anzi, lasciatevi invadere dalle sensazioni.

Claudio Parmiggiani, "Delocazione 2" (1970), Collezione Maramotti.
Stampa fotografica ai sali d'argento su carta incollata su tavola.

Ora, senza fretta, voltatevi verso destra. Sulla parete appena dietro di voi potete osservare “Autoritratto” (1979). Questa volta si tratta di un’immagine scura che si staglia su un fondo chiaro: è l’ombra dell’artista, un riporto fotografico su tela.

Claudio Parmiggiani, "Autoritratto" (1979) courtesy Collezione Maramotti. Riporto fotografico su tela emulsionata.

A questo punto, voltatevi. Quella che avete di fronte è una teca che ospita una selezione di libri realizzati da Parmiggiani tra il 1968 e il 1977, provenienti dalla Collezione Maramotti (di Reggio Emilia) e dalla Collezione CRT. Libri pensati da un artista per il quale la pagina bianca è l’emblema dell’assenza.

Teca contenente una selezione di libri realizzati da Claudio Parmiggiani.

Tutto ciò per prepararvi alla ciliegina sulla torta, quella che dà il titolo alla mostra, ovvero “Delocazione”. Prodotto da Art/Tapes/22 di Firenze nel 1974, “Delocazione” è un video della durata di 15 minuti. A una prima occhiata potreste non accorgervi che è un video, ma – se guarderete con maggiore attenzione – noterete che dietro la fissità dell’immagine si cela lo scorrere del tempo e il suo ripiegarsi su se stesso in un’eternità in loop (o in un loop eterno). C'è una sedia vuota, posta di fronte a una “Delocazione”. Se l’artista avesse seguito la tradizione, la sedia sarebbe stata rivolta verso lo spettatore, invece qui la sedia è rivolta verso la parete dalla quale è stato asportato l’oggetto da contemplare. In questo modo, la contemplazione dell’ autore/spettatore assente va a focalizzarsi sulle conseguenze dell’”asportazione”. È svanito un quadro e nessuno ne contempla la sparizione perché anche l’occupante della sedia è assente. Intanto, il silenzio inscritto in questo loop temporale e sottolineato dall’ormai ben nota assenza  viene – paradossalmente – rimarcato dalla musica di Bach. Parmiggiani non scelse a caso la “colonna sonora” che avrebbe accompagnato il video di “Delocazione”: l’artista – che, in effetti, prediligeva il silenzio – affermò, infatti, che uno dei suoi più grandi maestri di pittura era stato Bach. Una magnifica contraddizione, non trovate? La tenda, poi, è completamente tirata. Per chi ci vede una valenza esoterico-simbolica sarà chiaro il riferimento al Velo di Maya. Il fatto che tale “velo” sia stato tirato indica che un mistero è stato infranto, che la potenza sacrale della scena è svanita.

Immergendomi nell’atmosfera di contrasti e di evanescenze che caratterizza questa mostra ho provato una sensazione assai bizzarra e singolare, come se mi fossi trovata al cospetto di una mostra fotografica in cui il pezzo forte non erano le foto in sé, bensì i loro negativi. Il paragone non è confacente, lo so, ma – come dicevo – si è trattato di una sensazione… A proposito, vi lascio ancora una considerazione, un pensiero  personale che mi è balenato in mente mentre osservavo il  gioco di chiaroscuri creato dall’artista: è facile notare il contrasto di un’impronta chiara su un fondo scuro così come è facile notare il contrasto di un’impronta scura su un fondo chiaro, ma – a ben guardare – anche una macchia bianca su un fondo bianco ci può assordare col suo candido silenzio, in un’eternità che è quasi un’immobilità nel (o del) movimento…