La
paura e i suoi “cibi” prediletti costituiscono i “demoni” del nostro tempo,
ovvero quelle carenze o – al contrario – quegli eccessi – a livello dei centri
energetici detti “chakra”. Nell’articolo che segue sono presenti alcuni dei “mali”
che ci affliggono e qualche consiglio su come tenere a distanza il peggiore di
essi: la paura.
Nel suo libro sui chakra, Anodea Judith utilizza la parola “demoni” per indicare i fattori frenanti della nostra crescita fisica e spirituale. Sono fattori individuali, ma anche societari in quanto possono riguardare sia i singoli individui sia le masse: cosa sono, infatti, le masse se non insiemi di individui? Secondo l’autrice, tali blocchi sono sette, ovvero uno per ogni centro energetico. Personalmente, concordo con l’ipotesi secondo la quale ogni chakra avrebbe un blocco specifico, ma sento comunque il bisogno di approfondire la questione a modo mio.
Il
demone del primo chakra è la paura, ma – a
mio parere – la paura accomuna tutti e sette i centri energetici. Questo blocco
è dovuto a una scarsa conoscenza di noi stessi e all’assenza di relazioni profonde
(con noi stessi e con gli altri). Ne consegue una sensazione che assomiglia
alla mancanza di terra sotto ai piedi; non riusciamo a sviluppare o – al
contrario – tendiamo a sovrasviluppare il radicamento con la materia, che è la
nostra primaria fonte di energia. Mentre pensavo a come strutturare questa
sezione sul primo demone, mi sono venuti in mente gli uomini primitivi: avevano
paura, quando cacciavano? E – se sì – era paura di morire per i colpi
dell’animale o paura di morire di fame nel caso in cui la caccia non fosse
andata a buon fine? La risposta, forse, è che non avevano neppure il tempo di
provare paura e – se mai si fossero concessi il “lusso” di averne –
probabilmente ne sarebbero rimasti paralizzati e il rischio di morire sarebbe
aumentato esponenzialmente. Oggi, invece, il nostro meccanismo di attacco/fuga
è sempre attivo e questo ci porta ad impiegare male la nostra energia, a
dirigerla verso gli scopi sbagliati e a sprecarla. E il coraggio non è la
risposta alla paura. Perché? Perché il coraggio del nostro tempo non è “vero”
coraggio. È una tendenza diffusa, ormai, quella di scambiare atteggiamenti
altezzosi, spavalderia, spocchia, boria o alterigia per coraggio, ma questi
comportamenti sono spesso delle corazze dentro cui ci barrichiamo quando ci
vergogniamo di mostrare la nostra sensibilità. L’ossessione di essere
considerate persone forti e potenti prende il sopravvento sul bisogno di
lasciarsi andare all’indulgenza, e la paura che gli altri abbassino il livello
di stima nei nostri confronti fa sì che si produca uno squilibrio nel primo
chakra. Tale immagine illusoria e distorta, in contrasto con le nostre
sensazioni autentiche, ci porta al demone del secondo chakra: il senso di colpa. Il senso di colpa è la paura di
essere sbagliati, la paura di non rispondere ai canoni che la nostra società ci
impone. È strettamente collegato alla vergogna
(demone del terzo chakra) poiché entrambi ci fanno credere che ciò che proviamo sia sbagliato o –
addirittura – non sia lecito. Temiamo le ripercussioni che potrebbero avere su
di noi le sensazioni che proviamo e – complice un grave impoverimento della
lingua italiana – non sappiamo neppure dare un nome al nostro sentire. Coviamo
la paura di essere derisi o allontanati dal gruppo o dai gruppi a cui
apparteniamo, che siano essi la famiglia, la comunità religiosa, i colleghi
d’ufficio o la compagnia di amici, poco importa, ciò che temiamo è di perdere
quei privilegi legati al gruppo (protezione, approvazione, consensi, ecc.) e di
rimanere soli. Questo accade anche perché abbiamo un’idea errata di ciò che è
giusto e di ciò che è sbagliato. Giusto e sbagliato, infatti, non indicano
necessariamente lecito e illecito in quanto i primi due riguardano leggi
naturali, mentre gli altri due sono legati a leggi artificiali (e, in alcuni
casi, artificiose), cioè create dall’uomo. Le regole della specie si scontrano
con le regole della società che non tengono conto di emozioni e sensazioni… E
qui entra in gioco il giudizio. Abbiamo conferito a delle autorità il compito
ingrato, pericoloso e – lasciatemelo dire - praticamente impossibile di
giudicare il nostro operato di cittadini, perché temevamo che regolandoci sulla
base delle sole leggi naturali saremmo state creature crudeli e avremmo fatto
cose orribili, essendo fuori controllo. Ma siamo sicuri che ciò che viene
giudicato giusto sia giusto in assoluto e che ciò che viene giudicato sbagliato
lo sia in assoluto? Il giudizio è un’arma a doppio taglio: c’è chi sale in
cattedra per giudicare perché pensa che, così facendo, sarà “immune” dal giudizio
altrui e c’è chi non lo fa, proprio per lo stesso motivo, cioè per la paura di
essere sottoposto a giudizio. E il giudizio può arrivarci da altri, ma anche da
noi stessi, pertanto incute ancora più timore! Per questo timore mettiamo a
tacere persino il gusto personale, provando vergogna per ciò che desideriamo e
senso di colpa per il solo fatto di desiderarlo. Tutto ciò ci porta ad
eliminare il desiderio dalla nostra vita, a soffocarlo per paura della
sofferenza, comportamento – questo – che produce grande frustrazione. Così
raccontiamo e ci raccontiamo bugie, mentiamo a noi stessi e agli altri, per
paura della verità, e negli altri ci rispecchiamo, vedendo menzogne ovunque. È
proprio così: la verità terrorizza quanto la menzogna; vogliamo sapere, ma
temiamo di sapere; temiamo le bugie, ma siamo i primi a dirle, se non agli
altri, quantomeno a noi stessi. È il demone del quinto chakra, la bugia; è quel nodo in gola che sentiamo quando non
possiamo o non vogliamo dire qualcosa o – al contrario – è quella logorrea
inarrestabile che ci fa assomigliare ad un fiume in piena…
E,
se parliamo di desideri, non possiamo non fare una distinzione tra desideri e
bisogni: il desiderio è ciò che vuoi perché ti piace, mentre il bisogno è ciò che vuoi perché ti serve. In
quest’ultimo caso, in particolare, la nostra attenzione si concentra sulla
mancanza e sul verbo “dovere”. Chiarissimi i motti con cui erano scandite le
mie giornate da bambina: “Prima il dovere e poi il piacere” e “L’Erba Voglio
non cresce neanche nel giardino del Re”. Purtroppo, tra i desideri, ci sono
quelli autentici e quelli indotti: i primi contengono quelle cose che vogliamo
a prescindere dalle influenze esterne, i secondi – invece – ci vengono
inculcati dalla pubblicità e dal mercato, attraverso la creazione del bisogno.
E diventiamo incapaci di distinguere il bisogno dal capriccio, il necessario
dal superfluo e – per estensione – anche tutto ciò che riguarda i diritti viene
inficiato dal condizionamento esterno. A proposito di desiderio è poi
importante menzionare anche quella particolare forma di desiderio che si
sviluppa per la paura della perdita: si tratta del demone del settimo chakra,
ovvero il demone dell’attaccamento. Provoca
il bisogno di accaparramento o – nei casi che riguardano le relazioni umane –
la dipendenza affettiva. Per coloro che si lasciano soggiogare da questo
demone, la paura dell’abbandono è fortissima: queste persone non riescono a
disfarsi di ciò che possiedono, non sanno lasciare/si andare, oppure temono di
essere lasciati soli. Chi è preda di uno squilibrio nel settimo centro
energetico potrebbe dunque avere
difficoltà nell’essere autonomo e probabilmente non sa distinguere il confine
tra penuria e abbondanza, tra povertà e ricchezza. Persino la paura dell’oblio
rientra, secondo me, nel raggio d’azione di questo demone: oggi più che mai
bramiamo la notorietà, la fama e – perché no? – la cosiddetta “gloria” e
temiamo di essere invisibili o di essere
dimenticati.
Un po’ del settimo e un po’ del terzo demone
ha, invece, la paura di perdere il controllo, per via di una intrinseca/implicita ossessione nei confronti dei confini. Il dilemma è
atroce: difesa dei confini contro desiderio di espansione! La seconda opzione
porta con sé molti vantaggi, tra i quali figurano la crescita interiore e
l’aumento di “potere”, ma sussiste anche la possibilità che tali vantaggi
degenerino in sete di dominio o manie di controllo. Non dobbiamo dimenticare,
infatti, che in ogni istante della nostra vita siamo – contemporaneamente –
carcerieri e carcerati di noi stessi (e degli altri, in qualche modo). Ci hanno
insegnato, fin da quando eravamo piccoli, che dobbiamo controllarci,
contenerci, dominarci. L’unica strategia (inefficace e deleteria) che abbiamo
sperimentato per arginare questo fenomeno di autocontrollo è quella che prevede
il dominio degli altri perché speriamo sempre che, così facendo, loro non
controllino noi (come in una sorta di attacco preventivo). Temiamo la
disobbedienza (nostra e altrui) perché essa rappresenta una forma di libertà;
temiamo la trasgressione perché, come dice la parola stessa, ci porterebbe
“oltre”, in un territorio a noi sconosciuto, forse oltre i nostri limiti, al di
là del nostro ristretto mondo mentale…
In
tutto questo mio peregrinare, però, non mi sono dimenticata del demone del
quarto chakra: il dolore. Nell’epoca degli
analgesici, non è tanto il dolore fisico che ci fa paura, quanto quello
dell’anima. La sofferenza, la tristezza, la depressione, sono tutti demoni
caratteristici del nostro tempo, e dalla ricerca della vera felicità allo
stordimento/ottundimento dei sensi ad opera di palliativi/anestetici inutili e
pericolosi (come alcool e droghe) il passo è breve, purtroppo. Dov’è finita
l’unica “droga” veramente efficace, ovvero l’amore?
Per
quanto riguarda, invece, il demone del sesto chakra (l’illusione),
possiamo dire che il suo “cibo” prediletto è l’ossessione. Più o meno a tutti
sarà capitato, almeno una volta nella vita, di avere un’idea fissa in testa,
ecco, quell’idea ha il potere (se lasciata agire indisturbata) di condizionare
molte delle nostre scelte/azioni quotidiane. Ci convinciamo di qualcosa, non
importa di che cosa, e non siamo più in grado di vedere il mondo fuori da
quella interpretazione.
Altri
blocchi/eccessi che, secondo me, andrebbero annoverati tra i demoni sono:
l’ansia, la già citata libertà (vs schiavitù), il fallimento e il suo opposto
(il successo), il tempo e l’ozio con il suo contrario, ovvero la produttività;
e, per chiudere, il demone della rabbia e quello del silenzio/rumore.
Vittime
dell’ansia (soprattutto quella da prestazione), viviamo ogni nostro fallimento
(ovvero ogni caduta), piccolo o grande che sia, come una personale inadeguatezza
alla vita, alimentando – in tal modo – il senso di colpa. “Ho fallito” non
equivale a “sono un fallito”: ricordiamocelo! E, se proprio dobbiamo rincorrere
degli obiettivi, facciamo almeno in modo che siano i nostri sogni e non quelli
di altri…
Questo
ci porta alla famigerata libertà: essere liberi significa non avere
condizionamenti (esterni o interni), ma anche assumersi tutte le responsabilità
delle proprie azioni. La libertà fa paura perché così come ci permette di fare
ciò che è meglio per noi (nel rispetto della libertà altrui), ci scarica
addosso tutto il peso di ciò che facciamo (nel bene e nel male)! In questa
società, in cui abbiamo barattato la nostra libertà con un illusorio stato di
sicurezza, abbiamo perso anche un’altra cosa: il potere. Il potere delle
decisioni e dell’autonomia con tutto ciò che esse comportano.
Proprio
così, abbiamo perso il potere e siamo diventati vittime del suo opposto, ossia il
demone dell’impotenza, non tanto quella legata alla virilità (ancora oggi, nel
2020, un tabù) quanto quella umanitaria. Quando notiamo qualcosa che non va,
nel nostro piccolo o su più vasta scala, non siamo in grado di contrastare quel
qualcosa. Il potere, per contrasto, è un modo per fronteggiare i problemi, ma –
soprattutto – un modo per decidere cosa è meglio per noi.
“Il
potere non è una cosa, ma un modo […] Possediamo potere quando osiamo vivere in
modo autentico, quando entriamo in noi stessi e diciamo la nuda verità. Più
osiamo assumerci dei rischi, porci in discussione o resistere alla pressione di
andare contro i nostri sentimenti, più facile diventa. Il potere giunge quando
siamo disposti a compiere degli errori e ad assumercene la responsabilità, a
imparare da essi e a correggerli […] Il potere è la capacità di determinare il
nostro destino”. [Pp. 225 e 226 de “Il libro dei chakra”].
“L’autorità
ci solleva dalla responsabilità di un’azione indipendente”. [Cit. Starhawk, da
pag. 244 de “Il libro dei chakra”].
“[…]
viviamo col vuoto dentro. Essendo vuoti dentro, il nostro mito culturale ci
dice che la potenza sta al di fuori di noi, nell’approvazione degli altri, nei
gadgets tecnologici o in un dio lontano e autoritario. E così impoveriamo noi
stessi, le nostre risorse e il nostro pianeta, cercando di raggiungere un
potere esterno, un potere su qualcuno, un potere che ci renderà solo schiavi”.
[Pag. 244 de “Il libro dei chakra”].
Confondiamo
troppo spesso il potere con il dominio, dimenticando che il potere è un mezzo,
mentre il dominio è un fine, solitamente poco nobile.
Ricapitolando,
essere liberi significa avere il potere di decidere cosa sia meglio per noi, in
autonomia e senza il condizionamento (implicito o esplicito) di una qualsiasi
autorità a noi esterna.
Ma
veniamo alla rabbia. Può scaturire da un rifiuto, dalla sopracitata impotenza,
dalla disperazione, dall’indifferenza altrui, dalla frustrazione o da molte
altre cose. Di solito, il mondo si divide in coloro che la sfogano in maniera
distruttiva, in quelli che la convogliano in un progetto costruttivo e in
coloro che la trattengono, trasformandola in rancore o – addirittura – in
vendetta. È spesso equiparata all’ira o alla collera, ma – in realtà – è
un’evoluzione (in negativo) di queste due emozioni che, invece, sono foriere di
reazioni pressoché immediate a quella che consideriamo un’ingiustizia.
Ecco, la rabbia è quel che ci avviluppa se non esprimiamo subito il nostro
dissenso. Si vede più rabbia che ira, ultimamente, soprattutto sui social. La paura di sfogarci ci fa
trattenere e il trattenerci ci fa – per dirla in modi figurati - “rodere il
fegato” o “ci fa venire il sangue amaro”. E d’altronde i detti popolari hanno
sempre un fondo di verità: il fegato, infatti, produce la bile (altro modo per
definire la rabbia), un liquido giallo, dal sapore amaro. [Si dice anche: “Rodersi
dalla bile”].
E
poi c’è il tempo. Siamo ossessionati dall’idea di non avere tempo, eppure lo
sprechiamo in tutti i modi possibili. La tecnologia, a tal proposito, ci ha
fatto tanti doni, ma noi li abbiamo impiegati e continuiamo a impiegarli in maniera
impropria, impedendoci di vivere serenamente ogni istante. Come strani
carcerati o ladri maldestri, ci illudiamo di poter rubare tempo al tempo,
ritagliandoci qualche ora di libertà tra una prigionia e l’altra, riducendoci a
vivere soltanto una manciata di minuti alla settimana. Se e quando riusciamo a
concederceli…
Strettamente
legati al tempo e all’ansia da prestazione ci sono, poi, il demone dell’ozio e
quello della produttività. Due concetti agli antipodi eppure così vicini nelle
loro conseguenze estreme: entrambi possono sfociare in un profondo nichilismo,
visto come annientamento della personalità. La noia improduttiva e l’eccessiva
attività sono parimenti deleterie per l’essere umano, se protratte a lungo!
E
chiudiamo col demone del silenzio/rumore.
“Come
ci è possibile ascoltare le nostre vibrazioni individuali in un mondo assordato
dai boati della civiltà? Come possiamo esprimere la nostra verità quando si
oppone al conformismo istituzionalizzato della conversazione educata? Nel regno
sottile del quinto chakra, come potremo trovare la pace necessaria per
ascoltare la verità che ci portiamo dentro?” [Pag. 357 de “Il libro dei chakra”
di Anodea Judith, Neri Pozza].
Vero.
Ma se il rumore (sia quello fisico sia quello psichico) non ci permette di
ascoltare noi stessi, è anche vero il contrario: abbiamo paura del silenzio. Da
una parte lo bramiamo, dall’altra lo rifuggiamo perché ci permetterebbe di dare
spazio ai nostri desideri, alla “nostra verità” e potremmo scoprire che
quest’ultima non collima con ciò che ci hanno insegnato o con ciò che ogni
giorno ci viene imposto. Sentiremmo il bisogno di trovare la nostra personale
autenticità e questo, probabilmente, ci allontanerebbe dal mondo che abbiamo
costruito con tanto sacrificio e rinunciando a noi stessi; ci lascerebbe senza
quelle false certezze in cui abbiamo fatto lo sforzo di credere per tanto,
troppo tempo, ma – in cambio – ci fornirebbe l’opportunità di cercare/trovare
la nostra strada.
Molti
altri demoni pasteggiano con la nostra paura e si nascondono tra le pieghe
della nostra civiltà: l’abitudine, l’indifferenza, l’odio, sono solo alcuni di
questi mostruosi tarli…
A
questo punto sorge un interrogativo inevitabile: come si sconfigge la paura?
Penso
che la conoscenza sia fondamentale, senza di essa infatti – siamo inermi e vulnerabili. L’ignoranza
è – per dirla tutta - la principale alleata della paura…
L’ascolto
è un altro efficace mezzo di contrasto: ascoltare davvero, noi
stessi e gli altri, senza pregiudizi, senza saltare a conclusioni affrettate…
Il
desiderio, quello autentico, è un grande aiuto per sapere quale
strada percorrere, ma solo se accompagnato dalla volontà (di fare, di
essere, di diventare). E non parlo di una volontà forzata dal bisogno o dal
dovere, bensì di quella volontà che nasce e si sviluppa come spinta interna e
individuale, indipendente dal volere collettivo…
Lo
sviluppo dei sensi è un altro fattore che può contribuire a farci
prendere coscienza del mondo interno e di quello esterno a noi…
L’amore
e la fiducia e – perché no? – forse anche la compassione e la solidarietà
possono rivelarsi utilissimi…
E
– se me lo permettete – aggiungerei anche la consapevolezza di essere
cellule di un organismo vivente che, seppur sconfinato (o, forse, proprio
perché sconfinato) può colmarci di energia…