“Attribuito al re
Salomone, celebre per la sua saggezza, per i suoi canti e anche per i suoi
amori, Il Cantico dei Cantici fu
composto non prima del IV secolo a.C. ed è uno degli ultimi testi accolti nel
canone della Bibbia, addirittura un secolo dopo la nascita di Cristo, col
sinodo rabbinico di Iadne”.
Un testo molto
complesso, di difficile interpretazione, tant’è vero che forse sarebbe meglio
non interpretarlo, ma limitarsi a contemplarlo così come si contempla il vuoto
che – essendo tale – ha la facoltà di contenere tutto. Il Cantico dei Cantici parla di Amore, anzi, di Amori, vale a dire
di tanti tipi di Amore: da quello sensuale e passionale a quello romantico
passando per tutto ciò che c’è nel mezzo. È il racconto delle antiche metà che
si cercano, che si bramano, che ambiscono a ricongiungersi, ma che non sono
destinate a farlo, se non – forse – in sogno. E- come l’infinito che va in
cerca della fine non può e non deve trovare il/la proprio/a compagno/a – così i
due amanti saranno destinati a perpetuare la reciproca ricerca, arrivando a
ricongiungersi solo in una realtà ideale o in una dimensione onirica. È una
poesia struggente, in grado di infiammare i sensi in quanto pervasa dalla
presenza dell’Eros, dal primo all’ultimo verso. Ma Il Cantico dei Cantici è anche la rappresentazione della nudità
(=Sacro) “vestita” di parole umane perché possa essere descritta senza mettere
in pericolo chi legge. Il Sacro, infatti, è un “vuoto tagliente”, ovvero un
contenuto molto pericoloso all’interno di un contenitore bellissimo che ha
duplice funzione: proteggere l’osservatore dalla bellezza straziante della
perfezione e compiere un rito di iniziazione ad essa. Il Cantico dei Cantici è – dunque – il divino, la sua essenza che
si manifesta attraverso le “vesti” umane, ovvero le parole. Il testo è ambiguo,
ma scardina le profondità del lettore che scopre così, in sé, un calore e una
potenza che non immaginava di avere e lo induce a iniziare la ricerca di ciò
che gli manca davvero: l’Amore verso se stesso e verso gli altri, la propria
scintilla divina, il proprio Io.
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