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LA BELLEZZA

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martedì 22 maggio 2018

"L'UOMO DEI BOSCHI" di Pierric Bailly, Edizioni Clichy.


Ogni mondo è fatto di persone, di cose, di accadimenti (passati, presenti e futuri), di esperienze. Ogni persona ha il PROPRIO mondo. Ogni mondo si interseca con altri mondi, tanti piccoli mondi che – unendosi – vanno a formare IL mondo. I genitori fanno inevitabilmente parte del mondo dei loro figli e viceversa, ma nessuno arriva mai a conoscere per intero il mondo di qualcun altro; né durante la vita né dopo la morte. Pierric Bailly racconta il proprio padre, ne ricostruisce la vita a partire – paradossalmente – dalla morte. Un elogio funebre? Non proprio, non soltanto. L’uomo dei boschi è anche un inno alla vita. E alla natura. L’uomo dei boschi racconta il rapporto tra l’uomo e la natura, tra un padre e un figlio e tra i vivi e i morti.
Il rapporto uomo-natura, in questo libro, è fitto quanto lo sono le fronde e le radici degli alberi di un bosco. E quando parlo di radici intendo sia in senso fisico, letterale del termine, sia in senso figurato. Le radici possono rappresentare, in fondo, anche il nostro passato, le nostre origini e – in senso più lato – i nostri genitori. L’uomo e la natura hanno in comune molte  cose. Innanzitutto hanno entrambi una doppia valenza, una sottile ambiguità: come il primo racchiude in sé una parte di “luce” e una di “ombra” così anche la seconda si fregia sia di un lato materno, bonario, accogliente e magico, sia di un lato duro, selvaggio, impenetrabile e impietoso. Viene da chiedersi: siamo noi a rispecchiare la natura o è la natura che rispecchia noi?
L’ambiguità della natura, in questo caso, viene presa in esame da Bailly per sottolineare il carattere ambiguo del padre, Christian: bellissimo e socievole eppure isolato, riservato e selvaggio. Magico e incantevole eppure sinistro e inquietante. E’ strano, se ci si pensa, ma spesso si arriva a capire l’importanza, il valore dei luoghi e delle persone solo quando ci si allontana da essi. Non è raro sentire storie di individui che hanno iniziato a provare un forte senso di appartenenza ad un Paese soltanto dopo averlo lasciato… A volte, addirittura, pensiamo di conoscere bene certi luoghi o certe persone per poi scoprire, con grande sorpresa – e forse anche un po’ di frustrazione – che non è affatto così. Dovremmo rassegnarci al fatto di non poter conoscere davvero nessuno, neppure i nostri genitori; ciò che possiamo fare – ed è ciò che fa anche Pierric Bailly in questo libro – è ricostruire le vite dei nostri cari, ormai scomparsi, attraverso i ricordi che abbiamo di loro, attraverso l’analisi degli oggetti che hanno posseduto, allo studio dei libri che hanno amato, all’ascolto della musica che essi stessi hanno ascoltato e alle testimonianze delle persone che li hanno incrociati sul loro cammino. E, poiché ogni individuo possiede un’enorme complessità di carattere, tutti, in fondo, hanno bisogno degli altri per scoprire un po’ di se stessi.
“Mi sono detto che uscendo da se stessi ci si assume il rischio di trovare qualcosa”.
E, infine, la morte. Bailly ce ne parla a suo modo, perché ognuno vive l’esperienza della morte a modo proprio. Ognuno affronta questo evento con le armi che ha a disposizione, ma il denominatore comune è che chi resta deve andare avanti, in qualche modo:
“Gli amici e la famiglia tentavano di riprendere la loro vita. Per alcuni di loro era accaduto qualcosa di molto importante, che poteva essere uno sconvolgimento. Per me era evidentemente così.
Se la perdita di un genitore, in sé, è un evento eccezionale, si può anche dire che è nell’ordine delle cose, un fatto banale. In questa storia ciò che lo è meno sono le circostanze”.
Proprio così. Spesso ci importa più di come le persone sono morte che di come hanno vissuto. Siamo attratti da quell’alone di mistero che circonda coloro che non ci sono più e, in tal senso, questo libro può essere considerato un giallo: sarà compito del lettore decidere il punto di vista da assumere per osservare le vicende. Si potrà “schierare” dalla parte in cui i protagonisti sono i fatti, le circostanze, o da quella in cui sono i sentimenti a dominare la scena. Dal canto suo, Pierric Bailly proverà entrambe le condizioni, per poi approdare definitivamente alla seconda:
“Cerco di accettare ciò che non si spiega. […] Ma cerco soprattutto di crederci. Cerco di accettare che sia veramente successo, che non ho sognato quella settimana folle e drammatica, che malgrado il tenore romanzesco degli eventi, questi non appartengono al campo della finzione letteraria, ma proprio a quello della realtà”.
La morte è un fatto reale tanto per chi muore quanto per chi resta, ma rimane comunque un grande mistero capace di scatenare le reazioni e i sentimenti più disparati. Sotto questo aspetto ha, sicuramente, molto in comune con la natura: entrambe, infatti, sono misteriose, non contemplano il perdono e non fanno sconti ad alcuno. Sanno essere discrete, quasi delicate o vestite di magnanimità, ma anche crudeli e spietate. Di entrambe si dice spesso: “è così che va”. Già… E’ la vita; è la natura; è la morte. Il principio e la fine, sempre che si creda che le cose inizino e finiscano. Per quel che mi riguarda (e – a quanto pare – per quel che riguarda anche Pierric Bailly) la morte non pone la parola “fine” a niente:
“La vita dopo la sua morte, la vita a partire dalla sua morte. Perché se n’era andato proprio all’inizio. E’ il concetto della morte. Una vita si ferma, è la fine della storia. Ma la morte genera una nuova storia, di cui il defunto è il fattore scatenante, e di cui non ha conoscenza”.
C’è una sorta di “coerenza”, di continuità tra la vita e la morte, un filo invisibile che le collega. E’ una continuità che si plasma attraverso il passaggio da una generazione all’altra; una continuità che, però, incoraggia e preserva le differenze tra una e l’altra. In questo caso, tra un padre e il proprio figlio.

venerdì 2 marzo 2018

"Emil M. Cioran - L'angelo sterminatore" a cura di Fabrizio Parrini. Edizioni Clichy.



L’angelo sterminatore non è un libro adatto a tutti. Può sembrare un’affermazione discriminatoria e forse un po’ crudele, ma descrive perfettamente e senza giri di parole la sensazione che ho provato leggendolo. Ma andiamo per ordine. Innanzitutto è doveroso fare qualche accenno alla struttura di questo volumetto che  nasce con l’intento di raccontare il pensiero del filosofo Emil Michel Cioran[1]. Il libro è diviso, infatti, in tre sezioni: la prima parte contiene una breve, ma esaustiva biografia del filosofo, la seconda parte – intitolata, appunto, L’angelo sterminatore – è una sorta di lunga prefazione (a cura di Fabrizio Parrini), mentre la terza parte contiene gli aforismi più significativi della produzione di Cioran intervallati da una bella selezione di foto che lo ritraggono in diverse occasioni. Interessante, tra tutte, la seconda sezione del libro: una specie di dettagliata dissertazione che prepara il lettore alla prosa poetica - ma caustica – di Cioran.
Ecco il ritratto che ne emerge.
Un uomo disincantato, disilluso, un “filosofo non-filosofo” che non formula teorie – al contrario di ciò che è, da sempre, prerogativa dell’ambiente accademico – ma traduce i pensieri e gli stati d’animo in parole.
“La filosofia di Cioran non esiste come entità strutturata. Non c’è nessuna teoria, solo la fedeltà alle proprie sensazioni e al proprio temperamento”.
“La filosofia per lui si deve occupare della sofferenza, non certo delle teorie, tanto da esaltare una lacrima come esperienza più profonda di un sillogismo. Definisce i suoi pensieri amari come le lacrime che si sono condensate in parole”.
Cioran si fa portavoce di un nichilismo in cui il nulla arriva quasi ad assumere dei contorni, diventando una sorta di entità salvifica. Il nulla spodesta la speranza permeando di cinismo buona parte degli aforismi di questo pensatore. L’uomo è destinato al fallimento e – di conseguenza – al dolore. Non desiderare, non fare e non sperare sono le uniche possibilità di salvezza.
Dalle sue parole traspare quella cosa chiamata «cafard», ovvero una parola francese intraducibile che racchiude in sé i concetti di “tristezza”, “noia”, “tedio”, “accidia” e “malinconia”. Nelle opere di Cioran la lingua rumena – dotata di ardore ed esuberanza – viene soppiantata da quella francese, più rigorosa, tagliente e lucida. Viene favorita la brevità e abbandonato qualsiasi tipo di barocchismo linguistico.
“Non c’è niente, nella scrittura di Cioran, che faccia pensare a una speculazione intellettuale fine a se stessa. La sua lucida scrittura viene invece dal profondo, per diventare discorso apparentemente comprensibile a una prima lettura, ma che ha bisogno di un’attenta e continuata forma d’intuizione”.
“Il male di vivere” è il padrone indiscusso della filosofia di Cioran che, in questo, si accosta percettibilmente al poeta del pessimismo cosmico, Giacomo Leopardi.
In questo libro Fabrizio Parrini ci svela il pensiero di Cioran a proposito di temi che sorreggono le nostre vite, quali – ad esempio – il significato della storia, quello della libertà, nonché quello dell’istruzione. Attraverso le sue parole scopriamo il valore intrinseco della scrittura, vediamo la letteratura come strumento per esternare il dolore (come se fosse un “prolungamento fisiologico” di ogni autore) e la poesia come una forma di preghiera. Nell’analisi che Parrini fa di Cioran, trova posto anche la religione ed emerge il legame di quest’ultimo con la tradizione del pensiero gnostico.
“La scrittura è un modo per lenire le ferite del cuore e poter vivere nonostante la discordanza suprema tra il mondo e noi stessi”.
Quel che spiazza, della figura di Emil Cioran, è la sua “filosofia della sospensione” – se così vogliamo chiamarla – secondo la quale non esistono verità oggettive e neppure teorie inoppugnabili dietro le quali ripararsi.
“L’aforisma non deve sfornare verità, ma insegnare a farsene beffe. Cioran non conclude mai. Non rassicura, ma cerca di dire con le parole quello che le parole non possono dire. […] Distrugge e riparte subito dopo dalle macerie che ha provocato, ma davvero senza più certezze”.
“[…] la sua filosofia senza tempo  a volte abbaglia e consola, perché parla dell’uomo com’è, come è sempre stato”.
Professando questo tipo di filosofia, Cioran corre spesso il rischio di cadere nella contraddizione ed è anche per tale ragione che Parrini stesso lo definisce “un pensatore per pochi sotterranei ammiratori”.
L’angelo sterminatore è un libro graffiante, a tratti addirittura lacerante: la sua lettura vi lascerà un segno nell’animo.


[1] Emil M. Cioran nasce a Rasinari (Sibiu) in Transilvania l’8 aprile del 1911  e muore a Parigi il 20 giugno del 1995, all’età di ottantaquattro anni. “E’ una delle figure più rappresentative della vita culturale europea del Novecento, dove si pone come una libera figura di scrittore e filosofo scettico che indaga il divenire dell’esistenza come un testardo, implacabile contestatore della filosofia sistematica. La filosofia deve, secondo lui, occuparsi dell’esperienza concreta, quotidiana, vissuta dall’uomo. Non può e non deve mai ridursi a un sapere astratto, fatto di concetti e senza contenuti vivi come i sentimenti, le emozioni, le passioni. Per Cioran la filosofia è un’incessante riflessione sulla vita e sull’essere che ha oltrepassato l’orizzonte del nulla. Ciò che gli interessa è l’uomo gettato nel mondo da una sorte avversa o da un «funesto demiurgo» per interpretare il suo ruolo incomprensibile e assurdo. Questa l’originalità di Cioran e dei suoi aforismi crudeli in perenne ricerca di senso. La vita è un’avventura magica, ma la lucidità del pensiero permette di sperimentare non solo la propria immensa solitudine, ma anche la propria vertiginosa libertà”.

lunedì 11 dicembre 2017

"Guida tascabile per maniaci dei libri" - The Book Fools Bunch. Edizioni Clichy



Il mondo dei libri è dominato da stranezze e paradossi, per cui se - da una parte - è vero che ogni anno vengono “sfornati” oltre due milioni e mezzo di titoli e che mai come ora  si è letto così tanto, è altrettanto vero che si leggono sempre meno libri.  Proiettati nella “giungla” delle parole  e delle immagini digitali, siamo sempre più schiavi di telefonini, schermi televisivi, tablet e PC. Si prediligono i post brevi e accattivanti sui social networks  ai romanzi o ai saggi, di sicuro più lunghi e impegnativi. In Italia, mediamente, meno di una persona su due ha letto almeno un libro in un anno. Ecco perché è nato “Guida tascabile per maniaci dei libri”, per opera di The Book Fools Bunch, nome dietro il quale si cela un misterioso gruppo di esperti e maniacali lavoratori dell'editoria italiana, con base a Firenze, che da anni oltre a proporre volumi che i grandi editori trascurano, si attiva organizzando flash mob, rave, performance, reading e altre simili «provocazioni» non istituzionali per sensibilizzare il nostro paese verso il problema della mancanza di attenzione al mondo dei libri. Come si può intuire già dal titolo, quello in questione non è un comune libro, bensì una sorta di “cartina” con la quale orientarsi al meglio nella scelta dei titoli da leggere. Stuzzicanti curiosità sugli scrittori più celebri, gli incipit dei libri più belli, stroncature di grandi capolavori ad opera di testate giornalistiche di rilievo o di autori famosi, elenchi di opere dal valore inestimabile, pensieri sui libri scaturiti dalla mente dei grandi della letteratura e molto altro ancora è possibile trovare in questa guida. E’ un libro atipico, ma indispensabile sia per i “divoratori di libri” sia per coloro che – al contrario – non sono abituati a leggere, ma vorrebbero avvicinarsi al mondo della letteratura con consapevolezza e serenità. E’ un libro che stimola il bisogno di leggere libri (perdonate la ripetizione); un libro che solletica la curiosità, un libro nato – per usare le parole di The Book Fools Bunch - come “atto d’amore”.  Amore per i libri, amore per le storie, amore per la bellezza e per l’orrore, amore per le donne e per gli uomini che hanno vissuto prima e accanto a noi e per quelli che verranno dopo di noi, amore per la memoria, per la vita, per l’amore. Tutte cose che sono dentro i libri e che stanno nei libri come non potrebbero stare in nessun altro luogo al mondo. Una “missione”, quella degli autori di questo volume, per permettere a tutti – lettori accaniti e non – di scoprire mondi, vivere avventure straordinarie, conoscere storie, sorridere e commuoversi attraverso le parole contenute nei libri.
Un consiglio: tenete carta e penna accanto a voi durante la lettura/consultazione di questa guida, così da poter prendere nota dei titoli che stimolano maggiormente la vostra curiosità e correre, subito dopo, in libreria o in biblioteca per soddisfarla!

mercoledì 18 ottobre 2017

"LE TEORIE FOLLI DELLA STORIA" di Philippe Delorme. Clichy



SOMMARIO
PREMESSA
-         IL MONDO FU CREATO SEIMILA ANNI FA
-         C’ERA UNA VOLTA LA GRANDE PIRAMIDE
-         QUEGLI ILLUMNATI CHE GOVERNANO IL MONDO
-         I COSACCCHI CONQUISTARONO L’AMERICA
-         GESU’ II, IL RITORNO
-         DEI VENUSIANI SULL’ISOLA DI PASQUA
-         GIOVANNA D’ARCO ERA UN UOMO
-         HITLER SI E’ NASCOSTO AL POLO SUD
-         L’UOMO NON E’ MAI ANDATO SULLA LUNA
-         NAPOLEONE DISCENDE DALLA MASCHERA DI FERRO
-         CRISTO SI ‘ FERMATO A SHINGŌ
-         CRO-MAGNON SAPEVA SCRIVERE
-         LA CINEPRESA PER VIAGGIARE NEL TEMPO
-         GLI EBREI VENGONO DALLO SPAZIO
-         GLI INGLESI RAPIRONO NAPOLEONE
-         LA FINE DEL MONDO ERA IERI
EPILOGO



Troppo spesso diamo per scontato l’assunto che la Storia sia una serie di fatti incontrovertibili; che essa non possa – nel senso che non dovrebbe - in alcun modo vacillare: se lo facesse, cadrebbero tutte le certezze alle quali ci aggrappiamo ogni giorno per giustificare le nostre azioni. E se la Storia fosse,  invece – come dichiarava Napoleone – “una serie di menzogne su cui ci si è messi d’accordo”? Se scoprissimo (o ci rendessimo conto) d’un tratto che ciò che noi chiamiamo Storia è una realtà – sì – ma di quelle studiate a tavolino da chi – sfruttando la fantasia, propria e/o altrui vuole ottenere vantaggi personali? Sarebbe estremamente doloroso perché emergerebbero, di noi, due caratteristiche di cui andare poco fieri: l’ignoranza e la facilità a credere. Perciò il dubbio amletico risulta non tanto “essere o non essere”, bensì “credere o non credere”. La mia risposta? Nessuna delle due cose. Si tratta – piuttosto – di chiedere; si tratta di cercare, di non fermarsi mai, neppure davanti ad una risposta che – ai nostri occhi – appare plausibile (se non addirittura possibile o accettabile). “Chi si ferma è perduto”.  Ma il mestiere dello storico non prevede “la contestazione o il relativismo. Il mestiere dello storico è quindi costrittivo e lascia poco spazio all’immaginazione […] sebbene sia impossibile pervenire a una piena oggettività nell’analisi dei fatti”. “[Uno storico può] solo tendere a delle porzioni di verità, proporre dei modelli senza imporli”. Un’altra qualità dello storico “deve essere l’umiltà, perché il suo passato avrà sempre le sue zone d’ombra, e non si può trovare una risposta a tutto”. C’è sempre qualcuno che, però, prova a strumentalizzare i fatti, gli accadimenti – da quelli assodati a quelli più vacillanti – per il proprio tornaconto, portando come vessillo un argomento che Philippe Delorme riassume così: “Una proposizione è vera perché niente dimostra che è falsa”. Lo scopo di questo libro è allora quello di tentare di scandagliare il pensiero di coloro che – con teorie strampalate, illogiche, ipercritiche, negazioniste, “parastoriche” o “pseudostoriche” – non fanno altro se non corroborare e far radicare ulteriormente (e paradossalmente) il lavoro degli storici.
Se leggerete “Le teorie folli della storia” per avere delle risposte univoche e delle verità schiaccianti, probabilmente finirete coll’avere ancora più domande, più dubbi e più incertezze, ma – in fondo – il bello sembra essere rappresentato dalla ricerca. Il tragitto che compiamo per arrivare alla meta è, spesso, più edificante della meta stessa. Lodevole il lavoro di ricerca compiuto dall’autore – Philippe Delorme – per sgretolare le macchinazioni più contorte, i giochi illusionistici dei detrattori della Storia. Molti dati vengono posti sul piatto per sfatare leggende metropolitane o bufale ben congegnate. Accuratezza e ricchezza di particolari fanno di questo libro un valido strumento per la demistificazione di alcune teorie, ma è bene ricordare che nulla deve spegnere la curiosità, perché essa è ciò che ci aiuta a non fermarci di fronte alla prima risposta.