CONTINUAZIONE DELLA PAGINA "LA STORIA INFINITA" (1-16) DI CUI VI LASCIO QUI SOTTO IL LINK:
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CAPITOLO
17: “ Un drago per l’Eroe Inrico”
E’ calata la notte.
“Fùcur,
il Drago della Fortuna, cantava. […] Era un canto senza parole, la grande e
semplice melodia della pura felicità. E chi la udiva si sentiva aprire il cuore
alla gioia”.
Bastiano e Atreiu
ascoltano immersi in una sorta di “estasi
silenziosa”.
Atreiu chiede a
Bastiano come abbia fatto a domare la Morte Multicolore e Bastiano risponde che
è stato per merito di AURYN e sembra quasi passare un’ombra di gelosia sul
volto del Pelleverde. Bastiano, allora, gli propone di rimetterlo al collo, ma
Atreiu rifiuta adducendo a spiegazione di averlo portato abbastanza a lungo.
Anche Atreiu ha visto la scritta quando era lui a portarlo, ma non sapendo
leggere che le orme, le lettere dell’alfabeto non hanno assunto alcun
significato per lui. Bastiano legge la scritta per Atreiu:
“Se
tu lo avessi saputo, le cose sarebbero state diverse per te?”
“No,
io ho fatto quello che volevo”.
I due ragazzi parlano
anche del mutato aspetto di Bastiano e quest’ultimo non si capacita di essere
stato diverso, un tempo.
Bastiano si trova a
riflettere sul fatto di voler conquistare la fiducia incondizionata di Atreiu.
Per farlo – pensa – dovrà fare qualcosa di veramente grande, qualcosa che
nessuno in tutta Fantàsia sia in grado di fare, neppure con l’amuleto. Qualcosa
che solo lui sia in grado di fare.
“Si
sentiva sempre dire e ripetere che in Fantàsia nessuno sapeva creare qualcosa
di nuovo. […] E questo invece era proprio ciò che lui sapeva fare, era la sua
specialità”.
Il mattino successivo
il Vegliardo d’Argento annuncia di voler organizzare una festa in onore di
Bastiano. Gli Amarganti sono noti in tutta Fantàsia per la loro abilità nel
raccontare storie, ma purtroppo il loro repertorio è ormai praticamente
esaurito e così…
“[…]
si è sparsa la voce, non so fino a qual punto esatta, che tu sei noto nel tuo
mondo come grande inventore di storie. E’ vero?”
“Sì”,
risponde Bastiano “Sono stato persino deriso per questo”.
“Deriso
per saper raccontare storie che nessuno aveva mai sentito prima? Come è
possibile? Fra noi non c’è nessuno capace di farlo e noi tutti, io e i miei
concittadini, ti saremmo indicibilmente grati se tu ci potessi regalare qualche
nuova storia. Vorresti dunque renderci questo servizio, facendo uso del tuo
genio?”
Il Vegliardo è molto
stupito di come gli uomini non abbiano saputo apprezzare quella facoltà che
Bastiano ha di inventare storie. E lo abbiano addirittura deriso. Troppa
fantasia non è vista di buon occhio nel nostro mondo e chi ne ha – come i
bambini – viene rinchiuso in gabbie mentali, viene “programmato” per servire le
“cose reali” e concrete, e gli viene “soffocata” o “estirpata” la facoltà di
inventare.
Ovviamente Bastiano accetta di buon grado la
proposta di Querquobad.
“Bastiano
tuttavia si sentiva sempre più eccitato, perché non aspettava altro che venisse
il suo turno. Il desiderio della sera precedente si stava realizzando per filo
e per segno. Moriva dall’impazienza, nell’attesa che anche il resto si
tramutasse in realtà”.
Quando finalmente
giunge il suo turno, Bastiano esordisce dicendo:
“Io
vi regalerò tutte le storie che ho inventate, perché posso sempre inventarne di
nuove, quante ne voglio. Molte di queste le ho raccontate a una bambina di nome
Lu Ci A, ma la maggior parte le ho
narrate solo a me stesso. Quindi nessun altro all’infuori di me le conosce. Ma
ci vorrebbero settimane e mesi per raccontarvele tutte, e così a lungo non
posso fermarmi fra voi. Perciò voglio invece narrarvi una storia in cui sono
contenute tutte le altre. Si chiama ‘La Storia della Biblioteca di Amarganta’
ed è molto breve”.
E così Bastiano
racconta la storia delle origini di Amarganta stessa, storia in cui include
personaggi, eventi e popoli inventati che però si manifesteranno nei capitoli
successivi. Tutto ciò che Bastiano racconta, infatti, ha il potere di
avverarsi. Querquobad è estasiato ed estremamente riconoscente al ragazzo per
il suo magnifico dono. E “Bastiano era
lui stesso impressionato che tutto ciò che aveva raccontato si fosse tramutato
in realtà (o era già stato così da sempre? Graogramàn probabilmente avrebbe
detto: entrambe le cose!)”.
Non posso svelarvi
molto di più, questa volta, (anche se ogni cosa scritta in questo libro è di
importanza essenziale) perché dovrei riportare tutto il capitolo. Vi dirò solo
che Bastiano trova la Biblioteca di Amarganta (di cui lui stesso ha inventato
l’esistenza), ne apre la porta svelando il mistero di una pietra su cui è inciso un indovinello e
vi trova all’interno una quantità esorbitante di volumi in cui ci sono tutte le
storie che lui stesso ha raccontato!
Nel sentire di tutte le
prodezze compiute da Bastiano, Icrione, Isbaldo e Idorno vogliono seguirlo nel
suo viaggio, per poter avere – anche loro – una storia personale. Bastiano
accetta, molto onorato.
Ma che fine ha fatto
l’Eroe Inrico? Apprendiamo dai tre cavalieri che il poveretto è distrutto per
via del fatto che la principessa lo ha respinto. Al che, Bastiano arrischia un
tentativo di consolazione: “Forse non
dovreste dare tanta importanza alla principessa Oglamàr. Vi sono certamente
altre dame che potrebbero piacervi altrettanto”.
Ma Inrico controbatte
con queste parole: “No, a me piace lei
proprio perché non si contenta, perché vuole solo il migliore”.
“E
se provaste a ottenere i suoi favori esibendovi in altre arti?”
“Io
sono un eroe”, replica allora Inrico irritato “non posso e non voglio cambiare mestiere.
Sono come sono”.
“Già,
questo lo vedo”.
Anche a Inrico serve
un’opportunità per dimostrare
di essere un eroe: gli serve, dunque, un mostro da sconfiggere. Bastiano ne
immagina uno all’istante e racconta all’eroe che la sua dama è in pericolo
perché è stata appena rapita da un drago di nome Smarg e solo lui può salvarla.
Così Inrico parte per
la missione in sella al suo stallone nero, dopo aver ricevuto da Bastiano tutte
le indicazioni necessarie affinché possa trovare il drago, combatterlo,
sconfiggerlo e salvare la principessa.
Bastiano ha salvato
Fantàsia, ha dato una storia ad Amarganta e all’Eroe Inrico, e Atreiu lo
incalza dicendo: “Posso immaginare che
ora desideri tornare nel tuo mondo per riportare anch’esso alla salvezza”.
Partono tutti insieme a Bastiano per accompagnarlo sulla via del ritorno a
casa.
Interessante il fatto
che Inrico riesca a compiere, effettivamente, la sua impresa e a riportare la
principessa a suo padre, ma – una volta portata a termine la missione e
ottenuto il favore di Oglamàr – non sia più interessato a sposarla… Ormai ha
dimostrato a se stesso di essere un eroe, ed era questa la cosa importante:
doveva prendere coscienza delle sue capacità compiendo una vera impresa!
Ancora una volta, però,
voglio terminare l’analisi del capitolo con un consiglio.
Inrico dice di essere
un eroe e di non potere né voler cambiare mestiere. “Sono come sono”, dice. Ma chi dichiara di essersi conosciuto, di
aver scoperto e compreso il proprio vero “IO” ha – in tal modo – messo fine
alla Grande Ricerca e, secondo me, non c’è niente di peggio. Fermarsi, nella
convinzione di essere appagati e soddisfatti, significa morire. Psichicamente e
fisicamente. Terminata l’impresa, Inrico è, probabilmente, arrivato a comprendere che può diventare
molto di più e ha deciso di proseguire il suo percorso di scoperta. Per questo il mio consiglio è: NON FERMATEVI,
NON ACCONTENTATEVI MAI!
CAPITOLO
18: “Gli Acharai”
Il gruppo è in viaggio
ormai da diversi giorni e il cammino sembra farsi sempre più difficile. Tuttavia i tre cavalieri sembrano
essere sempre di buon umore o ogni tanto cantano, addirittura:
“Quando
ero un bambinello,
op
lalà tra vento e pioggia”.
Versi che gli stessi
tre attribuiscono ad un certo “Scexpir o
qualcosa del genere”. Abbiamo già trovato Shakespeare qualche capitolo fa,
ricordate?
Sono tutti in viaggio
per ricondurre Bastiano a casa, ma in realtà Bastiano non vuole affatto tornare
a casa e – al contrario - il suo dissidio interiore lo porta ad addentrarsi
sempre di più verso il centro di Fantàsia, ovvero verso la Torre d’Avorio.
Nel frattempo si
mettono a discutere sulle vicende capitate a Inrico e alla principessa Oglamar
per invenzione di Bastiano. Quest’ultimo è angosciato perché non sa se, creando
il crudele Smarg, possa aver involontariamente causato altre sciagure al Mondo
di Fantàsia e ai suoi abitanti. Comincia a riflettere sul fatto che molto
probabilmente non ha il diritto e neppure la volontà di comportarsi come
l’Infanta Imperatrice, la quale non fa alcuna differenza fra Bene e Male, Bello
o Brutto. Per lei ogni creatura di Fantàsia possiede gli stessi diritti e
importanza. Bastiano vorrebbe essere riconosciuto in Fantàsia per la sua bontà
e per il suo altruismo e non certo per essere un creatore di mostri e orrori.
Durante il viaggio
Bastiano ha già dimenticato anche Lu Ci A; sa di aver raccontato agli Amarganti
di essere stato deriso dagli abitanti del suo mondo, ma non si ricorda la
ragione. Sta compiendo un ulteriore passo nel cambiamento. Non si ricorda più
neanche perché abbia rubato il libro de
“La Storia Infinita” al signor Coriandoli. Sta dimenticando tutto ciò che è
stato un tempo, sta abbandonando convinzioni e certezze su di sé.
“I
suoi ricordi erano frammentari, e questi frammenti gli apparivano lontani e
confusi, come se non si fosse trattato di lui, ma di un altro”.
E in effetti, non
ricordando più, Bastiano ha preso le distanze da quel che era. Chi sa di
essere, in realtà non è; viceversa, chi non sa di essere qualcuno o qualcosa, allora è quel
qualcuno o quel qualcosa. Un bell’interrogativo che dovremmo porci tutti è:
QUANTI SIAMO? Invece ci ostiniamo a chiederci solamente CHI SIAMO? Questa domanda è molto limitante, nella sua
risposta. QUANTI SIAMO? - al contrario – è molto aperta e lascia spazio a
tantissime, innumerevoli risposte e possibilità. Perché? Perché ognuno di noi
incarna al proprio interno svariate personalità, multi-sfaccettate, con
altrettanto potenziale nascosto. Cercarsi e scoprirsi giorno dopo giorno è il
modo più corretto per vivere appieno se stessi. Una grande ricerca che non
debba mai avere fine…
Atreiu pone moltissime
domande a Bastiano. Su tutto.
“Lo
meravigliava un poco che Atreiu mostrasse tanto interesse per le cose
quotidiane. Forse proprio grazie al modo in cui Atreiu lo stava ad ascoltare,
anche lui ora cominciava a vederle non più come cose comuni e quotidiane, bensì
come se tutte nascondessero un segreto, qualcosa di misterioso di cui egli non
s’era accorto prima”.
E’ un male del nostro
mondo e del nostro tempo: non siamo più in grado di accorgerci delle cose che
ci circondano, di meravigliarci e di coglierne la bellezza. C’è un tarlo che si
chiama ABITUDINE e che logora le nostre esistenze. Quando nasciamo siamo
capaci, ma crescendo impariamo – purtroppo – a dare per scontato, a catalogare,
a schematizzare, a razionalizzare, a giudicare, a ragionare e smettiamo di
pensare, di sognare, di immaginare, di fantasticare, di osservare il mondo a
360° e di lasciarci aperte tutte le porte. Strutture mentali, preconcetti,
inconscio collettivo, pregiudizi, limiti, confini e tabù diventano la
normalità. Come se ne esce? TORNANDO A FARE E A FARSI DOMANDE. Le domande
GIUSTE, naturalmente, quelle che cominciano con la parola PERCHE’ sono le migliori… Vi avverto, però:
chi fa domande non è visto di buon occhio dalla società; spesso risulta scomodo
per il Sistema. E’ necessario tanto coraggio, ma ne vale la pena.
Stando alle parole che
Atreiu pronuncia poco dopo, questa strana amnesia di Bastiano dipende da AURYN:
“Lo
Splendore agisce su di noi in maniera diversa che sul figlio dell’uomo. […]
L’amuleto dà un grande potere, ti permette di realizzare tutti i tuoi desideri,
ma al tempo stesso ti porta via qualche cosa: il ricordo del tuo mondo. […]
Esso ti dà la direzione e al tempo stesso ti porta via la meta”.
E’ giusto che sia così:
per evolversi bisogna tornare
all’inizio, a quando si era ancora
incontaminati dal mondo, dai suoi schemi e dalle sue regole; epurarsi da tutte
le gabbie mentali a cui si è stati sottoposti nel tempo. Bellissime, a questo
proposito, le parole della canzone cantata dai cavalieri: la libertà mentale di
cui eravamo dotati quando eravamo bambini e di cui potevamo disporre a nostro
piacimento era illimitata e ci donava gioia.
In questo capitolo
Bastiano conosce gli Acharai, un popolo di creature orripilanti simili a “vermiciattoli informi, lunghi quanto un
braccio, con una pelle che li faceva sembrare avvolti in stracci sporchi”.
Si sono sempre tenuti nascosti, gli Acharai, per non offendere o turbare
nessuno. Bastiano ha creato l’esistenza degli Acharai nel suo racconto ad
Amarganta. Non tollerano neanche la loro stessa vista, questi esseri, ma
cercano di compensare la loro bruttezza sciogliendo con le loro lacrime l’argento
per poi intesserlo a formare filigrane di straordinaria bellezza.
Bastiano cerca di
rassicurarli dicendo loro che non hanno alcuna colpa per il fatto di essere
come sono, ma gli Acharai rispondono:
“Ohinoi,
ci sono tante forme di colpa, quella dell’azione, quella del pensiero… La
nostra è quella di esistere”.
E’ il principio della
Confessione[1].
Ma non è solo questo, purtroppo. Quanti, infatti si sentono in colpa senza un
motivo apparente o per il solo fatto di esistere o – addirittura - di essere?
Troppi, a mio parere. Il senso di colpa è come una malattia e ha gli stessi
risvolti di una malattia: ti logora dentro, ti fa stare male. Bastiano
riconosce che non c’è colpa nella coscienza degli Acharai. Non hanno colpa del
loro aspetto fisico. Questa constatazione gli tornerà molto utile nel
riconsiderare l’idea che ha di se stesso. A volte, infatti, riconoscere
caratteristiche negli altri o grazie agli altri, ci aiuta a vederle in noi
stessi.
Gli Acharai chiedono a
Bastiano di dar loro un altro aspetto e Bastiano li accontenta: li trasforma in
creature variopinte, simili a farfalle, sempre allegre e divertite.
“Bastiano
si stese per dormire. Era straordinariamente soddisfatto di sé. Ben presto
tutta Fantàsia sarebbe venuta a conoscenza dell’opera buona ch’egli aveva appena
compiuto. Ed essa era stata veramente altruistica, perché nessuno avrebbe mai
potuto affermare che, con quel desiderio, egli avesse voluto qualcosa per sé.
La gloria di tanta bontà si sarebbe irradiata intorno a lui in perfetto
splendore”.
Ma Bastiano non sa cosa
gli è costato questo gesto. Interferire in cose che non ci riguardano
direttamente può portare a conseguenze disastrose. Coinvolgere altri nei nostri
desideri rappresenta spesso un grave errore.
Il mattino successivo,
infatti, le creaturine così trasformate sono mutate anche all’interno e non si
lasciano più sottomettere alle regole o alla volontà di altri. Men che meno a
quella di Bastiano stesso, che cominciano – anzi – a chiamare “Il Coso”. Gli
Acharai ormai mutati anche nel nome (da Acharai, i Perpetui Piangenti ad
Uzzolini, i Sempre Ridenti), arrivano perfino a ridere di Bastiano e della sua
ostinazione a ripetere la parola “IO” per definire la propria persona, la
propria identità. Per loro Bastiano rimane Il Coso anche se lui continua a
ripetere: “Io non sono un Coso! Io sono
Bastiano Baldassarre Bucci […] e sono il vostro benefattore!”
Non potrebbe aver detto
loro cosa peggiore, Bastiano, il cui nome viene immediatamente storpiato e reso
irriconoscibile.
Chi è Bastiano? CHI E’
“IO”? COSA O CHI INTENDIAMO QUANDO DICIAMO “IO”?
“Bastiano
stava lì come di sale e quasi non sapeva più neppure lui come si chiamava
veramente. Non era più tanto sicuro di aver fatto una buona azione”.
Noi non siamo il nostro
nome. Di sicuro ABBIAMO il nostro nome, ma NON SIAMO quel nome! Identificarci
con il nostro nome significa porci dei limiti così come identificarci con una o
più nostre caratteristiche significa porre degli enormi limiti a quello che
siamo, a quanto e a quanti siamo. Il nome aiuta, certo, dà origine alle cose,
le distingue (o ci prova) le une dalle altre, in un certo modo le identifica,
ma non le descrive per tutto ciò che sono! Riflettete sul fatto che il nome ci
viene DATO alla nascita: questo lo rende nostro, ma noi non siamo quel nome. Non
siamo SOLO quel nome. Anche la Sovrana dei Desideri ha sempre bisogno di nomi
nuovi per poter continuare ad esistere…
Nella loro insolenza,
perciò, gli Uzzolini hanno fatto un favore a Bastiano: hanno insinuato in lui
il tarlo del dubbio. Sulla sua identità, sulle sue azioni, sulla sua coscienza.
CAPITOLO
19: “I compagni di strada”
Trasformando gli
Acharai in Uzzolini, Bastiano ha perso un altro pezzetto dei propri ricordi e
il drago gli consiglia di smettere di usare il potere di AURYN se non vuole correre il rischio di perdere
completamente la memoria e non poter più ritornare a casa. Ma Bastiano non
vuole tornare nel suo mondo e quando Atreiu lo viene a sapere si allarma
moltissimo:
“Ma
tu devi tornare indietro e cercare di riportare ordine nel tuo mondo, affinché
ci siano di nuovo uomini che vengano da noi in Fantàsia. Altrimenti essa presto
o tardi andrà nuovamente in rovina e tutto sarà stato inutile!”
Atreiu e Fùcur spingono
Bastiano a pensare a suo padre, che di sicuro sarà in ansia per lui, ma Bastiano
prende questo invito nel modo sbagliato: è ormai convinto che il padre sia
contento di essersi liberato di lui e pensa che anche Atreiu e il drago
vogliano fare altrettanto.
La compagnia continua a
viaggiare, ma ogni volta è come se avessero viaggiato in tondo perché sul
finire del giorno si ritrovano di fronte al castello diroccato dal quale erano
partiti al mattino. Ogni giorno. Iaia conosce il motivo di questo strano,
disarmante e frustrante fenomeno:
“Tu
non hai più alcun desiderio, mio signore. Hai smesso di desiderare”.
La mula possiede una
grande saggezza e uno spiccato senso dell’orientamento perciò sa che Bastiano
vuole raggiungere nuovamente la Sovrana dei Desideri e sa quale direzione va
presa per arrivare fino a lei.
Il mulo è il prodotto
di un asino e una cavalla. E’ un animale nato a cavallo di due mondi e questa
caratteristica si rispecchia anche nel suo significato simbolico: simboleggia
la crescita interiore, il passaggio a un livello di coscienza e consapevolezza
superiore.
Fùcur e Atreiu
comprendono di aver dato il consiglio sbagliato al povero Bastiano, dicendogli
di smettere di usare il potere di AURYN, così lo invitano a farne nuovamente
uso, anche se sanno che questo gli farà perdere un’altra fetta di ricordi.
Bastiano deve trovare il desiderio
successivo o non riuscirà a venir fuori dalla situazione di stallo in cui si è
arenato.
Bastiano e Fùcur
discutono: il drago dubita che la
Sovrana lo riceverà ancora perché afferma che l’Imperatrice può essere
incontrata una volta sola. Bastiano è
adirato sia con Fùcur sia con Atreiu che fanno un po’ la parte del Grillo
Parlante di Pinocchio o quella di Abele, se volete. I due, però, tengono molto a Bastiano e
vogliono aiutarlo, anche se questo dovesse significare andare contro la volontà della stessa
Imperatrice.
Il gruppo, intanto, si
accorge di essere braccato da inseguitori provenienti da tutte le direzioni,
così Bastiano inizia a dormire con indosso Sikanda e in sogno, una notte, gli
appare la Sovrana. Questa visione rafforza la speranza di Bastiano di poterla
incontrare di nuovo. Continuando a leggere scopriamo che gli inseguitori sono,
in realtà, prìncipi provenienti da diverse Terre di Fantàsia che si sono messi
in cammino per salutare Bastiano, rendergli omaggio e chiedere il suo aiuto.
“Sappiamo,
o signore, che tu puoi tutto. Se tu dici una cosa, essa esiste. Per questo ti
invitiamo a venire da noi e farci dono di una storia che ci appartenga. Poiché
noi non ne possediamo”.
Bastiano accetterebbe
volentieri, ma prima vuole incontrare l’Infanta Imperatrice, perciò lancia loro
una controproposta: chiede di essere aiutato a trovare la Torre d’Avorio. Essi
accettano con gioia.
Il viaggio prosegue.
CAPITOLO
20: “La Mano che vede”
I messaggeri continuano
ad aumentare.
Bastiano si è
riconciliato con Atreiu e Fùcur, ma in cuor suo continua a pensare che i due lo
stiano trattando come un bambino sprovveduto. Così sente di voler “diventare un individuo pericoloso, temibile
e temuto. Uno di quelli da cui tutti si sarebbero dovuti guardare. Anche loro
due”.
Il gruppo si sta
inoltrando in una selva di orchidee carnivore che porta il nome di Giardino di
Oglais e appartiene al castello di Horok, chiamato anche la Mano che vede. Nel
castello in questione abita la più potente e perfida delle maghe di Fantàsia: Xayde.
Bastiano è intenzionato
a scontrarsi con la maga (non ha un motivo particolare per farlo, lo vuol fare
e basta) e Atreiu, sempre più preoccupato per l’integrità della memoria
dell’amico, gli fa una proposta:
“E
perciò ti volevo proporre di darmi nuovamente AURYN e di affidarti alla mia
guida. Io cercherò la strada per te”.
Ma Bastiano rifiuta,
ritenendo Atreiu in preda ad un attacco di pura gelosia.
“Non
ti accorgi che sei completamente cambiato? Che cosa è rimasto di quello che
eri? E che ne sarà di te?
“Sono
IO, nel caso ve lo foste dimenticato, sono io colui che ha salvato Fantàsia,
sono io dopotutto colui al quale Fiordiluna ha affidato il suo potere. […] Non
sono più quel sempliciotto che voi ancora vedete in me!”
Atreiu cerca ancora di
far ragionare Bastiano, ma con risultati pressoché nulli. Riceve, anzi, una risposta ancor più
allarmante dall’amico umano:
“Resterò
per sempre in Fantàsia. Mi piace molto star qui. Ai miei ricordi posso
tranquillamente rinunciare. E per quanto riguarda il futuro di Fantàsia, io
sono in grado di dare mille nuovi nomi all’Infanta Imperatrice. Non abbiamo più
bisogno del mondo degli uomini!”
Quello che Bastiano non
riesce a comprendere è che non solo lui e Fantàsia hanno bisogno del mondo
degli uomini, ma anche il mondo degli uomini ha bisogno di Fantàsia. Senza
uomini Fantàsia sarebbe destinata, prima o poi, a scomparire: Bastiano non è
sufficiente per “alimentarla”. Senza Fantàsia gli uomini, dal canto loro,
sarebbero destinati a vivere una vita a metà e vivere una vita del genere non
equivale a vivere, bensì a sopravvivere: niente Fantàsia, niente desideri,
niente scopi, niente meraviglia, niente vita. I due mondi rappresentano, l’uno
per l’altro, la salvezza o la completa distruzione. Il destino dei due mondi è
tutto nelle mani di un figlio dell’uomo. Come Bastiano, ognuno di noi può fare
la differenza. Stando al modo in cui abbiamo ridotto il nostro mondo, l’unica
soluzione sarebbe azzerare tutto e rifare ogni cosa daccapo. Distruggere tutte
le certezze potrebbe essere il primo passo. Rimettersi in discussione,
re-imparare a pensare - ognuno con la propria testa – smettere di dare tutto
per scontato, ricominciare a dare ascolto al proprio corpo, alle proprie
sensazioni, alle proprie emozioni e ai
propri sentimenti. All’inizio è dura, lo so, ci si sente smarriti e
terribilmente soli. Ma quello è solo l’inizio. Altri seguiranno l’esempio…
Più tardi la carovana
di viaggiatori (che, via via, continuano ad aumentare) viene assalita da una
banda di individui chiusi in grosse armature nere, che fanno pensare alla
corazza di un enorme insetto. Icrione, Isbaldo e Idorno, nel tentativo di
difendere il gruppo di viaggiatori, vengono catturati. E’ opera della maga
Xayde, la quale fa recapitare un durissimo messaggio a Bastiano, di cui riporto
qui solo la parte principale:
“Essa
ordina che il salvatore si sottometta a lei incondizionatamente e giuri di
servirla da schiavo fedele con tutto ciò che è, che ha e che sa. Nel caso però
che a questo egli non fosse disposto, o che pensasse di ricorrere a qualche
inganno, per umiliare la volontà di Xayde, i suoi tre cavalieri Icrione, Isbaldo
e Idorno moriranno di una terribile, crudele e vergognosa morte, fra indicibili
torture”.
Il viaggio che Bastiano
sta compiendo serve proprio a liberarlo dalle tante forme di schiavitù in cui
ha vissuto la sua vita da terrestre, perciò sottomettersi a Xayde
significherebbe tornare ad essere schiavo, di un padrone diverso, ma comunque
schiavo. Bastiano dovrebbe cedere alla maga tutto il suo essere, tutta la sua
individualità, ed entrare a far parte di una collettività senza una volontà
propria (come gli individui nelle armature nere). Diventerebbe una delle tante
cellule di un organismo, una delle tante api operaie dell’alveare, una delle
tante formiche del nido.
Bastiano decide che la
cosa migliore sia coglierla di sorpresa e architetta un piano.
Il castello di Horok
assomiglia in maniera impressionante ad una gigantesca mano le cui dita sono
costituite la alte torri. Trovato il punto da cui entrare, Bastiano finalmente
raggiunge i sotterranei in cui sono rinchiusi i tre cavalieri. Liberarli dalle
catene che li tengono legati richiederebbe l’uso di una spada, ma Sikanda non
accenna a saltar fuori dal fodero. Solo quando viene braccato dai giganti corazzati,
finalmente, la spada magica si sguaina e inizia a menar fendenti micidiali
guidando con destrezza la mano di Bastiano (che ne approfitta anche per
spezzare le catene dei tre amici). Il pericolo – quello cui ci si può opporre
con la spada - almeno – sembra passato e i quattro risalgono le scale dei
sotterranei. In cima trovano Atreiu e Fùcur che si complimentano con Bastiano.
Ora devono trovare Xayde. Essa è nel salone della magia, bellissima, su un
trono di corallo rosso e con indosso una veste di seta viola. La sala è colma
di oggetti stranissimi, dall’utilità sconosciuta a Bastiano, che rimane
ammutolito. La maga, allora, corre verso di lui, gli afferra un piede e se lo
mette sulla testa. Dice che si sottometterà a lui e alla sua volontà come una
schiava ubbidiente, servendolo con tutto ciò che è, possiede e sa se lui le
concederà la grazia.
“Insegnami
ciò che tu ritieni degno di desiderio e io sarò la tua umile allieva e ubbidirò
a ogni cenno dei tuoi occhi […] e vedrai di cosa saremo capaci, unendo le mie
arti al tuo potere”.
Sembra pentita, Xayde,
e Bastiano decide di non punirla.
Fùcur viene costretto da Bastiano a portare
tutti loro, compresa Xayde, dagli altri viaggiatori. Quando il drago domanda
quale direzione debba prendere, è Xayde a rispondere “sempre dritto!”
Bastiano si limita a ripetere le parole della
maga e Atreiu cerca di metterlo in guardia dalla losca figura della donna:
“Questo
è tutto un suo piano, Bastiano. La tua vittoria è in realtà una sconfitta. Lei
ti ha lasciato vincere solo per accaparrarsi i tuoi favori”.
Bastiano si infuria:
“Chiudi
il becco e lasciami in pace! E se a voi due non piace ciò che faccio e ciò che
sono, andatevene per la vostra strada! Io non vi trattengo! Andate dove volete.
Ne ho abbastanza di voi!”
La maga sorride, di un sorriso malvagio e in
Bastiano si spegne in un istante il ricordo di essere stato, un tempo, nel suo
mondo, un bambino.
CAPITOLO
21: “Il Monastero delle Stelle”
Il viaggio verso la
Torre d’Avorio prosegue. Continuano ad arrivare ambasciatori da tutte le parti
e tra la folla ci sono ancora Fùcur e Atreiu, entrambi a testa bassa. Bastiano
ha un vessillo con un candelabro a sette bracci come simbolo e, quando la folla
si accampa, la sua tenda è sempre al centro. Durante il cammino è solito stare
alla testa del corteo, sul dorso di Iaia, ma sempre più spesso gli accade di
unirsi a Xayde sulla sua lettiga. La maga non fa che adularlo e Bastiano si
abitua a crogiolarsi nella pigrizia, nella vanità, nel cinismo e
nell’ipocrisia. Xayde sta ben attenta a non rivangare il passato di Bastiano
con domande che riguardino il mondo degli uomini e spesso fuma da un narghilè
che somiglia, per forma e colore, ad una vipera[2]. I
giganti ch’ella si porta dietro sono vuoti e quindi guidati dalla sua volontà,
la quale può appunto guidare tutto ciò che è vuoto. Anche la volontà di
Bastiano è in grado di guidarli e la maga spinge quest’ultimo a provare, così
da poter essere trasportato da strutture mosse da lui stesso, piuttosto che
dalla vecchia mula. In realtà Bastiano dice di cavalcare la mula non tanto
perché piace a lui, ma perché così facendo, accontenta l’animale. Così Xayde
gli fa notare che lui pensa troppo agli altri, ma nessuno vale tanto da poter
distrarre la sua vera ascesa. Gli consiglia, pertanto, di pensare un po’ di più
alla sua perfezione. Bastiano, così raggirato, congeda la sua fedele mula, ma
non prima di averla premiata per la sua fedeltà: il premio consiste nel darle una storia
personale in cui ella potrà farsi una famiglia felice. E’ risaputo che i muli
sono sterili, ma Bastiano usa il suo potere per forzare le cose e per permettere
a Iaia di avere figli e nipotini a cui raccontare di aver portato il salvatore di
Fantàsia sul suo dorso. E’ l’ennesima interferenza nel destino di altre
creature…
Ma, pur pensando di
aver compiuto una buona azione, Bastiano non riesce a dissipare il proprio
malumore né la propria malinconia.
“Il
fatto è che tutto dipende dal perché e da quando si fa qualcosa per amore di un
altro”.
Bastiano ha detto addio
a Iaia su consiglio di Xayde e non per uno slancio di amore vero e sincero.
Così la maga, per consolarlo e per “farsi perdonare” gli dona una cintura che
rende invisibile chi la indossa. Perché sia sua, Bastiano le deve fornire un
nome, pertanto la chiama “Cintura Ghemmal”. La indossa, ma la sensazione che
prova è sgradevolissima, allora cerca di aprirla, ma non vedendo più il proprio
corpo, non ci riesce. Xayde lo aiuta e gli spiega che bisogna prima imparare a
servirsene.
Non vedersi, non avere
percezione di sé, perdere il controllo… Sono tutte cose che contribuiscono
all’annullamento di un individuo. Nessuno può vedere Bastiano se indossa la
cintura, ma nemmeno lo stesso Bastiano è in grado di vedersi.
La cintura, secondo la
maga, dovrebbe servire a proteggerlo. Da cosa? Dal pericolo che alberga in lui
stesso:
“Saggio
è stare al di sopra delle cose, non odiare nessuno e non amare nessuno. Ma tu,
mio signore, tieni ancora all’amicizia. Il tuo cuore non è freddo e distaccato,
non è inaccessibile come la vetta di un monte, e in tal modo qualcuno potrebbe
arrecarti danno”.
Dicendo “qualcuno”,
ovviamente, Xayde intende Atreiu e insinua in Bastiano il dubbio che lui voglia
portargli via il medaglione.
Bastiano non dà credito
alle parole della maga, ma un tarlo comincia a rodergli la mente: desidera
essere saggio, un grande saggio, il più grande di tutta Fantàsia.
Da questo momento in
poi Bastiano inizia a prestare veramente attenzione al paesaggio circostante.
Così facendo si accorge di sei[3]
gufi[4]
che si stanno avvicinando a lui. I gufi in questione si presentano come i
messaggeri (notturni) volanti di Ghigam, il Monastero delle Stelle, mandati a
Bastiano da Ushtu, la Madre dell’Intuizione. Il Monastero è il luogo della
Saggezza[5] e
lì abitano i Monaci dell’Illuminazione. Ushtu è uno dei tre Grandi Meditanti
alla guida del Monastero e istruttori dei Monaci.
“Se
fosse giorno, allora sarebbe stato Scirkri, il Padre della Visione, a mandare i
suoi messaggeri, che sono aquile[6].
E nell’ora del crepuscolo, che sta tra giorno e notte, allora è Ysipu, il
Figlio dell’Intelligenza, a mandare i suoi messaggeri, che sono volpi[7]”.
Scirkri e Ysipu sono
gli altri due Grandi Meditanti, naturalmente.
Chi sono i tre
Meditanti? Sono le tre caratteristiche della Saggezza: l’Intuizione,
l’Attenzione[8]
e l’Intelligenza.
I gufi sono stati
mandati alla ricerca del Massimo Sapiente (Bastiano), affinchè egli si rechi da
loro e risponda alla domanda per la quale essi non hanno saputo trovare
risposta in tutta la loro vita.
Bastiano decide di
portare con sé Atreiu e Xayde.
Arrivati al Monastero,
incontrano i Meditanti e il più anziano dei tre, Scirkri, inizia a parlare:
“Da
tempo immemorabile meditiamo sull’enigma del nostro mondo. Ysipu pensa
diversamente da come Ushtu intuisce e l’intuizione di Ushtu è diversa dalla
visione che ho io che, a mia volta, vedo diversamente da come Ysipu pensa. Ma
così non può durare. Dobbiamo arrivare a una conclusione. […] Che cos’è
Fantàsia?”[9]
Quando Bastiano
risponde che Fantàsia è la Storia
Infinita, i tre Meditanti chiedono tempo per pensare a quella risposta. Si
accordano, quindi, per rivedersi la notte seguente.
Dalla meditazione che i
tre fanno nasce un altro interrogativo: vogliono sapere dove è scritta la
Storia Infinita. A questa domanda Bastiano risponde che la storia di Fantàsia è
scritta in un libro rilegato in seta color rosso rubino cupo. Ancora una volta
i tre Meditanti vogliono un giorno per pensare. La notte successiva c’è
un’altra domanda ad attendere Bastiano: dove si trova il libro in questione? La
risposta di Bastiano è: “Nella soffitta
di una scuola”.
I tre Meditanti ne
vogliono una prova. Bastiano li invita, allora, ad osservare il cielo dal tetto
del Monastero, la notte seguente. Dal tetto Bastiano vede in lontananza la
Torre d’Avorio, poi tira fuori dalla tasca la pietra che aveva trovato nella
città di Amarganta e ne pronuncia il nome ad alta voce, per la seconda volta.
Dalla pietra scaturisce una luce fortissima e in quella luce si può scorgere la
soffitta della scuola di Bastiano.
Una vera e propria ILLUMINAZIONE
per i tre Meditanti, che – però – formulano una nuova domanda per Bastiano,
ricominciando il ciclo per la ricerca di una nuova illuminazione…
Ovviamente Bastiano non
può rimanere nel Monastero a soddisfare le richieste dei Meditanti, così si
accinge a riprendere il viaggio verso la Torre d’Avorio.
“Bastiano
però, in quella notte, aveva perduto ogni ricordo della scuola. Anche la
soffitta, e persino il libro rubato con la copertina di seta color rubino cupo,
erano scomparsi definitivamente dalla sua memoria. E ormai non si chiedeva
neppure più come fosse arrivato in Fantàsia”.
Se ci si ricorda di
aver dimenticato una cosa, quella cosa verrà ricordata. Per dimenticare
realmente, quindi, occorre anche dimenticare di aver dimenticato…
A parte questo gioco di
parole e concetti sul quale vi invito a riflettere, vorrei soffermarmi su una
cosa di cui fino ad ora non ho parlato: la volontà.
Abbiamo detto che
desiderare è una cosa fondamentale se vogliamo cambiare la nostra realtà;
abbiamo detto che ci sono desideri “giusti” e desideri “sbagliati”; abbiamo
anche parlato di come fare a desiderare e delle caratteristiche che un
desiderio dovrebbe avere per essere ben formulato. Quello che non abbiamo detto
è che una delle condizioni fondamentali perché si realizzi è VOLERLO veramente.
Volere rappresenta la concretizzazione di un bisogno, ovvero di un desiderio
profondo. Se non sappiamo COSA VOGLIAMO VERAMENTE non potremo CREARE. Desiderio
e Volontà vanno di pari passo…
CAPITOLO
22: “La battaglia della Torre d’Avorio”
Bastiano è preda dei
dubbi. La sua mente lotta con due idee
contrastanti: da una parte l’impazienza e l’ansia di rivedere l’Imperatrice,
dall’altra il rifiuto di dover riconsegnarle AURYN.
Quando stanno per
raggiungere la Torre d’Avorio un messaggero avverte Bastiano del fatto che
l’Imperatrice non si trova lì. Una grande delusione lo investe e gli tornano in
mente le parole di Fùcur: “Nessuno può
vedere l’Infanta Imperatrice più di una volta”. A questo pensiero gli viene
nostalgia di Atreiu e Fùcur così decide di indossare la Cintura Ghemmal
per recarsi da loro senza ch’essi lo
vedano. Quando li raggiunge sente che Atreiu sta escogitando un piano per
portargli via l’amuleto. Non per gelosia, ma per impedire a Bastiano di
aggravare la situazione.
Bastiano decide allora
di impedire che ciò accada guidando con la propria volontà le vuote armature
della maga. Quando Atreiu e Fùcur vengono a trovarsi al cospetto di Bastiano,
questi li bandisce entrambi additandoli come ladro, uno, e come complice,
l’altro. Xayde è molto soddisfatta del comportamento del suo “signore”:
“Ora
finalmente hai raggiunto la tua vera grandezza, ora non t’importa veramente più
di nulla e nulla può più toccarti”.
“Xayde
sapeva molto bene che, proprio in quel momento, per nessuna ragione avrebbe
dovuto lasciarlo solo con se stesso. Era molto prossimo a sfuggirle”.
“Tu
sarai ora l’Infante Imperatore, mio signore e maestro… E ne hai tutto il
diritto. Con la tua venuta, tu non solo hai salvato Fantàsia, ma l’hai creata!
Noi tutti, io stessa, siamo soltanto tue creature! Tu sei il Massimo Sapiente;
perché ti spaventa tanto accettare l’onnipotenza che ti è dovuta?”
Xayde spinge Bastiano
ad usare il suo arbitrio per creare e distruggere a suo piacimento. Un tipo di
governo diametralmente opposto a quello dell’Imperatrice che ha sempre lasciato
la libertà di essere e di fare, a tutte le creature. Secondo la maga, quella di
governare Fantàsia è la vera volontà di Bastiano.
La maga è davvero
frutto dell’invenzione di Bastiano. In maniera indiretta, certo, ma anche lei è
scaturita dalla sua fantasia. E’ stata creata in un momento in cui Bastiano ha
desiderato di diventare pericoloso, temibile e temuto ed è quindi “nata” con lo
scopo di essere vinta, battuta. Ma non è il solo motivo per cui ha fatto la sua
comparsa in Fantàsia. Con il suo desiderio, Bastiano ha voluto - inconsciamente
– ottenere ammirazione e gloria imperitura, adulazione e sottomissione delle
altre creature di Fantàsia (compresi Atreiu e Fùcur). Ma questo non
rappresentava e non rappresenta neanche ora la sua vera volontà, ma soltanto
una tappa obbligatoria del suo viaggio per comprendere quale essa sia
realmente. E’ una creatura diabolica, Xayde, ma il Male, l’ostacolo ch’ella
rappresenta è funzionale alla
prosecuzione della crescita di Bastiano. E’ una sorta di Malefica Sacerdotessa
(e ricordiamo, a questo proposito, che indossa vesti viola). Il viola è un
colore estremamente ambiguo, legato alle funzioni religiose, nonché alla morte
e alla sventura. Il viola è, però, anche il colore del settimo Chakra[10].
“L’accoglienza
che venne tributata a Bastiano alla Torre d’Avorio fu festosa e solenne, come
egli aveva desiderato”.
Bastiano vuole arrivare
al padiglione che forma l’estremità della Torre, ma vede che il fiore di magnolia è chiuso e
l’ultimo pezzo di strada da percorrere è così liscio e ripido che è impossibile
percorrerlo. Arrivare lì deve essere un
dono.
“Se
c’era qualcuno che poteva fargli dono d’ora in poi di quell’ultimo pezzo di
strada, quello era lui stesso”.
Non riuscendo a salire,
però, ordina a coloro che sono stati i consiglieri dell’Imperatrice di studiare
un modo per salire fin sulla magnolia.
“E
ricordatevi che la mia pazienza ha un limite”.
Obbliga tutti a fare
giuramento di completa sottomissione al suo volere perché ora è lui il regnante
in carica. Per di più proclama che di lì a settantasette giorni esatti intende
incoronarsi Infante Imperatore.
Il comportamento di
Bastiano appare a tutti assolutamente mostruoso, ovviamente.
“[…]
non si occupò più di nulla. […] Nei giorni e nelle settimane che seguirono,
Bastiano invece passava la maggior parte del tempo immobile nella stanza che si
era scelto come privata dimora. Teneva gli occhi fissi davanti a sé e restava
lì senza far nulla. Gli sarebbe piaciuto poter avere ancora qualcosa da
desiderare, o essere ancora capace di inventare delle storie che gli tenessero
compagnia, ma si sentiva completamente svuotato”.
Si instaura in Fantàsia
un clima di ribellione, ma Xayde continua a incalzare Bastiano affinché, una
volta Imperatore effettivo, faccia piazza pulita di tutto ciò che non sia la
sua volontà.
E Bastiano inizia a
dire, persino: “Io voglio che loro
vogliano quel che voglio io”.
Ma è impossibile (e
profondamente ingiusto) intervenire e condizionare la Volontà/Libero Arbitrio
degli altri!
Il giorno
dell’incoronazione è il giorno della sanguinosissima battaglia della Torre
d’Avorio, quando i moti di ribellione e le sommosse diventano un vero e proprio
scontro punico. Scendono tutti in campo,
ognuno con uno scopo diverso. Anche Atreiu è nella mischia dei combattenti,
solo che “Atreiu non combatteva per se
stesso, ma per l’amico che voleva sconfiggere solo per salvarlo”.
Quando Bastiano si alza
dal suo trono di specchi (ormai in frantumi), sfida Atreiu, ma poiché Sikanda
resta nel fodero, Bastiano la sguaina con la forza e colpisce Atreiu. Ferito,
Atreiu cade all’indietro, ma viene afferrato da Fùcur, che lo porta via. Il
mantello di Bastiano, intanto, ha cambiato colore: è diventato nero come la
notte.
“La
sua vittoria aveva il gusto amaro del fiele e al tempo stesso gli dava una
sensazione di selvaggio trionfo”.
Qui, Bastiano ricorda
in maniera particolare Caino, mentre Atreiu – suo alter ego – può essere – in questo
caso – paragonato ad Abele.
Nello scontro muoiono
moltissimi Fantasiani e altrettanti rimangono gravemente feriti. Bastiano si
allontana dal campo con la cintura dell’invisibilità in tasca. Improvvisamente
il Padiglione della magnolia prende fuoco e si apre: dentro c’è solo il vuoto. L’ultima immagine del capitolo è quella di
Bastiano che parte alla ricerca di quello che è – secondo lui – il responsabile
di ogni cosa: Atreiu.
“Si
issò su uno dei giganteschi cavalli di metallo nero. […] Il destriero
s’impuntò, ma egli lo costrinse con la forza della sua volontà e lo spronò al
galoppo nel cuore della notte”.
Una delle cose peggiori
che possa capitare ad un individuo durante la sua crescita interiore è il
credere fermamente di avere ragione. Allora la volontà viene applicata ad una
cosa orribile chiamata ottusità. L’ignoranza (cioè il decidere volontariamente
di non vedere come stanno veramente le cose) è un ostacolo gigantesco. Chi ha
deciso di non mettersi più in discussione ha smesso di crescere e di evolversi.
CAPITOLO
23: “La Città degli imperatori”
Bastiano vuole vendetta
per non essere riuscito a diventare Imperatore. Cavalca alla ricerca di
Atreiu, ed è seguito da Xayde, la cui
volontà sembra giunta ai limiti delle possibilità. Nella mente di Bastiano
compaiono gli occhi e lo sguardo di Atreiu poco prima di cadere all’indietro,
ferito da Sikanda. Atreiu ha esitato, non si è avventato contro Bastiano per
strappargli AURYN con la forza e Bastiano si chiede il perché.
Mentre sta cavalcando,
Bastiano cade in mezzo ad un cespuglio: il cavallo metallico si è disintegrato
sotto di lui. Rimasto, dunque, anche senza cavalcatura, il ragazzino si alza,
si getta sulle spalle il mantello nero e si incammina verso la luce che sta
nascendo all’orizzonte. Non ha una meta, e – cadendo – ha perso anche la Cintura Ghemmal; non se ne è accorto, ma non
ha importanza perché con quella cintura Bastiano ha fatto soltanto danni…
Verso mezzogiorno
Bastiano giunge davanti ad una città stranissima che sembra frutto di una
follia collettiva. In questa città, ogni cosa dà l’immagine della pazzia.
Strani gli edifici e strani gli abitanti che, per quanto affaccendati, danno
tutti l’impressione di non sapere affatto dove vogliano andare. Tutti sono
dominati da una febbrile attività e il brulicare è intensissimo.
Bastiano fa la
conoscenza di Argax, una scimmietta che si fregia di essere il guardiano della
città. Argax spiega a Bastiano che “è
perfettamente inutile far loro [agli abitanti della città] delle domande, tanto
quelli non ti possono dire più niente. Si potrebbero chiamare i Nulladicenti”.
La città di cui si
parla in questo capitolo non ha nome, ma Argax la definisce la “Città degli
Imperatori” perché, anche se nessuno degli abitanti ha l’aria di un Imperatore,
un tempo lo sono stati tutti.
“Ogni
essere umano che non trovi la strada per tornare indietro presto o tardi vuol
diventare imperatore”.
La scimmietta propone a
Bastiano di fargli da Cicerone:
“Desideri
fare una piccola visita della città, signore? Diciamo… una prima conoscenza con
il tuo futuro luogo di residenza? […] Su, vieni, non costa niente. Il prezzo
d’ingresso lo hai già pagato comunque”.
Gli abitanti della
Città degli Imperatori si comportano in maniera strana, si ignorano come se
neppure si vedessero, non interagiscono né parlano tra loro. Eppure erano tutti
esseri umani, un tempo, proprio come Bastiano. Sono tutte persone che non hanno
ritrovato la strada per tornare nel loro mondo:
“Prima
non volevano e ora… diciamo… non possono più”.
Perché non possono più?
Semplice. Perché dovrebbero desiderarlo, ma ormai non desiderano più niente…
Hanno sprecato il loro ultimo desiderio in qualche altra cosa.
“Ma
perché, non si può continuare ad avere desideri fin che si vuole?”
“Certo
che no! Puoi continuare ad avere desideri fintanto che ti ricordi del tuo
mondo. Quelli che vedi qui invece hanno fatto fuori tutti i loro ricordi. E chi non ha più un passato non
ha neppure un avvenire, non ti pare? Per questo non invecchiano, […] ma restano
così come sono. Per loro nulla può cambiare, perché loro stessi non possono più
cambiarsi”
Bastiano scopre che
esistono due tipi di matti:
“Gli
uni hanno ceduto i loro ricordi a poco a poco. E quando hanno perduto anche gli
ultimi, nemmeno AURYN ha potuto più soddisfare alcun nuovo desiderio. […] Gli
altri, invece, che si sono fatti imperatori, quelli i loro ricordi li hanno
perduti sul colpo. Anche in questo caso
AURYN non poteva più soddisfare alcun desiderio, perché non ne avevano più. […]
Quando uno si proclama imperatore, AURYN scompare di propria iniziativa. E’
chiaro come il sole, si potrebbe dire,
perché dopotutto non si può usare il potere dell’Infanta Imperatrice per
defraudarla appunto del suo potere”.
Il risultato è, però,
lo stesso per entrambe le categorie: non possono più andarsene da lì.
Il messaggio è
chiarissimo: NON CI SI PUO’ SOSTITUIRE A DIO!
Interessante “Il Gioco
del Caso” inventato dalla scimmietta per tenere occupati i Nulladicenti.
Prendete il libro de “La Storia Infinita” e leggetelo: vi lascerà a bocca
aperta! Il significato del gioco è che, una volta spariti Desideri e Volontà,
non resta altro che affidarsi al Caso…
Tutto comincia a
prendere forma… Bastiano non è stato proclamato Imperatore per un soffio,
perciò porta ancora il medaglione. Atreiu ha probabilmente qualche merito, in
proposito. Quel che resta da fare a Bastiano, la sua unica via d’uscita, è
trovare un desiderio che lo riporti nel suo mondo. Ne ha pochissimi ancora a
disposizione, forse tre o quattro, quindi le possibilità che riesca a tornare
nel Regno (decima e ultima Sephira della Qabbalah) sono molto scarse.
“Nessuno
in Fantàsia sa dov’è, per quelli come voi, la strada che conduce nel vostro
mondo”.
Ovvio, no? I Fantasiani
sono una creazione degli uomini, non viceversa. E ognuno degli uomini è
diverso, ha desideri diversi e quindi una strada diversa. Bastiano non sa cosa
fare, “ciò che aveva desiderato era la
sua rovina e ciò che aveva odiato era la sua salvezza”. Le sue certezze
sono andate completamente capovolte, distrutte… Sfinito, si addormenta e quando
si sveglia ha perso il ricordo di essere stato un tempo capace di inventare
delle storie.
Decide di abbandonare
Sikanda e di seppellirla: “nessuno ti
deve trovare qui, prima che sia dimenticato ciò che è accaduto per mezzo tuo e
per colpa mia”.
Ora non gli rimane
altro da fare se non desiderare. “I pochi
ricordi che gli erano rimasti li poteva sacrificare soltanto per riavvicinarsi
al suo mondo e, anche in questo caso, solo quando fosse stato proprio
necessario. Ma i desideri non si possono evocare, né soffocare a piacimento”.
I desideri sono
BISOGNI, necessità. “Essi nascono dalle
profondità più remote del nostro animo, più nascosti di ogni altra intenzione,
siano essi buoni o cattivi. E a nostra insaputa”.
In Bastiano comincia a
nascere un nuovo desiderio. La solitudine in cui sta vagando da giorni gli ha
fatto desiderare di “appartenere ad una
comunità, di essere accolto in un gruppo, non come signore, capo o vincitore, o
come qualcosa di speciale, ma soltanto come uno fra gli altri, fosse anche il
più piccolo e meno importante, comunque come uno che fa naturalmente parte di
un gruppo”.
Ed è così che giunge al
Mare delle Nebbie, dove tutto è a misura di bambino anche se gli abitanti sono
adulti delle dimensioni di bambini. Personaggi talmente simili gli uni agli
altri che è quasi impossibile riconoscerli. Tutto, in questa città, è fatto di
giunco. La città è perciò chiamata “la città di giunco”, Yskal. Bastiano si
presenta a tre navigatori (gli Yskalnari) dicendo di chiamarsi “Uno”. Neanche
gli Yskanari usano nomi per chiamarsi.
Il Mare delle Nebbie, Skaidan, è noto perché la sua nebbia ha la
proprietà di togliere a chiunque e in qualunque momento il senso
dell’orientamento. Chiunque voglia attraversare il Mare delle Nebbie deve
rivolgersi ai tre uomini di mare che ho appena citato.
La cosa interessante è
che “come Bastiano poté presto notare,
tutti qui potevano totalmente ignorare la parola «io» e, parlando, si servivano
sempre del «noi».
Un viaggio sullo
Skaidan differisce di molto da qualsiasi viaggio in mare, perché non si può mai
sapere quanto si starà fuori né dove si arriverà. Il sistema di propulsione
della nave è l’energia. Né vele, né braccia, né remi servono a muoverla, ma la
forza del pensiero.
“Se
tu vuoi muovere le gambe ti basta pensarlo, no? Oppure devi manovrarle con
qualche sistema di ruote?”
“E
così Bastiano andò ora a scuola dai navigatori della nebbia e imparò il segreto
della loro comunanza: la danza e il canto senza parole”.
Senza parole non ci
sono fonti di fraintendimento e malintesi, non c’è la possibilità di litigare o
di trovarsi in disaccordo, ma gli Yskalnari non litigano mai anche perché non
hanno idee diverse: pensano all’unisono, un pensiero unico. Questo modo di
pensare non richiede alcuno sforzo e, alla lunga, diventa monotono, così come
monotona è la melodia dei canti del Yskalnari.
Con gli Yskalnari
Bastiano prova un benefico senso di appartenenza, eppure, nel profondo del suo
cuore si sente solo e inizia a desiderare di non esserlo più.
“Sentiva
che in tutto questo mancava qualcosa di cui egli aveva fame, ma non sapeva dire
di che cosa si trattasse”.
Gli Yskalnari non
provano questo senso di “fame” perché non sentono la mancanza di nessuno: per
loro il singolo non conta nulla.
“Ma
Bastiano vuole essere un individuo, un qualcuno, non soltanto uno come tutti
gli altri. E proprio per questo voleva anche essere amato, perché era così
com’era”.
Nella comunità di cui è
entrato a far parte c’è – sì – l’armonia, ma manca l’amore.
“Egli
non voleva essere il più grande, il più forte, il più intelligente. Tutte
queste cose le aveva ormai lasciate dietro di sé. Aveva una grande nostalgia di
essere amato così com’era, buono o
cattivo, bello o brutto, stupido o intelligente, con tutti i suoi
difetti. O addirittura proprio per questi. Ma lui com’era, in realtà? Non lo
sapeva più”.
Finalmente arriva
sull’altra sponda del Mare delle Nebbie e sceso a terra, Bastiano si incammina
per un sentiero sinuoso.
Tutti noi facciamo
parte di una comunità e parlando diciamo spesso “noi”, inserendoci in qualche
gruppo: “noi” italiani, “noi” operai, “noi” amici, “noi” studenti, e così via.
Quando, a volte, pronunciamo la parola “io”, però, non sappiamo di cosa stiamo
parlando: non apparteniamo a nessuna categoria e ci sentiamo soli e smarriti.
Da un lato sentiamo il bisogno di distinguerci dalla massa (per intelligenza,
bellezza, bontà o altre caratteristiche positive o – a volte – negative),
dall’altro abbiamo la necessità di appartenere ad un gruppo. Perché? Perché il
gruppo ci fornisce un’illusoria sensazione di conforto, di forza, di stabilità
di compagnia. Ma non siamo veramente amati, nel gruppo. Siamo accettati e
integrati finché sottostiamo alle regole imposte da quel gruppo, ma nel momento
in cui iniziamo a pensare autonomamente, con la nostra testa, diventiamo
inutili se non – addirittura – pericolosi. Il nostro nome non dice niente di
noi e non possiamo contare su quello per distinguerci DALLA massa. Il nostro
nome serve – semmai – a distinguerci NELLA massa, ma “io” non è un nome e non
dice alcunché di quello che è veramente “io”!
Nel mondo in cui
viviamo siamo soltanto delle “entità” che sommate tra di loro formano una
massa. Per capire meglio questo concetto vi invito a tornare un po’ indietro
con la memoria, a quando eravate bambini: vi hanno sempre spiegato che non si
possono sommare cose diverse. Esempio: 1 mela + 1 mela = 2 mele. Fin qui, tutto
bene. Ma 1 mela + 1 palloncino + 1 bicchiere = ? Qual è il risultato di questo
calcolo? Non si può fare. Per farlo, dovremmo considerare la mela, il
palloncino e il bicchiere – genericamente – semplici oggetti. Allora il calcolo
avrebbe questa forma: 1 oggetto + 1 oggetto + 1 oggetto = 3 oggetti. Cancellare
l’”io” in favore del “noi”…
E
voi volete essere “io” o “noi”?
CAPITOLO
24: “Donna Aiuola”
Che fine ha fatto la
maga Xayde? E’ morta durante la
permanenza di Bastiano nella città di Yskal. Vediamo come…
Xayde ha seguito
Bastiano ed è giunta nella Città degli Imperatori. Ragionando, è arrivata a
comprendere che se Bastiano era lì, allora non sarebbe servito più a niente né
a se stesso né tantomeno a lei e ai suoi
scopi. Così ha ordinato ai suoi giganti corazzati di fermarsi, ma quelli, inspiegabilmente,
hanno proseguito la loro corsa. Quando Xayde è saltata giù dalla lettiga e si è
messa davanti a loro per fermarli, quelli l’hanno calpestata a morte. Solo alla sua morte, le creature si sono
fermate di colpo. Icrione, Isbaldo e Idorno, visto il cadavere della maga,
pensano che si sia trattato di suicidio, dato che i giganti erano sotto il
controllo della sua volontà e così mettono fine alla campagna militare e
prendono ognuno una strada diversa, in una ricerca senza senso.
Certo, perché - prese
una per una - le caratteristiche impersonate dai tre cavalieri non servono a
molto. Sono come degli “io piccoli”, troppo piccoli per poter compiere un
viaggio tanto complesso e pericoloso come quello per la Grande Ricerca, o ricerca del “vero
io”.
Tornando a Bastiano…
Grande stupore lo
coglie nel vedere un cartello lungo il sentiero che sta percorrendo. Il
cartello in questione, recita:
“ALLA CASA CHE MUTA”
Il profumo delle rose
lo inebria e lo prepara a qualcosa di meraviglioso…
Camminando, Bastiano
arriva ad una casetta, una casetta con una particolarità: è in continuo
mutamento! Bastiano la osserva per un po’ con stupore e divertimento e mentre è
in contemplazione di quel bizzarro fenomeno ode una voce femminile, dolce e
calda, provenire dall’interno. Bastiano
trova la voce deliziosa e vorrebbe che la canzone fosse per lui. Non
trascriverò qui la canzone perché – come spesso vi ho detto – vorrei che
leggeste il libro anche voi!
Riporterò soltanto due
versi perché sono essenziali e riassumono in poche parole il significato di INIZIAZIONE:
“Gran
signore, sii bambino!
Torna
a essere piccino!”
Bastiano bussa e quando
ottiene il permesso di entrare vede, seduta a tavola, una donna “che aveva ella stessa un po’ l’aspetto di
una mela, bella tonda e con le gote rosse, dall’aria sana e appetitosa”. La donna ha un modo di guardare che ispira
fiducia e i suoi abiti sono fatti di fiori, foglie e frutti. Vorrebbe
abbracciarla, attratto da lei come se fosse sua mamma.
“Mentre
se ne stava lì a guardarla, fu colto a una sensazione che non aveva più
conosciuto da tanto, tanto tempo. Non poteva ricordare dove e quando l’avesse
provata, sapeva soltanto che, talvolta, si era sentito così quando era molto
piccolo”.
E’ una sensazione che
gli arriva probabilmente dal grembo materno, per questo non può ricordare, ma
soltanto “sentire”. “La sua mamma era
morta e non era certo qui in Fantàsia. Questa donna aveva lo stesso sorriso
amoroso e lo stesso modo di guardare che ispirava fiducia, ma la somiglianza
era al massimo quella di una sorella. Sua madre era una donna piccola e minuta,
questa invece era alta e di aspetto imponente”.
Per tornare nel proprio
Regno (decima Sephira), Bastiano deve “reincarnarsi” e “rinascere” e ora si trova – per l’appunto
nel grembo materno.
Bastiano pensa di
essere giunto lì solo per caso (pur essendo, invece, atteso da tempo, da più di
cento anni), ma la donna lo invita con dolcezza a magiare e a sfamarsi, mentre
lei si annaffia la testa. Il cibo è buonissimo e ogni frutto è più buono del
precedente. Mentre Bastiano mangia estasiato, la donna fiorita inizia a
raccontargli una storia: è la storia di Fantàsia e di Bastiano!
“Ma
dimenticavo di dirti come si chiamava il bambino atteso già da tanto tempo
nella Casa che muta. Molti in Fantàsia lo chiamavano semplicemente ‘il
salvatore’, altri ‘candelabro a sette bracci’ oppure il ‘Massimo Sapiente’, o
anche ‘Signore e Sovrano’, ma il suo vero nome era Bastiano Baldassarre Bucci”.
“In
verità ti aspettavamo da più di cento anni. Già mia nonna e la nonna di mia
nonna ti aspettavano. Vedi, ora A TE viene raccontata una storia che è nuova,
eppure parla di un passato antichissimo”.
Donna Aiuola si accorge
che Bastiano è ancora affamato, allora coglie per lui dei frutti dal “cappello”
che porta sul capo. Ho messo le virgolette alla parola cappello perché in
realtà quel cappello fa parte di lei come per noi i capelli. Bastiano è
perplesso e imbarazzato e intesse questo dialogo con la donna:
“Come
si fa a mangiare qualcosa che viene fuori da un’altra persona?”
“E
perché no? I bambini piccoli prendono pure il latte dalla mamma E’ una gran
bella cosa”.
“Già,
ma solo fintanto che sono piccoli piccoli”.
“Allora
adesso dovrai diventare di nuovo piccolo piccolo, bambino mio”.
Bastiano ricomincia a
mangiare e più mangia più la donna dà frutti sempre più splendenti. Ad un certo
punto Donna Aiuola invita Bastiano a trasferirsi nella stanza accanto perché
probabilmente la Casa che muta avrà preparato una sorpresa per lui. E infatti
la Casa ha allestito una stanza che faccia sentire Bastiano piccolo piccolo. La
Casa è una creatura buona che ama cambiare spessissimo ogni cosa dentro di sé
mettendo – a volte – tutto a soqquadro o a testa in giù. E’ burlona e
pazzerella, ma molto cara ed affettuosa. E’ più grande dentro che fuori.
Bastiano comincia ad
avere sonno, ma cerca di seguire il discorso di Donna Aiuola:
“Ho
sempre desiderato di avere un bambino. Anche mia mamma e mia nonna hanno
desiderato di avere un bambino. Ma soltanto io ne ho avuto uno, adesso.
[Perché] noi non moriamo, e non veniamo neppure al mondo. Noi siamo sempre la
medesima Donna Aiuola e al tempo stesso non lo siamo. […] E così siamo noi
stesse la nostra creatura e non possiamo essere madri. Per questo sono contenta
che tu sia qui, bambino mio”.
Donna Aiuola è Madre
Natura, è tutte le madri del mondo, è una sorta di Madonna, di Vergine Maria.
Non nasce e non muore, ma compiuto un ciclo vitale, appassisce e si chiude in
se stessa, finché una nuova stagione arriva e lei risorge a nuova vita. E’ come
un albero che vive le sue quattro stagioni eternamente, in un ciclo continuo:
primavera, estate, autunno, inverno. Una Fenice che risorge dalle proprie
ceneri.
E’ madre, Donna Aiuola,
e allo stesso tempo non lo è perché non dà mai alla luce una creatura, ma
sempre e solo se stessa. Ecco come ha fatto ad attendere Bastiano da più di
cento anni… La Casa, dunque, fa parte di lei e rappresenta proprio il grembo
materno, che muta di continuo, ma rappresenta anche il Mondo. Un mondo che è
più grande dentro che fuori? Certo! Tutti noi pensiamo che il nostro corpo sia
un involucro che basta a contenere l’”io”… Beh, il nostro “io” è molto più
grande di quel che vediamo quando guardiamo il nostro corpo.
Bastiano si addormenta,
cullato dalla ninna nanna della donna e quando la mattina seguente si sveglia
si sente bene, contento e soddisfatto. Tutto ciò di cui ha bisogno gli viene
fornito in abbondanza e Bastiano rimane con Donna Aiuola per diversi giorni.
Una sera, però,
Bastiano esordisce dicendo:
“Ho
sbagliato tutto. Non ho capito niente. Fiordiluna mi ha donato tante cose e io,
con i suoi doni, non ho fatto che combinare guai, per me e per fantàsia”.
Donna aiuola non è
d’accordo e gli risponde:
“Questo
non lo credo. Tu hai percorso la strada dei desideri, e quella non è mai
dritta. Hai fatto un gran giro, ma era proprio la TUA strada. E sai perché?
Perché tu sei di quelli che possono tornare indietro soltanto quando hanno
trovato la fonte da cui sgorga L’Acqua della Vita. E quello è il luogo più
segreto di Fantàsia. La via per arrivarci non è mai facile. […] Ogni strada che
conduce là risulta, alla fine, quella giusta”.
La Fonte in questione
si trova ai confini estremi di Fantàsia. Obiezione: Fantàsia non ha confini!
Invece li ha, solo che non sono esterni, bensì interni. Sono dentro, non fuori. “Sono nel luogo da cui l’Infanta
Imperatrice riceve tutto il suo potere e dove lei stessa non può arrivare”.
E c’è un solo modo per
arrivare là: con l’ultimo desiderio.
Grazie ad AURYN, ogni
desiderio di bastiano si è realizzato,
ma per ognuno di quei desideri lui ha perso qualcosa e anche ora perderà un
ricordo. Donna Aiuola non gli dice cosa perderà perché se Bastiano lo sapesse
in anticipo, farebbe di tutto per tenersi stretto quel ricordo. E’ necessario,
però, che sappia di non aver perso nulla in realtà perché:
“Nulla
va perduto, tutto si trasforma”.
Col passare del tempo,
Bastiano mangia sempre di meno e inizia a sentirsi sazio anche delle cure e
della tenerezza fornitegli da Donna Aiuola. Questo va di pari passo con il
risvegliarsi di un nuovo desiderio: ora è lo stesso Bastiano a voler amare.
Tale desiderio cresce in lui giorno dopo giorno perché quello è il suo ULTIMO
desiderio, la sua Vera Volontà. Ora che lo ha trovato, ha dimenticato suo padre
e sua madre: gli è rimasto soltanto il suo nome. Deve salutare Donna Aiuola e
la Casa e andar via, guidato dal suo ultimo desiderio.
CAPITOLO
25: “La miniera delle immagini”
Bastiano si mette in
cerca della fonte da cui sgorga l’Acqua della Vita e arriva fino ad un luogo
innevato ed immerso nel più totale
silenzio. Là vive e lavora Yor, un minatore cieco. Yor è cieco soltanto alla
luce, ma sottoterra, nelle profondità della sua miniera, ci vede
benissimo. La miniera è la cava di
Minroud, anche detta miniera delle immagini, ed è fatta per le persone che non
riescono a trovare l’Acqua della Vita. Yor spiega a Bastiano cosa rappresentano
le immagini contenute nella miniera in questione.
“Nulla
al mondo va perduto. Non ti è mai capitato di sognare qualcosa e poi, al
risveglio, non sapere più che cosa hai sognato?”
Yor acconsente a
portare Bastiano nella cava, ma ad una condizione: non deve emettere alcun
suono perché un rumore qualsiasi è in grado di distruggere tutte le immagini.
Le immagini sono lastre sottilissime di una specie di mica molto fragile
trasparenti e colorate, di tutte le forme e dimensioni. Non si sa cosa
rappresentino, il loro significato è per lo più misterioso, ma c’è proprio
tutto, anche se nelle combinazioni più grottesche.
Le immagini sono i sogni dimenticati degli
uomini. “E quanto più si scava in
profondità, tanto più sono fitti. Tutta Fantàsia posa su fondamenta di sogni
dimenticati”.
Se parlaste della miniera delle immagini ad uno psicanalista probabilmente vi direbbe che essa è il nostro inconscio e – forse - non avrebbe tutti i torti…
Se parlaste della miniera delle immagini ad uno psicanalista probabilmente vi direbbe che essa è il nostro inconscio e – forse - non avrebbe tutti i torti…
Ci sono anche quelli di
Bastiano e lui dovrà trovarne almeno uno. Perché? Perché Bastiano ha
dimenticato tutto, all’infuori del proprio nome e della propria volontà. Vuole
amare, Bastiano, ma quando avrà trovato la fonte, questa gli domanderà CHI
vuole amare e lui non potrà rispondere. Se non potrà rispondere non potrà
neanche bere l’Acqua della Vita e di conseguenza non potrà tornare a casa, nel
suo mondo.
“Perciò
l’unica cosa che ti può aiutare è ritrovare un sogno dimenticato, che ti dia
un’immagine con la quale arrivare alla fonte. Ma per questo dovrai anche
dimenticare l’ultima cosa che ti rimane: te stesso”.
Delle immagini che Yor
porta su dalla miniera Bastiano non ne trova nemmeno una che abbia valore per
lui, perciò il minatore gli consiglia di scendere e di andare a scavare
personalmente. Ma mentre Yor ci vede benissimo nelle profondità della terra,
Bastiano è completamente cieco al buio, perciò spesso va ad urtare contro
spigoli o sporgenze di roccia. A poco a
poco, però, impara a muoversi e ad orientarsi anche laggiù.
“Riconosceva
i passaggi e le gallerie con una sorta di sesto senso, un senso nuovo che non
si sarebbe mai potuto spiegare”.
“Raggomitolato
su se stesso come un feto nel grembo della madre, Bastiano giaceva nelle
tenebrose profondità delle fondamenta di Fantàsia e scavava paziente alla
ricerca di un sogno perduto, di un’immagine che potesse condurlo all’Acqua
della Vita. […] Non si lamentava e non si ribellava. Aveva perduto ogni
compassione per se stesso. Era diventato silenzioso e paziente”.
Bastiano sta vivendo
quelli che potremmo definire come gli ultimi momenti di una gestazione e ha
dimenticato quasi tutta la sua vita precedente.
Una sera porta in
superficie una lastra con un’immagine che lo sconvolge: è l’immagine di un uomo
in camice bianco, dal volto triste. Questa immagine gli risveglia una forte
nostalgia di quell’uomo sconosciuto e in quel frangente, Bastiano perde ciò che
ancora ricorda di sé: il proprio nome.
Ancora una volta il
sesto senso lo aiuta e nel cuore Bastiano “sente” le parole di supplica di
quell’uomo in camice bianco:
“Ti
prego, aiutami! Non abbandonarmi. Da solo non ce la faccio a uscire da questo
ghiaccio. Aiutami! Solo tu puoi liberarmi, solo tu!”
Bastiano può finalmente
rimettersi in viaggio, guidato dall’immagine che porta con sé, ma deve fare
molta attenzione a non perderla o romperla: solo lui sa cosa significa e oltre
quella non gli rimane più nulla in Fantàsia!
Sulla strada incontra,
però, gli Uzzolini che gli rammentano di quando Bastiano li ha trasformati. Ora
essi hanno di nuovo bisogno di lui perché si annoiano a morte a non avere delle
regole. Certo, bastiano li aveva trasformati da Acharai a Uzzolini con le
migliori intenzioni, ma le creature hanno pagato cara la sua bontà. La loro
richiesta a Bastiano è che lui diventi il loro capo. Rispondendo loro di non
poterli accontentare, li fa infuriare. Ne scaturisce una lotta in cui
l’immagine che Bastiano ha tenuto fino a quel momento al sicuro si rompe.
Ora tutto sembra
veramente perduto, ma all’orizzonte si stagliano due figure: sono Atreiu e il
Drago della Fortuna…
CAPITOLO
26: “Le Acque della Vita”
Bastiano, a cui non è
rimasto nulla, neppure il nome, si trova ora davanti ad Atreiu, la cui ferita
non sanguina più. I due giovani si guardano in silenzio poi Bastiano depone
AURYN ai piedi di Atreiu. A quel gesto, lo Splendore si illumina tanto
intensamente da abbagliare. Quando i tre riaprono gli occhi si trovano sotto
una immensa cupola i cui confini sono costituiti dai due serpenti che si mordono
la coda. Così stretti, i serpenti (uno bianco e l’altro nero) custodiscono le
Acque della Vita, che sgorgano da una fonte posta proprio al centro dell’ovale.
Bastiano fissa assetato quella fonte, ma non sa come raggiungerla. La fonte
canta un canto di gioia che solo Fùcur, Drago della Fortuna, può comprendere. E
le Acque (che più vengono bevute più si arricchiscono) continuano a ripetere:
“Bevi,
bevi! Fa’ ciò che vuoi!”
Ma Bastiano è senza
ricordi e senza ricordi non può entrare, così Atreiu si offre di rispondere per
l’amico. Le Acque vogliono sapere perché, se davvero i due sono amici, Atreiu
ha quella ferita sul petto e Atreiu risponde con parole sagge e meravigliose:
“Noi
avevamo entrambi ragione entrambi ci
siamo sbagliati. Ma ora Bastiano ha deposto volontariamente AURYN”.
A queste parole i
serpenti li accettano perché quel luogo è AURYN!
“Auryn è la porta che Bastiano cercava. Egli l’ha
avuta con sé fin dall’inizio. Ma, dicono loro, i serpenti non lasciano passare
nulla che venga da Fantàsia oltre la soglia. Per questo Bastiano deve deporre
tutto ciò che ha avuto in dono dall’Infanta Imperatrice. Altrimenti non può
bere l’Acqua della Vita. […] Dicono che qui finisce il potere di Fiordiluna. E
lei è l’unica che non può mai entrare in questo luogo. Non può penetrare
nell’interno dello Splendore, poiché non può deporre se stessa”.
I tre personaggi
entrano all’interno delle “mura” formate dai due serpenti e si dirigono verso la fonte:
“E
mentre vi si dirigevano, a ogni passo una delle meravigliose doti fantàsiche
che Bastiano aveva ricevuto in dono lo abbandonava. […] Così, da ultimo, rimase
tutto nudo davanti al gran cerchio d’oro al cui centro sgorgavano le Acque
della Vita […]”
Per un istante, nel
momento della transizione, Bastiano non sa a che mondo appartiene e viene colto
da una totale incertezza, ma inizia a bere e beve fino a quando la sua sete si
placa e la gioia lo colma. Naturalmente le Acque della Vita possono essere
ricondotte con facilità alle acque presenti nel grembo materno, di cui l’ovale
(formato dai due serpenti e dalla cupola) è proprio la rotondità di quello
stesso ventre. Quando la testa del serpente bianco si apre, è come se si
fossero “rotte le acque” e Bastiano – nudo - fosse entrato nel canale del
parto. Il buio e l’incertezza sono le stesse cose che tutti i bambini vedono e
sentono quando vengono fatti nascere perché il passaggio da un mondo all’altro
è stato faticoso e travagliato.
BASTIANO E’ APPENA
RINATO. “E la cosa più bella era che
adesso voleva proprio essere così com’era. Se avesse potuto scegliere fra tutte
le possibilità, non avrebbe scelto altro che questa. Perché adesso sapeva:
c’erano nel mondo mille e mille forme di gioia, ma, in fondo, tutte si
racchiudevano in una sola, quella di poter amare. E gioia e amore erano la stessa
cosa”.
Atreiu e Fùcur, nel
frattempo, iniziano a rendersi conto di essere già stati lì in precedenza. Non
hanno riconosciuto subito il luogo perché la prima volta vi erano stati portati
nel sonno ed erano stati ricondotti via mentre dormivano. Ma ora anche loro
ricordano.
Bastiano ha finalmente
ritrovato se stesso, ma per uscire dall’ovale e per ritornare nel suo mondo
deve passare attraverso la testa del serpente bianco. Solo che non può perché
prima di passare deve aver portato a termine tutte le storie cominciate in
Fantàsia! A meno che non trovi qualcuno che assuma questo compito in sua vece.
Atreiu e Fùcur si offrono volontari, così Bastiano può varcare l’altra soglia
dietro la quale non c’è altro che oscurità, un’oscurità nella quale Bastiano
invoca suo padre.
Nell’invocare il padre,
(in una sorta di pianto/vagito neonatale) Bastiano si ritrova di colpo nella
soffitta della scuola. Tutto è come lo aveva lasciato, ma il libro è scomparso.
Esce dalla scuola passando dalla finestra della soffitta e si dirige verso
casa. Il padre lo accoglie a braccia aperte e lui fa altrettanto. Scopre così
di essere stato via soltanto un giorno e una notte e di aver creato uno stato
di terribile angoscia nel proprio padre.
“E
allora Bastiano cominciò a raccontare tutto quello che gli era accaduto. Narrò
tutti i particolari e il suo racconto durò parecchie ore. Suo padre lo
ascoltava come mai aveva fatto prima d’allora. E comprendeva bene quel che
Bastiano diceva”.
“E
allora vide una cosa che non aveva mai visto prima di allora. Vide delle
lacrime negli occhi di suo padre”.
Bastiano, in qualche
modo, è riuscito a portare anche al padre un po’ di Acqua della Vita. Le
lacrime che sgorgano dai suoi occhi sono il segno che dimostra lo “sblocco” dei
sentimenti del padre di Bastiano. Nell’immagine impressa sulla lastra presa
dalla Miniera delle Immagini, l’uomo col camice bianco aveva un’espressione
fredda e triste ed è stato proprio questo a spingere Bastiano a tornare a casa,
dopotutto. Suo padre è cambiato e Bastiano sa che ora TUTTO sarà diverso,
migliore.
Resta una sola cosa da
fare: andare dal signor Coriandoli e spiegare la situazione. Bastiano vuole
farla personalmente, perché è finalmente in grado di assumersi le proprie
responsabilità.
Quando i due si
incontrano, però, il bottegaio dice di non ricordarsi del libro di cui Bastiano
parla e afferma che dalla sua bottega non manca nulla.
Bastiano racconta anche
a lui di tutte le vicissitudini passate a causa e per merito de “La Storia
Infinita” e alla fine del racconto si sente rispondere:
“Una
cosa intanto è chiara: tu quel libro non lo hai rubato, perché non appartiene
né a me, né a te, né a chiunque altro. Se non mi sbaglio, il libro stesso viene
da Fantàsia. Chi lo sa, forse in questo
preciso momento è arrivato nelle mani di qualcun altro che si è messo a leggerlo”.
Dal dialogo tra i due,
scopriamo che anche il signor Coriandoli è stato in Fantàsia e che anche lui ha
dato un nome all’Imperatrice, ma non ha letto “La Storia Infinita” perché,
afferma: “Ogni vera storia è una Storia
Infinita”. Fantàsia è diversa per ciascuno di noi e “ci sono una quantità di porte che conducono in Fantàsia. Di libri
magici come quello ce n’è più d’uno. Molta gente non se ne accorge neppure.
Dipende appunto da chi prende in mano un libro simile”.
Il signor Coriandoli
svela a Bastiano anche il motivo per cui l’Imperatrice non si possa vedere una
seconda volta:
“Da
Fiordiluna non ci puoi andare una seconda volta, questo è vero, fintanto che è
Fiordiluna. Ma se tu sei in grado di darle un altro nome, la puoi rivedere. E
per quanto spesso ti possa accadere ogni volta sarà la prima e l’unica”.
Con
queste parole illuminanti io vi lascio, ma non prima di avervi invitato, ancora
una volta, a leggere “La Storia Infinita”. E’ un libro straordinario, per la
bellezza della storia in sé e per la sua complessità. Gli elementi e i concetti
che la compongono sono – è proprio il caso di dirlo – infiniti e io ne ho
riportati e analizzati solo alcuni. Ognuno di voi, leggendo, scoprirà cose
diverse e vedrà cose che altri non possono vedere perché la Storia Infinita è
diversa per ognuno di noi. E’ la nostra storia, la storia di cosa eravamo prima
di nascere, di cosa siamo alla nascita e di cosa diventiamo una volta che
abbiamo raggiunto questo mondo. E’ una storia di speranza, perché tutti, in
qualsiasi momento, possiamo recarci a Fantàsia. Tutti possiamo ritrovare le
nostre origini e tutti possiamo scoprirci, riscoprirci e modellare la nostra
vita sulla base dei nostri desideri.
Se
avete l’impressione che qualcosa, il NULLA, vi stia prosciugando le energie e
vi stia rosicchiando l’intensità della vita, non dovrete far altro che trovare
la vostra vera volontà, quello che desiderate davvero. E scoprirete interi
continenti inesplorati dentro di voi; talenti, sogni e bisogni nascosti
verranno a galla e vi cambieranno la vita se saprete dar loro ascolto.
Il
NULLA è una sorta di Diavolo, che con l’abitudine, la routine, l’obbedienza
agli schemi mentali e molte altre “armi” e tecniche affinate, vi spegne i
sogni. Perciò, non fermate la vostra
Grande Ricerca, ma – al contrario – domandate perché se chiederete, vi sarà
dato.
[1] CONFESSIONE:
[Con il
sacramento della penitenza un credente, se sinceramente pentito, ottiene da Dio
la remissione dei peccati. È un sacramento amministrato necessariamente da un
vescovo o un presbitero ed è anche chiamato con il nome di riconciliazione o confessione.]
[2] Nella Qabbalah
esiste una Sephira che non è mai segnalata come tale e che si trova tra la
prima e la seconda. Rappresenta la Conoscenza e fa riferimento al frutto
proibito, simbolo del Peccato Originale biblico. E’ curioso che si parli del
narghilè come di una vipera, perché è come se si volesse rievocare la
tentazione di Adamo ed Eva da parte del serpente. Ad un certo punto Xayde dice
anche: “Il mio modo di sapere le cose, signore, non è di quelli che si possono
dimostrare”. La maga è una tentatrice, ammalia con i suoi gesti, con le sue
parole e con la sua sola presenza. Instilla dubbi e infila tarli nella mente di
Bastiano.
[3] Il numero 6 è
un chiaro riferimento al sesto Chakra e all’INTUIZIONE.
L’Intuizione
è rappresentata dalla terza Sephira della Qabbalah.
[ Il nome
sanscrito di questo chakra è AJNA che originariamente significava “percepire” e
in seguito “comandare”. Questo termine si riferisce alla duplice natura di
questo chakra, che accoglie le immagini con la percezione, ma costruisce anche
immagini interiori in base alle quali noi governiamo la nostra realtà.
L’intuizione è il riconoscimento inconscio degli schemi. E’ una delle quattro
funzioni junghiane (le altre sono la sensazione e il sentimento, collegati ai
primi due chakra e il pensiero che è collegato al settimo). Lo sviluppo
dell’intuizione accresce le nostre capacità psichiche ed è la funzione centrale
del sesto chakra. Senza l’intuizione ci è impossibile afferrare la totalità o
l’essenza di una cosa. Viviamo in una cultura che privilegia la logica
sull’intuizione. Da bambini non ci viene insegnato a dare ascolto alla nostra
intuizione e spesso le nostre impressioni sono tenute in poco conto se non
possiamo difendere con la logica il nostro ragionamento. Così, spesso diamo
poca importanza
alle nostre impressioni, perché non crediamo di poter veramente conoscere le
cose attraverso un percorso di pensiero non logico. Questa invalidazione
interna sopprime le nostre capacità psichiche.
L’intuizione
è “come il lampo di un fiammifero nel buio” (Sri Aurobindo)].
[4] IL GUFO. Nella mitologia greca è noto che la civetta (animale differente
rispetto al gufo, ma molto spesso identificato con quest’ultimo) rappresentava
la dea Atena ed era l’emblema della saggezza e della sapienza.
[5] La Saggezza è
rappresentata dalla seconda Sephira della Qabbalah.
[6] E’ nota la
cosiddetta “vista d’aquila”.
[7] La volpe è
universalmente nota per la sua grande intelligenza.
[8] L’Attenzione è
data dall’unione di Osservazione e Pensiero.
[9] Le tre qualità
sopra elencate sono complementari tra loro perché lavorano in modo molto
diverso l’una dall’altra.
[10] SETTIMO CHAKRA.
Plesso coronale. Nome sanscrito SAHASRARA (“mille volte ripiegato in sé”). Il
suo elemento è la luce e il tipo di energia a esso collegato è quello dell’energia spirituale. Nessun mantra
viene associato a questo Chakra in quanto lo si riconduce al silenzio e
all’ascolto mistico. L’animale simbolico è il SERPENTE ILLUMINATO (guarda caso
il simbolo de “La Storia Infinita” e l’animale cui somiglia il narghilè di
Xayde), le cui energie si sono trasformate fini a raggiungere il livello spirituale.
Il suo metallo è la pietra filosofale e noi abbiamo visto che l’Alchimia e le
varie fasi alchemiche sono due dei grandi temi posti alla base del libro di
Ende. La pietra filosofale è il prodotto finale delle trasformazioni
alchemiche. Il colore del settimo Chakra è, come abbiamo già detto, il viola, e
i suoi colori complementari sono: il bianco, la trasparenza incolore, l’oro. La
pelle di Xayde è, infatti, bianchissima.
L’oro è il metallo strettamente collegato all’Alchimia e alla Pietra
Filosofale. Le parole e le frasi chiave di questo Chakra sono: “Io trascendo”.
Senso dell’infinito, trascendenza, misticismo, filosofia, multidimensionalità,
abbandono del sé. Centro di unificazione delle attività spirituali. Saggezza,
beatitudine, illuminazione. Unione con l’Assoluto, estasi. Capacità di compiere
miracoli. Riunione di macrocosmo e microcosmo. Poiché è in relazione con
qualunque tipo di religione, questo vortice viene associato con la coscienza
cosmica (l’akasha degli Orientali) e
con l’energia divina. Chiamato anche “loto dai mille petali”, è collegato al
terzo Chakra. Tuttavia la conoscenza del “loto dai mille petali” è parziale,
essendo la sua vibrazione molto elevata e quindi, per certi aspetti, fuori
della comprensione umana.
[Parte delle informazioni qui
sopra riportate sono state da me reperite nel libro intitolato “Chakra – le
sette porte dell’energia” di Fabio Nocentini, Edizioni Giunti].
APPROFONDIMENTI E CURIOSITA'
Una
piccola curiosità sulla Morla (capitolo 3):
La Morla è
rappresentata come una enorme tartaruga d’acqua, ma non per caso…
Infatti, [secondo la
cosmologia induista, la Terra è una mezza sfera, collegata al cielo tramite il
monte Merhu, posto al suo centro e sostenuto da elefanti. La stessa Terra è
sostenuta da altri e più grandi elefanti, i quali si sorreggono su un’enorme
tartaruga che si appoggia su un serpente, detto Ouroboro, simbolo del tempo
ciclico, tanto grande da circoscrivere l’intero universo[1]].
La vecchissima Morla,
la Montagna di corno, l’Ouroboro… Niente è lasciato al caso!
[1] “FILOSOFIA – Storia delle idee dalle origini a oggi”
di Ubaldo Nicola. Edizioni Giunti.
VIDEO SUL MIO CANALE YOUTUBE:
La Storia Infinita || Iniziazione
CURIOSITA’
SULLA CINTURA GHEMMAL (capitolo 21 – “Il Monastero delle Stelle”).
La cintura che Xayde
dona a Bastiano ha il potere di donare l’invisibilità a chiunque la indossi e,
in questo, ricorda molto l’elmo di Ade:
“[…]
e Atena
845 mise il casco dell’Ade, perché Ares potente
non la vedesse”[1].
“Ma
abbiamo scoperto che la giustizia come tale è per l’anima il bene più prezioso,
e che questa deve agire secondo giustizia, che possieda l’anello di Gige oppure
no, e in più l’elmo di Ade”[2].
CURIOSITA’
SULLE ACQUE DELLA VITA (capitolo 26 – “Le Acque della Vita").
Le Acque della Vita di
cui parla Ende sono molto simili all’acqua del fiume Amelete (nella pianura del
Lete), ovvero l’acqua che le anime bevono prima di incarnarsi (o
re-incarnarsi):
“A
sera, le anime si accamparono presso il fiume Amelete, la cui acqua nessun vaso
può trattenere. Ognuna fu costretta a berne una certa quantità, ma quelle che
non erano protette dalla prudenza ne bevvero più del necessario: chi beveva
quell’acqua, si dimenticava tutto”[3].
[1] “Iliade” –
Omero – La grande biblioteca dei classici latini e greci – Fabbri Centauria, V
844-5, pagina 193.
[2] “La Repubblica”
– Platone - La grande biblioteca dei classici latini e greci – Fabbri
Centauria, Libro X, pagina 817 – Mito di Er.
[3] Mito di Er
tratto da “La Repubblica” di Platone - La grande biblioteca dei classici latini
e greci – Fabbri Centauria, pagina 843. Nota 73 (pagina 843): Lete significa «oblio».
Il fiume Amelete è quello che fa dimenticare ogni cura. Infatti nella pianura
del Lete l’anima dimentica il suo passato e si prepara a rinascere.
APPROFONDIMENTO
IMPORTANTE SUL CAPITOLO 11 (“L’INFANTA IMPERATRICE”).
Nell’undicesimo
capitolo si parla dei Sette Poteri dell’Infanta Imperatrice (e del Vecchio
della Montagna Vagante). Anche la Qabbalah ne parla e lo fa così:
32. “Questo è l’albero
che ha due sentieri […] per lo stesso fine (cioè il bene e il male, perché è l’albero
della conoscenza del bene e del male). E ha intorno a sé sette colonne (ossia i
sette palazzi), e i quattro splendori (ossia i quattro animali) turbinano
attorno a esso (in quattro ruote) sui loro quattro lati (secondo la quadruplice
descrizione del cocchio di Yechesqiel (Ezechiele).
[I sette palazzi rispondono alla 3ͣ,
4ͣ, 5ͣ, 6ͣ, 7ͣ, 8ͣ, e 9ͣ Sephiroth
operanti attraverso i rispettivi
ordini di angeli nelle sfere dei sette pianeti, Saturno, Giove, Marte, Venere,
Mercurio e Luna. I quattro animali, o Chaioth
Ha-Qadesch, sono i poteri vivificati delle quattro lettere del Tetragrammaton,
che operano sotto la presidenza della Prima Sephira come il principale movente
del primum mobile della creazione. Le
quattro ruote sono i loro correlativi sotto la seconda Sephira, sui loro
quattro lati, e cioè i quattro elementi, aria, fuoco, acqua, terra, che sono le
sedi degli spiriti degli elementi, i silfi, le salamandre, le ondine e gli
gnomi sotto la presidenza della decima Sephira]".
[1].
[1] Pagina 112 del
volume I di “Magia della Cabala” a cura di S. L. MacGregor Mathers – Edizioni Mediterranee
Roma.
APPROFONDIMENTO
SU MASCHILE/FEMMINILE
La ricerca dell’equilibrio
tra maschile e femminile è spesso presente nel libro de “La Storia Infinita”,
ad esempio nel capitolo 7 (“La Voce del Silenzio”), in cui compaiono le
definizioni di “Figli di Adamo” e “Figlie di Eva”. E’ un po’ come vedere la
distinzione tra i due emisferi del cervello umano (uno– si dice – preposto alla
razionalità, l’altro alla creatività). La distinzione (e il completamento) tra
maschile e femminile si vede anche e soprattutto in merito alla descrizione del
Vecchio della Montagna vagante e a quella dell’Infanta Imperatrice. La Qabbalah,
ancora una volta, ci fornisce una spiegazione a riguardo:
40. "Fra queste
Sephirot, unitamente e singolarmente, troviamo lo sviluppo delle persone e
degli attributi di Dio. Di essi alcuni
sono maschi e altri femmine. Per qualche ragione a loro nota, i traduttori
della Bibbia hanno accuratamente lasciato fuori ed eliminato ogni riferimento
al fatto che la Deità è insieme maschile e femminile. Essi hanno tradotto un plurale femminile con un singolare maschile nel caso della parola
Elohim. Tuttavia hanno involontariamente riconosciuto di sapere che si trattava
di un plurale in Genesi IV, 26: «Ed Elohim disse: Facciamo l’uomo». Egualmente
(V, 27) come poteva, Adamo, essere fatto a somiglianza di Elohim, maschio e
femmina, a meno che anche gli Elohim non fossero maschi e femmine? La parola
Elohim è un plurale formato dal
singolare femminile ALH, Eloh,
aggiungendo IM alla parola. Ma poiché IM è solitamente la terminazione del
plurale maschile, ed è qui aggiunto a un nome femminile, esso dà alla parola
Elohim il senso di una potenza femminile unita a un’idea maschile e quindi
capace di prolificare. Sentiamo parlare molto del Padre e del Figlio nelle
comuni religioni attuali, ma nulla si dice della Madre. Nella Qabalah, però,
troviamo che l’Antico dei Giorni si conforma simultaneamente nel Padre e nella
Madre e così genera il Figlio. Questa Madre è Elohim"[1].
[1] Pagine
29 e 31 del Volume I di “Magia della Cabala”, a cura di S. L. MacGregor
Mathers. Edizioni Mediterranee Roma.
ANCORA
SUI POTERI DELL’INFANTA IMPERATRICE…
Leggendo uno dei libri di
Igor Sibaldi (scrittore, filologo e studioso delle filosofie antiche),
intitolato “La teoria del tutto raccontata da te”, edito dalla Salani, ho
scoperto che anche nella filosofia induista esiste una classificazione dei
massimi poteri che il Dio Śiva ha (e che può ottenere anche l’uomo, seguendo i
suoi insegnamenti). Di otto poteri si parla, infatti, a pagina 205 del suddetto
libro, nei seguenti termini:
“E l’unione con Śiva
conferisce otto poteri, che sono:
la vista di ogni cosa
l’udire tutti i suoni
la comprensione di tutte
le cose
la conoscenza di tutte le
scritture
l’onniscienza
la velocità, pari a
quella della mente
l’assumere tutte le forme
il fare ogni cosa, sempre”.
Tratto da Pāśupata Sūtra,
I
Chissà… Forse Ende si è
ispirato al Dio Śiva per attribuire i poteri all’Infanta Imperatrice…
INCONGRUENZE
CHE NON SONO INCONGRUENZE…
Per quanto riguarda il
capitolo 16, Ende ci narra che l’eroe Inrico (e – come lui – tutta Fantásia) è
a conoscenza dell’esistenza della Morte Multicolore, ma come può esserlo, dato
che Graogramàn è stata “creata” solo poco prima? Ancora una volta il tempo,
così come lo consideriamo solitamente,
non ha valore nel mondo di Fantásia: una vita può trascorrere in un attimo e un
attimo può durare una vita o… un’eternità!
Esattamente come nella
fiaba di “Pinocchio”, nella quale (come lo scrittore Igor Sibaldi fa notare) lo
stesso Pinocchio viene riconosciuto e festeggiato dagli altri burattini come fosse
sempre esistito, mentre il lettore sa che è stato appena creato!
In realtà, quello di Pinocchio è il tentativo di una nuova incarnazione… ma vi rimando alle bellissime conferenze del già citato Sibaldi, per saperne di più.
In realtà, quello di Pinocchio è il tentativo di una nuova incarnazione… ma vi rimando alle bellissime conferenze del già citato Sibaldi, per saperne di più.
LA
“B” DI BASTIANO BALDASSARRE BUCCI…
Ancora una volta devo
dire “grazie” ai libri di Igor Sibaldi, questa volta – in particolare – per una
bellissima spiegazione della lettera “B” che si trova nel suo “Libro della
Creazione”, edito da Mondadori (da pag. 105 a pag. 107, capitolo che, non a
caso, si intitola: “La biografia della B”).
“Nelle religioni l’inizio
è per lo più un modo di escludere qualcosa che vi era prima, e che sarebbe d’imbarazzo.
[…] Quanto all’inizio di tutti gli inizi delle nostre grandi religioni, cioè
alle prime parole della Genesi, è opinione comune che non vi sia esclusione più
radicale.
In
principio Dio creò il cielo e la terra
significherebbe che
quello, e soltanto quello, si debba ritenere il vero «principio», cioè la
negazione di qualsiasi «prima». E molti obbediscono, e credono che così sia; e molti no, e ritengono che chi scrisse la Genesi non avesse voluto far sapere che
cosa vi era stato prima (per esempio, da dove venisse il Dio creatore) o che
non lo sapesse e che, con quella frase, volesse imporre il suo non-sapere, per impedire che si indagasse
più in là.
Il testo ebraico dà torto
sia agli uni sia agli altri. Vedremo che l’espressione solitamente tradotta con
«in principio» […] non significa all’inizio, e che il verbo «creò», in ebraico,
non è al passato remoto: sicché non è vero che in quel lontanissimo istante
cominciò tutto. Ma prima ancora, esploreremo la prima lettera di questa parola,
la B, che ha già moltissimo da dire
su ciò che Mosè intendeva come inizio di un universo, e di Dio, e di un’evoluzione
dell’umanità.
Osserviamo innanzitutto
che la B è la seconda lettera dell’alfabeto
ebraico, e che ciò è strano: in una lingua in cui le lettere contano non meno
delle parole, era lecito attendersi che un libro in cui si narra l’origine di
tutto incominciasse con la prima lettera dell’alfabeto, àlef. E sarebbe stato possibile: il nome del Dio creatore è ˊElohim,
con l’àlef iniziale. Sarebbe bastato
scrivere:
ˊElohim
creò.
Invece, Mosè non soltanto
volle quella B davanti a tutto, ma la calcò nella parola seguente (BaRa’: «dà
forma») […].
Gli premeva che la B attirasse l’attenzione.
E la B è il segno geroglifico di un luogo chiuso, di un’interiorità da
cui può formarsi e provenire qualcosa. Dimodoché si percepisce, il sottinteso: «Ma
tu che leggi, certamente ti chiederai quale fosse quel luogo-B da cui qui si cominciò, e da quando
esisteva? E non vorrai cercarlo?»
Numerosi commentatori lo
notarono. E di questi, alcuni amano credere che la Genesi fosse non il primo, ma il secondo libro della Creazione e he
il primo cominciasse, quello sì, con l’àlef.
E che forse Mosè lo distrusse, così come si narra che distrusse, nel deserto,
le prime tavole della Legge. O forse, chissà, lo nascose. […]
Più semplicemente, più
realisticamente e più avventurosamente al tempo stesso, quella B da cui incomincia il racconto può
essere intesa come l’interiorità di un individuo.
Un racconto deve essere
stato scritto da qualcuno. L’inizio del racconto dovrà dunque trovarsi in
costui, prima ancora che in ciò di cui narra. E il significato della nostra B diventa:
Come
comincia un Tutto, un intero universo? Per certo in un uomo, nella storia di un
uomo. Dentro di me, in tutta la mia vita, vi è qualcosa che ha prodotto ciò che
tu ora leggi.
E chi fu quell’uomo in
cui Dio incominciò, e come giunse quell’uomo all’inizio di Dio dentro di sé, è
narrato con precisione all’inizio del libro successivo alla Genesi: nei primi capitoli dell’Esodo – che narrano la nascita, l’infanzia,
la giovinezza di Mosè”.
IL
CANDELIERE A SETTE BRACCI
A pagina 98 de “La Storia
Infinita”, Bastiano si guarda attorno e nota, nello stanzone in cui si trova,
un candeliere a sette bracci: mi sono domandata spesso se quel candeliere
avesse un significato ancora più profondo di quello che io riconduco al numero
7 e… effettivamente è così. Poco tempo fa, sfogliando un libro intitolato “GHIMATRIA
– CHIAVE DELLA CABALÀ” di Arie Ben Nun, Edizioni Arktos 2007, ho trovato (a
pagina 198 e seguenti) riferimenti al numero 7 e – in particolare – proprio al
candelabro a sette bracci, ovvero la MENORAH (il “Candelabro del Tempio con le sette
braccia e dalla fiamma Perenne. La fiamma centrale è Perenne”).
Ciao , sono capitato su queste pagine grazie al video che hai pubblicato su YouTube , è veramente interessante la ricerca e l'approfondimento che hai fatto su uno dei miei libri preferiti , ti ringrazio per il tempo che gli hai dedicato . Mi sono stampato tutto e piano piano leggerò ogni tua riflessione per alimentare in me quel fuoco che accende una nuova ricerca
RispondiEliminaCiao Roberto, sono molto felice che il mio video ti abbia portato qui e sono ancora più lieta del fatto che la tua curiosità sia tale da averti spinto a voler approfondire, attraverso le mie parole, i significati nascosti di un libro tanto importante nella storia della letteratura. Se ti va (e se non l'hai già fatto), ti invito a leggere anche tutti gli altri saggi che ho dedicato a "La Storia Infinita": li trovi sempre qui, sul mio blog, in una pagina apposita, denominata, appunto "Tutti i miei saggi su La Storia Infinita". In quella pagina troverai approfondimenti sulle tre "B" di Bastiano, sul valore della Bellezza (nel libro di Ende, ma non solo), e sul coinvolgimento della Qabbalah all'interno del libro in questione (il sggio si intitola: Nuovi Mondi). "La Storia Infinita" è un libro davvero straordinario, una storia che è tutte le storie, un insieme immenso di simboli, miti, misteri ed enigmi; è un libro in cui ogni parola vuol dire più di ciò che sembra dire; è un libro per crescere tornando bambini...
EliminaGrazie ancora per il tuo splendido commento e il tuo interesse, Roberto, e buona crescita!