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LA BELLEZZA

sabato 28 gennaio 2017

"IL PESO DEI SEGRETI" di Aki Shimazaki. Feltrinelli.



TRAMA: Per tutta la vita Yukiko ha convissuto con un terribile segreto: la mattina del 9 agosto del 1945, prima che su Nagasaki fosse lanciata la bomba, ha ucciso il padre. In una lettera lasciata alla figlia dopo la  morte confessa il crimine e rivela di avere un fratellastro. Ben presto si scoprirà che non è solo Yukiko a custodire segreti inconfessabili. I racconti personali si intrecciano con le vicende storiche: la Seconda guerra mondiale in Giappone, i conflitti con la Corea, il terremoto del 1923. Le generazioni si susseguono ed emerge un ritratto lucido di una società, quella nipponica, piena di contraddizioni e legata alle sue tradizioni. Sullo sfondo, la natura, presenza costante e discreta, delicata ed elegante come la scrittura di Aki Shimazaki: il vento che accarezza una guancia, le nuvole in un cielo afoso d’estate, le lucciole che volano sopra un ruscello, il prato blu dei wasurenagusa*, le camelie nel bosco a Nagasaki. Frasi brevi, di raffinata semplicità, ora garbatamente poetiche, ora sensuali, che affrontano drammi privati e universali e anche la storia più cupa finisce per risolversi nella levità che Shimazaki ha saputo infondervi.



*Tutto il romanzo è costellato di termini in lingua giapponese che vengono ripresi, al fondo del romanzo stesso, in un praticissimo glossario.

RECENSIONE


Le vicende iniziano in medias res, con un’agghiacciante confessione di una madre ad una figlia: “Ora confesserò la verità. Non è stata la bomba atomica a uccidere mio padre. Sono stata io. E’ solo una coincidenza che la bomba atomica sia caduta il giorno della sua morte. A quanto pare, in un modo o nell’altro, sarebbe morto quel giorno”. Sono queste le parole che Yukiko, poco prima di morire, scrive alla figlia, Namiko. Non sarà l’unica verità rivelata in questo libro, interamente costellato di segreti che si sveleranno al lettore sotto forma di delicati colpi di scena. Delicati – certo – come del resto è la scrittura della Shimazaki[1]. Segreti che riaffioreranno, portando alla luce verità sconcertanti, dal peso insostenibile. Un romanzo caratterizzato da una devastante sobrietà stilistica; semplice, ma pregna di sentimenti e significati profondi. Una delicatezza che incanta, uno stile in grado di cullare e ammaliare il lettore.  Il superfluo non è presente, in questo libro: c’è solo l’indispensabile, l’essenziale. Non per questo si può definire uno stile scarno quello dell’autrice; semmai è disadorno e, forse proprio per questo, piacevolmente scorrevole e stranamente evocativo di immagini. E’ come se la Shimazaki ci fornisse delle parole chiave in grado di far dipingere alla nostra mente quadri completi di particolari e dettagli. Ci addentriamo lentamente nella coscienza di tutti i personaggi presenti nel romanzo, ci troviamo calati nei panni di ognuno di essi, a guardare al passato attraverso i loro occhi e il loro punto di vista. Il libro è, infatti, strutturalmente suddiviso in cinque macro blocchi narrativi, ognuno dei quali è narrato dal focus di un personaggio diverso. Assistiamo al formarsi di un’unica storia grazie all’intrecciarsi di più vite. Una storia ricca di storia e di storie, dunque. La Seconda Guerra Mondiale e il terremoto del 1923 fanno da scenario per le vicende e da alibi perfetto  per l’omicidio. Le tradizioni del Giappone saranno la chiave di Volta, l’input degli avvenimenti. Ogni parola acquisterà un senso come il dipanarsi di una matassa, fino a chiudere il cerchio delle vite coinvolte; fino a scoprire che queste ultime erano e sono tutte indissolubilmente legate l’una all’altra. Un libro fatto di attualità e ricordi in dosi bilanciate tra loro. Il ruolo del silenzio è dominante, tanto che si può arrivare a considerarlo il protagonista onnipresente e responsabile di ogni cosa. Il silenzio diventa quasi un personaggio, fortemente contrapposto al rumore della guerra, a quello della terra che trema.
 La dolcezza e la bellezza delle cose semplici permeano ogni pagina. Un romanticismo quasi magico e una grandissima sensualità avvolgono tutti i personaggi che rimangono in contatto – nonostante il passare degli anni - grazie ad una sorta di filo  invisibile. E’ presente anche un’altra personificazione, ossia quella della natura. La natura diventa quasi spettatrice silenziosa degli eventi, delle vicende e dell’impietoso scorrere del tempo.
Un romanzo da “assaporare” e da “vivere” sulla propria pelle. Tante piccole storie da scoprire per poterne scoprire una sola, grande, avvolgente.


[1] Aki Shimazaki è nata a Gifu, in Giappone, nel 1954, ma vive a Montréal, in Canada, dal 1991. I suoi libri sono tradotti in inglese, giapponese, serbo, tedesco, russo e ungherese. Con la pentalogia Il peso dei segreti si è aggiudicata il Prix du Gouverneur général nel 2005. E’ autrice di un secondo ciclo romanzesco composto da quattro romanzi intitolato Au coeur du Yamato e nel 2015 ha dato inizio a un terzo ciclo con Azami. Tra i suoi scrittori di riferimento ci sono marguerite Duras, Osamu Dazai e Ágota Kristóf.

giovedì 19 gennaio 2017

"NOVECENTO" di Alessandro Baricco. Universale Economica Feltrinelli.

Un viaggio attraverso gli occhi della gente. Vivere dei racconti e nei racconti degli altri. Un viaggio a scoprire il mondo intero, da seduti. Sul seggiolino di un pianoforte, mentre una musica - troppo bella per esistere davvero - aleggia nell'aria e il nostro cuore rimane sospeso tra sogno e realtà. Questo è "Novecento".
Alcuni stralci per iniziare ad assaporare questo monologo dal "sapore fiabesco":

- "Suonavamo perché l'Oceano è grande , e fa paura, suonavamo perché la gente non sentisse passare il tempo, e si dimenticasse dov'era, e chi era. Suonavamo per farli ballare, perché se balli non puoi morire, e ti senti Dio. E suonavamo il ragtime, perché è la musica su cui Dio balla, quando nessuno lo vede."

- "Lo era davvero, il più grande (Novecento, ndr). Noi suonavamo musica, lui era qualcosa di diverso. Lui suonava... Non esisteva quella roba, prima che la suonasse lui, okay?, non c'era da nessuna parte. E quando lui si alzava dal piano, non c'era più... e non c'era più per sempre...Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento."

- "Una volta chiesi a Novecento a cosa diavolo pensava, mentre suonava, e cosa guardava [...].
E lui mi disse: "Oggi son finito in un paese bellissimo, le donne avevano i capelli profumati, c'era luce dappertutto ed era pieno di tigri".
Viaggiava, lui.
E ogni volta finiva in un posto diverso [...].
Il mondo, magari, non l'aveva visto mai. Ma erano ventisette anni che il mondo passava su quella nave: ed erano ventisette anni che lui, su quella nave, lo spiava. E gli rubava l'anima. 
[...] Sapeva ascoltare. E sapeva leggere. Non i libri, quelli son buoni tutti, sapeva leggere la gente. I segni che la gente si porta addosso: posti, rumori, odori, la loro terra, la loro storia... Tutta scritta addosso. Lui leggeva [...]. Ci viaggiava sopra da dio, poi, mentre le dita gli scivolavano tra i tasti [...]".

- "Non era una di quelle persone di cui ti chiedi chissà se è felice quello. Lui era Novecento, e basta. Non ti veniva da pensare che c'entrasse qualcosa con la felicità, o col dolore. Sembrava al di là di tutto, sembrava intoccabile. Lui e la sua musica: il resto non contava".



giovedì 12 gennaio 2017

Recensione di "Io, robot" di Isaac Asimov. Oscar Mondadori Editore.



“Io, robot” è una splendida raccolta di 9 racconti futuristici, fantascientifici, di una realtà forse non troppo lontana da noi, in un tempo non così distante. 9 racconti basati su solide fondamenta: “le Tre Leggi della Robotica”.
1.     Un robot non può recar danno a un essere umano, né permettere che, a causa della propria negligenza, un essere umano patisca danno.
2.     Un robot deve sempre obbedire agli ordini degli esseri umani, a meno che contrastino con la Prima Legge.
3.     Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questo non contrasti con la Prima o la Seconda Legge.
                                                Manuale di Robotica, 56ª Edizione, 2058 d.C.
Un libro che si pone una domanda fondamentale: come affronteremmo – noi esseri umani – la convivenza con le macchine? Dove – per macchine -. si intendono, chiaramente, robot umanoidi, in grado non solo di svolgere compiti di ogni genere, ma anche in grado di pensare o addirittura leggere nel pensiero. 9 storie diverse e solo apparentemente scollegate, che invece hanno spesso in comune gli stessi personaggi. Gli androidi sono l’altro “filo di colla” attraverso cui si snodano le storie narrate. Storie così moderne e così attuali, che ci pongono di fronte a questioni etiche, morali, socio-politiche e scientifiche che non sembrano affatto appartenere all’epoca in cui sono state scritte (1950), ma ad oggi. Problematiche di ordine etico, morale e – non per ultimo – pratico, quindi; nuovi indirizzi professionali come la “robopsicologia” si prospettano all’orizzonte di un futuro in cui la nostra baby-sitter potrebbe essere una macchina. Racconti che svelano aspetti oscuri sia della psicologia umana, sia di quella robotica. Tecnologia all’avanguardia, viaggi nello spazio infinito, oltre la nostra galassia, oltre gli orizzonti conosciuti; e ancora: governo e questioni economiche mondiali gestite da macchine pensanti; nuovi bisogni e nuove esigenze per l’umanità ormai indissolubilmente legata, mescolata, ma non del tutto amalgamata ad una fetta di popolazione costituita da metallo e circuiti. Pregiudizi degli umani nei confronti delle macchine e viceversa; sì, viceversa, perché come l’uomo non si è mai fidato completamente delle proprie creature robotiche, così neanche queste ultime nutrono una cieca fiducia nei confronti di noi poveri esseri fatti di carne e di ossa. Sentimenti e sensazioni di ogni genere si intervallano in questo libro: paura, fiducia e diffidenza, superiorità e inferiorità, rabbia, amicizia, lealtà e molto altro ancora è presente in queste pagine che oltre a farci sorridere e commuovere, mirano a farci riflettere su dove siamo diretti e su quale futuro ci attende dietro l’angolo.
Come dicevo, le Tre Leggi della Robotica sono lo scheletro, l’ossatura di ogni trama, di ogni racconto. Sono l’ancora di salvezza per QUASI tutti i problemi sollevati all’interno delle varie storie; QUASI, perché talvolta anche tre regole così ben congegnate, possono ritorcersi contro i loro ideatori e rappresentare un intralcio non indifferente. Libero arbitrio e Leggi della Robotica non possono, infatti, andare di pari passo, così come, di sicuro, non possono farlo neppure personalità e rigidi funzionalismi.
Bello, emozionante, avvincente. Adatto a tutti.

Recensione di "INSEGNARE A VIVERE - Manifesto per cambiare l'educazione" di Edgar Morin. Raffaello Cortina Editore.



“Vivere è un’avventura. […] Quindi, insegnare a vivere non è solo insenare a leggere, scrivere e far di conto, né solamente insegnare le conoscenze basilari utili della storia, della geografia, delle scienze sociali, delle scienze naturali. Non è concentrarsi sui saperi quantitativi, né privilegiare la formazione professionale specializzata: è introdurre una cultura di base che includa la conoscenza della conoscenza.”
Tutte le materie sopracitate “non forniscono alcuna verità assoluta e definitiva, […] ma mezzi per svegliare e stimolare le menti.” Questo perché “vivere è affrontare continuamente il rischio di errore e di illusione nella scelta di una decisione.” Vivere significa dover scegliere e quindi poter sbagliare. Pertanto la vita è una scommessa, una lunga serie di avvenimenti la cui unica certezza è- perdonate il gioco di parole – l’incertezza. Il primo passo per insegnare a vivere è quindi quello di insegnare ad affrontare le incertezze e i rischi. Per vivere bisogna imparare a comprendere (sé stessi e gli altri), ecco perché è necessario preferire le competenze esistenziali a quelle nozionistiche.
Vivere –però – non è sopravvivere; vivere significa poter sviluppare le proprie qualità e le proprie attitudini. L’essere umano non è un oggetto, ma una creatura che possiede dei diritti oltre che dei doveri!
I valori che vanno di moda, oggi, sono il dominio (il potere), il controllo, il denaro (la ricchezza economica) e altre oscenità del genere, mentre si sono persi completamente la solidarietà, la convivialità, la serenità, la saggezza e il senso di libertà. Siamo tutti schiavi dei consumi, dei numeri, degli obblighi e dei doveri, ossia di quelle cose che ci tolgono il piacere e la capacità di vivere.
Come avrete potuto capire da queste poche righe, “Insegnare a vivere” presenta in maniera egregia ed esaustiva le problematiche della nostra società e dei nostri attuali metodi educativi, ma ciò che scarseggia è la proposta di esempi pratici per cambiare tutto questo.  Se non siamo più spinti dalla passione, dall’Eros per le cose, è chiaro che non potremo neanche pretendere di cambiare le fondamenta della nostra cultura, ma COME riconquistare (nella pratica) questa passione…beh, non ci è dato  saperlo.
I nostri giovani sono spinti per forza di inerzia a inglobare dati e cifre, che probabilmente non utilizzeranno mai nella vita reale, quella di tutti i giorni, quella fuori dalle mura scolastiche. I nostri cervelli vengono bombardati da informazioni e letteralmente riprogrammati, omologati e standardizzati, ma quando usciamo dalle scuole non siamo in grado di vivere: a malapena siamo in grado di sopravvivere. E dico “a malapena” perché a scuola non ci insegnano come guadagnarci il pane e la serenità, ma ci seppelliscono con palate di teoria che non sapremo mai mettere in pratica.
Diciamo che lo scopo di Edgar Morin voleva essere quello di farci aprire gli occhi, di farci prendere coscienza del fatto che abbiamo imboccato un vicolo cieco. Cosa succederà se non torniamo indietro e cambiamo strada? Secondo me cresceremo i nostri figli come una mandria di zombie senza sogni, senza desideri e senza valori. Ragazzi con “una, nessuna e centomila” personalità che vivono in realtà virtuali create da altrettanto virtuali amici di social. Gente che non avrà idea di cosa siano la compassione, l’empatia e la vera interazione umana; gente che non sarà in grado di pensare con la propria testa e di prendere decisioni importanti. Gente vuota, senza personalità, senza aspirazioni e priva di etica o di qualsivoglia morale. Individui paradossalmente massificati che avranno perso la voglia e l’interesse per la lettura, per il dialogo e per l’indagine di sé e degli altri. Un mondo svuotato dall’Eros che mondo potrebbe essere, secondo voi?