LA MIA SARA' UNA CHIAVE DI LETTURA DEL TUTTO SOGGETTIVA - CI TENGO A PRECISARLO - MA NON PER QUESTO IMPROBABILE O POCO PLAUSIBILE.
VI LASCIO ALL'INTRODUZIONE...
OTAIRAUQITNA
ILODNAIROC ODARROC
OLRAC ERALOTIT
Emblematico fin
dall’inizio, il libro de “La Storia Infinita” ha il suo principio in uno
specchio che riflette le parole impresse sulla porta a vetri di una
botteguccia:
ANTIQUARIATO
TITOLARE CARLO CORRADO CORIANDOLI
D’improvviso quella
porta si apre facendo comparire sulla scena un bambino di forse dieci, undici
anni. Quel che il ragazzino si trova davanti è una immensa distesa di libri,
oltre la quale si leva di tanto in tanto un anello di fumo; a produrlo è il
proprietario della bottega, il Sig. Coriandoli, per l’appunto. Carlo Corrado
Coriandoli è un uomo brusco, scostante, che lascia subito intendere al lettore
di non apprezzare i bambini:
“Si meravigli dentro o
fuori, ma chiuda la porta. C’è corrente. […] Io non posso soffrire i bambini”.
Il Sig. Coriandoli
accusa i più piccoli di non curarsi del mondo degli adulti; non tiene libri per
bambini nel suo negozio ed esclude a priori la possibilità di vendere al
cucciolo d’uomo giunto fino a lui uno qualsiasi dei suoi volumi. Il bambino non sa che – entrando nella
bottega del Sig. Coriandoli – ha dato il via alla propria Iniziazione e che
sarà proprio quell’uomo tanto burbero e scostante a permetterla. A dire il
vero, tutto comincia un po’ prima e più precisamente nel momento in cui – per
l’ennesima volta nella sua breve carriera scolastica – il bambino si trova
inseguito da alcuni bulli, suoi compagni
di scuola. Ma torniamo all’interno della botteguccia. Il piccolo protagonista
delle vicende si difende dall’atteggiamento del suo burbero iniziatore che
continua a incalzarlo a suon di accuse. Una, in particolare, fa breccia
nell’orgoglio del ragazzino:
“E in quanto a buone
maniere, […] non ne hai neppure per cinque lire. Altrimenti ti saresti per lo
meno presentato.”
“Mi chiamo Bastiano […]
Baldassarre Bucci”
“Nome piuttosto curioso
[…] con quelle tre B. Ma già, questa dopotutto non è colpa tua, il nome non te
lo sei dato da te.”
Curioso. Bastiano
Baldassarre Bucci. Tre B. Quasi a sottolineare il fatto di essere destinato a
vivere come eterno secondo.
Curiose anche le tre C
di Carlo Corrado Coriandoli. E sì, perché va detto che le lettere – i
capilettera, in particolare – hanno una funzione importantissima all’interno de
“La Storia Infinita”: ogni capitolo inizia, infatti, con una lettera diversa, a
partire dalla A, in progressione alfabetica, fino ad arrivare alla Z. Questo
particolare ordine sottolinea la progressione del percorso di crescita e
formazione di Bastiano. Bastiano ha in sé il forte desiderio di crescere
distinguendosi da quelli che lui stesso chiama “gli altri”, ovvero i suoi
compagni di scuola. Ma non sa ancora chi sia il suo vero “IO”. Fino ad ora ha
sempre avuto l’”IO” che gli è stato scolpito addosso da quando è nato, un IO
identificato da un nome che non ha scelto in autonomia. Bastiano è un ragazzino
goffo e goffi sono stati anche i suoi tentativi di distinguersi dagli altri
ragazzini. E’ codardo e anche scarso nei voti. Un disastro su tutta la linea,
insomma. Matto, svitato, minchione,
fanfarone, imbroglione sono solo alcuni degli epiteti con cui viene apostrofato
e con cui non può far altro che identificarsi. MATTO è l’appellativo più
interessante, però. Matto perché
racconta delle storie, inventa nomi e parole che non esistono; matto
perché queste storie, Bastiano, le racconta a sé stesso dato che nessun altro a
parte sé stesso è interessato ad ascoltarle. Nessun altro. Nemmeno suo padre,
unico genitore rimasto a Bastiano, il quale ha perso la mamma.
In maniera a dir poco
Provvidenziale proprio in quell’istante in cui Bastiano sta confidando queste
informazioni al Sig. Coriandoli, squilla il telefono del negozio. Il vecchio
burbero è costretto ad allontanarsi ed è allora che Bastiano viene folgorato
dall’impulso irrefrenabile di rubare il libro che – fin dal suo ingresso nel
negozietto – ha attirato la sua attenzione.
“Bastiano si rese conto
d’un tratto che in tutto quel tempo aveva tenuto lo sguardo continuamente fisso
sul libro che il signor Coriandoli aveva avuto in mano prima, quando sedeva in
poltrona. Non riusciva a staccarne gli occhi. Era come se da quel libro
emanasse qualche straordinaria forza magnetica che lo attirava
irresistibilmente.
Si avvicinò alla
poltrona, allungò lentamente la mano, toccò il libro, e in quello stesso
istante dentro di lui qualcosa fece “CLIC!” come se una trappola si fosse
serrata. Bastiano ebbe l’oscura sensazione che con quel breve contatto avesse
avuto inizio qualcosa di irrevocabile, che ora avrebbe proseguito il suo corso.
Sollevò il libro e lo
osservò da tutte le parti. La copertina era di seta color rubino cupo e
luccicava mentre la rigirava di qua e di là. Sfogliandolo fuggevolmente vide
che i fogli erano stampati in due colori diversi. Illustrazioni pareva non ce
ne fossero, ma in compenso vi erano meravigliosi capilettera figurati.
Quando tornò a
osservare la copertina, ci scoprì sopra due serpenti, uno scuro e l’altro
chiaro, che si mordevano la coda, formando così un ovale. E in questo ovale
c’era il titolo, in strani caratteri:
LA STORIA INFINITA”.
Quella che Bastiano ha
provato non era una semplice sensazione che qualcosa fosse scattato e avesse
dato inizio ad una reazione a catena inarrestabile, ma la pura e semplice
realtà dei fatti: Bastiano ha provato attrazione nei confronti del libro perché
un ricordo ancestrale gli ha suggerito il significato di quei simboli impressi
sulla copertina e tra le pagine.
LA COPERTINA ROSSO
RUBINO: notoriamente il colore legato al Primo Chakra, il rosso rappresenta la
natura istintuale, le pulsioni naturali e incontrollabili dell’uomo.
I DUE SERPENTI
INTRECCIATI: due serpenti e numerose interpretazioni non tanto distanti l’una
dall’altra. La prima interpretazione è sicuramente collegata alla Genesi: come
nella Bibbia anche qui c’è un divieto; e anche qui c’è un serpente (anzi, due) a tentare il
protagonista affinché dia il via alla propria Iniziazione. Il frutto proibito
è, naturalmente, il libro, che porterà l’iniziato alla conoscenza. Di cosa? Lo
vedremo in seguito, così come vedremo in seguito anche il significato de:
I DUE COLORI in cui è
stampato il libro: “La Storia Infinita” (le
prime edizioni) è stato stampato in rosso e in verde. In rosso sono scritte
tutte le parti che riguardano Bastiano e in verde tutte le parti che riguardano
Fantasia, ovvero l’altra faccia della medaglia.
La seconda
interpretazione è ovviamente legata al simbolo che insieme formano i due
serpenti: l’uroboro ovvero il serpente che si morde la coda è l’emblema
dell’infinito, ma è anche l’immagine assunta dalla psicologia analitica come
simbolo archetipico della condizione indistinta che precede lo sviluppo della
personalità.
Ma i due serpenti sono
anche Ida e Pingala che si avvolgono intorno a Sushumna, si inerpicano su per
la colonna vertebrale, partendo proprio dal Primo Chakra per arrivare al
Settimo.
Ida è adibita al
controllo dei processi mentali. Scorre nella parte sinistra del corpo. Inizia
nella parte destra e termina nella sinistra. Il suo simbolo è la luna.
Diminuisce la nostra predisposizione a identificarci con l’Ego. Rappresenta la
creatività e il suo fluire.
Ida è l’energia
femminile, fredda, negativa e lunare. Il metallo collegato è – infatti -
l’argento.
Pingala, invece, è
adibita al controllo dei processi vitali. Parte dal lato sinistro e termina in
quello destro. Incoraggia l’Ego.
Pingala agisce a
livello fisico ed è energia maschile, calda, positiva e solare. Il metallo
collegato è – infatti - l’oro.
I due serpenti del
libro sono, rispettivamente, uno chiaro e uno scuro, per indicare Yin e Yang,
l’unione dei due opposti in equilibrio perfetto.
I CAPILETTERA: vedi
sopra.
Rubando il libro – dicevamo
- Bastiano ha dato vita alla propria Iniziazione, ovvero quel meccanismo che
permette ad un individuo di intraprendere un percorso di crescita personale.
“La Storia Infinita” è – infatti – un percorso nel senso letterale del termine:
è un viaggio negli antri della mente ed è un viaggio fatto – naturalmente – di
tappe, tante quante sono le lettere dell’alfabeto. Lo scopo del viaggio è
quello di andare alla ricerca del proprio IO, del proprio potenziale e – per
estensione – della felicità personale.
La ricerca della
felicità è la ricerca del proprio IO. Chi trova il proprio IO trova la propria
volontà, la propria strada e – seguendola/perseguendola – trova, alla fine, la
vera felicità quella autentica. Alcuni fanno finta di averla trovata e vivono
in un’illusione che loro stessi si sono creati. Altri, frustrati dalla ricerca
di cose materiali, si smarriscono in tali cose e buttano via la loro vita.
Bastiano parte per il
suo viaggio con un’idea sbagliata, completamente distorta della propria
personalità. Bastiano è/si vede come lo
vedono gli altri: un colossale fallito. Ne è convinto. Pertanto il viaggio lo
aiuterà innanzitutto a perdere quelle pesanti zavorre che sono le certezze:
“Aveva rubato. Era un
ladro! […] Il papà non doveva venire a sapere che suo figlio era diventato un
ladro”.
Ma è proprio vero che
le nostre azioni ci identificano?
E’ proprio vero che se
penso di essere un ladro, allora lo sono?
“COGITO, ERGO SUM”?
Il mondo comincia a
stargli stretto:
“[…] a casa adesso
naturalmente non poteva più tornare”.
“Senza accorgersene
aveva preso la strada di tutti i giorni. Ora però questa gli parve addirittura
deserta, […] per uno che arriva con troppo ritardo, il mondo intorno alla
scuola sembra sempre come morto”.
La scuola, vista “come
una PRIGIONE, […] una penitenza che doveva semplicemente subire, muto e
rassegnato”.
“Allora gli fu chiaro
che d’ora in poi anche qui non c’era più posto per lui. Doveva andar via. […]
All’improvviso gli venne in mente il posto giusto”.
“La soffitta era grande
e buia. Odorava di polvere e di naftalina”.
Bastiano si rifugia in
un luogo antico, ancestrale: d’altronde per trovare sé stessi bisogna andare
alle origini di tutto e quindi quale luogo migliore di una soffitta? E’
sbagliato – però – considerare la soffitta unicamente come luogo fisico, perché
essa è prima di ogni altra cosa un luogo della mente!
“Conosceva quella
soffitta. […] Da allora non ci aveva più pensato. Ma adesso gli era tornato
alla mente giusto in tempo”.
E’ chiaro che conosce
quella soffitta: è una parte di sé!
E poi il tempo: altro
concetto da rivalutare se si vuole intraprendere un percorso come quello di
Bastiano. L’Iniziazione può richiedere tempi molto lunghi, ma è tutto relativo
al concetto di tempo lineare che l’uomo stesso ha creato. Un tempo in cui ci
sono il passato, il presente e il futuro. Il passato è irrimediabile, il
presente è inafferrabile e il futuro è inconoscibile. Questo è il concetto di
tempo a cui tutti noi sottostiamo e che ci limita grandemente. Abbandonare
questa certezza è uno dei passi fondamentali da compiere per entrare in sé stessi.
“Dopotutto qui sarebbe
dovuto rimanere per molto tempo. Quanto? A questo per il momento non aveva
ancora pensato e neppure al fatto che ben presto avrebbe avuto fame o sete”.
Certo, perché la
cercare non significa soltanto abbandonare le certezze, ma anche iniziare a porsi
domande e interrogativi, sviluppare nuovi bisogni, nuove necessità (ivi
rappresentati come fame e sete).
“Chiedete e vi sarà
dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede
riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto”. (Gesù, dal vangelo di
Matteo 7:7).
“La Storia Infinita” è
il libro di tutti i libri: una storia senza fine. Una storia diversa per ognuno
di noi, ma in cui tutti possiamo, anzi dobbiamo, rispecchiarci. La storia dell’essere
umano e – contemporaneamente – quella di ogni singolo individuo. Ma qual è –
dunque – la storia dell’essere umano? La ricerca dell’IO attraverso le domande,
le passioni, i desideri. E che cosa hanno in comune l’umanità intera e il
singolo individuo? La stessa ricerca, solo – però – attraverso domande diverse.
Il singolo, infatti, cercherà la propria identità attraverso le proprie
domande, le proprie passioni e i propri desideri. Tutto questo servirà a
risvegliare le coscienze, una dopo l’altra.
La passione. Altro tema
fondamentale nel libro di Ende. Le passioni e i desideri sono le forze motrici
del cambiamento: danno il via alle vicende e le portano avanti fino alla
completa evoluzione del protagonista. Ma anche questa volta Bastiano è ognuno
di noi. Gli manca – da accanito lettore qual è – una storia che non abbia fine.
La sua è una mancanza che l’autore stesso definisce passione. Ogni cosa che ci
manchi e che desideriamo fortemente scatena in noi una passione - infatti - quanti
al mondo possono vantare di svolgere il lavoro dei loro sogni?
“Bastiano non si era
mai dato pena di pensare se suo padre facesse davvero volentieri il suo lavoro”.
“Tentò di immaginare
suo padre […] perché suo padre faceva l’odontotecnico”.
Quando siamo piccoli
vediamo i nostri genitori o – più in generale – gli adulti intorno a noi come
inarrivabili, incomprensibili creature. Non vediamo gli esseri umani, ma il
loro ruolo: il ruolo di padre (nel caso di Bastiano). Pensiamo attraverso di
loro perché IMPARIAMO a pensare attraverso di loro: loro ci vedono stupidi? Noi
ci convinciamo di essere stupidi e allo specchio non faremo altro che vedere la
nostra stupidità. Staccarsi dal mondo così come lo conosciamo significa anche
staccarsi da questo tipo di pensiero, di mentalità filtrata attraverso l’opinione
altrui. Lo specchio (tema che viene ripreso continuamente nel libro) non ci
mostra esattamente la realtà, ma una sua stortura, la visione di noi attraverso
qualcos’altro. Lo specchio è un mezzo potente, ma anche altamente ingannevole e
se daremo retta SOLO a quello ci perderemo di sicuro buona parte di quello che
siamo.
“Mi piacerebbe sapere”,
mormorò fra sé, “che diavolo c’è in un libro fintanto che è chiuso.
Naturalmente ci sono dentro soltanto le lettere stampate sulla carta, però
qualche cosa ci deve pur essere dentro, perché nel momento in cui si comincia a
sfogliarlo, subito c’è lì di colpo una storia tutta intera. Ci sono personaggi
che io non conosco ancora e ci sono tutte le possibili avventure e gesta e
battaglie, e qualche volta ci sono delle tempeste di mare oppure si arriva in
paesi e città lontani. Tutte queste cose in qualche modo sono già nel libro.
Per viverle bisogna leggerlo, questo è chiaro. Ma dentro ci sono fin da prima.
Vorrei proprio sapere come”.
Chiarissimo – qui – il riferimento
al Destino. Quando veniamo al mondo, abbiamo un’infinità di prospettive, di
opportunità, di strade che si aprono davanti a noi, ma spetta a noi scegliere –
di volta in volta – quale strada seguire. Tutto è scritto, ma in una infinità
di versioni, perciò gli artefici della nostra storia siamo noi coi nostri
desideri; noi, guidati dalle nostre passioni, dal nostro intuito, dalla nostra
creatività e dalla nostra immaginazione. I sensi ci aiutano a definire ciò che
ci piace e ciò che non ci piace; il cervello ci aiuta ad elaborare le
informazioni, ma ciò che davvero ci fa da guida è il desiderio, anzi, I
DESIDERI.
CAPITOLO
1: “FANTÀSIA IN PERICOLO”
“E all’improvviso si
sentì avvolgere da un’atmosfera quasi
solenne. Si sistemò comodamente, afferrò il libro, aprì la prima pagina e
cominciò a leggere”.
E’ mezzanotte – a Fantàsia
– un “must”, quasi come a dire “Nel mezzo del cammin di nostra vita/ Mi
ritrovai per una selva oscura/ Ché la diritta via era smarrita”, la tempesta
infuria e rumoreggia con forza e le
creature del bosco sono smarrite. Persino il Fuoco Fatuo ha perduto la strada.
Il Fuoco Fatuo è un messaggero, ma non è da solo… Infatti nel bosco, proprio lì
a pochi passi da lui, ci sono altri tre messaggeri: un gigante della specie dei
Mordipietra, un Incubino e un Minuscolino. Ognuno con la propria cavalcatura a
fianco. Per il Mordipietra una bicicletta interamente in pietra, per l’Incubino
un pipistrello e per il Minuscolino nientemeno che una lumaca da corsa. Tutti
straordinariamente in pace e – cosa ancor più importante – con lo stesso scopo:
portare all’Infanta Imperatrice un terribile messaggio… Qualcosa sta
distruggendo, anzi ANNIENTANDO, le loro terre! Questo “qualcosa” è IL NULLA, ma
è difficile – per le creature di Fantàsia – spiegare cosa sia il Nulla. Non è
un buco (perché “un buco è già qualcosa”), non si presenta e non c’è una parola
per definirlo perché “quando si guarda in quel punto è come se si fosse ciechi”.
Il Nulla è il vuoto, ma anche il vuoto è qualcosa, qualcosa che… non c’è.
Dunque – il Nulla – è o non è? I più audaci potrebbero ipotizzare che il Nulla
sia una condizione, uno stato mentale, ma è meglio non affrettare le congetture
e andare per gradi.
Di sicuro Fantàsia e
tutte le creature che la popolano sono in grandissimo pericolo. “La Storia
Infinita” è – dunque – il libro adatto a Bastiano e a chi – come lui – ama IMMAGINARE.
“Perché questo lui lo
sapeva fare molto bene; forse era l’unica cosa che sapeva fare davvero molto
bene: immaginare le cose con tanta chiarezza che quasi le vedeva e le sentiva.
Quando si raccontava da solo le sue storie, talvolta succedeva che dimenticava
tutto ciò che aveva intorno e alla fine si risvegliava come da un sogno”.
Il viaggio degli
ambasciatori dura una settimana. Al termine dei 7 giorni (vedremo in seguito il
significato di questo numero simbolico) – finalmente – compare la Torre d’Avorio,
cuore del Reame di Fantàsia e dimora dell’Infanta Imperatrice.
“Il termine «torre»
potrebbe, per chi non ha mai visto questi luoghi, trarre forse in inganno,
facendo erroneamente pensare alla torre di un castello, o di un campanile.
Niente di tutto questo. La Torre d’Avorio era grande quanto un’intera città”.
Torre come punto più
alto della nostra psiche, come ritorno alle origini, alla purezza di quando
eravamo bambini. D’avorio come simbolo del candore e dell’innocenza infantile.
Fauna, flora e creature
d’ogni sorta popolano Fantàsia e la “città” della Torre d’Avorio. Ende ci ha
messo davvero di tutto: grifoni, cavalli alati, fenici, nani, folletti, fate,
troll, fauni, donnegatto, vampiri, fantasmi e molto, molto altro ancora così da
ricordarci quanto – nella nostra mente – sia contenuto.
A ribadire il concetto
di Purezza e dignità c’è il trono dell’Imperatrice: un padiglione dalla forma
di un bocciolo di magnolia.
All’arrivo dei nostri
quattro messaggeri la Torre d’Avorio e i suoi dintorni sono più affollati del
solito: sono, infatti, ivi riuniti gli ambasciatori di tutti i territori di Fantàsia
e tutti portano lo stesso messaggio che già conosciamo. Ciò che, però, scoprono
è spaventoso: l’Infanta Imperatrice è malata, molto malata, ma nessuno ha
ancora capito quale sia la malattia che la affligge, né – di conseguenza – la cura
per guarirla. Per di più, resta da appurare se la malattia dell’Imperatrice stia
causando l’avanzamento del Nulla o se – al contrario – sia il Nulla a causare
il pessimo stato di salute della Sovrana…
CAPITOLO
2: “LA CHIAMATA DI ATREIU”
Dicevamo – dunque – che
l’Imperatrice è gravemente malata. Ben 500 medici sono stati mandati a chiamare
perché si possa venire a capo della questione. 499 – numero che simboleggia l’incompiuto,
l’inarrivabile, l’incompleto – hanno già visitato la Sovrana senza essere
riusciti a formulare una diagnosi, pertanto attendono con ansia e speranza il
responso del cinquecentesimo medico. La vita dell’Imperatrice è estremamente
importante per il Regno di Fantàsia perché ella “era molto più di una sovrana, o per meglio dire era qualcosa di
completamente diverso.
Non
governava, non aveva mai fatto uso di violenza e neppure del proprio potere,
non dava mai ordini e non giudicava nessuno e non doveva mai difendersi da
alcun aggressore, perché a nessuno sarebbe mai venuto in mente di levare la
mano contro di lei o, peggio ancora, di farle qualcosa di male. Davanti a lei
tutti i suoi sudditi erano uguali.
Lei
era semplicemente lì, ma lo era in una maniera del tutto speciale: era il punto
focale, il centro di tutta la vita nel
Regno di Fantàsia.
E
ogni creatura, buona o cattiva, bella o brutta, seria o allegra, sciocca o
saggia, tutti, tutti esistevano solo in grazia della sua esistenza. Senza di
lei nulla poteva esistere, così come un corpo non può vivere se non ha il
cuore. Nessuno era in grado di comprendere completamente il suo segreto, ma
tutti sapevano che era così. E così appunto essa era in ugual misura rispettata
da tutte le creature del Regno, e tutti allo stesso modo si preoccupavano della
sua salute e della sua vita. Perché la sua morte sarebbe stata
contemporaneamente la morte di tutti, il declino, la fine dell’incommensurabile
Regno di Fantàsia”.
Chi è – dunque –
l’Imperatrice Bambina? Quando si parla di “punto focale”, di “centro di tutta
la vita” s’intende soltanto equilibrio di tutte le cose (Male/Bene, Nero/Bianco,
Yin/Yang, ecc.) o ci si può spingere a dire che la Sovrana rappresenta il
nostro “IO PIU’ GRANDE”, tutto ciò che c’è dentro di noi, tutto ciò che non
c’è, tutto ciò che potrebbe esserci e così via? L’Imperatrice è il punto più
alto della nostra coscienza e – non a caso – è situata nel punto più alto del
cuore di Fantàsia.
“IO più grande”, “punto
più alto della coscienza”… vale la pena di soffermarsi ad affrontare queste
definizioni. Quanti “IO” abbiamo? Innumerevoli! Basti pensare al fatto che ci
comportiamo in maniera differente a seconda delle persone con cui ci
rapportiamo, a seconda dei ruoli che dobbiamo svolgere, a seconda delle
sensazioni, delle emozioni e dei sentimenti che proviamo, a seconda delle
esperienze che facciamo ogni giorno… Insomma, “IO” è “IO”, ma in tanti modi
diversi. La teoria pirandelliana delle maschere
si adatta particolarmente bene a questo concetto. Ogni individuo
possiede un numero elevatissimo di “maschere” che “indossa” al variare delle
situazioni.
IMPERATRICE : CORPO
ETEREO = CUORE : CORPO FISICO
E – per dirla tutta –
il cuore non è solo un organo, ma anche la sede dei sentimenti, dei ricordi,
delle passioni; il cuore è il quarto chakra, ovvero la centrale tra le sette
sedi energetiche.
L’Imperatrice è la
“scintilla divina” presente in ognuno di noi, quella stessa scintilla che dà
origine alla creatività, è la sede dei desideri, è – per definirla come la
definirebbe Dante Alighieri – “L’amor che muove il sole e l’altre stelle”.
Dopo aver letto le
parole sopra riportate, Bastiano inizia improvvisamente a pensare al proprio
rapporto con il padre, rapporto che è profondamente mutato dalla morte della
madre.
“Bastiano
aveva tutto ciò che poteva desiderare. […] Ma in fondo, di tutto questo non se
ne faceva niente”.
Certo! Notate l’uso del
verbo POTERE. Potere – qui – è inteso come limitazione, come DOVERE,
paradossalmente. Bastiano si è accontentato, fino ad ora, ma è giunto il
momento, per lui, di accorgersi dei suoi veri desideri. E così, nel libro,
anche l’Infanta Imperatrice sta per spegnersi senza avere alcuna malattia, in
senso medico.
I molti “IO”, ovvero le
creature di Fantàsia, sono turbate e spaventate, rischiano di scatenare sterili
litigi tra loro. Perché va detto che “nel Regno di Fantàsia quasi tutte le
creature viventi, anche gli animali, padroneggiavano alla perfezione almeno due
lingue: la propria, di cui si servivano con i loro simili e che nessun estraneo
poteva capire, e una seconda, di uso generale, che si chiamava Altofantàsica o
anche, più comunemente, la Grande Lingua. Quasi tutti la conoscevano, anche se
qualcuno ne faceva un uso piuttosto singolare”.
Sono sempre andati
tutti d’accordo, si sono tollerati, ma è chiaro che – al venir meno delle solide certezze – inizi a farsi largo
una sorta d’impazienza, di fastidio generale.
Ma finalmente ecco
Cairone, il cinquecentesimo medico, un Centauro Nero che però – purtroppo – non
reca con sé buone notizie…
“[…]
al collo aveva, appeso a una catena, un grande amuleto d’oro sul quale si
vedevano due serpenti, uno chiaro e l’altro scuro, che si mordevano la coda a
vicenda formando così un ovale”.
“Nel
Regno di Fantàsia chiunque conosceva il significato di quel medaglione: era il
segno distintivo di colui che agiva per incarico dell’Infanta Imperatrice e che
era autorizzato a trattare in suo nome, come se lei stessa fosse presente.
Si
diceva che esso conferisse a colui che lo portava forze misteriose, sebbene
nessuno sapesse esattamente quali. Tutti conoscevano il suo nome: AURYN.
Ma
molti non osavano nemmeno pronunciare quel nome, lo chiamavano il Pantakel o
semplicemente il Gioiello o, ancor più semplicemente, lo Splendore”.
L’inizio che incontra
la fine e origina l’infinito, l’equilibrio di tutte le cose, la creazione
perpetua, la crescita continua, l’evoluzione.
Cairone ha ricevuto
dall’Infanta Imperatrice il compito di portare e consegnare lo Splendore alla
sola persona che possa salvarla: un eroe dal nome Atreiu.
“[…]
questo eroe si chiama Atreiu e abita nel Mare Erboso, dietro le Montagne
d’Argento; a lui io porterò AURYN e lo spedirò alla Grande Ricerca[1]”.
Per Grande Ricerca si
intende – naturalmente – la Ricerca dell’”IO più grande”, dell’”IO più
autentico”.
E’ emblematico che il
nome con cui molti abitanti di Fantàsia sono soliti chiamare l’AURYN sia
proprio "lo Splendore": quella dello SPLENDORE (nella Qabbalah) è – infatti –
l’ottava Sephira (HOD) delle 10 Sephirot presenti nell’Albero della Vita. Ma ci
saranno modo e tempo di approfondire la questione, anche perché – a parere mio
– la Qabbalah è uno dei pilastri su cui si regge tutto il libro. Avrete, inoltre, notato quanto la parola AURYN ricordi il termine latino AURUM (= ORO).
Nel frattempo Bastiano
prosegue la lettura e viene a trovarsi come al di fuori del tempo lineare:
“Il
campanile batté le dieci. Bastiano si meravigliò di come il tempo fosse passato
in fretta. Quando era a lezione, ogni ora di solito gli pareva durare
un’eternità”.
Veniamo, ora, ad
Atreiu: ha la stessa età di Bastiano, ma è il suo esatto opposto, il suo Alter
Ego – se vogliamo – o, ancora, l’altra faccia della medaglia. Atreiu è
coraggioso, intrepido, magnanime e orgoglioso. La contrapposizione perfetta a
Bastiano, così vile, ridicolo, sempre impacciato e inadatto. Atreiu fa parte
della tribù dei Pelleverde, grandi veneratori/cacciatori dei Bufali di Porpora
(ecco che ritornano i due colori in cui è scritto il libro). Anche Atreiu –
come il suo Alter Ego, Bastiano – deve affrontare la propria Iniziazione, ma
non nella maniera canonica prevista dalla sua tribù (ossia con la caccia e
l’uccisione del Grande Bufalo), bensì con lo svolgimento della missione per salvare
l’Infanta Imperatrice e, con lei, il Regno di Fantàsia.
“Portare
a compimento il suo incarico sarebbe probabilmente un’impresa impossibile anche
per il più grande e più esperto degli eroi, ma per te… Lei ti manda nell’ignoto
alla ricerca di qualcosa che nessuno conosce. Nessuno ti deve aiutare né
consigliare, nessuno può prevedere ciò che ti troverai ad affrontare. E tu devi
decidere immediatamente, sì, in questo istante, se accetti l’incarico oppure
no. Non c’è più un minuto da perdere”.
“[…]
non c’è bisogno che tu accetti l’incarico. L’Infanta Imperatrice lascia a te di
decidere. Non ti ordina nulla. Le spiegherò io come stanno le cose e lei ne
troverà un altro. Non può aver saputo che sei ancora un bambino. Ti ha
certamente scambiato per un altro, questa è la sola spiegazione”.
“In
che cosa consiste l’incarico?” domandò Atreiu.
“Trovare
la medicina per l’Infanta Imperatrice”, rispose il vecchio centauro, “e salvare
Fantàsia”.
“Eppure
l’Infanta Imperatrice mi ha fatto proprio il tuo nome. ‘Va’ e cerca Atreiu!’ mi
ha detto. ‘Ripongo in lui tutta la mia fiducia’, ha detto ancora. ‘Domandagli
se vuole assumersi l’incarico di iniziare la Grande Ricerca, per me e per Fantàsia’.
Così ha detto. Io non so proprio come mai la sua scelta sia caduta su di te.
Forse solo un bambino come te può portare a termine questo impossibile compito.
Io non lo so e non ti posso consigliare”.
Coraggiosamente, Atreiu
accetta la missione che gli è stata affidata e Cairone non può far altro che
consegnargli l’AURYN:
“AURYN
ti dà il grande potere”, esclamò in tono solenne, “ma tu non lo devi usare.
Perché anche l’Infanta Imperatrice non fa mai uso del suo potere. AURYN ti
proteggerà e ti guiderà, ma tu non dovrai mai attaccare, qualunque cosa tu
debba vedere, poiché da questo momento la tua opinione non conta più. Perciò
devi partire senza armi. Devi lasciare che accada tutto ciò che deve accadere.
Tutto deve essere uguale per te, il Bene e il Male, il Bello e il Brutto, la Stupidità
e la Saggezza, così come è per l’Infanta Imperatrice. Tu devi soltanto cercare
e domandare, ma mai sentenziare secondo il tuo giudizio”.
“Nessuno
sa quanto a lungo potrà durare la tua Grande Ricerca. Può darsi che ne vada di
ogni ora che passa! Vai a dire addio ai tuoi genitori e ai tuoi fratelli!”.
“Non
ne ho”, replicò Atreiu. “I miei genitori furono entrambi uccisi dal bufalo,
poco dopo che io ero venuto al mondo”.
“Chi
ti ha allevato?”
“Tutti
gli uomini e le donne insieme. Per questo mi hanno dato il nome di Atreiu, che tradotto nella Grande Lingua
significa: ‘Figlio di tutti’”.
Certo. Atreiu è figlio
di nessuno, quindi è figlio di tutti e per questo motivo la sua esperienza di Ricerca,
di crescita e di maturazione può essere quella di ciascuno di noi. A questo
punto Ende ci pone davanti al parallelismo tra Atreiu e Bastiano (notare, tra
l’altro, le lettere iniziali dei due
nomi, A e B): mentre Atreiu si sente figlio di tutti, Bastiano si sente figlio
di nessuno.
“Ciò
nonostante però Bastiano fu contento di poter avere in questo modo qualcosa in
comune con Atreiu, perché per il resto non aveva con lui nessuna somiglianza
purtroppo; non aveva il suo coraggio, la sua decisione e non gli somigliava
neppure nel fisico. Eppure anche lui, Bastiano, anche lui era alla Grande
Ricerca, e non sapeva dove lo avrebbe portato e come sarebbe andata a finire”.
“Da
dove devo cominciare?”
“Ovunque
e da nessuna parte”, gli rispose Cairone. “Da questo momento tu sei solo e
nessuno ti può consigliare. E così sarà fino alla fine della Grande Ricerca,
comunque essa possa finire”.
Atreiu non può portare
con sé le proprie armi, perché se vuole partire per CERCARE, deve abbandonare
tutte le certezze: se restasse ancorato ad esse non troverebbe alcunché e non
potrebbe in alcun modo progredire. Con sé può portare soltanto il suo cavallo,
Artax, una creatura col dono della parola che lo accompagnerà nel suo cammino.
E nello stesso istante in cui Atreiu parte alla Grande Ricerca, anche un’altra
creatura comincia a correre…
“A
lunghi salti silenziosi la creatura d’ombra prese ad avanzare a precipizio
nella notte senza stelle”.
Un altro pilastro
portante della narrazione è proprio l’OMBRA. Per adesso diremo soltanto che l’ombra
rappresenta l’OSTACOLO, quell’impedimento presente in tutte le fiabe.
Il capitolo 2 termina
con un altro parallelismo tra Atreiu e Bastiano, parallelismo in cui
quest’ultimo cerca – ancora una volta – di identificarsi in quello che ormai, a tutti gli effetti, è diventato il suo beniamino, ovvero Atreiu.
[1]
“Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché
chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto”.
(Matteo7:7)
CAPITOLO
3: “LA VECCHISSIMA MORLA”
Atreiu si mette in
cammino con Artax e – in prima battuta – attraversa le Montagne d’Argento.
Bastiano segue le vicende continuando a leggere e imitando – nel suo piccolo –
i gesti di Atreiu. Nel frattempo i minuti passano e – con essi – le
preoccupazioni di Bastiano per la perdita delle lezioni scolastiche. Una
piccola divagazione – a questo punto – è necessaria. Grazie ai pensieri di
Bastiano sulla scuola e sui suoi insegnanti, Ende ci illustra la banalità e la
superficialità del mondo dell’istruzione.
“Giù
in cortile la ricreazione era finita. Bastiano pensò un momento quale lezione
sarebbe cominciata ora. Ah, sì, giusto, geografia con la signora Magrini. Con
lei bisognava saper recitare a tiritera nomi di fiumi e affluenti, città e
numero di abitanti, ricchezze del sottosuolo e industrie. Bastiano fece
un’alzatina di spalle e riprese a leggere”.
Cit. tratta dal
capitolo 2: “Ora giù in classe c’era la
lezione di storia, con il professor Rombi, un uomo magro e patito, quasi sempre
di cattivo umore, che in particolare si divertiva a rendere ridicolo Bastiano
di fronte a tutta la classe perché non riusciva tenere a mente le date delle
battaglie, le date di nascita e gli anni di regno di qualche personaggio
storico”.
La scuola bombarda i suoi studenti con nomi, dati, date e cifre,
ma non si preoccupa di preparare i bambini a vivere. Nessuno ti insegna le cose
essenziali, ovvero l’importanza della ricerca della tua identità; nessuno ti
sprona a coltivare le passioni; nessuno ti lascerà mai libero di immaginare, di
sognare, di galoppare con la fantasia. I sognatori sono liberi e – come tali –
estremamente pericolosi per la società e per la civiltà le quali ci vogliono
obbedienti e rigorosi. Anziché accendere, la scuola spegne le menti per
garantire allo Stato, alle Istituzioni e ai Grandi Organismi, sudditi che non
abbiano le capacità e nemmeno la voglia di pensare.
“Nel
sonno Atreiu sognò i Bufali di Porpora. Li vedeva in lontananza correre
attraverso il Mare Erboso e cercava di avvicinarsi a loro con il suo cavallino.
Ma era inutile. Per quanto lui spronasse il suo bravo Artax, i bufali restavano
sempre alla stessa distanza”.
“Il
secondo giorno attraversarono la terra degli Alberi Cantanti. […] la ragione
per cui il paese portava quel nome era che si poteva udire la crescita della
vegetazione come una musica leggera che risuonava da lontano e da vicino,
raccogliendosi in un tutto tanto possente, che in quanto a bellezza non la si
poteva confrontare con nessun’altra cosa in tutta Fantàsia”.
Quando ci si lascia
alle spalle ogni certezza e si percorre un sentiero di ricerca, si torna a
“vedere”, a “sentire”, a percepire e a scoprire; si torna a meravigliarsi di
tutto. E’ come risvegliare i sensi da un torpore potente! L’importante è non
fermarsi, non accontentarsi, ma proseguire il cammino. Si dice che “chi si
ferma è perduto” – beh – io aggiungerei: “Chi si accontenta muore!”
“Il
terzo giorno vide le Torri di Vetro di Eribo […]”
“Nella
notte che seguì, Atreiu tornò a sognare che il grande branco dei Bufali di
porpora gli passava davanti. Vide chiaramente che uno degli animali, un toro
particolarmente grosso e poderoso, si staccava dal gruppo e si dirigeva verso
di lui, lentamente, senz’ombra di paura o di collera. Come tutti gli autentici
cacciatori, Atreiu aveva il dono di individuare immediatamente in ogni animale
il punto vulnerabile, dove bisognava colpire per ucciderlo. Anzi, gli sembrava
che il toro si mettesse addirittura nella posizione giusta per offrirsi come
bersaglio. Atreiu inserì rapido la freccia e tese l’arco con tutte le sue
forze, ma non riuscì a scoccare la freccia. Pareva che le dita gli si fossero
legate intorno alla corda dell’arco.
E
press’ a poco lo stesso gli accadde in tutti i sogni che fece nelle notti
seguenti. Arrivava sempre più vicino al Bufalo di Porpora (e si trattava
proprio dell’animale che avrebbe voluto uccidere durante la sua caccia,
riconoscibile dalla macchia bianca sulla fronte), ma per una ragione o per
l’altra non riusciva mai a far partire la freccia mortale”.
Qualcosa blocca Atreiu,
come un sesto senso, una premonizione che verrà svelata poche pagine dopo. Un
impedimento, quello del non riuscire a scoccare la freccia, che si rivelerà
ancora una volta Provvidenziale.
Le parole del Centauro
Nero iniziano a rivelarsi esatte: ovunque vada, Atreiu, ottiene il rispetto che
gli è dovuto, ma nessuna indicazione, consiglio o suggerimento.
Atreiu oltrepassa le
strade fiammeggianti di Brux, l’altopiano dei Sassafrani, “che nascono vecchissimi e muoiono quando sono diventati poppanti[1]”.
Arriva al tempio di Muamat e parla coi monaci, ma “anche di lì dovette ripartire senza aver ricevuto alcuna indicazione[2].
Al settimo giorno di
cammino, però, qualcosa accade “e nella
notte che seguì accaddero due fatti, completamente distinti fra loro, che
mutarono totalmente la sua situazione interiore e anche esteriore”.
Compare,
qui come in molti altri punti de “La
Storia Infinita” il numero 7. Questo numero possiede molteplici significati
tra cui l’intuizione, la capacità di fondere realtà e magia e quella di rendere
reale quella stessa magia. Per i Pitagorici rappresentava la perfezione del
cerchio e – per estensione – della ciclicità. Assolutamente in linea, quindi,
con il concetto di infinito che permea tutto il libro. Ancora una volta, però,
è doveroso citare la Qabbalah, in cui la settima lettera (Zain) è associata
alla capacità discriminativa della nostra mente, ovvero la facoltà di
discernere il Bene dal Male e di allontanare – di conseguenza – tutto ciò che
ci impedisce di crescere spiritualmente. Non a caso, la forma della lettera è
simile a quella di un pugnale, di un’arma da taglio con la quale combattere per
la nostra sopravvivenza. “Zain” significa, letteralmente, “strumento di guerra”
ed è appunto lo strumento con il quale possiamo lottare sia per vivere, sia per
progredire. Il numero 7, pertanto, rappresenta la perfezione data
dall’equilibrio degli opposti.
Ecco,
dunque, che si spiega ulteriormente anche il numero 8 dell’ottava Sfera di cui
parlavamo nell’analisi del secondo capitolo. L’8 non è altro che la
trascendenza del numero 7, il momento in cui Atreiu e Bastiano entrano in una dimensione che va
oltre il tempo perché il numero in questione rappresenta l’ingresso del finito
nell’infinito…
Atreiu si trova nel
Bosco Frusciante, luogo in cui vivono i Trolli di Corteccia, ovvero enormi
creature dall’aspetto di tronchi nodosi. Tre Trolli menomati dal passaggio del
Nulla si avvicinano al ragazzino, per avvertirlo:
“Non
devi assolutamente proseguire per questa strada, altrimenti sei perduto”.
“La
distruzione si va estendendo, […] il Nulla cresce. Tutti gli altri sono fuggiti
per tempo dal Bosco Frusciante, ma noi non volevamo abbandonare la nostra
terra. E così ci ha colti nel sonno[3]
e ha fatto di noi ciò che ora tu hai davanti agli occhi”.
“Fa
molto male?” domandò Atreiu.
“No.
[…] E’ soltanto che ti manca un pezzo. E una volta che si è colpiti, ogni
giorno ti manca qualcosa di più. Presto non esisteremo più del tutto”.
“Qual
è il punto del bosco dove è cominciato?” volle sapere Atreiu.
“Lo
vuoi vedere? […] Ti porteremo fino a un punto da cui potrai vedere, ma, da
parte tua, devi promettere di non andare un passo più in là. Altrimenti ne
sarai attratto irresistibilmente. […] Arrampicati più in alto che puoi […] e
guarda dalla parte da cui sorge il sole. Là lo vedrai, o meglio NON lo vedrai.”
Chi non è disposto a
staccarsi dalle proprie convinzioni e ha quella presunzione o soffre di quella
sorta di accidia che lo ancora al passato, alle comode - ma vincolanti –
certezze, ha già iniziato a morire. Una morte psichica, mentale, che – però –
lentamente porta anche alla morte del fisico, alla morte materiale. E’
difficile resistere all’annichilimento, all’attrazione che il Nulla esercita
sulle nostre menti, ma “non c’è occhio
che possa sopportare di fissarsi nel Nulla assoluto”.
“E
fu in quella notte che lo aspettava il secondo evento che doveva dare una nuova
direzione alla sua Grande Ricerca.
Sognò
cioè, e ancor più chiaramente di quanto avesse mai fatto fino ad allora, il
grande Bufalo di Porpora che avrebbe voluto uccidere durante la sua caccia.
Questa volta gli stava davanti senza arco né freccia. Si sentiva piccolo
piccolo e la testa dell’animale lo sovrastava colmando tutto il cielo. Allora
udì il bufalo che gli parlava. Non poteva afferrare ogni parola, ma ciò che il
bufalo disse era press’ a poco questo: «Se tu mi avessi ucciso, ora saresti un
cacciatore. Ma tu hai rinunciato, così io ora ti posso aiutare, Atreiu.
Ascolta! C’è in Fantàsia una creatura vecchissima, la più vecchia di tutte
quelle vi abitano. Lontano, lontano di qui, nel nord del Regno, si trovano le
Paludi della Tristezza. Nel mezzo di queste paludi si alza la Montagna di Corno,
là abita la vecchissima Morla. Vai a cercare la vecchissima Morla!»
A
quelle parole Atreiu si svegliò”.
Atreiu ha preferito
andare alla ricerca della propria identità anziché percorrere la strada di un
destino già segnato che lo avrebbe visto cacciatore come tutti i membri della
tribù dei Pelleverde. Ha preferito l’”IO” al “NOI” e ora questa scelta lo
ripaga del sacrificio fatto staccandosi dalla comunità, da un ambiente
annichilente.
Seguito
dall’ammirazione di Bastiano, Atreiu si dirige verso nord e “quanto più si spingeva verso nord, tanto
più si faceva buio”, fino a che “dall’alto
di una collina egli vide finalmente le Paludi della Tristezza”.
Artax comincia ad
esprimere la propria preoccupazione al padrone:
[…]
penso che dovremmo tornare indietro. Non ha senso andare avanti. Stiamo
inseguendo qualcosa che hai soltanto sognato. Ma non troveremo niente. E forse
è anche già troppo tardi. Forse l’Infanta Imperatrice è già morta e tutto quel
che facciamo non ha più alcun senso. Torniamo indietro, padrone, dammi retta,
torniamo indietro.”
Il cavallo ha, ormai,
perso la speranza; la tristezza cresce nel suo cuore e il suo corpo,
appesantito, inizia a sprofondare nella palude. Atreiu, invece, porta lo
Splendore, pertanto è protetto dallo sconforto, mentre Artax muore, inghiottito
dal fango.
“In
una maniera che gli restava del tutto incomprensibile, il segno inviatogli
dall’Infanta Imperatrice lo guidava sulla giusta via”.
Infatti, dopo aver a
lungo vagato, il nostro giovane eroe trova la Montagna di Corno. Essa non è
altro che una enorme tartaruga d’acqua: la vecchissima Morla. La Morla ha un
modo assai bizzarro di parlare: usa il plurale maiestatis, anche con sé stessa.
E’ una creatura scostante, la vecchiaia
l’ha resa insensibile alle questioni più importanti e persino alla morte.
“Sta’
a sentire”, gorgogliò la Morla, “noi siamo vecchi, piccolo, troppo vecchi.
Abbiamo vissuto abbastanza. Abbiamo visto anche troppo. Per chi sa tante cose
come ne sappiamo noi non c’è più nulla d’importante. Tutto si ripete in eterno,
il giorno e la notte, l’estate e l’inverno, il mondo è vuoto e senza senso.
Tutto gira soltanto in tondo. Ciò che comincia deve finire, ciò che prende vita
deve poi morire. Tutto si compensa, il Bene e il Male, il Bello e il Brutto, la
Stupidità e la Saggezza. Tutto è vuoto. Niente è reale. Niente è importante”.
“Atreiu
non sapeva che cosa rispindere. Quel gigantesco, mostruoso sguardo vuoto e buio
della vecchissima Morla paralizzava tutti i suoi pensieri. Dopo un po’ sentì
che lei riprendeva a parlare:
“Tu
sei ancora giovane, piccolo. Noi siamo vecchi. Se tu fossi vecchio come noi,
sapresti che non c’è altro che la tristezza. Guarda un po’. Perché non dovremmo
morire, tu, noi, l’Infanta Imperatrice, tutti, tutti quanti?Tutto è solo
apparenza, solo un gioco nel Nulla. Tutto è indifferente. Lasciaci in pace,
piccolo, vai via”.
Atreiu
dovette chiamare a raccolta tutta la sua volontà per opporsi alla paralisi che
gli veniva da quello sguardo vuoto”.
Nonostante la
riluttanza e l’ostentazione della propria indifferenza alla sorte
dell’Imperatrice, a quella di Fantàsia a quella di Atreiu e – come ho già detto
– alla propria, la Morla rivela un’informazione essenziale ad Atreiu: l’origine
della malattia che affligge la Sovrana.
“Lei
non vive nel tempo, ma nei nomi. Ogni tanto ha bisogno di un nome nuovo.
Sicuro, ha sempre bisogno di nomi nuovi. Sai il suo nome, piccolo?”
“No”,
ammise Atreiu, “non l’ho mai sentito”.
“E
neppure potresti averlo sentito”, rispose la Morla, “neppure noi ce ne
ricordiamo. E sì che di nomi lei ne ha avuti tanti. Ma sono stati tutti
dimenticati. E’ tutto passato, finito per sempre. Guarda un po’. Ma senza nome
lei non può vivere. Ha soltanto bisogno di un nome nuovo, l’Infanta
Imperatrice, e subito tornerà a star bene”.
Il potere delle parole…
Molti non ci fanno caso, ma le parole sono una forma di magia in quanto hanno
il potere di far esistere le cose. Le parole danno corpo ai pensieri, alle
idee, ai sogni, ai desideri.
Atreiu, però, ha
bisogno di un’altra informazione, ovvero:
“Chi
le può dare un nome?”
Anche a questo, la
Morla, si troverà costretta a rispondere, data l’insistenza di Atreiu:
“Nessuna
creatura di Fantàsia può darle un nome nuovo”.
Forse – stando alle
informazioni della Morla – Uyulala dell’Oracolo Meridionale sa chi può farlo,
ma la sede di questo Oracolo è lontana 10.000 giorni di viaggio…
A quest’ultima
informazione la Morla si ritira e Atreiu si congeda da lei.
Da quanto è stato detto
possiamo intuire che la Morla rappresenta “lo stato delle cose”, il passato, ma
possiamo anche avventurarci audacemente in un territorio più filosofico e
ipotizzare che questa creatura tanto vecchia sia l’INCONSCIO COLLETTIVO di cui
parlava Jung.
“In
quella stessa ora la creatura d’ombra, che si era formata con l’oscurità della
brughiera notturna, trovò le tracce di Atreiu e si mise in cammino, diretta
alle Paludi della Tristezza. Nulla e nessuno in Fantàsia avrebbe potuto
distoglierla da quella traccia”.
Bastiano – che, nel
frattempo, segue le vicende attraverso la lettura del libro – si rammarica di
non poter fornire - lui stesso - un nuovo nome all’Imperatrice e –
contemporaneamente – prova angoscia per Atreiu.
[1] Ricorda
molto “Il curioso caso di Benjamin Button”, film del 2008 diretto da David
Fincher, basato su un racconto breve del 1922 di Francis Scott Fitzgerald.
[2] Ricorda,
per certi versi, “Siddharta” di Hermann Hesse.
[3] Ricorda
molto vagamente alcune delle circostanze e delle caratteristiche della
distruzione di Sodoma.
CAPITOLO
4: “IGRAMUL, LE MOLTE”
Atreiu è finalmente
riuscito a lasciare dietro di sé le Paludi della Tristezza, ma ha perduto
l’orientamento e si è smarrito nel Paese delle Montagne Morte. In questo paese
si trova Ygramul, Le Molte – orrore leggendario… Atreiu vorrebbe mollare tutto
e aspettare che la morte lo colga, ma sente di dover continuare, per l’Infanta
Imperatrice e per Fantàsia.
Intanto, nel mondo di
Bastiano, l’orologio batte l’una, orario che segna la fine delle lezioni. Una
volta usciti tutti i ragazzini dalla scuola, Bastiano si trova completamente
solo e avvolto da un silenzio assordante.
Né Atreiu né Bastiano
hanno cibo a disposizione; entrambi hanno freddo e provano un senso di
scoramento. La tentazione di abbandonare la loro impresa è forte, ma – d’un
tratto – Bastiano si mette nei panni di Atreiu e si trova a pensare che il suo
beniamino non commetterebbe mai un così grave atto di vigliaccheria, pertanto
decide di proseguire la lettura. Nata come emulazione, quella di Bastiano si
sta velocemente trasformando in identificazione.
“Ma
intanto era venuto il momento in cui Atreiu davvero non poteva più proseguire.
Davanti a lui si spalancava il Profondo Abisso. […] Allora fece l’unica cosa
che gli rimaneva da fare: cominciò a camminare lungo il margine del Profondo Abisso”.
E’ un percorso
pericoloso ed estremamente accidentato. Atreiu non sa di essere inseguito e
questo è – di sicuro – un bene, per il momento, dato il pericolo che sta
correndo. Qualsiasi distrazione potrebbe costargli cara. Ma è proprio mentre
sta camminando sul bordo del precipizio che “la
vide: sopra l’oscurità del Profondo Abisso, tesa fra le due sponde della
voragine, si allungava una mostruosa ragnatela. E nelle maglie di quella
stranissima rete, fatta di fili spessi come grosse funi, si dibatteva un enorme,
candido Drago della Fortuna, che agitava scompostamente la coda e le zampe, e
in tal modo non faceva che ingarbugliarsi sempre più strettamente nella rete,
senza speranza di uscirne.
I
Draghi della Fortuna sono fra gli animali più rari di Fantàsia. […] sono creature
dell’aria e del calore, creature di irresistibile gioia e felicità e –
nonostante le loro ponderose dimensioni, sono lievi e leggeri come nuvole
d’estate. Per questo non hanno alcun bisogno di ali per volare. Nuotano nelle
brezze del cielo come i pesci nell’acqua del mare. Visti dalla terra
assomigliano a dei lampi che guizzino più lentamente del solito. Ma la loro
caratteristica più meravigliosa è il canto. La loro voce è come il rintocco di
una grande campana d’oro, e quando parlano piano è come se si udisse la campana
in lontananza”.
Ma il drago in
questione è gravemente ferito e il suo corpo coperto di squame color della
madreperla, scintillando di riflessi bianchi e rosati è nettamente in contrasto
con la creatura nera e muta-forma che continua a scagliarglisi contro. Tale
creatura – muta-forma perché in grado si assumere, di volta in volta, le forme
più disparate – è Ygramul (chiamata, per
questo, “Le Molte”). Atreiu comincia a correre sulla ragnatela per far
sospendere la lotta ai due, ma lo sguardo di Ygramul è talmente terrificante
che Bastiano emette un grido soffocato di spavento. Un grido che –
incredibilmente – viene udito anche nel libro, da Ygramul stessa…
Atreiu cerca di
strappare il Drago della Fortuna dalle grinfie del mostro, portando a
giustificazione il fatto di essere in missione per l’Imperatrice e di aver
bisogno di un “mezzo di trasporto” per raggiungere l’Oracolo Meridionale. La
risposta di Ygramul è agghiacciante: “Non
sulla durata della tua vita, bipede Atreiu, devi misurare la tua Ricerca, ma su
quella della sua”.
“Libererete
il drago, se vi prego di farlo in nome dell’Infanta Imperatrice?”
«No.
[…] Non hai il diritto di fare una simile richiesta, anche se porti indosso
AURYN, lo Splendore. L’Infanta Imperatrice lascia a tutte le sue creature la
libertà di essere ciò che sono. Per questo anche Ygramul si inchina davanti
alle sue insegne. E tu lo sai benissimo».
“Atreiu
se ne stava lì ancora a testa china. Ciò che Ygramul diceva era la verità.
Quindi lui non era in grado di salvare il bianco Drago della Fortuna. I suoi
personali desideri non contavano nulla”.
LIBERO ARBITRIO E
DESIDERI…DI QUESTE DUE COSE AVREMO MODO DI PARLARE PIU’ APPROFONDITAMENTE AL
TERMINE DELL’ANALISI CAPITOLO-PER-CAPITOLO.
Ygramul attacca –
dunque – Atreiu, ferendolo ad un braccio e il ragazzino fa in tempo a pensare
soltanto all’Oracolo Meridionale, prima di perdere i sensi.
Poco dopo l’attacco, un
lupo nero giunge alla tela di Ygramul, ma non trova altro se non la tela vuota.
Intanto Bastiano,
leggendo, sta vivendo ogni cosa come se stesse accadendo a lui, personalmente…
Il
DRAGO della FORTUNA: testa leonina, occhi come rubini,
squame del colore della madreperla dai riflessi bianchi e rosati, lunghi barbigli,
sontuosa criniera e ciuffi di pelo candido sulla coda e sul corpo. Il drago di
cui si parla in questo libro non è un comune drago, di quelli mostruosi e
orripilanti cui siamo abituati che abitano nelle profondità della terra, ma una
creatura del fuoco e dell’aria, proprio come il drago della Qabbalah. La Fortuna
è – se ci pensiamo bene – quasi un essere vivente: è fulminea, brillante ed è
un piacere poterla percepire, quando passa. La si può “sentire” come fosse un
canto di felicità… Avete mai notato che, quando chiediamo un aiuto e ci capita
il cosiddetto “colpo di fortuna”, il nostro sguardo è rivolto al cielo? Non
penso sia un caso neanche il detto - “Sentire le campane” – quando siamo
particolarmente felici…
Vi sarete sicuramente
chiesti: “Come hanno fatto, Atreiu e il Drago della Fortuna, a sparire?”
Va detto che il veleno
di Ygramul ha un duplice potere: il primo è quello di dare la morte entro
un’ora a chi viene colpito e il secondo è quello di trasportare il malcapitato
ovunque desideri, all’interno di Fantàsia, immediatamente. Ed è proprio per
questo che – pensando all’Oracolo del Sud- Atreiu e il Drago riescono a
sottrarsi alle grinfie di Ygramul.
YGRAMUL:
detta anche “Le Molte” perché composta da uno sciame enorme di minuscoli
insetti color azzurro acciaio che possono assumere, via via, molteplici forme
differenti. E’ una creatura orribile, feroce. Parla utilizzando la terza
persona singolare. E’ indubbiamente un personaggio crudele, ma è anche vero che
senza di Lei Atreiu non potrebbe mai continuare la propria missione!
CAPITOLO
5: “I BISOLITARI”
Quando Atreiu si
sveglia si accorge di essere in un posto diverso dal Profondo Abisso e vede che
non è il solo ad essere sfuggito a Ygramul: anche il Drago – udito del duplice potere del mostro - ha sfruttato la cosa a proprio vantaggio…
Grazie alla sua grande capacità di porre le domande giuste e alla sua profonda
intelligenza, Atreiu ha salvato se stesso e – seppur indirettamente – il Drago
della Fortuna che, per questo motivo, decide di offrire il proprio aiuto al
ragazzo. Ma il veleno di Ygramul è in circolo nel sangue di entrambi…
A provvedere alla
salute di Atreiu e di Fùcur (questo il nome del drago) è una figurina assai
bizzarra dalla faccetta grinzosa grande quanto un pugno, color marroncino, con
una cuffietta di foglie secche come copricapo.
Nel frattempo vengono
narrate anche le vicissitudini di Bastiano e su un episodio, in particolare, mi
vorrei soffermare:
“Una
volta, quando era ancora molto più piccolo, durante la lezione di religione,
aveva persino domandato se il Signore Gesù non avesse dovuto anche lui correre
al gabinetto come una persona qualunque. Tutta la classe era esplosa in una
gran risata rumorosa e l’insegnante di religione gli aveva scritto una nota di
biasimo sul registro di classe, per «contegno sconveniente». Ma una risposta
Bastiano non l’aveva avuta. Eppure non aveva davvero avuto intenzione di
comportarsi in maniera sconveniente. «Probabilmente», si disse ora Bastiano,
«queste cose sono troppo poco importanti perché se ne parli nelle storie».
Sebbene
per lui qualche volta potessero diventare di disperata importanza, tanto da
vergognarsene”.
Spesso i bambini
pongono domande interessanti, innocenti, legate alla grande sete di conoscenza
che li pervade. Sono curiosi, ma di una curiosità che agli adulti appare
banale, superflua e di cattivo gusto, come in questo caso. In realtà,
redarguendo i bambini, gli adulti si mettono al riparo da interrogativi scomodi
a cui – spesso – non sanno rispondere. Così facendo seminano imbarazzo e tabù
nella mente dei più piccoli; li fanno crescere tarpando loro le ali e
inoculando nelle loro viscere una sorta di vergogna o – addirittura – di senso
di colpa frustrante e castrante. Nel caso in questione Bastiano ha sollevato un
dubbio costruttivo, ma l’insegnante ha trovato “sconveniente” il bisogno del suo piccolo allievo di voler
avvicinare la figura di Gesù a noi, comuni mortali, riconoscendo in essa la
parte umana, non priva di esigenze corporali.
Ma torniamo ad Atreiu.
Si sveglia e trova
accanto a sé Fùcur, che però dorme ancora. Le loro ferite sono state fasciate
con filamenti di erbe e di piante curative. Si alza e si dirige cauto verso
l’apertura della grotta situata a pochi passi
da lui. All’interno trova quello che ha tutta l’aria di essere il laboratorio
di un alchimista, in miniatura. Vicino al camino, un omino piccino piccino, con
la faccetta grinzosa, intento a leggere un grosso libro: l’omino è il marito
della figurina che ha curato le ferite di Atreiu e Fùcur. Entrambi sono gnomi,
piuttosto inconsueti – certo – ma comunque gnomi. I loro nomi sono Urgula (lei)
ed Enghivuc (lui). Stanno litigando tra di loro perché entrambi desiderano
prendersi cura del ragazzo, ognuno a proprio modo: lei desidera curare il corpo
di Atreiu, lui la mente. In realtà è una “lotta” ad armi pari, in quanto corpo
e mente vanno sempre curate insieme, se si vuole ottenere una completa
guarigione.
Enghivuc studia da
moltissimi anni il “funzionamento” dell’Oracolo Meridionale che si trova non
molto distante dalla grotta. Ha montato un cannocchiale che punta proprio
sull’Oracolo e, mantenendosi sempre a
debita distanza, osserva cosa accade a coloro che tentano di oltrepassare la
sua soglia. Nonostante tutti gli sforzi fatti, lo gnomo non è – però – riuscito
a comprenderne il meccanismo.
L’omino accompagna
Atreiu al cannocchiale:
“Il
cannocchiale era puntato sulla grande
porta di pietra e precisamente in modo da inquadrare alla perfezione la parte
inferiore del pilastro di destra. E fu allora che Atreiu vide che accanto a
quel pilastro c’era una Sfinge possente, seduta ritta e immobile nel chiaro di
luna. Le zampe anteriori su cui poggiava erano artigli di leone, la parte
posteriore del corpo era invece quella di un toro, sulla schiena portava enormi
ali d’aquila e il volto invece aveva le sembianze di un essere umano, ma solo
per i lineamenti, perché in quanto all’espressione, quella no, non era davvero
umana. Era molto difficile distinguere se quel volto sorridesse o riflettesse
un’immensa, incommensurabile tristezza, oppure, ancora, la più perfetta
indifferenza. Dopo che Atreiu l’ebbe osservata per un bel po’, finì per vederla
colma di un’infinita crudeltà e malvagità, ma subito dopo dovette correggere la
sua impressione, e alla fine non ci trovò che pura allegria”.
Ma le due Guardiane che
Atreiu ha visto col cannocchiale di Enghivuc non sono semplici statue, bensì “autentiche Sfingi viventi”…
Gli GNOMI: [gnòmo s. m. [dal
lat. uman. gnomus, nome coniato dal medico e filosofo svizz. Paracelso
(1493-1541), che lo trasse forse dal gr. γνώμη «giudizio, intelligenza»].
– Essere favoloso che la mitologia e le
tradizioni dei popoli antichi e moderni rappresentano piccolo e con aspetto di
vecchio barbuto, abitante di boschi e grotte, custode di tesori nascosti,
generalmente al servizio di un re].[1]
Tutto torna. Lo gnomo
di Paracelso rappresenta il giudizio, l’intelligenza, e quelli di Ende sono di
sicuro molto intelligenti: Urgula sa adoperare perfettamente le erbe per curare
e guarire; Enghivuc – dal canto suo – è un alchimista [l’alchimia ci tornerà
utile nel prossimo capitolo…], un grande studioso di misteri. Abitano in una
grotta e il tesoro che nascondono e custodiscono con tanta cura non è di certo
rappresentato da oro o da pietre preziose, bensì da una straordinaria forma di
sapienza. Rappresentano l’importanza della salute e dell’equilibrio di corpo e
mente. La loro può essere considerata saggezza antica.
Seppur indirettamente sono
entrambi al servizio dell’Infanta Imperatrice perché con le loro conoscenze
sono in grado di aiutare Atreiu che – a sua volta – potrà proseguire il cammino
per salvare Fantàsia.
CAPITOLO
6: “LE TRE PORTE MAGICHE”
Mentre Fùcur dorme
ancora profondamente, Atreiu si rifocilla con le pietanze preparate da Urgula,
dopodiché intrattiene una proficua conversazione con Enghivuc a proposito
dell’Oracolo Meridionale. Atreiu pone allo gnomo interrogativi molto diretti e
precisi:
A: “Quel grande portale con le Sfingi che mi hai mostrato, è quello
l’ingresso?”
E: “Il portale è l’ingresso, ma dopo di esso ne vengono altri due, e solo
oltre la terza porta abita Uyulala, se mai di lei si possa dire che abiti…”
A: “E che cosa hanno di speciale
queste tre porte?”
E: “Dunque, la prima si chiama Porta del Grande Enigma. La seconda, Porta
dello Specchio Magico. E la terza è la Porta senza Chiave…”
A: “Per quel che posso vedere dietro la prima porta non si vede altro che
una pianura deserta. Dove sono le altre porte?”
E: “Le cose stanno così: la seconda porta c’è solo quando hai varcato la
prima. E la terza, quando hai oltrepassato la seconda. E Uyulala c’è soltanto
quando si è arrivati oltre la terza. Prima non esiste nulla di tutto questo.
Non c’è, semplicemente non esiste, capito?”
Enghivuc cerca, a
questo punto, di fornire più dettagli ad Atreiu circa la prima porta, ovvero la
Porta del Grande Enigma:
-
E’ sempre aperta.
-
Nessuno può varcarla a meno che le
Sfingi non chiudano gli occhi.
-
Molti, avventurandosi tra gli sguardi
delle due Sfingi, rimangono come pietrificati fino a che non saranno riusciti a
risolvere tutti gli enigmi del mondo. Va da sé che un numero estremamente
ristretto di individui riesce a oltrepassare la soglia presidiata dalle due
creature.
Le Sfingi sono, in un
certo senso, cieche: non vedono il mondo così come lo vediamo noi che, con il
nostro sguardo, vediamo sempre qualcosa; esse non vedono nulla, eppure i loro
occhi sono in grado di emanare qualcosa, ovvero tutti gli enigmi del mondo. E’
proprio per questo motivo che le due Sfingi si guardano in faccia: “perché solo una Sfinge può sostenere lo
sguardo di una Sfinge”. Il problema è che nessuno sa con quale criterio le
due Guardiane scelgano coloro che possono passare e coloro che devono restare
“pietrificati”. Essere intelligenti non è una garanzia di poter passare così
come essere stupidi non è una condizione che preveda necessariamente l’essere
“immobilizzati”. Non conta neppure che Atreiu abbia al collo AURYN: in primo
luogo perché – come abbiamo detto – le Sfingi non vedono e in secondo luogo
perché nessuno sa se esse obbediscano alla figura dell’Infanta Imperatrice o
non siano – piuttosto – più grandi di lei.
A: “E allora, che cosa mi consigli di fare?”
E: “Dovrai fare quello che fanno tutti. Aspettare che decidano loro, senza
sapere il perché”.
Intanto, nel mondo di
Bastiano, sono le tre. Il ragazzino comincia a pensare a suo padre e, per
liberarsi dall’inquietudine che lo sta cogliendo, inizia a gettare lo sguardo
in giro per la soffitta. Si accorge, così, dell’enorme quantità di cose che gli
stanno attorno; la maggior parte non ha nulla a che vedere con l’ambito
scolastico… C’è un vecchio grammofono, vecchi quadri con elaborate cornici, un
candeliere a sette bracci tutto arrugginito (con relativi mozziconi di candele) e, infine, uno specchio, quasi cieco, che
riflette solo vagamente la sua immagine. Alla vista del proprio riflesso
Bastiano si spaventa: osservandosi attentamente si vede – infatti - brutto e
grassoccio.
Oltre il numero sette
(a cui ho già accennato alcune pagine sopra) ricompare la soffitta. Un rifugio
della mente in cui stipiamo sogni mai realizzati, talenti straordinari, ricordi
dolorosi e pensieri spaventosi, pensando che siano cianfrusaglie inutili o –
addirittura – dannose per la nostra crescita. Bastiano trova in soffitta molte
cose, ma la cosa più importante è lo specchio: esso riflette l’immagine che il
ragazzino ha di sé, l’aspetto esteriore.
Torniamo ad Atreiu.
Enghivuc comincia a
parlare della seconda porta, ossia la Porta dello Specchio Magico:
-
Nessuno sa di quale materiale sia fatta.
Si sa solo che non è né di vetro né di metallo.
-
Quando ci si sta davanti non ci si vede
riflessi come in un comune specchio: quello che si vede è il proprio “IO”
interiore, come è in realtà.
-
Chi vuole oltrepassare questa soglia
deve entrare, quindi, in se stesso.
-
Ogni singola persona vede qualcosa di
diverso.
Le conclusioni che si
possono trarre da queste informazioni sono chiare e, allo stesso tempo,
spaventose: nessuno di noi conosce realmente la propria natura, perciò vedere
il proprio vero “IO” può rappresentare una scoperta piacevole o – al contrario
– una rivelazione terrificante! Sicuramente, guardare in questo specchio costa
uno sforzo immane e ci si può spaventare a tal punto che non si è in grado di
proseguire il percorso per arrivare alla terza porta. Coloro che, invece, riescono a superare questo sforzo, si trovano
di fronte alla Porta Senza Chiave, la quale:
-
E’ chiusa e non c’è maniglia, né
pomello, né serratura. Niente.
-
E’ probabilmente forgiata in un materiale
che si chiama selenio fantàsico, sostanza assolutamente indistruttibile, ma in
grado di reagire alla nostra volontà.
-
La nostra volontà è il fattore che rende
questa porta tanto rigida: tanto più uno vuole oltrepassarla, tanto più essa si
chiude. “Ma se uno riesce a dimenticare
ogni intenzione di passare e a non volere più nulla, allora la porta gli si
apre davanti da sola, per incanto”.
Questo terzo ostacolo è
sicuramente il più difficile da superare, proprio perché dipende dalla nostra
volontà o – come in questo caso – dalla volontà di Atreiu.
Interessante il
parallelismo tra lo specchio di Bastiano e quello di Atreiu: il primo riflette
il corpo fisico, quello materiale, mentre il secondo riflette l’”IO”, il corpo
spirituale. Ben consapevole del fatto che “corpo spirituale” è un accostamento
da ossimoro, è la miglior definizione che – al momento – mi sento di fornire.
Tanti hanno parlato di
specchi: in ambito filosofico, Carl Gustav Jung ha dato grande importanza a
questi che sono tutto fuorché semplici oggetti.
“Tutto ciò che non
vogliamo sapere di noi stessi, finisce sempre per giungerci dall’esterno e
assumere la forma di Destino”.[2]
Questa frase tanto
criptica può essere più semplicemente interpretata così:
il nostro “IO”
interiore (chi siamo veramente) è molto più grande di quanto possiamo
immaginare o vogliamo ammettere; così, quando non riusciamo a vederlo – perché
non possiamo o, peggio, non vogliamo – una strada si presenta ai nostri occhi.
Questa strada è ciò che chiamiamo Destino. Per trovare o – quantomeno –
intraprendere una ricerca del nostro vero “IO”, basta imboccarla e seguirla.
Per chi ama pensare che
ognuno di noi sia l’artefice del proprio Destino e che nulla sia scritto, ma
tutto sia in continua evoluzione, in costante divenire (concetto – questo – che
permea tutto il libro de “La Storia Infinita”) la cosa migliore da fare è
pensare che possiamo creare la nostra strada lastricandola di desideri. I desideri
– naturalmente – dovranno andare di pari passo con la volontà perché non
rimangano solo desideri, ma si realizzino concretamente. [Abbiate pazienza e
vedrete che arriveremo ad approfondire anche questo concetto, troppo importante
per essere abbandonato così].
Per tornare agli
specchi: gli Esseni ne hanno identificati addirittura sette tipi, equivalenti
ad altrettanti modelli di comportamento che sperimentiamo nel corso della
nostra vita. Per intenderci: ciò che siamo viene rispecchiato nel tipo di azioni
che svolgiamo, nel tipo di scelte che compiamo, dalle persone di cui ci
circondiamo, dalle parole che pronunciamo e così via.
Lo specchio – in questo
libro – è quindi visto non solo come uno strumento in grado di riflettere, ma
anche come un modo per proiettare al di fuori ciò che c’è dentro. Se proviamo a
metterci in quest’ottica, ci accorgiamo subito del fatto che anche coloro che
ci circondano possono diventare uno specchio per noi e noi per loro. Guardando
gli altri, non vediamo che noi stessi o parti di noi sotto la forma di pregi o
difetti.
Ancora più interessanti
sono – poi – le figure delle due Sfingi: le Guardiane descritte in questo libro
sono tratte dalla mitologia greca, secondo la quale queste creature possedevano
testa e petto di donna, ali d’uccello, corpo e piedi di leone. Anche la
posizione è quella tipica della famosa Sfinge greca perché entrambe stanno
sedute sulle zampe posteriori, hanno il busto eretto e – come risulta ben
visibile nella pellicola cinematografica[3] -
le mammelle sporgenti.
Molti ricordano questa creatura per una sua
peculiarità: la Sfinge era, infatti, solita porre complicati ENIGMI[4]
agli uomini che incrociavano la sua
strada. Coloro che non sapevano rispondere venivano divorati.
Sono creature crudeli,
le due Guardiane della prima soglia; sembra che non agiscano secondo un criterio
logico o – meglio – secondo un criterio che comuni esseri umani siano in grado
di comprendere. Sono – seppur in un modo terrificante – custodi della Sapienza
e dell’Intelligenza (ovvero della capacità di sfruttare la Sapienza) e il solo
modo per oltrepassarle sembrerebbe essere quello di possedere dentro di sé queste
virtù, ma tra poco scopriremo che non è sufficiente: bisogna, infatti, mettersi
anche nell’ottica dell’accettazione. E’ necessario, cioè, accettare a priori
tutte le possibili conseguenze del tentativo di passaggio.
Non guardano verso
l’infinito (come, invece, fa la Sfinge egizia), ma una guarda l’altra, quasi a
chiudere un cerchio composto da finito e infinito. D’altronde è già stato detto
che “solo una Sfinge può sostenere lo
sguardo di una Sfinge”…
Ormai la Grande Ricerca
ha avuto inizio e Atreiu non può far altro che accingersi ad affrontare la
Prima Porta.
“Durante
la sua Grande Ricerca Atreiu aveva ormai fatto parecchie esperienze, aveva
visto cose meravigliose e orribili, ma fino a quel momento non sapeva che
entrambe queste cose, la bellezza suprema e l’orrore, potessero raccogliersi in
una cosa sola e cioè che la bellezza potesse essere orribile”.
Ancora una volta
troviamo l’unione degli opposti, solo che in questo caso sono due opposti molto
particolari: bellezza e orrore.
Che la bellezza possa
far paura è una idea molto sottovalutata dai più, ma – a pensarci bene – quando
ci sorprendiamo ad osservare qualcosa di straordinariamente bello, proviamo un
senso di smarrimento e di sgomento che ci atterrisce e ci fa distogliere lo
sguardo. La paura che Atreiu prova nell’osservare lo sguardo delle Sfingi va al
di là della sua persona: è la paura dell’ignoto, dell’incomprensibile, della
grandezza oltre ogni misura, sconfinata, e della potenza soverchiante.
Accettando che accada ciò che deve accadere, Atreiu sente – però – svanire
questa paura e ha la sensazione che –
una volta affrontata e superata – mai più la proverà.
Con questi pensieri e
queste sensazioni, si lascia alle spalle la prima porta e giunge di fronte alla
seconda, ma ciò che vede lo lascia perplesso: nello specchio magico è riflesso
Bastiano!
E’ inutile che vi
racconti la sorpresa di Bastiano nell’apprendere di far parte di un libro. La
scoperta che le vicende narrate all’interno del volume non si piegano al
concetto di tempo, come noi lo conosciamo, suscita incredulità in Bastiano, ma
– in cuor suo – il ragazzino comincia a nutrire la speranza di poter far parte
di qualcosa di meraviglioso.
Atreiu – dal canto suo
– sfoggia solo un sorriso di sorpresa mentre entra nell’immagine dello specchio, “ma non ha alcuna intuizione di ciò che in
realtà gli sta accadendo”.
Quando passa dall’altra
parte della seconda porta, perde del tutto ogni ricordo di sé, della sua vita
passata, della sua meta e delle sue intenzioni. “Non sapeva più nulla della Grande Ricerca che lo aveva condotto fin lì
e non conosceva più neppure il suo stesso nome. Era come un bambino appena
nato”.
Per semplificare questo
concetto oserei dire che per trovarsi bisogna perdersi.
Non avendo più alcuna
memoria, Atreiu è come una tabula rasa,
una tela bianca, e prova una sensazione
di leggerezza, di contentezza e di gioia pura e semplice. Ed è con queste
sensazioni che giunge di fronte alla terza ed ultima porta il cui battente è
chiuso, ma non presenta alcuna maniglia o pomello, così come gli aveva spiegato
Enghivuc. Sembra fatta di un materiale luccicante di un bel color rosso rubino,
sia davanti sia dietro.
Il colore è
importantissimo perché si aggancia fortemente alla terza ed ultima fase alchemica della Grande Opera (che ricorda
tanto la Grande Ricerca), ovvero di quella serie di trasmutazioni chimiche che culminano con
la realizzazione della Pietra Filosofale. La fase in questione è detta Rubedo
(termine latino traducibile con “rossore”) e si manifesta in seguito alle prime
due fasi alchemiche dette Nigredo e Albedo. Queste tre fasi indicano,
rispettivamente, i colori NERO, BIANCO e ROSSO. La prima porta che Atreiu deve
attraversare può essere – dunque – associata alla fase di Nigredo; la seconda,
alla fase di Albedo (tabula rasa, tela bianca); e la terza – come ho detto –
alla Rubedo. La Rubedo è particolarmente importante perché rappresenta il
ricongiungimento degli opposti, la chiusura del cerchio. Vi ricorda qualcosa?
Alcuni autori medievali sostituivano all’Albedo (detta anche “Opera al Bianco),
la VIRIDITAS[5]
(o fase dell’”Opera al Verde”). Tanto è vero che persino Jung vedeva in questa
fase una rappresentazione del nostro “Sé” (o Anima), avente la funzione di
liberare l’”IO” rinchiuso nella Nigredo (o “Opera al Nero) e di armonizzarlo
con il resto del mondo (Rubedo o “Opera al Rosso"). Non a caso, Santa Ildegarda
di Bingen[6]
associava la Viriditas alla forza vitale che permea tutte le creature. L’etimologia
della parola, infatti, riporta sia al termine latino Vis, Roboris (forza), sia al colore verde, ovvero il colore della
natura. Ma il verde – ricordiamolo – è anche il colore del quarto Chakra,
quello del cuore. E’ il punto energetico centrale, quindi anche sinonimo di
equilibrio fisico e spirituale.
Dopo aver osservato con
attenzione la Porta senza Chiave, Atreiu l’accarezza e la scopre calda, quasi
vivente. Al suo tocco si apre una fessura e, guardandoci dentro, Atreiu riesce
a oltrepassarla.
Intanto, nel mondo di
Bastiano, sono già le quattro…
[1]
Definizione tratta da: http://www.treccani.it/vocabolario/gnomo/
[2] Citazione
tratta dal sito: www.alkemica.net
[3]
La storia infinita (Die unendliche Geschichte) è un film
del 1984 diretto da Wolfgang Petersen.
Ispirato al romanzo omonimo di Michael Ende, è interpretato da Noah Hathaway, Barret Oliver e Tami Stronach nella sua prima apparizione cinematografica. Il suo budget di 25 milioni di dollari ne fece il più costoso film di produzione tedesca.
Il film ha avuto due seguiti, La storia infinita 2 (1990) e La storia infinita 3 (1994).
Ispirato al romanzo omonimo di Michael Ende, è interpretato da Noah Hathaway, Barret Oliver e Tami Stronach nella sua prima apparizione cinematografica. Il suo budget di 25 milioni di dollari ne fece il più costoso film di produzione tedesca.
Il film ha avuto due seguiti, La storia infinita 2 (1990) e La storia infinita 3 (1994).
https://it.wikipedia.org/wiki/La_storia_infinita_(film)
[4] Enigma. L’enigma per cui la Sfinge viene
ricordata, recitava così: “Qual è l’animale che ha quattro zampe al mattino,
due al pomeriggio e tre alla sera?” La
risposta – naturalmente – è: L’UOMO.
[6] ILDEGARDA
di BINGEN: in tedesco Hildegard von Bingen; Bermesheim vor der Hӧhe, 1098 –
Bingen am Rhein, 17 settembre 1179. E’ stata una religiosa e naturalista
tedesca.
Nella sua vita fu, inoltre, scrittrice, drammaturga,
poetessa, musicista e compositrice,
filosofa, linguista, cosmologa, guaritrice, naturalista, consigliera politica e
profetessa.
Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Ildegarda_di_Bingen#Biografia
CAPITOLO
7: “La Voce del Silenzio”
Atreiu ha oltrepassato
la terza ed ultima porta. Non ha più alcun tipo di ricordo, ma è felice, colmo
di stupore e privo di qualsiasi pena. Mentre cammina ode una voce bellissima,
pura e sottile, ma infinitamente triste. Pian piano inizia a percepirne le parole:
è un canto in rima. Alla domanda di Areiu - “Chi
sei?” – la voce risponde come un’ eco e rimanda il ragazzo la sua stessa
domanda. Naturalmente Atreiu non sa rispondere, avendo perso la memoria, così
afferma:
“Non lo saprei dire. Ho l’impressione di
averlo saputo, un tempo lontano; chissà quando. Ma è davvero importante?”
A queste parole, “la voce cantante” chiede ad Atreiu di
esprimersi in rime e strofe se ha intenzione di ottenere udienza, pertanto –
seppur con grande sforzo – egli inizia a porre una serie di domande. Dalla
conversazione tra i due emerge che la “voce
cantante”, il “silenzioso suono”
, è Uyulala.
Uyulala è impossibile
da vedere: non ha un corpo fisico, perciò è la sua voce a farle da confine.
Fornisce le risposte soltanto a chi sa chiedere, ma svela ad Atreiu di avere,
ormai, poco da “vivere” perché il Nulla sta inghiottendo Fantàsia e presto
inghiottirà anche lei. Anche Uyulala sostiene che l’Infanta Imperatrice abbia
bisogno di un nuovo nome, perché possa essere salvata. Prega il ragazzo di
serbare ogni parola della loro conversazione, perché – anche se ora non è in
grado di comprenderne il significato – sarà di vitale importanza. Avvalendosi
di una meravigliosa poesia in rime, Uyulala confida ad Atreiu che il solo in
grado di fornire il nome alla Sovrana è un terrestre. Dai versi in questione
emerge a chiare lettere l’esistenza distinta di due “mondi”: quello di Fantàsia
e quello al di fuori di Fantàsia. Questi due mondi sono – ovviamente – quello della
realtà e quello della fantasia. Gli abitanti del primo sono chiamati – non a
caso – “Figli d’Adamo” e “Figlie d’Eva” (“veri fratelli al solo Verbo vero”), mentre gli abitanti del
secondo sono i personaggi scaturiti dalla mente e dalla “facoltà creatrice” degli umani. Un tempo gli umani (i terrestri)
sconfinavano spesso nel Regno della fantasia (Fantàsia) fornendo – ogni volta –
nomi nuovi all’Imperatrice e garantendole l’esistenza, ma quel tempo sta
volgendo al termine. Gli uomini non si avvalgono più di quella magnifica
capacità che è l’immaginazione; non sognano più, hanno smesso di creare mondi e
realtà con la loro fantasia.
L’invito,
anzi l’APPELLO, di Ende è palese: è necessario che l’uomo torni a praticare
Fantàsia!
Udite le parole di
Uyulala, Atreiu cerca di comprenderne il significato e, così facendo, si
assopisce. Come accade in ogni rito di iniziazione che si rispetti. Quando si
ridesta si accorge di ricordare non solo tutto il passato, tutto ciò che gli è
accaduto, ma anche lo scopo della sua Grande Ricerca. Ora sa cosa deve fare per
salvare Fantàsia: trovare un terrestre e portarlo all’Imperatrice affinché le
dia un nuovo nome.
Come abbiamo già detto,
infatti, il potere che le parole hanno è enorme: esse sono in grado di far
esistere le cose, pertanto un nome nuovo
darà alla Sovrana e al suo Regno nuova vita. Inoltre sarà una buona occasione
per riavvicinare i confini dei due Mondi e spronare gli uomini ad usare il loro
grande potere creativo. Se è vero che in ogni essere umano c’è una scintilla
divina, la creatività è di sicuro la massima espressione di questa scintilla.
Bastiano vorrebbe poter
intervenire: inventare un nome bellissimo, raggiungere Atreiu e aiutarlo a
compiere la sua missione.
Intanto Atreiu cerca
una via per tornare indietro e, nel farlo, si accorge che le Sfingi sono
svanite… In compenso ritrova Fùcur, che lo aggiorna: Atreiu scopre, così, di
essere stato via ben sette giorni e sette notti!
“Laggiù
tempo e spazio devono essere diversi dai nostri”.
Fùcur riporta Atreiu dagli gnomi, ansiosi di
potersi occupare nuovamente di lui.
Enghivuc conferma i
sospetti di Atreiu e di ogni lettore: il Nulla ha cancellato la Porta del
Grande Enigma e – con essa – anche le altre due porte. Al loro posto ci sono
soltanto rovine e muschio, come se le Sfingi non fossero mai esistite! Atreiu,
dal canto suo, racconta allo gnomo tutto ciò che gli è successo durante i sette
giorni e le sette notti appena trascorsi. Enghivuc è disperato: ora che ha
finalmente avuto accesso all’ultimo tassello della sua ricerca, la ricerca
stessa non ha più alcun valore; tutto è perduto e il Nulla continua ad avanzare
costringendolo alla fuga insieme alla moglie Urgula.
Nel mondo di Bastiano,
invece, sono ormai passate le cinque e il mondo dietro i vetri della soffitta
appare buio. Bastiano ha fame, ma si impone di resistere perché sta crescendo
sempre più forte dentro di lui il desiderio di contribuire attivamente a risollevare
le sorti di Fantàsia.
Il lupo mannaro, detto anche uomo
lupo o licantropo (anche se è un termine leggermente diverso), è una
delle creature mostruose della mitologia e
del folclore poi
divenute tipiche della letteratura
dell'orrore e successivamente del cinema dell'orrore.
Secondo la leggenda, il lupo mannaro sarebbe un essere umano condannato da una maledizione (o secondo alcuni lo sono già dalla nascita) a trasformarsi in una bestia feroce ad ogni plenilunio: la forma di cui si racconta più spesso è quella del lupo, ma in determinate culture prevalgono l'orso, il bue (Erchitu) o il gatto selvatico (si veda in seguito). Nella narrativa e nella cinematografia dell'orrore sono stati aggiunti altri elementi che invece mancavano nella tradizione popolare, quali il fatto che lo si possa uccidere solo con un'arma d'argento, oppure che il licantropo trasmetta la propria condizione ad un altro essere umano dopo averlo morso. Alcuni credevano che uccidendo il lupo prima della prima trasformazione la maledizione venisse infranta.
È importante notare inoltre che lupo mannaro e licantropo non sempre sono sinonimi: infatti nelle leggende popolari il lupo mannaro è talvolta semplicemente un grosso lupo con abitudini antropofaghe, a cui può essere associata o no una natura mostruosa. Inoltre, nel caso del lupo mannaro come mutaforma, si può distinguere tra il lupo mannaro, che si trasforma contro la propria volontà, e il licantropo, che si può trasformare ogni volta che lo desidera e senza perdere la ragione (la componente umana).
Nella letteratura medica e psichiatrica con licantropia è stata descritta una sindrome isterica che avrebbe colpito le persone, facendo sì che assumessero atteggiamenti da lupo durante particolari condizioni (come le notti di luna piena). In modo analogo un licantropo era semplicemente una persona affetta da questo disturbo ed è con questo unico significato che la voce è riportata su alcuni importanti dizionari della lingua italiana.[1][2] In tempi recenti, l'esistenza di tale disturbo è stata considerata rarissima[3] o addirittura messa in discussione dalla psichiatria stessa.
Il significato originario di māyā è quello di "creazione", ma ha successivamente acquisito il significato di "illusione".
Nei Veda con il termine māyā si indica il potere da cui ha origine il mondo materiale. Questo potere è proprio dei deva e degli asura che lo utilizzano per trasformare una propria ideazione in una forma concreta, attenta ed efficiente come suggerisce il termine italiano "arte"[2].
Nel Ṛgveda (XV/X secolo a.C.), mediante māyā Varuṇa misura e distribuisce la terra ordinando il mondo fisico.
Il Buddhismo Mahāyāna, propugnatore fin dai primi Prajñāpāramitāsūtra (I secolo a.C./I secolo d.C.) della dottrina dello śūnyatā ovvero della "vacuità" di proprietà inerente dei fenomeni (nulla esiste di per sé in quanto tutto è impermanente e correlato agli altri fenomeni), intende la māyā come illusione del mondo fenomenico ovvero come realtà convenzionale (vyāvahārika) che nasconde la realtà assoluta (pāramārtika).
Questo «velo», di natura metafisica e illusoria, separando gli esseri individuali dalla conoscenza/percezione della realtà (se non sfocata e alterata), impedisce loro di ottenere moksha (cioè la liberazione spirituale) tenendoli così imprigionati nel saṃsāra, ovvero il continuo ciclo delle morti e delle rinascite. Similmente alla metafora della caverna di Platone, l'uomo (e quindi l'intera umanità) è presentato come un individuo i cui occhi sono coperti dalla nascita da un velo; quando se ne libererà, la sua anima si risveglierà dal letargo conoscitivo (o avidyã, ignoranza metafisica) e potrà contemplare finalmente la vera essenza della realtà.
Le numerose ed eterogenee correnti induiste attribuiscono significati e funzioni differenti a questo concetto: le correnti dualistiche (come ad esempio gli Hare Krishna) la interpretano come il «velo» che separa l'essere individuale dal riscoprire la propria relazione con Dio, che essi identificano con Krishna; mentre presso le scuole moniste (come, ad esempio, l'Advaita Vedānta) questo «velo» è rappresentato dall'identificazione con il corpo, con la mente, con l'intelletto e con la propria stessa individualità, il senso dell'io (ahamkara), ovvero tutto ciò che ricopre e riveste l'Ātman (unica entità eterna ed immortale), impedendo di riconoscere la propria identificazione con esso ed illudendo così l'anima individuale di essere un individuo distinto dal tutto.
PER NON APPESANTIRE TROPPO QUESTA PAGINA, NE HO CREATA UNA SECONDA IN CUI TROVERETE L'ANALISI DEI RESTANTI 10 CAPITOLI.
ECCO IL LINK:
http://manumelaracconti.blogspot.it/p/blog-page_7.html
CAPITOLO
8: “Il Paese della Mala Genìa”
Atreiu parte
immediatamente alla ricerca del terrestre che darà il nome all’Imperatrice. In
groppa al Drago della Fortuna viaggia per giorni e notti. Dorme poco e male e
lo stato di veglia si confonde sempre più con il sogno, per cui nulla ha ormai
contorni precisi. Fantàsia sembra quasi non avere confini e non è facile
percepire gli orizzonti più lontani. Sotto di loro scorrono paesaggi di ogni
tipo e spesso si imbattono nei luoghi in cui il Nulla è passato; guardando
verso quei luoghi hanno l’impressione di essere diventati ciechi. Il Nulla è
orripilante, “Ma è un fatto provato, per quanto molto strano, che anche la cosa
più orribile perde parte del suo orrore quando si ripete continuamente”.
L’indifferenza è uno
dei peggiori mali del nostro secolo. L’indifferenza nasce dall’abitudine e –
per quanto sembri strano e atroce – l’uomo è in grado di abituarsi a tutto.
Perfino all’orrore. Scene di violenza in televisione, macabre visioni, morte e
distruzione ci sconvolgono fino a un certo punto, ma poi subentra
qualcos’altro. C’è quasi la ricerca morbosa del dettaglio raccapricciante in
ogni sordida vicenda…
Fùcur comincia a
manifestare i primi dubbi. Ritiene che sarebbe meglio tornassero alla Torre
d’Avorio per riferire le informazioni raccolte all’Infanta Imperatrice: forse
lei conosce un modo più rapido ed efficace per chiamare a sé un umano capace di
darle un nuovo nome. Atreiu, naturalmente, non è dello stesso avviso. Alla
fine, di comune accordo, decidono di proseguire ancora per un’ora. Così fanno,
ma quell’ora risulta essere un’ora di troppo. I due viaggiatori arrivano a
trovarsi proprio nel bel mezzo di un accalorato litigio tra i quattro Giganti
del Vento. Pur ravvisando l’enorme pericolo, Atreiu decide di discorrere coi
quattro, con la speranza di avere da ro indicazioni sulla posizione dei confini
di Fantàsia. E’ bene ricordare che dal momento in cui ha oltrepassato la Porta
delle Sfingi Atreiu ha abbandonato tutte le sue paure. Alla vista di AURYN e
all’appello di Atreiu i quattro Giganti tacciono di colpo e si trovano
costretti a rispondere alla domanda del ragazzo su dove siano ubicati i confini
del Regno di Fantàsia, ma tutti e quattro i Venti rispondono che Fantàsia NON
HA CONFINI!
Atreiu è stupito: al
fatto che Fantàsia potesse non avere confini, proprio non aveva pensato! E
mentre pensa che tutta la fatica fatta è stata inutile, i Venti riprendono a
litigare e scaraventano lui e il drago di qua e di là, tanto che Atreiu viene
sbalzato via dalla schiena di Fùcur e precipita nel vuoto.
Eppure è così: Fantàsia
– ovvero la fantasia – non ha confini, ma è ugualmente possibile raggiungerla o
– al contrario – uscirne. Perché? Perché Fantàsia è situata nella nostra mente
e la nostra mente non ha confini se non quelli che ci siamo imposti o – peggio
– auto-imposti. Non ce ne accorgiamo, ma ci auto-limitiamo ogni giorno
alimentando costantemente la convinzione che possiamo usare soltanto il 10%
delle nostre facoltà mentali…
Quando riprende
conoscenza, Atreiu si trova su una spiaggia completamente deserta. Come se ciò
non bastasse, ha perso sia il drago sia lo Splendore.
Da Bastiano sono le
sei. Avvertendo strani scricchiolii, viene colto da una crescente paura che,
però, cerca di allontanare:
“I
fantasmi non esistono. Lo dicono tutti che non esistono”.
Ma allora perché c’erano tante storie che
parlavano proprio di fantasmi?
Forse
tutti quelli che dicevano che i fantasmi non esistevano, avevano soltanto paura
di ammetterlo.
Già. Spesso lo
facciamo; lo abbiamo fatto quasi tutti, se non tutti: negare l’esistenza di
qualcosa soltanto perché ne avevamo paura. Questo accade perché ammettere che
qualcosa esista, fa in modo che quel qualcosa esista davvero. Nella nostra
mente, almeno. Lo stesso vale per l’azione contraria: negare che qualcosa
esista, impedisce – almeno nella nostra mente – che quel qualcosa si manifesti.
Molte convinzioni sono frutto di un antico retaggio, di cose sentite dire da
altri che le hanno – a loro volta – sentite dire da altri e così via. Perché
limitarsi a scegliere se credere o non credere invece di verificare
personalmente attuando quella cosa bellissima che si chiama RICERCA? Ognuno ha
il PROPRIO mondo, ma ritiene che quello sia IL
mondo. Beh, anche questa è una credenza limitante! Tale assunto mi porta
a pensare che ognuno veda una realtà diversa e abbia una propria concezione
delle cose. Se così è, non può esistere nulla di assoluto, nemmeno realtà o –
men che meno – verità assolute, ma soltanto relative!
Atreiu inizia a
camminare senza meta finché non sente in lontananza un rumore sordo, molto
strano. Il rumore pian piano si avvicina e Atreiu si nasconde per osservare ciò
che sta accadendo senza correre il rischio di essere visto. Il rumore proviene
da una specie di processione di creature che si comportano come in preda alla
follia. La maggior parte di queste creature è composta da Incubini, Geliuri,
Fantasmi, Vampiri e Streghe: è il Paese delle creature delle Tenebre. Atreiu
lascia passare la processione, dopodiché esce allo scoperto e inizia a meditare
se seguirla o meno. Non sa cosa fare e sente forte la mancanza dell’amuleto.
Oltre all’incertezza si acuisce anche lo sconforto per aver appreso che a
Fantàsia non ci sono confini.
“Se
non esisteva la possibilità di uscire dal Regno di Fantàsia, era anche
impossibile chiamare in aiuto un figlio dell’uomo, che stava oltre questi
confini inesistenti. Proprio perché Fantàsia era senza fine, la sua fine era
segnata”.
Fantàsia è vicina al
mondo degli umani, ma il problema è che gli uomini hanno dimenticato la strada che porta a Fantàsia!
Bastiano, però, ha
“sentito” l’antico richiamo, grazie al libro nelle sue mani, e vorrebbe andare
da nel mondo di Atreiu, ma nemmeno lui conosce la strada.
Atreiu si accorge
finalmente di cosa ha attratto il corteo
composto dalle creature delle Tenebre: a pochissima distanza da lui c’è il
Nulla ed esse lo stanno fissando, orrendamente affascinate.
“Atreiu
vide che le figure dei fantasmi disseminate davanti a lui sullo spiazzo
cominciavano a sussultare, le loro membra si torcevano come colte da un crampo.
Le bocche erano spalancate, come volessero ridere o gridare, e invece regnava
il più mortale silenzio. E poi, come foglie secche sollevate da un colpo di
vento, tutte quelle figure si gettarono contemporaneamente incontro al Nulla e
vi precipitarono dentro”.
Anche Atreiu si sente
irresistibilmente attratto dalla forza annientatrice del Nulla e deve fare
appello a tutta la sua volontà per sottrarsi all’impulso di gettarvisi
all’interno. Si volta a fatica e inizia ad allontanarsi lentamente da quella visione.
Man mano che se ne discosta i suoi passi diventano sempre più veloci, fino a
che il lento trascinarsi si trasforma in una corsa forsennata alla ricerca di
un rifugio. Rifugio che Atreiu trova dietro la porta del muro di una città…
Molti – oggigiorno – si
gettano tra le attraenti e confortevoli braccia del Nulla; molti si fanno
assorbire dalla disperazione fino a venirne completamente inghiottiti. Il Nulla
è la routine, la mancanza di aspirazioni, di desideri, di speranza. Il Nulla è
l’accettazione di tutto: delle cose belle come delle brutte. Il Nulla è molte
cose, ma c’è un modo per sottrarvisi e quel modo è rappresentato dalla Forza di
Volontà. La Volontà è più potente del Nulla, se sappiamo darle ascolto.
CAPITOLO
9: “La città dei fantasmi”
Fùcur sta cercando
disperatamente Atreiu. Dall’alto e dal basso. Atreiu, nel frattempo, sta
vagando per le strade deserte e silenziose di una città abbandonata. Tutto ciò
che ha intorno sembra rispecchiare perfettamente il suo stato d’animo che è
quello di chi, ormai, ha perso ogni speranza. Sfinito dalla fame, si riduce a
cibarsi di cose che un tempo dovevano essere stati zuppa e pane. Anche Bastiano
è “divorato” (passatemi il termine) dalla fame, ma - per contrasto – pensa a
una certa signorina Anna, sempre sorridente e spensierata e alle sue
impareggiabili torte di mele. Questa donna ha una figlia bellissima, di nome
Lucia, a cui Bastiano era solito raccontare ogni sorta di storia, per ore ed
ore, prima che la madre la mettesse in collegio.
Nel mondo di Bastiano
sono le sette.
Nel suo peregrinare,
Atreiu ode un lamento straziante in cui sembrano “raccogliersi tutto l’abbandono, la dannazione senza speranza, la
condanna delle creature delle tenebre; era un suono che non finiva mai e che le
mura delle case rimandavano come un’eco senza fine e che da ultimo suonò come
l’ululato di un immenso branco di giganteschi lupi sperduti”. Il lamento
arriva proprio da un Lupo Mannaro[1],
legato ad una catena, in un cortile umido e sporco. Il Lupo è sdraiato e
scheletrico, mezzo morto di fame, anche lui. Il Lupo Mannaro è Mork e quello
che Atreiu ha appena udito è il suo lamento di morte. Il luogo in cui si
trovano Mork e Atreiu è la Città dei Fantasmi, nel Paese della Mala Genìa.
Atreiu è appena venuto a conoscenza del nome del lupo e ora è il lupo a
domandare il nome al ragazzo. Astutamente, Atreiu risponde: “Io sono Nessuno”. A questo punto Mork
dice con voce roca: “Se le cose stanno
così, Nessuno mi ha udito, Nessuno è venuto a cercarmi e Nessuno parla con me
nella mia ultima ora”. Sicuramente vi sarà venuto in mente un altro
personaggio, famosissimo, che – interrogato sul proprio nome – ha risposto di
chiamarsi Nessuno: ULISSE (o Odisseo, se preferite), intrappolato dal Ciclope
Polifemo, nell’Odissea.
Atreiu vorrebbe liberare
Mork dalla sua catena, ma non è ciò che desidera anche il lupo, il quale
dichiara di voler morire prima che arrivi il Nulla a portarlo via. Per di più,
la catena che lo tiene legato, è magica e praticamente impossibile da spezzare.
E’ stata la Principessa delle Tenebre – Maya[2] –
a mettergliela, per poi gettarsi poco dopo nel Nulla, esattamente come tutti
gli altri. Perché? “Non avevano più speranza. E il non aver speranza rende
molto più deboli le creature […]. Il Nulla ha una terribile forza d’attrazione
e nessuno […] riuscirà ancora per molto a opporgli resistenza”.
E’ estremamente
interessante il discorso che il Lupo Mannaro fa ad Atreiu circa i vari mondi
che esistono al di fuori di Fantàsia:
“Tu
conosci solo il Regno di Fantàsia, […] ma ci sono anche altri mondi. Per
esempio quello dei figli dell’uomo. E poi ci sono anche altre creature, che non
hanno un loro mondo proprio, al quale appartenere. In compenso possono entrare
e uscire impunemente dai diversi mondi degli altri. Io sono di queste. Nel Regno
degli Uomini ho l’aspetto di un essere umano, ma non lo sono. E in Fantàsia
assumo la figura di una creatura fantàsica, ma non sono uno di voi”.
Anche Atreiu è, in un
certo senso, come Mork perché è una creatura di Fantàsia e, come tale, se
mettesse piede nel Mondo degli Uomini, sarebbe una “menzogna”. O almeno questo è ciò che spiega Mork al ragazzino.
Tutti i personaggi di Fantàsia, dopotutto, sono personaggi di fantasia! E – a
sentire Mork – quando un abitante di Fantàsia si getta nel Nulla, diventa per
gli uomini come una malattia contagiosa che li rende ciechi e impossibilitati a
distinguere l’apparenza dalla realtà. Un abitante di Fantàsia è reale solo nel
Regno di Fantàsia, ma una volta che ha attraversato il Nulla diventa
irriconoscibile sia a se stesso sia
all’uomo, per il quale diventa mania, idea fissa, immagine d’angoscia o di
disperazione; desiderio di cose che poi lo faranno ammalare. Per questa ragione
(secondo il pensiero e la spiegazione di
Mork) gli uomini temono e odiano Fantàsia e i suoi abitanti. Ed è essenziale
che gli uomini si convincano che Fantàsia non esiste - stando alle parole del
lupo – perché solo così si può esercitare il potere su di loro.
“Perché
gli uomini, figliolo, vivono di idee. E quelle si possono guidare come si
vuole”.
E, saltando nel Nulla,
si diventa creature senza volontà irriconoscibili, servi di quello stesso
potere che induce gli uomini “a comperare
cose di cui non hanno bisogno, o a odiare cose che non conoscono, o a credere
cose che li rendono ubbidienti, o a dubitare di cose che li potrebbero salvare.
[…] nel mondo degli uomini si fanno i più grossi affari, si scatenano guerre,
si fondano imperi… […] Là ci sono anche una quantità di poveri sciocchi (che
naturalmente si considerano molto intelligenti e credono di servire la verità),
zelantissimi nel convincere i bambini a non credere all’esistenza di Fantàsia”.
Il discorso di Mork è
terrificante, ma – pensateci bene – è forse così lontano dalla verità? Io non
credo…
E così: “Quanto più la distruzione dilagava in
Fantàsia, tanto più imponente diventava il flusso delle menzogne nel mondo
degli uomini, e proprio in tal modo, a ogni minuto che passava, svaniva sempre
più la possibilità che un figlio dell’uomo venisse. Era un diabolico circolo
vizioso, dal quale non c’era via d’uscita”.
Ora sia Atreiu sia
Bastiano sono a conoscenza di questo terribile segreto, ma Bastiano ha una
consapevolezza in più; inizia, infatti, a rendersi conto che la vera menzogna è
quando tutti ti ripetono frasi come: “Rassegnati! Così è la vita. Non ci puoi
fare nulla”. La vita non è veramente
così grigia e indifferente! E il dolore di aver in qualche modo contribuito
alla distruzione di chissà quali figure di Fantàsia comincia a tormentarlo…
Perciò vuole a tutti i costi trovare la strada per raggiungere Atreiu e
aiutarlo. Intanto, nel suo mondo, sono le otto.
Ora Atreiu sa come
arrivare al mondo degli uomini, ma – ovviamente – non lo desidera più: non
vuole diventare una bugia! Pertanto, la conversazione tra lui e Mork prosegue.
Atreiu chiede al Lupo Mannaro perché non si sia ancora gettato nel Nulla e la
risposta è: “Io avevo un compito”. Il
compito consisteva nel trovare e uccidere l’eroe inviato dall’Infanta
Imperatrice per impedire la distruzione di Fantàsia. Per un po’ il lupo aveva seguito le tracce di
questo fantomatico eroe, ma poi le aveva perdute. Arrivato alla Città dei
Fantasmi, aveva incontrato la Principessa delle Tenebre, la quale aveva finto
di stare dalla sua parte. Ingenuamente, il lupo le aveva raccontato della
propria missione e Maya lo aveva incatenato per impedirgli di portarla a
termine. Dopodiché si era gettata nel Nulla.
“Hai
dimenticato, Mork, che sono anch’io una creatura di Fantàsia. E se tu combatti
contro Fantàsia, combatti anche contro di me. Quindi sei mio nemico, e perciò
io ti ho vinto con l’astuzia. Questa catena la potrò sciogliere io soltanto. Ma
ora io vado con tutta la mia corte, con i miei servi e le mie ancelle, a
gettarmi nel Nulla e non tornerò mai più”.
A questo punto il lupo
è perduto, ma anche Atreiu sembra esserlo: il primo ha dato retta per troppo
tempo alla Principessa delle Tenebre, mentre il secondo ha dato ascolto per
troppo tempo al Lupo Mannaro e il Nulla – ormai – circonda tutta la città come
un anello. Il loro destino è quello di morire insieme, ma in modi assai
differenti: Mork morirà prima che il Nulla sia arrivato a toccarlo; Atreiu,
invece, è destinato a morire inghiottito dal Nulla. E questo fa una grande
differenza perché quello che muore prima ha concluso la sua storia, mentre quello
che ne viene inghiottito continuerà a vivere come una bugia e la sua storia non
avrà mai fine!
Allora, sapendo di
avere il destino segnato, Atreiu svela al lupo di essere l’eroe di cui era
andato in cerca fino a quel momento. Alla notizia, Mork inizia a ridere e –
così facendo – muore. Pensando sia diventato assolutamente innocuo, Atreiu si
avvicina al corpo del lupo e lo accarezza, ma anche dopo la morte Mork è
pervaso dal Male e le sue zanne si serrano intorno a una gamba del ragazzo. Pur
tentando con tutte le sue forze di liberarsi da quella stretta, Atreiu non
riesce ad aprirgli la bocca. Sentendo di essere spacciato, si accascia accanto
al cadavere del lupo e attende l’arrivo del Nulla.
Mork – ovvero l’ombra
che ha seguito Atreiu nel suo lungo e pericoloso viaggio – è un Lupo Mannaro.
Niente è a caso in questo libro e neppure la scelta del Lupo Mannaro lo è. Esso
è una creatura che può muoversi agevolmente tra i mondi perché è per metà umano
e per metà animale. E’ una creatura fantastica, nel senso che scaturisce dalla
fantasia degli uomini; è in grado di terrorizzare i suoi stessi creatori perché
è essa stessa paura e terrore. Ma Atreiu non ha paura, da quando ha
oltrepassato le Tre Porte, tanto che vorrebbe persino liberarlo dalla catena
che lo imprigiona. Una catena magica, frutto dell’astuzia di Maya, la
Principessa delle Tenebre. Chi è Maya? Maya è molte cose. Abbiamo visto che in
origine era associata alla parola “creazione”, quindi al potere creativo, ma in
seguito il suo significato è stato rivalutato in “illusione”. Se ci pensate, da
“creazione” a “illusione” il passo è breve: un’illusione rappresenta, a suo
modo, una creazione della mente… La mente è in grado di creare (e, successivamente,
di vivificare) ogni sorta di illusione e - quindi - di “velo”. Che sia un velo
per nascondere il nostro vero “IO” (un’illusione, questa, dall’accezione
negativa) o un velo per coprire la realtà che ci circonda, mistificandola
(anche questo, di sicuro, un utilizzo negativo del potere creativo) o una
potenzialità usata per dare sfogo alla fantasia (questa è di sicuro la funzione
più bella), Maya resta comunque una creatura ambigua, almeno all’interno del
romanzo. Una volta scoperti i piani di Mork (al servizio di non meglio
identificati “padroni”), incatena quest’ultimo, ma poi va a gettarsi anch’essa
nel Nulla. Ecco che, da potenza creativa, la Principessa delle Tenebre si
trasforma in illusione, condannando gli uomini a vivere nella paura e nell’incapacità
di discernimento tra ciò che è reale e ciò che non lo è, tra ciò che può
giovargli e ciò che può distruggerlo.
[1] Licantropo
Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera: https://it.wikipedia.org/wiki/Licantropo
Secondo la leggenda, il lupo mannaro sarebbe un essere umano condannato da una maledizione (o secondo alcuni lo sono già dalla nascita) a trasformarsi in una bestia feroce ad ogni plenilunio: la forma di cui si racconta più spesso è quella del lupo, ma in determinate culture prevalgono l'orso, il bue (Erchitu) o il gatto selvatico (si veda in seguito). Nella narrativa e nella cinematografia dell'orrore sono stati aggiunti altri elementi che invece mancavano nella tradizione popolare, quali il fatto che lo si possa uccidere solo con un'arma d'argento, oppure che il licantropo trasmetta la propria condizione ad un altro essere umano dopo averlo morso. Alcuni credevano che uccidendo il lupo prima della prima trasformazione la maledizione venisse infranta.
È importante notare inoltre che lupo mannaro e licantropo non sempre sono sinonimi: infatti nelle leggende popolari il lupo mannaro è talvolta semplicemente un grosso lupo con abitudini antropofaghe, a cui può essere associata o no una natura mostruosa. Inoltre, nel caso del lupo mannaro come mutaforma, si può distinguere tra il lupo mannaro, che si trasforma contro la propria volontà, e il licantropo, che si può trasformare ogni volta che lo desidera e senza perdere la ragione (la componente umana).
Nella letteratura medica e psichiatrica con licantropia è stata descritta una sindrome isterica che avrebbe colpito le persone, facendo sì che assumessero atteggiamenti da lupo durante particolari condizioni (come le notti di luna piena). In modo analogo un licantropo era semplicemente una persona affetta da questo disturbo ed è con questo unico significato che la voce è riportata su alcuni importanti dizionari della lingua italiana.[1][2] In tempi recenti, l'esistenza di tale disturbo è stata considerata rarissima[3] o addirittura messa in discussione dalla psichiatria stessa.
[2] Māyā
Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera: https://it.wikipedia.org/wiki/M%C4%81y%C4%81
Arthur Bowen
Davies, Maya, lo specchio delle illusioni (1910)
Con il sostantivo femminile sanscrito māyā
(in devanāgarī माया) si indicano in
quella lingua diverse dottrine filosofiche e religiose originarie dell'India nonché, come nome
proprio, la madre di Gautama Buddha
o uno dei nomi della dea Lakṣmī. Il significato originario di māyā è quello di "creazione", ma ha successivamente acquisito il significato di "illusione".
Origine del termine e suoi significati
Māyā possiede come significato originario quello di "creazione" indicando anche il relativo potere straordinario. Tale termine deriva dal verbo[1] sanscrito mā nell'accezione di "misurare", "distribuire", "foggiare", "ordinare", "costruire".Nei Veda con il termine māyā si indica il potere da cui ha origine il mondo materiale. Questo potere è proprio dei deva e degli asura che lo utilizzano per trasformare una propria ideazione in una forma concreta, attenta ed efficiente come suggerisce il termine italiano "arte"[2].
Nel Ṛgveda (XV/X secolo a.C.), mediante māyā Varuṇa misura e distribuisce la terra ordinando il mondo fisico.
Il Buddhismo Mahāyāna, propugnatore fin dai primi Prajñāpāramitāsūtra (I secolo a.C./I secolo d.C.) della dottrina dello śūnyatā ovvero della "vacuità" di proprietà inerente dei fenomeni (nulla esiste di per sé in quanto tutto è impermanente e correlato agli altri fenomeni), intende la māyā come illusione del mondo fenomenico ovvero come realtà convenzionale (vyāvahārika) che nasconde la realtà assoluta (pāramārtika).
Il velo di Maya
Arthur Schopenhauer
Con l'espressione Velo di Maya,
coniata da Arthur Schopenhauer nel suo Il mondo come volontà e rappresentazione, si intendono diversi concetti metafisici e
gnoseologici
propri della religione e della cultura induista e
ripresi successivamente anche da vari filosofi
moderni. Arthur Schopenhauer nella propria
filosofia sostiene che la vita è sogno sebbene questo
"sognare" sia innato (quindi la nostra unica "realtà") e
obbedisca a precise regole, valide per tutti e insite nei nostri schemi
conoscitivi. Questo «velo», di natura metafisica e illusoria, separando gli esseri individuali dalla conoscenza/percezione della realtà (se non sfocata e alterata), impedisce loro di ottenere moksha (cioè la liberazione spirituale) tenendoli così imprigionati nel saṃsāra, ovvero il continuo ciclo delle morti e delle rinascite. Similmente alla metafora della caverna di Platone, l'uomo (e quindi l'intera umanità) è presentato come un individuo i cui occhi sono coperti dalla nascita da un velo; quando se ne libererà, la sua anima si risveglierà dal letargo conoscitivo (o avidyã, ignoranza metafisica) e potrà contemplare finalmente la vera essenza della realtà.
Le numerose ed eterogenee correnti induiste attribuiscono significati e funzioni differenti a questo concetto: le correnti dualistiche (come ad esempio gli Hare Krishna) la interpretano come il «velo» che separa l'essere individuale dal riscoprire la propria relazione con Dio, che essi identificano con Krishna; mentre presso le scuole moniste (come, ad esempio, l'Advaita Vedānta) questo «velo» è rappresentato dall'identificazione con il corpo, con la mente, con l'intelletto e con la propria stessa individualità, il senso dell'io (ahamkara), ovvero tutto ciò che ricopre e riveste l'Ātman (unica entità eterna ed immortale), impedendo di riconoscere la propria identificazione con esso ed illudendo così l'anima individuale di essere un individuo distinto dal tutto.
CAPITOLO
10: “Il volo verso la Torre d’Avorio”
Mentre è intento a
cercare Atreiu, Fùcur trova AURYN, lo Splendore, impigliato ad un ramo di
corallo nelle profondità marine. Nonostante le difficoltà per recuperarlo
(perché – ricordiamolo – i Draghi della Fortuna sono creature dell’aria e del
fuoco), il Drago color della madreperla riesce a uscire indenne dall’impresa.
Con il gioiello al collo, la sua velocità e le sue forze aumentano a dismisura.
Il medaglione lo conduce da Atreiu, ancora intrappolato dai denti del Lupo
Mannaro. Fortunatamente, ancora intrappolato… Perché? Perché se Mork non lo
avesse immobilizzato, Fùcur sarebbe arrivato troppo tardi! Grazie alla fortuna
portata dal drago e all’azione di AURYN, Atreiu riesce a sottrarsi alla morsa
del lupo, appena in tempo…
Viaggiano insieme,
Atreiu e Fùcur, in una notte che sembra interminabile fino a quando scorgono,
in lontananza, la Torre d’Avorio. Il tempo e lo spazio sono distorti all’interno
di Fantàsia, perché tutto è soggettivo. Concetti come “vicino” e “lontano”
diventano relativi perché dipendenti
dallo stato d’animo e dalla volontà di chi sta compiendo il viaggio.
“Poiché
Fantàsia non ha confini, il suo centro può essere ovunque, o, per meglio dire,
è ugualmente lontano e ugualmente vicino da qualunque punto. Dipende
esclusivamente da colui che vuole arrivare a questo centro. E questo centro del
centro di Fantàsia è precisamente la Torre d’Avorio”.
E poiché sono arrivati
a trovarsi troppo vicini al Nulla, sia Atreiu sia il drago, hanno assunto una
colorazione grigiastra che conferisce loro un aspetto irreale.
Fùcur cerca di spiegare
al giovane Atreiu come rivolgersi alla Sovrana quando si troverà al suo
cospetto. I nomi con cui tutti la chiamano sono: Infanta Imperatrice, Occhi
d’Oro e Sovrana dei Desideri. Il drago gli fornisce anche un’approssimativa
descrizione fisica dell’Imperatrice:
“Sembra
una bambina. Ma è molto, molto più vecchia della più vecchia creatura di
Fantàsia. Per essere più precisi, dovrei dire: è senza età”.
Un po’ come il Dio
Eros, dunque, anche l’imperatrice di Fantàsia è una bambina, ma è talmente
antica da non avere età. Inoltre ricordiamo che è la Sovrana in un mondo (e in
una storia) senza inizio e senza fine, prerogativa del cerchio.
Fùcur prosegue dicendo:
“AURYN
ha potere su tutte le creature di Fantàsia, sia quelle della luce, sia quelle
delle tenebre. […] Eppure l’Infanta Imperatrice non esercita mai il potere. E’
come se lei non ci fosse, eppure è in tutte le cose”. Ma non è una “creatura
come noi”. […] Lei non è quello che siamo noi. Lei non è una creatura di
Fantàsia. Noi esistiamo tutti in grazia della sua esistenza. Ma lei è di natura
diversa”. E non è neppure “qualcosa
di simile a un figlio dell’uomo” perché “lei
non è quello che sono gli esseri umani. […] Nessuno in tutta Fantàsia” sa
CHI sia e “nessuno lo può sapere. Questo
è il mistero più impenetrabile del nostro mondo. Una volta ho sentito un saggio
affermare che chi lo capisse spegnerebbe con ciò la propria esistenza”.
Fùcur esprime dei
concetti fondamentali, parlando con Atreiu: le sue parole rimettono in gioco il
Libero Arbitrio di cui tutte le creature sono dotate, ma – soprattutto - sottintende che l’Imperatrice non intervenga contro la malvagità perché è
necessario che ci sia il male affinché ci sia il bene. Ogni cosa esiste grazie
e in funzione del proprio contrario o del proprio opposto. La Sovrana è una
bambina perché solo i bambini sono dotati di una grande purezza di spirito, ma
non è una creatura DI Fantàsia pur vivendo IN Fantàsia. Nessuno sa CHI sia
perché è l’”IO” di ognuno di noi e chi arrivasse a conoscere interamente il
proprio “IO”, interromperebbe la Grande Ricerca e “spegnerebbe con ciò la propria esistenza”. La nostra essenza è in
continuo mutamento e – pur volendo – sarebbe assai riduttivo, nonché
artificioso, relegare l’”IO” a qualcosa
di ben definito o definibile.
Per arrivare
all’Imperatrice Atreiu è costretto a inerpicarsi lungo scale con numerosi
gradini, e porte (tre, per l’esattezza) sempre più piccole. L’ultimo tratto,
quello per arrivare in cima alla Torre, si può percorrere solo tramite un dono,
una grazia. Atreiu varca la soglia che conduce all’interno del padiglione e,
finalmente, si trova di fronte alla Sovrana. Non riporterò qui la descrizione
che Ende ci fornisce dell’Imperatrice: è meravigliosa e vorrei che la leggeste
direttamente dal libro…
Accade, a questo punto,
una cosa molto strana: Bastiano vede – letteralmente – l’Infanta Imperatrice.
Non con la mente, ma con gli occhi! E nello stesso istante apprende persino il
suo nome: FIORDILUNA. E Fiordiluna guarda negli occhi Bastiano, il quale –
abbagliato da tale visione – ha un solo desiderio: continuare a leggere per
poterla rivedere ed essere di nuovo con lei. Ecco perché, dopo un comprensibile
momento di smarrimento per la stranezza dell’evento, Bastiano riprende la
lettura del libro, non intuendo che – così facendo – si sta abbandonando “irrevocabilmente alla più inconsueta ma
anche alla più pericolosa delle avventure”.
Intanto, il campanile
batte le dieci.
CAPITOLO
11: “L’infanta Imperatrice”
Nel mondo di Bastiano
sono le dieci… La decima è l’ultima Sephira della Qabbalah, quella che porta al
Mondo degli esseri umani…
Atreiu è arrivato al
cospetto dell’Imperatrice completamente cambiato, ingrigito dalla testa ai
piedi, sfinito e angosciato per il fatto di dover comunicare alla Sovrana
l’esito infausto della missione. Ma la Sovrana è di tutt’altro avviso: assicura
ad Atreiu che il suo aspetto fisico tornerà “com’era
e ancor più bello” e si congratula col ragazzino perché ha assolto il
compito che gli aveva dato. Atreiu è sgomento finché Lei non lo mette al
corrente di aver portato con sé il Salvatore di Fantàsia. Pervaso da un senso
di incredulità, Atreiu inizia a guardarsi attorno, sperando di vedere questo
fantomatico Salvatore, ma non vede nessuno.
“Oh,
sono ancora molte le cose che ti restano invisibili, […] ma mi puoi credere.
Egli non è ancora da noi. Ma i nostri mondi sono già così vicini che abbiamo
potuto vederci; per la durata di un lampo la sottile parete che ancora ci
separa si è fatta trasparente. Presto sarà del tutto con noi e mi chiamerà con
il mio nuovo nome, quello che solo lui può darmi. Allora io sarò guarita e
Fantàsia con me”.
A queste parole, Atreiu
comprende che Lei sapeva già TUTTO e la sua reazione lascia trasparire la
collera, ma – ancora una volta – l’Imperatrice gli spiega ogni cosa. Era
necessario che partisse alla Grande Ricerca perché solo in questo modo il
figlio dell’uomo poteva seguirlo:
“e
per questo ti ha seguito, perché si è visto coi tuoi stessi occhi. […] E ora
forse comprende che tutte le grandi fatiche che tu, Atreiu, hai dovuto
assumerti erano per lui, e che tutta Fantàsia lo chiama”.
L’Imperatrice si
dichiara in debito con Atreiu per le sue gesta, ma gli spiega che portare con
sé lo Splendore equivale ad avere con sé
l’Imperatrice stessa, quindi il momento più pericoloso da lui vissuto si è
verificato quando ha perso AURYN… In quel momento ha incontrato Mork e si è
trovato terribilmente vicino al Nulla. Solo e senza aiuti. La Sovrana si fa,
quindi, raccontare cosa gli ha detto il lupo e la spiegazione che Lei ne dà –
di rimando – ad Atreiu è davvero agghiacciante:
“Sì,
è vero. […] Tutte le menzogne erano un tempo creature di Fantàsia. Sono della
stessa sostanza[1],
però sono diventate irriconoscibili e hanno perduto la loro vera natura. Ma ciò
che Mork ti ha detto era solo una mezza
verità, come altro non ci si può aspettare da una creatura che è una mezza
creatura. Ci sono due modi per varcare i confini fra Fantàsia e il mondo degli
uomini, un modo giusto e uno sbagliato. Quando le creature di Fantàsia vengono
trascinate nell’altro mondo in quella terribile maniera, quello è il modo
sbagliato. Ma quando è un figlio dell’uomo a
venire da noi, questo è il modo giusto. Tutti i figli dell’uomo che sono
venuti fra noi hanno appreso qualcosa
che solo qui potevano apprendere e che li ha fatti tornare nel loro
mondo profondamente mutati. Erano diventati dei veggenti, perché ci avevano
visto nella nostra vera natura[2].
Per questo potevano ora guardare anche il loro stesso mondo e il loro prossimo
con occhi diversi. Là dove prima non vedevano che banali cose quotidiane,
scoprivano d’improvviso miracoli e misteri. Per questo venivano volentieri da
noi in Fantàsia. E quanto più ricco e fiorente il nostro mondo diventava grazie
a loro, tanto meno erano le menzogne nel loro mondo, e tanto più perfetto esso
diventava. Così come i due mondi possono distruggersi a vicenda, allo stesso modo
possono vicendevolmente risanarsi. […] La disgrazia che è caduta su entrambi i
mondi […] ha anch’essa una doppia origine. Adesso ogni cosa è mutata nel suo
contrario[3]:
ciò che può render veggenti acceca; ciò che può creare il nuovo diventa
distruzione. La salvezza si trova nei figli degli uomini. Uno, uno solo deve
venire a darmi un nome nuovo. E verrà”.
La soluzione è un nome
nuovo perché “solo il nome giusto dà a
tutte le creature e a tutte le cose la loro realtà. […] Il nome sbagliato rende
tutto irreale. Questo è ciò che fa la menzogna”.
L’Iniziazione è proprio
questo: un “viaggio” dentro noi stessi, in cui ritrovare ciò che eravamo, le
facoltà che abbiamo perduto (tra cui quella di stupirci di ogni cosa, quella di
ricominciare a vedere la bellezza attorno a noi e – in essa – i miracoli della
vita e del mondo, quella di meravigliarci
accorgendoci di ciò che ci circonda e così via). Intraprendendo questo
viaggio e percorrendo la strada fino alla fine ci scopriremo persone nuove,
torneremo ad essere come quando eravamo bambini[4],
in cui ogni cosa era possibile perché sapevamo come si fa a sognare, a
desiderare e non avevamo barriere di alcun genere o limitazioni di sorta.
Crescendo –infatti – subiamo una serie inimmaginabile di condizionamenti: da
parte dei nostri genitori, da parte degli insegnanti, da parte della
società e della civiltà in cui siamo
inseriti. E se prima avevamo la capacità di “vedere” le cose nella loro
essenza, poi – diventando adulti – limitiamo il nostro “campo visivo”,
iniziando a ragionare come ci costringono a ragionare, a comprare le cose che
ci dicono di comprare, a guardare i programmi televisivi che ci propinano…
Arriviamo così, lentamente, a “spegnere” tutti i nostri veri desideri
accontentandoci di ciò che c’è già e adattandoci a ciò che ci viene concesso.
Pian piano diventiamo noi stessi macchine o ingranaggi di quel meccanismo che
ci ha portati ad essere schiavi di un Sistema; e da vittime che eravamo, ci
trasformiamo in carnefici. Menzogne a nostra volta, realtà “velate”, bugie.
Ende, attraverso le
parole dell’Imperatrice, ci fornisce anche la soluzione per farci aprire le
“gabbie” in cui scontiamo la nostra prigionia: tornare ad integrare i due
mondi. Come? Ricominciando a sognare, innanzitutto, e – cosa altrettanto importante
– attribuendo alle cose il giusto nome e il corretto significato. Le parole
hanno un enorme potere, che – però – può diventare estremamente pericoloso se
usato nella maniera scorretta: il potere di far esistere le cose può – infatti
– diventare fonte di fraintendimenti e malintesi. Quando con la stessa parola
intendiamo più cose, ad esempio, i malintesi sono assicurati; succede spesso
con la parola “amore”, molto usata, ma anche molto abusata… Così accade che ciò
che potrebbe aiutarci, ci crea soltanto confusione portandoci a quel concetto
di contrappasso già presente in Seneca e in Dante (vedi nota 15).
Ma Bastiano non sa come
fare ad attraversare quel confine, diventato ormai tanto vicino quanto
irraggiungibile. La paura lo blocca. Paura di cosa? Di cosa potrebbe accadere
se davvero arrivasse a Fantàsia, di cosa significhi “subire una
trasformazione”, di incontrare creature mostruose, di non essere all’altezza…
Ci siamo: qui viene il bello! Bastiano è convinto che la Sovrana, Atreiu e
tutta Fantàsia si aspettino di veder comparire al loro cospetto un eroe, ma lui
non si sente affatto tale! E a tal pensiero l’espressione dell’Infanta
Imperatrice muta, diventando in tutto e per tutto simile a quella delle Sfingi.
E’ costretta a fare qualcosa che – da sola – è impossibilitata a fare, infatti
per farlo deve recarsi dal Vecchio della Montagna Vagante. Atreiu è perplesso:
“Nei
nostri accampamenti i vecchi raccontano di lui ai bambini molto piccoli, quando
fanno i cattivi o non vogliono ubbidire. Dicono che scriva nel suo libro tutto
quello che uno fa o non fa, sì, addirittura quello che uno pensa e prova e che
poi tutto quello che lui ha scritto resti lì segnato per sempre, come una
storia bella o brutta, a seconda. Quando ero piccino ci credevo anch’io, ma più
tardi ho pensato che fosse soltanto una fiaba per i bambini piccoli, per
spaventarli e farli star buoni”.
Ma è difficile dire
cosa c’è di vero nelle fiabe per bambini piccoli, secondo l’opinione della
Sovrana, la quale prosegue affermando che il “Vecchio della Montagna Vagante non lo si può cercare. Si può soltanto
trovarlo. […] Se esiste, lo troverò. […] E’ come me […] perché è in ogni cosa
il mio contrario”.
Atreiu propone
all’Imperatrice di accompagnarla nell’impresa, insieme al Drago della Fortuna, ma
lei rifiuta l’offerta spiegando che il Vecchio della Montagna Vagante lo si può
trovare soltanto da soli. Inoltre Fùcur non è più dove Atreiu l’ha lasciato, ma
in un luogo in cui potrà guarire e riprendersi dalle fatiche affrontate; un
luogo in cui, presto, anche Atreiu giungerà, attraverso il sonno.
L’Imperatrice, dal canto suo, ha sette Poteri (invisibili ad Atreiu) di cui tre
rimarranno proprio con Atreiu e il drago, a proteggerli e gli altri quattro
accompagneranno lei nel suo viaggio.
E mentre Atreiu
sprofonda in un sonno sereno, l’Imperatrice parte coi suoi quattro invisibili
Poteri. La direzione per trovare il Vecchio della Montagna Vagante? Una
qualsiasi, purché si vada sempre avanti.
Interessante il
parallelismo tra l’Infanta Imperatrice e il Vecchio della Montagna Vagante,
infatti se la prima può essere associata a una divinità buona (o alla parte
luminosa presente in ognuno di noi), il secondo sembra quasi l’Uomo Nero, una
sorta di diavolo, di divinità oscura e malvagia. E’ come l’Imperatrice, perché
è in ogni cosa il suo contrario, perciò – nello stesso tempo – è il suo
opposto, la parte oscura che c’è in noi.
CAPITOLO
12: “Il Vecchio della Montagna Vagante”
La portantina
dell’Infanta Imperatrice si sta inerpicando su per le Montagne del Destino, le
quali hanno una caratteristica molto particolare: possono essere conquistate da
uno scalatore soltanto quando colui che lo ha preceduto nell’impresa è stato
completamente dimenticato. Il paesaggio è interamente coperto di ghiaccio ed è
difficile distinguere la Sovrana dei Desideri, nelle sue vesti bianche, coi
suoi capelli color della neve e sulla sua portantina di vetro che, quindi, si
confonde facilmente col ghiaccio. “L’Infanta
Imperatrice non faceva differenza fra ciò che le era facile sopportare e ciò
che poteva non esserlo, così come prima, nel suo Regno, aveva lasciato piena
libertà all’Oscurità come alla Luce, al Bello come al Brutto. Era pronta e
disposta a esporsi a tutto, perché il Vecchio della Montagna Vagante poteva
essere ovunque e in nessun luogo”. I quattro Poteri ne trasportano il corpo, all’apparenza
inerte, lungo il sentiero in ripida salita tra le pareti di roccia. Poi, quasi
inaspettatamente, le pareti di roccia si aprono, consentendo allo sguardo di spaziare
su un’immensa superficie di scintillante candore. La Sovrana e i suoi quattro
Poteri si trovano sul punto più alto delle Montagne del Destino, al centro di
uno spiazzo in cui si leva in maniera assai singolare, uno stranissimo cono,
alto e sottile, somigliante alla Torre d’Avorio, ma di un intenso color
azzurro. A metà di questo cono si trova un uovo enorme, dotato di un’apertura,
da cui si sporge un volto. A quello sguardo, l’Imperatrice si desta. Deve
percorrere l’ultimo tratto a piedi, da sola, ma la scala a pioli sulla quale è
costretta a salire è composta da lettere dell’alfabeto che si uniscono a
formare delle frasi, in versi e in rima. Frasi che predicono un grande pericolo: IL PRINCIPIO NON DEVE ANDARE IN CERCA
DELLA FINE! Ma – in realtà – è il divieto stesso che porta la Sovrana a
salire, perché soltanto continuando a salire si può proseguire la lettura del
divieto… Bel paradosso, eh?
E’ come se il DIVENIRE
(di cui parlava anche Eraclito con la sua teoria in cui “tutto scorre”, meglio
nota con la formula greca “panta rei”) incontrasse l’ESSERE: tutto si
arresterebbe. Curiosamente, il divenire[5] ha
numerosi simboli, tra cui:
-
il TAO (la filosofia taoista ha molti
punti di convergenza con quella di Eraclito);
-
la danza di Shiva, la divinità induista
della trasformazione;
-
la svastica, che prima di diventare
emblema del nazismo era un simbolo del perenne mutamento;
-
il triscele, un simbolo numismatico;
-
IL
DRAGO, che nell’alchimia rappresenta la metamorfosi degli
elementi.
Ecco, dunque, che molti
dei simboli de “La Storia Infinita” svelano i loro significati nascosti; pian
piano, facendoci meravigliare ad ogni pagina…
Quando la Sovrana
giunge finalmente all’ingresso dell’uovo è ridotta in un pessimo stato: le sue
vesti sono lacerate da pioli, spuntoni e spine. “Be, che le lettere dell’alfabeto non le fossero amiche, non era cosa
nuova per lei. L’antipatia del resto era reciproca”.
“La
sua voce [dell’Infanta Imperatrice] riecheggiò come se avesse parlato in una grande sala deserta. Oppure
era una voce più bassa che le aveva risposto con le sue stesse parole?”
In mezzo al buio
galleggia un bagliore rossastro emanato da un libro aperto, sospeso a
mezz’aria: è lo stesso libro che Bastiano sta leggendo al momento!
“Ma
come poteva questo libro comparire come oggetto nella storia che esso stesso
narrava?”
Dalle pagine del libro
si sprigiona una luce verde-azzurrognola – data dal colore delle lettere – che illumina
il volto di un uomo vecchissimo, segnato dalle rughe e incorniciato da una
lunga barba bianca. Vestito con una tonaca da monaco, di colore blu, il Vecchio
della Montagna tiene in mano uno stilo con cui scrive sul libro. Scrive tutto ciò che accade e accade
tutto ciò che scrive. Il libro è tutta Fantàsia e l’Imperatrice e il
Vecchio; ed è come un libro contenuto in un libro, come uno specchio che
riflette uno specchio… Il Vecchio è tutta la memoria di Fantàsia e conosce
tutto ciò che è accaduto fino al presente, ma non può sfogliare il libro per
conoscere il futuro, perché vedrebbe solo pagine bianche! Egli può guardare solo
indietro, a ciò che è avvenuto nel passato. “Lo
leggevo nell’istante in cui lo scrivevo. E lo so perché l’ho letto. E l’ho
scritto perché è accaduto. Così la storia infinita si scrive da sola per mezzo
della mia mano. […] Con me tutto diventa immutabile e definitivo”. Quindi
“questa è la fine della storia infinita”.
L’Infanta Imperatrice
non è turbata dalle parole del Vecchio, anzi dice: “Tu e io non abbiamo più il potere di iniziare. Ma un altro lo può”.
Certo. Solo un figlio
dell’uomo può creare un nuovo inizio. In questo specifico caso si parla,
ovviamente, di Bastiano che ormai fa parte irrevocabilmente della Storia
Infinita, perché è la sua stessa storia.
L’Imperatrice ordina al
Vecchio di raccontarle dall’inizio, parola per parola, la storia e così il
Vecchio le risponde: “Se lo faccio, devo
poi riscrivere tutto daccapo. E ciò che scrivo dovrà nuovamente accadere”.
Il Vecchio scrive e
dice:
“Se
la Storia Infinita
dentro
se stessa sta,
allora
tutto il mondo
nel
libro finirà”.
E l’Infanta Imperatrice
risponde:
“Ma
se l’eroe adesso
a
noi vien da se stesso,
può
nuova vita germogliare.
Ora
non deve più tardare!”
Per tale motivo, il
Vecchio risponde: “Davvero sei terribile,
questo significa la Fine Infinita. Entreremo nel cerchio dell’eterno ritorno. E
di lì non c’è più via d’uscita”.
E l’Infanta
Imperatrice, ancora una volta, si trova a controbattere: “Per noi no, ma nemmeno per lui, a meno che non ci salvi tutti”.
Ella è disposta a
mettere tutto il destino di Fantàsia nelle mani di un figlio dell’uomo… E così
il Vecchio inizia a leggere – e, contemporaneamente - a scrivere la Storia
Infinita dal principio. Bastiano ode ogni cosa nello stesso istante in cui la
legge e compie delle scoperte straordinarie tra cui questa:
“[…]
si può essere perfettamente convinti di desiderare una cosa, magari per anni
interi, fintanto che si sa che il desiderio non è realizzabile. Ma nel momento
stesso in cui, all’improvviso, ci si trova di fronte alla possibilità ch’esso
si trasformi in realtà, allora non si ha più che un solo desiderio: non averlo
desiderato mai”.
Proprio così. E’ una
delle condizioni che spesso impediscono ai nostri desideri di realizzarsi.
Quando desideriamo qualcosa, anche se ardentemente, può capitare di non vederla
realizzarsi e le cause possono essere molteplici:
-
la sensazione di non essere degni o – addirittura –
all’altezza;
-
la paura (come in questo caso) di non
sapere come gestire il desiderio una volta ottenuta la sua realizzazione;
-
il fatto di non volerlo davvero;
-
l’errata formulazione;
-
l’aver desiderato cose o – addirittura –
desideri che appartengono ad altri e che non sentiamo del tutto “nostri”.
Bastiano ha desiderato
una storia che non avesse fine e ora – attanagliato dalla paura – vorrebbe non
aver mai desiderato una cosa del genere!
E intanto che il
Vecchio rilegge e ripete parola per parola tutte le gesta di Atreiu, Bastiano
comprende che “così sarebbe andato avanti
per l’eternità, perché evidentemente era del tutto impossibile che qualcosa
potesse mutare il corso delle vicende. E doveva farlo, se non voleva restare
lui stesso rinchiuso in quel cerchio senza uscita. […] Il cerchio dell’eterno
ritorno era la Fine Infinita!”
Bastiano inizia a
piangere e all’improvviso grida:
“Fiordiluna!
Vengo!”
In quello stesso
istante accadono contemporaneamente molte cose: una forza violentissima spezza
il guscio dell’uovo e un vento di tempesta inizia a scaturire dalle pagine del
libro di Bastiano. Le fiammelle delle candele si piegano spaventosamente finché
un secondo turbine di vento le spegne ed entra nel libro. Il buio avvolge ogni cosa. E’ mezzanotte.
Nelle due figure
protagoniste di questo capitolo (l’Infanta Imperatrice e il Vecchio della
Montagna Vagante) io ho visto rispettivamente Elohim e Jahvè (JHWH). Il Futuro,
il Divenire che incontra il Passato e tutto ciò che c’è e c’è stato.
Enormi responsabilità
gravano su Bastiano (il figlio dell’uomo) che ha il compito di creare un nuovo
inizio spezzando il “loop” della Fine
Infinita e dando origine ad una Storia Infinita completamente nuova.
Bastiano rappresenta
ognuno di noi, e il suo potenziale è anche il nostro. Abbiamo tutti la sua
stessa responsabilità e – allo stesso tempo – la sua stessa libertà di mettere
fine alla realtà che non ci piace, tornare all’inizio (Iniziazione) e creare
una nuova realtà. Un mondo nuovo, anzi, tanti piccoli grandi mondi nuovi e
meravigliosi aspettano di essere generati, plasmati e modellati dai nostri
Desideri, dai nostri Pensieri, dalla nostra Volontà, dalla nostra Creatività,
dalla nostra Immaginazione, dalla nostra Fantasia e dalle nostre Azioni.
Diamoci da fare,
dunque!
CAPITOLO
13: “Perelun, il Bosco Notturno”
Bastiano è finalmente
“asceso” ad un livello di coscienza superiore: non ha più paura, ma – al
contrario – è lieto e leggero, talmente leggero che galleggia a mezz’aria,
senza il peso del proprio corpo a trattenerlo. Come in un bellissimo Viaggio
Astrale, in una dimensione fuori dallo spazio e dal tempo. Il senso di libertà
che prova è senza confini… E’ giunto fino all’Imperatrice – che ora, per sua
stessa assegnazione, porta il nome di Fiordiluna – in un luogo avvolto da un’oscurità
vellutata. Una morte rituale tipica di ogni Iniziazione (come quella di
Biancaneve, o quella di Cappuccetto Rosso, per intenderci). Lui è con lei e lei
è con lui ed entrambi sono “al principio”. Non c’è null’altro in questo
principio perché “Fantàsia rinascerà dai
tuoi desideri, Bastiano mio. E grazie a me, essi si muteranno in realtà”.
E – come il Genio de “La
lampada di Aladino” – l’Imperatrice prosegue dicendo: “Tu lo sai bene che mi chiamano la Sovrana dei Desideri. Che cosa
desideri?”
Ecco che sorge il primo
problema, che di solito tutti si trovano a dover affrontare quando hanno l’opportunità
di esprimere dei desideri:
«Quanti
desideri ho a disposizione?»
«Quanti
ne vuoi. Quanti più sono, tanto meglio è, Bastiano mio. Tanto più ricca e
multiforme diventerà Fantàsia».
“Bastiano
si sentì sopraffatto dalla sorpresa. Ma proprio perché d’improvviso si trovava
di fronte a una simile illimitatezza di possibilità, non gli veniva in mente
nulla di preciso da desiderare”.
Questo è male,
ovviamente, ma Bastiano è turbato dalla sconfinata libertà concessagli e dal
buio che lo avvolge. Non sa che “il
principio è sempre buio”. Finalmente – però – riesce ad esprimere il suo primo desiderio: vuole
rivedere il volto di Fiordiluna. Così, la Sovrana gli regala un granello di
sabbia, unica cosa rimasta di tutta Fantàsia. Quel granello si trasforma – per potere
di Bastiano – in un seme, che inizia a germogliare e a produrre luce
sufficiente a illuminare i loro volti, entrambi chini sul miracolo. Il germoglio
cresce molto rapidamente e dà vita a innumerevoli nuove piante, coloratissime e
variegate; è uno spettacolo straordinario che Bastiano e Fiordiluna osservano
con occhi pieni di meraviglia. La luce aumenta al crescere e al moltiplicarsi
della flora. Fiordiluna informa Bastiano che il passo successivo consiste nel
fornire un nome al bosco che si sta infittendo, pertanto il ragazzino decide di
chiamarlo “Perelun, il Bosco Notturno”.
L’Imperatrice è
completamente guarita e Bastiano vorrebbe che tutto restasse in eterno come si
trova in quel momento. A questo pensiero, la Sovrana dei Desideri afferma:
“Il
momento è eterno”.
La sua risposta è
bellissima e, anche se Bastiano non riesce a comprenderla, per noi lettori è
interpretabile con: “Il tempo non esiste”.
I due protagonisti
dialogano e Bastiano spiega alla Sovrana il motivo per il quale non si è
presentato subito al suo cospetto. Noi lettori lo sappiamo già: si vergognava,
non si sentiva all’altezza e provava una gran paura. Pensava che l’Imperatrice
si aspettasse un tipo coraggioso, forte e bello come un principe… A queste
parole, Fiordiluna non può far a meno di ridere; si avvicina al volto di
Bastiano e lo spinge a guardarla negli occhi:
“E
ora, nello specchio d’oro delle sue pupille, dapprima ancora piccina, come a
una grande lontananza, poi via via più vicina, vide una figura che ingrandiva e
si avvicinava, facendosi sempre più chiara. Era un ragazzo, press’a poco della
sua stessa età, ma snello e di straordinaria bellezza. […]
Incantato e pieno di ammirazione, Bastiano
fissava l’immagine. Non poteva saziarsi di guardarla. Voleva giusto chiedere
chi fosse quel bellissimo figlio di re quando, come il bagliore di un lampo, lo
trapassò la consapevolezza di essere lui.
Quella era la sua immagine riflessa negli
occhi d’oro di Fiordiluna.
("[...]per che 'l mio viso in lei tutto era messo". Dante Alighieri La Divina Commedia Canto XXXIII del Paradiso)
("[...]per che 'l mio viso in lei tutto era messo". Dante Alighieri La Divina Commedia Canto XXXIII del Paradiso)
Ciò
che avvenne in quel momento in lui è assai difficile da descrivere a parole. Fu
un rapimento, un’estasi che lo trasportò fuori da se stesso, portandolo
lontano, come se avesse perso conoscenza, e quando ebbe fine ed egli fu tornato
in sé si ritrovò esattamente quel bellissimo fanciullo di cui aveva visto l’immagine.
[…]
Si
volse verso Fiordiluna.
Lei
non c’era più!”
In compenso Bastiano si
trova tra le mani AURYN, il Gioiello, lo Splendore. Lo osserva a lungo e nota,
voltandolo, che sul retro ha incisa la scritta:
“Fa’
ciò che vuoi”
A questo punto dobbiamo
fermarci un attimo e analizzare tutti i dati che Ende ci ha messo di fronte…
Partirei col prendere
in esame ciò che Bastiano vede riflesso negli occhi della Sovrana: un se stesso
completamente diverso da ciò che è. Ma è davvero così? Bastiano è davvero un’altra
persona oppure quel bel giovane negli occhi di Fiordiluna è il “vero” IO di
Bastiano? Tutte e due le cose. Gli occhi della Sovrana sono come uno specchio
divino che riflette la vera natura di ogni essere umano. E Bastiano ne viene
come rapito, perde conoscenza, e quando si riprende è diventato realmente quell’immagine.
Perché non si può vedere il volto di Dio e rimanere uguali a come si era prima
di vederlo, pertanto possiamo dedurre che non si può vedere il proprio vero IO
e pretendere di rimanere invariati. Per Bastiano è stato come uscire da se
stesso e guardarsi dall’esterno, ma con gli occhi del Divenire.
A questo proposito, è
emblematico il Canto XXXIII del Paradiso (“Divina Commedia” – Dante Alighieri),
in cui Dante stesso racconta, seppur con le limitate parole umane che ha a
disposizione, cosa si veda e cosa si provi a trovarsi al cospetto di Dio.
Quando Bastiano si “sveglia”
dall’estasi che lo ha colto, ha per le mani AURYN (che – non a caso – ricorda la
parola “ORO”, fine ultimo dei procedimenti alchemici), ma sul retro c’è una
scritta, mai menzionata prima: “Fa’ ciò che vuoi”. Ancora una volta, capiamo
che spetta a noi ogni decisione, perché siamo dotati di Libero Arbitrio e
facoltà creative. Uno splendido dono divino che raramente ricordiamo di
possedere…
Intanto il Bosco
Notturno cresce e Bastiano gioisce del fatto di essere bello. Non gli importa
che non ci sia nessuno ad ammirarlo. E questo pensiero ci può far riflettere
sull’importanza che molti di noi attribuiscono all’approvazione altrui.
A poco a poco la
sensazione di gioia e la consapevolezza di essere bello si trasforma in naturalezza,
come se la sua bellezza fosse una cosa ovvia. Non è, per questo, meno felice,
ma ha l’impressione di non essersi mai conosciuto diverso da come è ora. Questo
è il segno che lascia il vero cambiamento: non ci si ricorda più di come si era
prima di esso o non si sanno più addurre spiegazioni o giustificazioni ai
comportamenti del passato.
“E
proprio in tal modo veniva esaudito il suo desiderio di essere bello, perché
uno che lo è sempre stato non pensa neppure lontanamente a desiderarlo.
Aveva
appena ottenuto questo, che già provava quasi un senso di insoddisfazione, e in
lui si risvegliò un nuovo desiderio. Dopotutto essere soltanto bello non era un
gran pregio. Voleva anche essere forte, più forte di chiunque altro. Il più
forte in assoluto!”
In queste parole
ritrovo chiaro come il sole il pensiero del filosofo Arthur Schopenhauer, il
quale sosteneva che:
“La vita
umana è
come un
pendolo
che oscilla incessantemente tra dolore e noia, passando attraverso l'intervallo
fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia”.
Quando
desideriamo qualcosa significa che quel “qualcosa” ci manca, pertanto ci
tormentiamo dolorosamente con quel desiderio finché non riusciamo ad ottenerne
la realizzazione. Proviamo un breve attimo di gioia, ma a quel punto decade il
piacere della ricerca e piombiamo nella noia fino al momento in cui sentiremo
il bisogno di qualcos’altro, lo desidereremo e perpetueremo il cerchio infinito
della vita.
Bastiano
sta ancora percorrendo la strada dell’Iniziazione, ma – mentre prima lo aveva
fatto attraverso il suo “alter ego” Atreiu – ora lo sta facendo personalmente.
Ha già scoperto la Bellezza (Sesta Sephira della Qabbalah) e ora sta
proseguendo nel suo desiderare di possedere altre Virtù. E si comporta come
Adamo nell’Eden: assaggia i frutti, si fa largo tra la vegetazione, poi si
ferma a contemplarla e, per contemplarla meglio, si arrampica senza il minimo
sforzo su una liana. E’ forte, Bastiano, non fa fatica e vuole arrivare in
alto, molto in alto. Non sa come fare, ma gli basta desiderare di arrivare più
in alto e il suo desiderio viene esaudito.
“E Bastiano stava lì e si beava di
quello spettacolo. Quello era il suo regno. Lui lo aveva creato! Lui era il
signore di Perelun”.
[1] “Siamo fatti della materia di cui son
fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra
breve vita”. Da “La tempesta” di William Shakespeare.
[2]
“La tua
visione diventa nitida soltanto quando guardi all'interno del tuo cuore. Chi
guarda fuori, sogna. Chi guarda dentro, si sveglia”. Carl Gustav Jung http://www.shakespeareinitaly.it/sonno.html
[3] CONTRAPPASSO: https://it.wikipedia.org/wiki/Contrappasso
Il contrappasso in Seneca
Lo scrittore e filosofo latino Seneca fa uso della legge del contrappasso nella sua satira Apokolokyntosis, allorché l'imperatore romano Claudio nell'oltretomba viene affidato a uno dei suoi liberti. Il contrappasso, in questo caso, risiede nel fatto che Claudio aveva fama di esser vissuto in mano dei suoi potenti liberti. Si evidenzia il fatto della ritorsione su se stessi e sui proprio punti deboli effetti da malinconie. Il contrappasso risiede anche nel fatto che Claudio viene condannato a giocare a dadi, contenuti in un bussolotto forato: Claudio amava, infatti, il gioco dei dadi e, poiché era l'imperatore e barava in certi casi, vinceva sempre. Ora viene condannato a perdere per l'eternità.Il contrappasso in Dante
Il contrappasso può essere per analogia[1] o per contrasto:- per contrasto, la pena è l'opposto del peccato: per esempio, gli ignavi, coloro che non si sono mai schierati e che quindi non sono mai stati sollecitati a prendere una decisione, sono costretti a una sollecitudine inutile e costante da parte di insetti quali vespe e mosche oppure da vermi, che fanno riferimento alla bassezza morale degli ignavi stessi.
[4] MATTEO Capitolo
18, versetti dall’1 al 5: In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù,
dicendo: «Chi è dunque il più grande nel regno dei cieli?» Ed egli, chiamato a
sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità vi dico: se non
cambiate e non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Chi
pertanto si farà piccolo come questo bambino, sarà lui il più grande nel regno
dei cieli. E chiunque riceve un bambino come questo nel nome mio, riceve me».
[5]
DIVENIRE: “FILOSOFIA. Storia delle idee dalle origini a oggi” di Ubaldo Nicola.
Giunti Editore. Pagine 56 e 57.
ANCORA UNA CONSIDERAZIONE SUL
CAPITOLO 12, PRIMA DI PASSARE AL 14
(anche se alla fine dell’ultimo capitolo cercherò di spiegare meglio ogni
macro-concetto. Per farlo è necessario – infatti – che prima vi dia il “quadro
generale” di tutto il libro):
[L’alfabeto
esprime, attraverso le lettere da cui è composto, i principi primi (o
archetipi) che costituiscono l’Universo. La Tradizione esoterica afferma che è
esistito un alfabeto primordiale i cui segni e suoni erano la diretta
manifestazione del Potere della Parola di Dio; gli alfabeti moderni ne sono la
derivazione, alcuni – però – mantengono maggiormente le potenti vibrazioni
originarie (e sono i cosiddetti alfabeti sacri o magici), mentre altri le hanno
in gran parte perse. Anche la cultura indù attribuisce a ciascuna lettera
alfabetica una parte del corpo di Saraswati, la manifestazione femminile –
Shakti – di Brahma, il Creatore dell’Universo][1].
Ad
un certo punto, nel capitolo 12 de “La Storia Infinita”, l’Imperatrice dice:
“Be,
che le lettere dell’alfabeto non le fossero amiche, non era cosa nuova per lei.
L’antipatia del resto era reciproca”.
Questa frase è
interpretabile così: le lettere formano le parole e il Vecchio scrive quelle
parole (e le frasi da esse formate) sul Libro e noi sappiamo che – come dicevano
i latini – “SCRIPTA MANENT”, pertanto tutto ciò che è scritto non può essere
cambiato, appartiene al passato… Il Dio del Futuro, di Ciò che Sarà, non può
amare molto ciò che c’è già ed è immutabile!
Ed è curioso che Ende
faccia partecipare anche l’uomo alla Creazione, ma è ancora più curioso che l’uomo
non sia solo chiamato in causa come parte attiva, ma sia responsabile della
fine o – al contrario – della sopravvivenza/rinascita del Mondo.
Il Vecchio scrive tutto
ciò che accade e accade tutto ciò che scrive, quindi – a Suo modo – crea, ma l’uomo
rimane comunque la chiave di ciò che va scritto!
CAPITOLO
14: “Goab, il Deserto Colorato”
Bastiano, colto dal
sonno, si addormenta profondamente. Al suo risveglio sente una grande energia
in sé perché, ancora una volta senza che se ne sia accorto, si è verificato in
lui un cambiamento.
“Il
suo desiderio di essere forte era stato esaudito. […] Ora era bello e forte, ma
in un certo senso non gli bastava. Anzi, proprio per questo gli pareva quasi il
segno di una certa mollezza. Essere bello e forte aveva valore solo se si era
al tempo stesso anche temprati, duri, tenaci, spartani. Come Atreiu. Ma lì,
sotto quella selva di fiori meravigliosi, […] c’erano ben poche possibilità di
esercitarsi in spartana durezza. […] Cosa ben diversa sarebbe stata per esempio
traversare un deserto, il più grande deserto di Fantàsia! Sì, quella sarebbe
stata un’impresa di cui andar fiero!”
Questo passaggio mi
ricorda moltissimo una scena del film “Un’impresa da Dio[1]”
(seguito di “Una settimana da Dio”), in cui Dio, (interpretato da Morgan
Freeman) nei panni di un cameriere, parla con la moglie di quello che è un Noè
dei giorni nostri e le spiega che quando chiedi a Dio di avere un’abilità o una
virtù, Dio non ti fornisce quell’abilità o quella virtù. Non direttamente, no.
Leggete questo dialogo tratto dal film in questione e capirete:
“A chi – pregando -
chiede pazienza, crede che Dio dia pazienza o dia invece l’opportunità di
essere paziente?
A chi chiede coraggio,
Dio lo concede o dà l’opportunità di essere coraggioso?
A chi chiede la gioia
di una famiglia più unita, crede che Dio regali sentimenti rassicuranti o l’opportunità
di dimostrare amore?”
E proprio di
opportunità si parla anche in questo libro: opportunità di avere ciò che
desideri avere e opportunità di essere ciò che vuoi diventare. Ecco perché, ad
un certo punto, tutto quel paradiso comincia a scomparire rapidamente al
sorgere del sole, fin quando non rimane quasi più nulla se non l’altissimo
fiore su cui è seduto Bastiano. Al ragazzino non resta che scendere il più in
fretta possibile, ma mantenendo sangue freddo e nervi saldi. “Non doveva permettere che il pericolo lo
inducesse a commettere qualche imprudenza”.
Sceso dal fiore, lo
spettacolo che si offre ai suoi occhi è quello di un deserto formato da
innumerevoli colline colorate; deserto che Bastiano battezza immediatamente
come “Goab, il Deserto Colorato”. Il clima diventa via via sempre più rovente e
per mettersi in cammino Bastiano si lascia guidare dall’amuleto dell’Infanta
Imperatrice. Colline su colline si stagliano di fronte a lui, solo i colori
mutano continuamente nel paesaggio sempre uguale.
“Le
meravigliose forze che gli erano state da poco donate non servivano più, poiché
le immensità di un deserto non sono tali da essere vinte con la sola forza
fisica. […] Non badava al tormento della sete: in lui era maturata una volontà
di così ferrea forza, che né la stanchezza né le privazioni avrebbero mai
potuto vincere. In quel momento gli tornò in mente con quanta rapidità nella
vita precedente si era lasciato scoraggiare”.
Allo scopo di lasciare
un messaggio a chi avrebbe letto un giorno il libro de “La Storia Infinita”,
Bastiano disegna sulla sabbia le iniziali del proprio nome: tre enormi “B” di
sabbia rossa si stagliano sullo sfondo azzurro.
“Soddisfatto
contemplò la sua opera. […] E di nuovo si era spento in lui un altro pezzetto
di ricordo del Bastiano nel mondo degli uomini”.
Ed ecco che in lui
inizia a sorgere un nuovo desiderio:
“Ciò
che mi manca è un autentico coraggio. […] Vorrei che mi capitasse una vera
avventura, di quelle che richiedono un grandissimo coraggio”.
Bastiano chiede quindi
di incontrare una creatura:
“Dovrebbe
essere la creatura più bella e al tempo stesso la più pericolosa di tutta
Fantàsia!”
E quella creatura
compare… Bastiano ha paura, inizia a
correre, ma poco dopo si vergogna di tale sentimento, allora afferra AURYN e tutto il coraggio che aveva tanto
desiderato comincia a fluirgli nel cuore, colmandolo completamente.
La creatura è un leone
e si presenta a Bastiano come Graogramàn, padrone del Deserto colorato,
chiamato anche la Morte Multicolore. I due si fissano intensamente e Bastiano
avverte il potere mortale che emana da quegli occhi. Quel che accade pochi
istanti dopo è molto strano e molto bello al tempo stesso: il leone si prostra
ai piedi di Bastiano e si dichiara suo servo, in attesa di ordini.
Bastiano vuole uscire
dal deserto e chiede a Graogramàn di condurlo fuori di lì, ma il leone non può
esaudire questa richiesta perché, spiega, “il
deserto lo porto con me”.
E non c’è altra
creatura che possa assolvere questo compito in quanto, spiega ancora il leone, “là dove io sono, non può esserci in lungo e
in largo altra creatura vivente”. Bastiano è in grado di resistere alla
potenza distruttrice di Graogramàn soltanto perché porta lo Splendore…
“Credo,
mio signore, che noi abbiamo parecchie cose da dirci. Forse io ti posso svelare
misteri che tu non conosci. E forse tu puoi svelare a me l’enigma della mia
esistenza, che mi è ignoto”.
Detto questo, Bastiano
monta in groppa al leone e insieme si recano alla dimora di Graogramàn. Il suo
palazzo che egli definisce anche la sua stessa tomba, è molto distante e per
raggiungerlo i due cavalcano fino a che la sera inizia a gettare le prime
ombre. La sera è anche il momento in cui il leone termina il proprio ciclo
vitale e “muore”.
“La
mia ora è vicina, signore. […] Non ci resterà più il tempo per il nostro
dialogo. Ma non temere e aspetta che nasca il giorno. Ciò che è sempre
accaduto, accadrà anche questa volta. E forse tu mi saprai dire perché. […]
Entra per quella porta, mio signore, e là troverai tutto ciò che ti occorre. Quella
stanza ti attende da tempo immemorabile. […] Può darsi che tu debba udire suoni
che ti spaventeranno. Ma non temere! A te non può accadere nulla fintanto che
porti l’amuleto”.
Bastiano mangia e beve
a sazietà. Si lava e si asciuga e si riveste, ma ad un certo punto, ode un
suono che lo fa rabbrividire. Al suono in questione segue un silenzio ancora
più spaventoso e Bastiano vuole conoscere l’origine di entrambi. Esce dalla
stanza e va a cercare il leone. Graogramàn è pietrificato e Bastiano non sa come
aiutarlo, allora esce dal palazzo e fuori vede, con sua grande sorpresa, che il
deserto è sparito e che Perelun, il Bosco Notturno, ha ricominciato a crescere!
Disperato, Bastiano torna all’interno del palazzo e abbraccia in lacrime il
leone di pietra. In tal modo, si addormenta.
Il deserto, così come
il vuoto, è un aspetto della personalità e della vita di Bastiano, ma è anche
un’opportunità. Naturalmente qui Bastiano affronta un deserto fisico,
materiale, concreto e tangibile, ma nella realtà dei fatti, quel deserto è
dentro di lui. In quel vuoto immenso egli ha l’opportunità di sperimentare
tutto ciò che vuole: nel momento stesso in cui si accorge di quel che gli
manca, Bastiano può desiderarlo. Il fatto di dare un nome ad ogni cosa da lui
creata equivale a riconoscerla e ad affrontarla. Dare “un volto” e un nome alle nostre paure,
ad esempio, ci aiuta a vederle meglio, a dominarle e, infine, a sconfiggerle.
Allo scadere del giorno
il Deserto Colorato scompare e al suo posto subentra nuovamente il Bosco
Notturno. Questo avviene per sottolineare, ancora una volta, l’importanza fondamentale del contrasto. E’
il contrasto che determina l’equilibrio in tutte le cose e persino in noi
stessi. Ma allora cosa simboleggia il leone? Ricordate cosa si dice di una persona
coraggiosa? Che ha un “cuor di leone”…
Ora, ripensate a quale è stato l’ultimo grande desiderio di Bastiano in
questo capitolo. Ha chiesto di avere “autentico
coraggio”. La creatura che gli si è manifestata presenta due
caratteristiche fondamentali: è bellissima e al tempo stesso estremamente
pericolosa. Bastiano ne ha avuto paura, inizialmente, ma quando l’ha guardata
in faccia e i due si son presentati coi rispettivi nomi e ruoli (Bastiano con
il ruolo di creatore del Deserto e Graogramàn con il ruolo del portatore di
morte), il giovane ha “sottomesso” la paura (in questo caso del deserto e – per
estensione – della morte) al proprio volere.
“E i colori?” –
chiederete voi. I colori, perennemente cangianti, in costante mutamento,
simboleggiano le nostre sensazioni e i nostri sentimenti. Il colore della
nostra aura non varia, forse, al variare dei nostri stati d’animo?
CAPITOLO
15: “Graogramàn la Morte Multicolore”
Al nascere del nuovo
giorno, Graogramàn riprende vita, con grande sollievo di Bastiano convinto che
il leone dovesse rimanere di pietra per sempre. Come aveva già fatto
l’Imperatrice anche la Morte Multicolore fornisce a Bastiano una risposta che
ha a che fare col tempo: “Ma ogni volta è per sempre”.
Bastiano è l’unico che
ha dormito accucciato fra le zampe della Morte e l’unico che ha pianto la sua
fine. E alla domanda della Morte Multicolore sul perché debba sempre morire al
cadere della notte, Bastiano risponde saggiamente: “Perché nel Deserto Colorato possa crescere Perelun, il Bosco Notturno.
[…] E tutto questo può esistere soltanto fintanto che tu sei pietrificato. Ma
Perelun divorerebbe ogni cosa e alla fine soffocherebbe anche se stesso, se non
dovesse esso pure morire e ridursi in polvere ogni volta che tu ti svegli. Tu,
Graogramàn, e Perelun siete una cosa sola”.
Bellissima la risposta
del leone: “Ora capisco che la mia morte
è portatrice di vita e la mia vita è portatrice di morte e che entrambe le cose
sono giuste”. Detto questo, Graogramàn va a prendere un oggetto e lo porge
a Bastiano. E’ una spada infilata in un fodero di ferro e nel momento in cui il
ragazzo le dà il nome (Sikanda), essa sguscia fuori dal fodero. La lama è a
doppio taglio ed è fatta di luce
splendente, leggera quanto una piuma.
“Questa
spada è destinata a te da sempre. […] Ma soltanto perché hai saputo darle il
nome giusto, essa ora ti appartiene. […] Non ti è permesso di farle violenza,
mai! Soltanto quando da sola ti salta in pugno, come ha fatto in questo momento, puoi farne uso, qualunque
cosa ti minacci. Essa guiderà la tua mano e di sua iniziativa farà ciò che in
quel momento va fatto. Ma se tu la dovessi sguainare di tua volontà […] farai
ricadere su te stesso e su tutta Fantàsia la più grande disgrazia”.
Bastiano e il leone si
addentrano nel deserto e cavalcano fino a mezzogiorno. Graogramàn riporta il
ragazzo nel punto in cui il giorno prima lo aveva trovato. Pur essendo mutata
ogni cosa la creatura sa riconoscere il posto esatto perché lo sente come sente
ogni parte del suo corpo. Il deserto è una parte di Graogramàn ed entrambi
esistono DA SEMPRE.
“Tutto
comincia a esistere solo dopo che l’ho desiderato? Oppure c’è già e io l’ho
soltanto evocato?”: questo il dubbio che attanaglia
Bastiano. Dubbio a cui il leone risponde: “Entrambe
le cose”. Fantàsia è il regno delle
Storie e “una storia può essere nuova
eppure raccontare di tempi immemorabili. Il passato nasce con lei”. Nel
momento in cui si dà il nome a una cosa, è come se quella cosa fosse esistita da
sempre. Questo, però, non vuol dire che sia stato Bastiano a creare la tal
cosa. Quello della creazione è un concetto che riguarda anche l’Imperatrice,
poiché è da lei che Bastiano ha ricevuto ogni cosa.
Il giovane è felice
insieme al leone e trascorre con lui dei bellissimi momenti, ma non può e non
deve assolutamente rimanere perché significherebbe rimanere intrappolato per
sempre in un ciclo di Vita e Morte (Perelun e Goab). Nessuna storia, nessun
tipo di evoluzione è contemplata in questo ciclo.
“Ma
non posso andar via. […] Il deserto è troppo grande perché qualcuno riesca mai
ad uscirne. E tu non puoi portarmi fuori, poiché rechi il deserto con te”.
Bastiano deve fare,
ancora una volta, appello ai propri desideri.
“Le
strade di Fantàsia le puoi trovare solo grazie ai tuoi desideri. E ogni volta
puoi procedere soltanto da un desiderio al successivo. Quello che non
desideri ti rimane inaccessibile. Questo
è ciò che qui significano le parole ‘vicino’ e ‘lontano’. E non basta volere
soltanto andar via da un luogo. Devi desiderarne un altro. Devi lasciarti
guidare dai tuoi desideri”.
In Fantàsia c’è un
luogo che conduce ovunque e al quale si può giungere da ogni parte. Tale posto
è chiamato Tempio delle Mille Porte. Non ha un esterno, ma solo un interno, composto
da un labirinto fatto di porte. Ogni
porta in tutta Fantàsia può rappresentare l’accesso al Tempio, ma solo in un
determinato istante. Nessuno può passare per più di una volta dalla stessa
porta e nessuna delle mille porte riconduce là da dove si è venuti. In pratica,
“non esiste ritorno”. “Attraverso il labirinto delle Mille Porte
ti può guidare un solo vero desiderio. Chi non lo ha è costretto a continuare a
vagarci dentro fino a quando sa esattamente cosa desidera”.
La porta d’ingresso si
trova soltanto desiderando di trovarla.
“E’
strano che non si possa semplicemente desiderare quello che si vuole. Ma, per
la verità, da dove ci vengono i desideri? E che cos’è un desiderio?”
Ecco che torna in gioco
la scritta dietro il medaglione: “FA’
CIO’ CHE VUOI”. Il leone spiega a Bastiano che non significa che può fare
tutto ciò che gli pare, ma che deve fare quella che è la sua vera volontà.
Nulla è più difficile. La volontà è la più pericolosa di tutte le strade perché
richiede la massima sincerità e attenzione se non si vuole rischiare di
perdersi definitivamente.
Dopo aver trascorso un
certo periodo di tempo insieme a Graogramàn, in Bastiano inizia a manifestarsi
un altro cambiamento. Ha ricevuto tanti doni, tra cui il coraggio, ma ogni
volta che un dono gli è stato elargito gli è stato anche tolto qualcosa. In
questo caso gli è stato portato via il ricordo della sua pusillanimità di un
tempo.
Una voce interiore
comincia a chiamarlo da lontano e Bastiano si mette ad aspettare. “Non avrebbe saputo dire che cosa aspettava,
ma sapeva che quella notte non doveva dormire”. Infatti d’un tratto la
porta che conduce alla camera da letto si apre e una luce rossastra invade il
buio della grotta. Così come si è aperta, con la stessa velocità la porta
inizia a richiudersi, ma prima che sia definitivamente chiusa Bastiano saluta e
ringrazia la statua di pietra di Graogramàn. Solo dopo s’inoltra nella luce.
Un capitolo molto denso
che, ancora una volta, verte sui desideri. Essi possono guidarci nella vita, ma
non tutti sono buoni. Perché lo siano bisogna che rappresentino la nostra vera
volontà, bisogna che appartengano veramente a noi. Ogni desiderio va espresso
con chiarezza e precisione, altrimenti rischiamo di non vederlo realizzarsi. Si
può procedere soltanto di desiderio in desiderio: questo implica il fatto che
non possiamo passare ad uno stadio evolutivo più alto prima di aver completato
quello precedente. Eh sì, perché i desideri sono proprio questo: EVOLUZIONE!
Un altro dato
importantissimo che emerge da questo capitolo è rappresentato dal fatto che,
quando esprimiamo un desiderio, dobbiamo poi permetterci di accoglierne la
realizzazione nelle nostre vite. E ancora una volta i latini ci vengono in
aiuto col detto: “CARPE DIEM”. Cogliere l’attimo esatto in cui ciò che abbiamo
desiderato ci sta raggiungendo e afferrarlo prontamente per impedire che
l’attimo passi e il desiderio ci sfugga di mano. Non è così scontato, tutto
questo. Molti non sanno cosa desiderare e altrettanti “non si permettono” di
ricevere ciò che vogliono. Come Bastiano, hanno paura, si vergognano oppure non
si sentono degni di ciò che spetta loro.
Avrete colto
sicuramente anche voi il riferimento a “La spada nella roccia”. Come Artù,
anche Bastiano estrae la spada dal fodero, senza difficoltà. Perché? Andiamo
per gradi. Innanzitutto è necessario capire cosa è la spada. La spada è un
mezzo molto importante chiamato INTUITO. Un mezzo che grazie al suo
scintillante bagliore ci può guidare nei momenti più bui della nostra
esistenza. [Essa guiderà la tua mano e di
sua iniziativa farà ciò che in quel momento va fatto.] Quando è all’interno
del fodero, appare come un oggetto di poco conto, vecchio e logoro, ma al
riconoscimento del suo grande valore intrinseco (riconoscimento che avviene
quando la si chiama col suo nome), la spada può essere utilizzata per compiere
cose giuste e meravigliose. E’ come la lampada di Aladino che, quando viene
strofinata, rivela tutte le cose fantastiche contenute al suo interno. La lama, così come la lampada
strofinata, è talmente lucida che può
facilmente essere paragonata ad uno specchio. Uno specchio speciale che
riflette il POTENZIALE della persona che l’ha “invocata”. In questo senso
intuizione e desideri vanno di pari passo. Entrambi richiedono l’uso di una
cosa molto importante chiamata ATTENZIONE e, se ci fate caso, nessuna delle due
cose (né l’intuizione né il desiderio) può portare a risultati positivi se
forzata: non si può forzare l’intuizione e non si può forzare il desiderio;
entrambi scaturiscono da noi quando siamo sicuri di ciò che vogliamo e siamo
puri di cuore (vale a dire che non ci poniamo dei limiti alla ricezione di ciò
che ci spetta ed è, quindi, nostro di diritto). Non a caso la lama di Sikanda è
a doppio taglio: se usata nel modo corretto farà del bene, ma se usata nel modo
sbagliato rappresenterà la rovina del suo utilizzatore e di tutto il suo mondo.
Una considerazione
importante: alcuni (moltissimi, in verità) desiderano quel che devono
desiderare o, meglio, quel che sentono di dover desiderare, cioè quel che
pensano di essere autorizzati a desiderare. Sono desideri che gli altri
approvano o approverebbero. Chi sono questi altri? La famiglia, i colleghi, le
Istituzioni, la Società cosiddetta “civile”… Perciò voglio darvi un consiglio,
amici lettori: DESIDERATE CIO’ CHE SENTITE
DI DESIDERARE VERAMENTE, NELLE PROFONDITA’ DI VOI STESSI E NON CIO’ CHE
CHI VI CIRCONDA APPROVEREBBE! E – COSA UGUALMENTE IMPORTANTE – DESIDERATE PER
CONTO VOSTRO, COSE CHE RIGUARDINO VOI E VOI SOLTANTO E NON COSE CHE COINVOLGANO
ALTRE PERSONE. LASCIAMO A TUTTI LA FACOLTA’ DI ESERCITARE IL LIBERO ARBITRIO!
CAPITOLO
16: “Amarganta la città d’argento”
Bastiano comincia a
scegliere – una per volta – le porte da aprire. Sono tutte differenti e ognuna
conduce in una stanza diversa.
“Mentre
proseguiva così, da una porta all’altra, cominciò a riflettere sull’inutilità
del suo modo di agire. Il suo desiderio era infatti bastato a condurlo nel
labirinto, ma evidentemente non era sufficiente a fargli trovare anche la
strada per uscirne. Aveva desiderato di trovarsi in compagnia, ma solo ora si
rendeva conto che il suo desiderio era vago; in realtà non aveva desiderato
nulla di preciso. E questo fatto non lo aiutava a decidere nella scelta delle
porte. Fino allora aveva fatto le sue scelte senza un preciso criterio e ogni
volta la porta scelta avrebbe potuto benissimo essere anche l’altra. Ma
affidandosi al caso non sarebbe mai riuscito a venire fuori di lì”.
Arrivato di fronte
all’ennesima porta, Bastiano si rende conto di ciò che alberga in cuor suo:
desidera incontrare Atreiu. Da questo momento inizia a scegliere le porte da varcare seguendo un
criterio logico. Ne sceglie una che gli ricorda il Drago della Fortuna e –
varcata questa – la scelta successiva cade su una porta che gli ricorda Atreiu.
Compiute tali scelte, si trova di fronte ad altre due porte. Dopo un iniziale
momento di smarrimento, Bastiano comincia a ragionare attentamente, fino a
quando opta per una porta verde oliva. Varcatala, si ritrova all’aperto. in un
bellissimo bosco primaverile. Voltandosi indietro nota di essere uscito da una
chiesetta campestre e capisce di aver superato il Tempio delle Mille Porte.
Si mette in cammino
senza una meta perché non dubita che prima o poi incontrerà Atreiu. Dopo aver
percorso un po’ di strada vede un gruppo di persone composto da quattro uomini
e una donna. Bastiano nasconde AURYN sotto gli abiti perché vuole fare la loro
conoscenza “in incognito”. Quando si avvicina al gruppo, viene accolto come una
sorta di principe d’Oriente per via del suo aspetto regale e maestoso.
I quattro sono: Inrico l’Eroe, la principessa
Oglamàr (figlia del re di Lunn), Icrione, Isbaldo e Idorno. Bastiano non svela il proprio nome e neppure
soddisfa la curiosità della principessa che vuol sapere se è davvero un
principe. Nonostante ciò, viene accolto ugualmente alla tavola dei cinque
personaggi appena conosciuti.
“Dalla
conversazione fra la principessa e i quattro cavalieri, venne a sapere che
nelle immediate vicinanze sorgeva la splendida città di Amarganta, e che lì doveva
svolgersi una specie di torneo”.
Grandi eroi e ogni
genere di personaggi arrivano per questo evento da vicino e da lontano.
“Solo
i tre migliori, i più valorosi che avessero battuto tutti gli altri nelle varie
contese, avrebbero avuto l’onore di prender parte a una specie di spedizione,
che in realtà era un viaggio di ricerca, e che sarebbe potuto diventare, con
tutta probabilità, un’impresa assai lunga e avventurosa”.
Scopo dell’impresa?
Trovare colui che è conosciuto in tutta Fantàsia solo con l’appellativo “Il
Salvatore”.
A scegliere fra i
contendenti sarà un giovane selvaggio di nome Atreiu.
Bastiano ha ben
compreso che “il Salvatore” di cui tutti parlano, ma di cui nessuno conosce il
vero nome, non è altri che lui stesso.
Inrico è interessato a
conquistare il cuore della principessa Oglamar più che alla spedizione, ma lei
gli ha fatto intendere che il suo amore andrà al più grande degli eroi, ovvero
a colui che sarà in grado di vincere tutti gli altri. Durante la conversazione,
Inrico afferma anche, molto chiaramente, di non apprezzare granché la figura
del fantomatico salvatore, anche se ha salvato Fantàsia.
Finito il pranzo
sull’erba, il gruppo si rimette in viaggio; ogni membro sul proprio cavallo: la
principessa monta il suo cavallo bianco e Inrico il suo cavallo nero; gli altri
tre valorosi sulle rispettive cavalcature e Bastiano su una vecchia mula di
nome Iaia. Iaia, però, è speciale: ha capito chi è realmente Bastiano, ma si
accorda con quest’ultimo per mantenere il segreto sulla sua identità.
La compagnia raggiunge
la riva del lago su cui sorge Amarganta. Tutto è in puro argento perché
l’argento è l’unico materiale in grado di resistere all’enorme potere corrosivo
che l’acqua del lago Muru (o Lago delle
Lacrime) possiede. Gli Amarganti (ovvero gli abitanti di Amarganta) indossano
vestiti in tessuto d’argento e possiedono persino i capelli dello stesso
materiale.
Finalmente Bastiano
riesce a scorgere Atreiu e Fùcur; entrambi sono tornati perfettamente in salute
e hanno riacquistato i loro colori originari.
Il torneo va avanti
tutto il pomeriggio e alla fine Icrione viene dichiarato il più possente tra i
forti, Isbaldo il più svelto tra i veloci e Idorno il più perseverante tra i
tenaci. Quando Atreiu si alza per parlare, fa il suo ingresso in campo Inrico.
Poiché per accompagnare Atreiu nella spedizione sono previsti solo tre
cavalieri, al momento c’è un elemento di troppo, pertanto uno dovrebbe
ritirarsi. Ma Inrico vuole battersi con tutti e tre contemporaneamente per dimostrare il proprio valore. Così fa, ed
effettivamente riesce a sbaragliarli tutti.
A questo punto è
Bastiano a volersi battere con Inrico. Poiché entrambi danno prova di grande
abilità, Bastiano sfida Inrico a raggiungere a nuoto la riva. Bastiano non ha
paura, anzi dichiara: “ho traversato il
Deserto Colorato e ho mangiato e bevuto il fuoco della Morte Multicolore e in
esso mi sono bagnato. Non ho paura di queste acque”.
L’eroe Inrico è
paonazzo dall’ira e controbatte: “Tu
menti! Nessuno in Fantàsia può sopravvivere alla Morte Multicolore, questo lo
sa anche un bambino!”
A queste parole,
Bastiano dice: “Eroe Inrico, invece di
accusarmi di menzogna, fareste meglio ad ammettere di avere paura”.
Inrico si lancia
indignato contro Bastiano, ma Sikanda salta fuori dal suo fodero arrugginito e
inizia a guidare la mano del giovane. Inrico si difende con la forza della
disperazione, ma nulla può contro la spada incantata e così è costretto ad
arrendersi.
E finalmente Atreiu e
Bastiano possono incontrarsi.
Atreiu riconosce
Bastiano nonostante questi abbia un aspetto diverso da quando lo ha visto
riflesso nello specchio dell’Oracolo Meridionale. L’aspetto è – sì – diverso,
ma lo sguardo nei suoi occhi è rimasto lo stesso.
“Se
ancora avessi bisogno di un compagno per andare alla ricerca del Salvatore di
Fantàsia, allora mi vorrei contentare di questo, che vale più di cento altri
messi insieme. Ma non ho più bisogno di nessuno che mi accompagni, perché la
spedizione non avrà più luogo. […] Tu hai promesso di dire ora il tuo nome, che
all’infuori di Occhi d’Oro, Sovrana dei Desideri, nessuno in tutta Fantàsia
ancora conosce. Vuoi farlo adesso?”
“Mi
chiamo Bastiano Baldassarre Bucci”.
“Atreiu
tese ridendo la mano a Bastiano, questi la prese e, mano nella mano, i due
entrarono nel palazzo, varcando la soglia dove li aspettavano Querquobad, il
Vegliardo d’Argento, e Fùcur, il Drago della Fortuna. Quella sera la città di
Amarganta celebrò la festa più bella di tutta la sua storia”.
Il sedicesimo è in
prevalenza un capitolo di collegamento, ma ribadisce o rafforza comunque molti
concetti importantissimi. Vediamo quali.
Ancora una volta si
parla di desideri e di quanto sia importante che vengano formulati il più
chiaramente possibile.
Si parla di scelte e di
come operarle al meglio sfruttando l’attenzione e il ragionamento.
Si parla di attesa e di
come – a volte – sia bene aspettare il momento opportuno per compiere
determinate azioni.
Si parla di torneo e
che cosa è un torneo se non una rappresentazione delle nostre moderne contese?
Sgomitiamo giorno dopo giorno nella vuota speranza di mostrarci agli occhi
degli altri. Molti si considerano superiori e vogliono essere considerati
superiori per semplice vanagloria o per raggiungere obiettivi personali e,
spesso, egoistici.
Si parla di coraggio e
di come – in certi casi – per “innalzare” noi stessi “abbassiamo” coloro a cui
vorremmo somigliare. Abbiamo tutti bisogno di rifarci ad un eroe nella vita, di
aspirare ad un’elevazione della nostra personalità e ad un potenziamento delle
nostre capacità, ma questo non significa dover mettere in gioco cose come
l’ira, la superbia o altri “peccati capitali”. In questo senso, “La Storia
Infinita” ha anche il compito di aiutarci a capire il significato dei vizi, dei
peccati e mostrarci come si possono affrontare e superare.
Questo libro ci mostra
che non è la fama a fare il vero valore di un individuo. Non è il suo nome a
descriverlo perché il nome serve a distinguerlo dagli altri, ma è sbagliato
identificare una persona solo col nome. Questo è più che mai un periodo in cui
vantarsi di essere “qualcuno” non serve assolutamente a niente perché quello
che conta è dimostrare con le azioni e coi fatti chi e quanto si è.
E conta dimostrarlo a noi stessi prima che agli altri. Conta dare l’esempio con
la pratica e non millantare pregi, virtù o qualità. Ecco perché Bastiano non
svela la propria identità fino alla fine del torneo. Per di più, battendosi
contro Inrico (il quale, a sua volta, si è battuto – e ha vinto – contro gli
altri eroi), Bastiano – in pratica – arriva ad incarnare “i poteri” di tutti e
quattro e molto di più.
E cosa significa il
fatto che Bastiano sfida Inrico ad attraversare il lago a nuoto?
L’attraversamento del
lago rappresenta il superamento delle convenzioni e delle convinzioni. Le
proprie e quelle sociali.
In questo capitolo si
parla, inoltre, di bellezza interiore e di come questa emani dagli occhi delle
persone e dal loro sguardo.
Ancora una piccola
curiosità. Vi sarete sicuramente accorti che i nomi dei quattro eroi iniziano
tutti con la lettera “I” e il nome della principessa inizia con la lettera “O”.
Non è una coincidenza: i quattro (concentrati, successivamente, nella figura
del solo Inrico) rappresentano le potenzialità e le caratteristiche della parte
maschile che è dentro ognuno di noi (cavallo nero); la principessa incarna la
parte femminile che alberga in noi tutti (cavallo bianco). Mettendo insieme le
due metà otteniamo un individuo completo, un “IO” a tutti gli effetti. Sono
consapevole che la lingua originale de “La Storia Infinita” è il tedesco, ma
ciò non toglie che il concetto sia – ancora una volta – quello dell’unione
degli opposti.
[1] Un'impresa da Dio (Evan Almighty) è un film
del 2007 diretto da Tom Shadyac, spin-off di Una
settimana da Dio del 2003.
Morgan
Freeman torna a
interpretare Dio, mentre il ruolo del protagonista è
affidato a Steve Carell, già tra gli interpreti secondari
di Una settimana da Dio (dove Evan Baxter stesso, il personaggio di
Carell, era l'antagonista del protagonista Bruce Nolan, interpretato da Jim Carrey). Compare brevemente in un cameo
Susan Ortega (interpretata da Catherine Bell) già presente nel precedente
capitolo. "Sono felice, vincente, bello e potente", Evan Baxter.
Informazioni tratte da: https://it.wikipedia.org/wiki/Un%27impresa_da_Dio
PER NON APPESANTIRE TROPPO QUESTA PAGINA, NE HO CREATA UNA SECONDA IN CUI TROVERETE L'ANALISI DEI RESTANTI 10 CAPITOLI.
ECCO IL LINK:
http://manumelaracconti.blogspot.it/p/blog-page_7.html
veramente bello un analisi del testo visto da un altro punto di vista complimenti
RispondiEliminaGrazie Marco! Effettivamente è un libro che si presta all'interpretazione: possiede numerosissimi riferimenti a grandi testi del passato, alla Qabbalah, all'Antica Grecia e non solo! Quel che stupisce, poi, è una caratteristica - in particolare - ovvero il suo essere "sempreverde". L'uomo è costantemente in cerca del proprio "IO", di un modo per "crescere" interiormente e trovare mondi meravigliosi dentro di sè. Come mi piace affermare spesso: è uno di quesi libri che aiuta a "crescere" facendo ritornare bambini.
EliminaTrovando questo interessante commento al libro, non trovandolo nella mia libreria ,mi hai indotto a ricomprarlo e a rivedere il film in un'interessante parallelo. Ti ringrazio per avermi fatto rivivere la magia della sua lettura che ebbi diversi anni fa. Domenico Capone.
RispondiEliminaCiao Domenico! Sono lieta che la mia analisi abbia suscitato in te questo effetto: la ricerca, sotto qualunque forma, è sempre come una scarica di adrenalina e, nell'attimo stesso in cui si comincia a cercare, si mette in moto un bellissimo meccanismo per il quale è difficile fermarsi! Porre e porsi domande, cercare, non accontentarsi mai, desiderare sempre: questi sono i cardini sui quali dovrebbe poggiarsi la nostra vita. Scardinare ogni giorno le certezze limitanti, per potersi migliorare... Penso che Ende abbia voluto invitare i suoi lettori a fare proprio questo!
EliminaGrazie di cuore per il tuo commento e buon proseguimento.
Mela
Un'interpretazione filosofica e letteraria davvero molto approfondita e dettagliata. "La storia infinita" è uno dei miei libri preferiti in assoluto e leggere il tuo articolo è stato un vero piacere.
RispondiEliminaSul mio blog ne parlo spesso anche io, passa a trovarmi se ti va.
Ciao e ancora tanti complimenti.
Ciao The log lady! Innanzitutto vorrei scusarmi per il ritardo nella risposta, ma ho visto soltanto oggi il tuo bellissimo commento. E poi voglio ringraziarti per il tuo apprezzamento , perché mi riempie di grande gioia. Proprio in questi giorni, tra l'altro, sto scrivendo un nuovo approfondimento sul libro di Ende e spero di pubblicarlo presto. Grazie ancora, di tutto cuore, passerò volentieri a dare un'occhiata al tuo blog. Alla prossima, Mela.
Eliminami potresti dire chi può dare la medicina all'infanta imperatrice per favore?
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