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LA BELLEZZA

sabato 13 novembre 2021

KAKEMONO - Cinque secoli di pittura giapponese

 

KAKEMONO - Cinque secoli di pittura giapponese. Collezione Perino. Dal 12 novembre 2021 al 25 aprile 2022.

 

Prima di raccontarvi cosa troverete in questa magnifica mostra è doverosa una piccola introduzione…

COSA SONO I KAKEMONO?

Il kakemono (o kakejiku) è un rotolo di carta o di seta sul quale si trovano dipinti soggetti particolari (tra poco approfondirò a dovere questo punto) oppure sfoggi calligrafici. Questi rotoli sono diffusi in Giappone, Cina, Corea e Vietnam e sono pensati e strutturati per essere appesi in occasioni speciali o per decorare le pareti con disegni che rispecchino la stagione dell’anno in corso. Solitamente esposti nel tokonoma (alcova) delle case giapponesi o – per qualche ora – nel giardino, i kakemono risentono del flusso del tempo, sia di quello atmosferico sia di quello dell’orologio. Per quanto riguarda i soggetti, come avrete intuito, la Natura è protagonista in tutte le sue declinazioni: fiori, uccelli, Draghi, tigri, scimmie, bambù, fiori di ciliegi, camelie, peonie,  antiche Divinità, montagne e molto altro ancora. Tanto è vero che la mostra è allestita secondo cinque grandi raggruppamenti tematici: fiori e uccelli, altri animali, figure umane e antropomorfe, paesaggi, piante e fiori. Potrete godere della bellezza di 125 kakemono oltre a ventagli dipinti e opere in legno laccato appartenenti alla Collezione Claudio Perino. L’esposizione è a cura di Matthi Forrer, Professore di Cultura materiale del Giappone pre-moderno all’Università di Leida.

Kaburagi Kiyokata (1878-1972). Geisha con parasole sotto un acero. 1920-1940, dipinto a inchiostro e colori su seta.

Fatte queste doverose premesse possiamo entrare nel dettaglio della mostra…

LA STRUTTURA DELLA MOSTRA

Poiché nella tradizione giapponese i kakemono vengono contemplati dal basso (seduti sul tatami), le opere sono state disposte in modo da consentirne l’osservazione secondo tale punto di vista. Va anche detto che a un giapponese, di sicuro, parrebbe quanto mai strano trovarsi di fronte a un dispiegamento tanto massiccio di opere di questo tipo, data la già citata tradizione di esporre i kakemono  in casa, solo in determinate circostanze (per esempio in occasione dell’arrivo di un ospite) e per un lasso di tempo molto breve.

La mostra consta di opere naturalistiche di stampo sia “impressionistico” sia “espressionistico”, pertanto si trovano rotoli con rappresentazioni molto particolareggiate ma anche rotoli estremamente minimalisti, essenziali, quasi “astratti”. È bello, però, notare quanto anche queste ultime sappiano evocare immagini e suggestioni al pari delle loro compagne più dettagliate.

Ci sono disegni realizzati con il solo inchiostro nero e ce ne sono altri che possono vantare la presenza di straordinari pigmenti che variano i toni dai più accesi e brillanti ai più tenui e delicati. E, a proposito di pigmenti, chiacchierando con Marco Guglielminotti (Direttore del MAO e Conservatore per la sezione Asia orientale), sono emersi alcuni dettagli molto interessanti. I colori usati per i dipinti hanno tutti un’origine minerale: rame (per il verde) azzurrite (per l’azzurro), ferro, e così via; ma spiccano anche, di tanto in tanto, tocchi di blu cobalto (materiale prezioso, dunque costoso, perché – per lo più - veniva importato dall’Asia occidentale). Inoltre i colori, così come i soggetti ritratti, sono simbolici: alcuni di essi, infatti, richiamano certe stagioni più di altre (i colori freddi, ad esempio, sono più adatti ai dipinti invernali; e il caldo color rosso delle foglie d’acero è uno dei simboli dell’autunno).

Restando in tema, ma spostandoci sui supporti dei dipinti ci siamo ritrovati a parlare anche di carta e seta. A questo proposito sono emersi ulteriori dettagli che vi riporto qui di seguito: la scelta del pittore cadeva sulla prima nel caso di una pittura “d’ispirazione” o “di getto” in quanto il pennello scorre di certo in maniera diversa sulla carta rispetto al modo in cui scorre sulla seta. Inoltre la seta è notoriamente molto più preziosa e, di conseguenza, più costosa, perciò maggiormente adatta a dipinti “ragionati” e accurati. In effetti, avere in casa un kakemono realizzato sulla seta piuttosto che sulla carta era un segno di prestigio…

Una delle cose che colpiscono di più lo spettatore che rivolge il proprio sguardo a questi dipinti è la capacità dell’occhio umano di scorgere la presenza nell’assenza. Mi spiego meglio: alcuni dipinti, soprattutto quelli raffiguranti i paesaggi, ritraggono soggetti (come le cascate, ad esempio) che sono stati disegnati senza l’ausilio di un contorno vero e proprio, ma ritraendo ciò che sta loro intorno… Perciò chi guarda può vedere una cascata (per riprendere l’esempio) senza che essa sia stata dipinta. È come un’intuizione con successiva deduzione data dalla delimitazione di alcuni spazi tramite altri spazi. Ok,  detta così sembra una cosa difficile e complicata, ma in realtà è un processo naturale che l’occhio e la mente compiono spontaneamente: il pittore lo fa per sottrazione, lo spettatore per addizione.

Un’altra particolarità che potrete notare osservando alcuni dei kakemono (soprattutto quelli che ritraggono i Draghi e alcuni altri animali) è la “vaporosità”  - non trovo modo più esplicativo per definire tale effetto - delle immagini che, per l’appunto, sembrano avere la consistenza del vapore. Osservare quel tipo di dipinti è come vivere un’esperienza onirica, una di quelle che ti lasciano la sensazione del sogno ancor più che il suo contenuto.

DIPINTI DI FIORI E DI UCCELLI

Kawamura Bunpō (Kyoto, 1779-1821). Dittico con due gru su una sponda con sole nascente (parte destra), e una gru solitaria sotto un pino (parte sinistra), datato XI/1807. Dipinti a inchiostro e colore su seta.

Alcuni uccelli sono associati in maniera predefinita con uno o due fiori, piante o alberi, come ad esempio i fagiani con le peonie.

Satake Shozan, (Akita, 1748-1785). Una coppia di fagiani su una roccia, con peonie bianche, rosa e rosse. [...] La combinazione di peonie e fagiani rende l'opera ideale per essere esposta  a inizio estate ed è considerata un simbolo positivo e portafortuna. 1770-1779. Dipinto a inchiostro e colori su seta.

 Altri uccelli, come galli e galline (meglio se con pulcini) rappresentano la famiglia felice;

Nagasawa Rosetsu (Kyoto, 1754-1799). Un gallo dominante, forse irritato dalla presenza di un intruso o di un rivale. 1795 circa. Dipinto a inchiostro e colori su seta.

 le anatre mandarine (sempre raffigurate in coppia), sono invece il simbolo della fedeltà coniugale. Ci sono uccelli che “corrispondono” a stagioni specifiche (o, addirittura, a mesi specifici): è il caso degli usignoli che rappresentano la primavera; o dei ciliegi in fiore che rappresentano il terzo mese dell’anno. Altri uccelli presenti sui kakemono sono i passeri, gli aironi, le gru e i pavoni. 
Araki Kanpo (Edo/Tokyo, 1831-1915). Una coppia di pavoni su un albero di pino. Fine del XIX secolo. Dipinto a inchiostro e colori su seta.

Per quanto riguarda piante e fiori, invece, possiamo ricordare ancora i bambù e gli alberi di pruno.

Fukuda Taika (Kumamoto, 1795-1854). Coppia di uccelli ynah (merli indiani) su un pruno fiorito carico di neve. Associazione stagionale: fine dell'inverno. 1830-1839. Dipinto a inchiostro su carta.

 [Nella didascalia presente in Museo troverete altre curiosità molto interessanti in merito a questi argomenti.]

ALTRI ANIMALI

Cervi, scoiattoli, volpi, cani, gatti, tassi sono meno frequenti nella pittura giapponese, ma in mostra ce ne sono alcuni di straordinaria bellezza (e tenerezza).

Mori Sosen (Osaka, 1747-1821). Un cervo sdraiato. Inizio del XIX secolo. Dipinto a inchiostro su carta.

 Più rappresentati sono, invece, i dodici animali che compongono lo Zodiaco orientale. È tuttavia raro che buoi, tigri, lepri, cavalli, capre, scimmie,

Mori Sosen (Osaka, 1747-1821). Famiglia di scimmie raccolta su una roccia, sotto un ramo di pino. Fine del XVIII secolo. Dipinto a inchiostro e colori su seta.


 serpenti e perfino Draghi siano protagonisti di raffigurazioni pittoriche in qualità di segni zodiacali. Un posto d’onore è riservato alle carpe, simbolo di perseveranza e modello – soprattutto per i più giovani – nella scalata per il successo e la fortuna. E poi ci sono i Draghi,

Kanō Isen (Edo, 1775-1828). Un Drago nei suoi due elementi caratteristici: le onde del mare e le nubi. 1816-1829 circa. Dipinto a inchiostro su seta.

creature mitologiche di origine cinese che spesso, nell’iconografia tradizionale, sono ritratti in coppia con le tigri,
Kishi Renzan (Kyoto, 1805-1859). Dittico raffigurante un Drago in un cielo tempestoso e una tigre che lo osserva. 1820-1839. Dipinti a inchiostro su seta.

 altri animali la cui mitologia è presa dalla Cina: i primi simboleggiano il Cielo, mentre le seconde la Terra, perciò le loro figure sono complementari.

Maruyama Ōkyo (Kyoto1733-1795). Una tigre è accovacciata su una roccia presso un ruscello, sullo sfondo una cascata e giovani foglie verdi. In questo caso la stagione è l'estate. 1765-1769. Dipinto a inchiostro e colori su seta.




 [Nella didascalia presente in Museo troverete altre curiosità e un interessantissimo aneddoto riguardante proprio la figura del Drago e il motivo per cui non è mai ritratto per intero.]

FIGURE UMANE E ANTROPOMORFE

«Nella maggior parte delle scuole tradizionali di pittura giapponese, la rappresentazione di figure umane o antropomorfe si limita ad alcune immagini di personaggi buddhisti come Bodhidharma, il fondatore dello Zen, di alcuni seguaci o discepoli del Buddha, o a ritratti di celebri abati. Si riscontrano anche alcune figure shintoiste, ad esempio gli Dei del Vento e del Tuono,

Tani Bunchō (Edo, 1763-1841). Il Dio del Tuono mentre batte i tamburi che scatenano il tuono del temporale. 1790-1800. Dipinto a inchiostro e colori leggeri su seta.


Tani Bunchō (Edo, 1763-1841). Il Dio del Vento (Fujin) con il sacco pieno di aria tempestosa. 1790-1800. Dipinto a inchiostro e colori leggeri su seta.
 o altre mutuate dalla tradizione cinese, come i monaci Kanzan e Jittoku, che vivevano in monastero, e la figura protettrice di Shoki, uccisore di demoni. È solo con le tradizioni pittoriche sviluppatesi nei contesti cittadini del XVIII e XIX secolo, come la scuola Maruyama-Shijō a Kyoto, e la scuola Ukiyo-e a Edo, che le persone comuni iniziano ad essere rappresentate nei dipinti». [Dalla didascalia presente in Museo.]

 

 

PIANTE E FIORI

Al pruno e ai ciliegi ho già accennato nella sezione dedicata a uccelli e fiori perciò qui aggiungerò gelso, rododendro, criptomeria, viola, dente di leone, camelia, glicine, salice piangente e rosa giapponese ai fiori associati alla primavera.

Matsumura Gekkei, meglio conosciuto come Goshun (Settsu, Kyoto, 1752-1811). Camelia bianca in vaso. Soggetto da esporre in primavera. 1780-1789. Dipinto a inchiostro su carta.

 L’iris è, invece, il rappresentante del quinto mese, periodo di celebrazione della “Festa dei Ragazzi”, di cui si parla più dettagliatamente nella didascalia presente in Museo. Degni di nota sono poi i crisantemi, la bella di giorno, i gigli, i fiori di loto e le già citate peonie. A queste si aggiungono le erbe palustri, le orchidee e le foglie dell’acero, dall’inconfondibile colore rosso. Un posto particolare è riservato al bambù, considerato sia come simbolo della flessibilità sia come emblema della resistenza. Raffigurato spesso insieme alla tigre, il bambù ha un’ulteriore valenza: è un ottimo esercizio per affinare la calligrafia.

 [Nella didascalia presente al Museo troverete la spiegazione completa. D’altronde, se vi raccontassi TUTTO qui vi rovinerei la visita: c’è un limite anche agli spoiler tollerabili, giusto?]

PAESAGGI

«Il termine “paesaggio”, in entrambe le lingue [cinese e giapponese, n.d.r.], è reso come “montagne e acque” (sansui). Per questo nelle opere troviamo fiumi, laghi, corsi d’acqua, stagni o ruscelli in primo piano e picchi montuosi sullo sfondo. Ci sono poi, in scala minore, templi, porti, padiglioni e piccole figure umane.

Kawamura Bunpō (Kyoto, 1779-1821). Un personaggio cinese a cavallo, in un paesaggio innevato, cavalca lungo la sponda di un lago, passando sotto un enorme pino, con una cascata sullo sfondo. Tipica scena invernale. 1810-1819. Dipinto a inchiostro su seta.

 Un’altra caratteristica della pittura di paesaggio è il suo essere quasi sempre realizzata con il solo inchiostro, con rare note di colore». 

Furuya Itchō (Kyoto1966). Paesaggio di montagna in autunno con alberi dalle foglie rossastre e una cascata sulla destra. 1950-1969. Dipinto a inchiostro e colori su seta.

Watanabe Kazan (Edo, 1793-1841). Veduta panoramica del monte Fuji che emerge dalle nuvole. 1830-1839. Dipinto a inchiostro e colori leggeri su seta.

[Curiosità e dettagli vi attendono, come al solito,  nella didascalia presente nella mostra.]

NOTE AGGIUNTIVE

Da sinistra: Marco Guglielminotti (Direttore del MAO), Matthi Forrer (Curatore della mostra: KAKEMONO), Claudio Perino (Titolare della Collezione omonima).

 

Tra i kakemono esposti al MAO figurano alcune opere dei maggiori artisti giapponesi, tra cui Yamamoto Baiitsu, Tani Bunchō, Kishi Ganku e Ogata Korin.

La mostra e il catalogo, pubblicato da Skira e disponibile in due lingue (italiano e inglese), sono a cura dello studioso olandese Matthi Forrer.

La mostra sarà visitabile fino al 25 aprile 2022: non lasciatevela sfuggire perché è un’occasione più unica che rara!

giovedì 4 novembre 2021

ALAM JIWA E VANITAS di Luigi Ontani

 

Per la prima volta nella storia della GAM di Torino, la Wunderkammer ospita una collezione di opere d’arte contemporanea, dal titolo “Alam Jiwa e Vanitas”, realizzate dal maestro Luigi Ontani.

Due delle opere di Luigi Ontani.


INTRODUZIONE ALLA MOSTRA

L’esposizione riproduce un microcosmo, come a voler concentrare un mondo intero in una stanza. Ci sono acquerelli e ceramiche dai colori e dalla vitalità travolgenti. I primi sono nati in due fasi ben distinte: la fase del disegno - eseguito su modelli dal vivo, molti anni fa - e la fase della colorazione – realizzata soltanto a partire dal 2020, anno della “clausura” dovuta alla Pandemia, clausura che l’artista ha trascorso a Bali.

A sx: Luigi Ontani (Artista). A dx: Elena Volpato (Curatrice).

Le opere di Luigi Ontani sono “medusizzanti” – per usare le parole della curatrice, Elena Volpato – perché questo artista è in grado di trasformare qualsiasi cosa mettendone a nudo (letteralmente) la Bellezza. Perché dico “letteralmente”? Perché i dipinti di Ontani ritraggono figure nude, estremamente erotiche ma mai volgari. La nudità è sia un espediente per esaltare la Vanitas (di cui vi parlerò tra poco) sia un mezzo per declamare la Bellezza. È un atto di eternizzazione, di sensualità immanente; è un gesto compiuto per tirare fuori dal Tempo i ritratti e renderne eterna la Bellezza – per parafrasare, ancora una volta, Elena Volpato. Questi ritratti hanno, poi, un’altra peculiarità: sono presi dal vivo, è vero, ma per essere immediatamente metamorfizzati, trasformati in qualcosa di diverso… Perciò i corpi di questi giovani diventano corpi di figure mitologiche, corpi di Chimere, di esseri fusi con l’immaginario.

IL TITOLO DELLA MOSTRA

“Alam Jiwa” è il nome di una specie di fiori originaria di Bali; si tratta di fiori rossi il cui significato è: “la Natura dell’Anima”. Per questa ragione il titolo della mostra può essere considerato il frutto di una unione, di un’associazione tra la Natura dell’Anima dell’Oriente di Bali e la Natura che noi allegorizziamo nelle Vanitas della nostra (Occidentale) Tradizione Seicentesca. L’Indonesia – Bali in particolare – ha, infatti, una forte componente Animista. Tra l’altro, il ‘600 è il Secolo delle Wunderkammer e proprio in Wunderkammer si è deciso di esporre queste opere. Di certo non è un caso…

Alcune delle opere di Luigi Ontani

I fiori, qui, non sono ritratti per evocarne il profumo o la morbidezza vellutata dei petali, bensì per essere simboli, di caducità – soprattutto – di qualcosa che, pertanto, è destinato a volar via come un soffio…

Per quanto riguarda la seconda parte del titolo, ovvero la “Vanitas”, possiamo affermare che si riferisce alla Vanità dell’artista stesso in quanto – inizialmente – il lavoro di Luigi Ontani si fregiava di gigantografie che lo ritraevano, come fossero simulacri della sua figura, della sua “posa senza riposo” (per usare le parole di Ontani). “Simulacri che potevano istruirmi e distrarmi. Proprio questo mi portò al viaggio della maschera, della mia maschera come persona, come fisionomia… Quindi ho aggiunto e continuo ancora oggi ad aggiungere maschere che, a loro volta, si ispirano all’iconologia; fantasie che trovano un senso attraverso una simbologia. In questi mesi di clausura ho trovato il senso della pittura come capriccio, come perditempo, come meditazione”.

I disegni di Ontani, dunque, non si rifanno a una ricerca anatomica, bensì a delle fantasie nel viaggio della maschera. “Ho osservato le contraddizioni umane, trovandoci anche le mie, perciò la Vanità è la mia, rispecchiata in quella altrui e nell’altrui vitalità”.

Una delle opere di luigi Ontani.

Una delle opere di Luigi Ontani.

Luigi Ontani dichiara, poi, di non possedere alcuna formazione  come ritrattista, però la sua esperienza di ritratti dal vivo gli ha permesso di riscontrare che la persona che viene ritratta molto spesso si accorge  di ciò che l’artista sta disegnando, nel momento stesso in cui lo fa: è in grado, per intenderci, di “sentire” se l’artista sta tracciando le linee dei capelli, del busto o di qualsiasi altra parte anatomica. “Non a caso ho esposto una tavolozza che ho realizzato tra il ’69 e il ’70 e che rappresenta colori viventi. All’epoca fui invitato e premiato dai Gesuiti, al Premio San Fedele. Fu in quel periodo che decisi di farmi un autoritratto con i colori delle persone che, appunto, portano il colore; il Sig. Oro e tutti gli altri mi dettero, quindi, la loro immagine. Ho composto così questa tavolozza che ho poi esposto con un vasetto in omaggio a Morandi (Giorgio Morandi, n.d.r.), in quanto il luogo in cui sono nato e risiedo è la valle dove dipingeva Morandi. Questa ceramica è stata anche esposta nella sua casa” (a Vergato, prov. Bologna).

La Tavolozza dei colori viventi, di Luigi Ontani.

Stando alle parole dell’artista, queste opere sono state aggiunte con l’intento di spogliare gli acquerelli della loro componente capricciosa, dando – così - un’ulteriore connotazione a questi feticci.

I colori di questi dipinti sono così vivi e vibranti... Le figure ritratte sono così splendidamente sensuali e squisitamente misteriose, di un mistero che si può svelare solo attraverso la chiave della Bellezza universale... Le opere esposte vi porteranno fuori dal Tempo e dallo Spazio, immergendovi in un’atmosfera di “Naturalismo magico”, come amo dire io.

Una delle opere di Luigi Ontani.

Una delle opere di Luigi Ontani.

 

 

 

 

 

 

  

 

 

ULTERIORI INFORMAZIONI

·        La mostra sarà visitabile fino al 30 gennaio 2022.

·      I fogli presenti all’ingresso della Wunderkammer sono stati realizzati dalla grafica Chiara Costa che si è premurata di redigere una sorta di mappa per permettere ai visitatori di seguire un percorso chiaro e comprensibile.