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LA BELLEZZA

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giovedì 4 novembre 2021

ALAM JIWA E VANITAS di Luigi Ontani

 

Per la prima volta nella storia della GAM di Torino, la Wunderkammer ospita una collezione di opere d’arte contemporanea, dal titolo “Alam Jiwa e Vanitas”, realizzate dal maestro Luigi Ontani.

Due delle opere di Luigi Ontani.


INTRODUZIONE ALLA MOSTRA

L’esposizione riproduce un microcosmo, come a voler concentrare un mondo intero in una stanza. Ci sono acquerelli e ceramiche dai colori e dalla vitalità travolgenti. I primi sono nati in due fasi ben distinte: la fase del disegno - eseguito su modelli dal vivo, molti anni fa - e la fase della colorazione – realizzata soltanto a partire dal 2020, anno della “clausura” dovuta alla Pandemia, clausura che l’artista ha trascorso a Bali.

A sx: Luigi Ontani (Artista). A dx: Elena Volpato (Curatrice).

Le opere di Luigi Ontani sono “medusizzanti” – per usare le parole della curatrice, Elena Volpato – perché questo artista è in grado di trasformare qualsiasi cosa mettendone a nudo (letteralmente) la Bellezza. Perché dico “letteralmente”? Perché i dipinti di Ontani ritraggono figure nude, estremamente erotiche ma mai volgari. La nudità è sia un espediente per esaltare la Vanitas (di cui vi parlerò tra poco) sia un mezzo per declamare la Bellezza. È un atto di eternizzazione, di sensualità immanente; è un gesto compiuto per tirare fuori dal Tempo i ritratti e renderne eterna la Bellezza – per parafrasare, ancora una volta, Elena Volpato. Questi ritratti hanno, poi, un’altra peculiarità: sono presi dal vivo, è vero, ma per essere immediatamente metamorfizzati, trasformati in qualcosa di diverso… Perciò i corpi di questi giovani diventano corpi di figure mitologiche, corpi di Chimere, di esseri fusi con l’immaginario.

IL TITOLO DELLA MOSTRA

“Alam Jiwa” è il nome di una specie di fiori originaria di Bali; si tratta di fiori rossi il cui significato è: “la Natura dell’Anima”. Per questa ragione il titolo della mostra può essere considerato il frutto di una unione, di un’associazione tra la Natura dell’Anima dell’Oriente di Bali e la Natura che noi allegorizziamo nelle Vanitas della nostra (Occidentale) Tradizione Seicentesca. L’Indonesia – Bali in particolare – ha, infatti, una forte componente Animista. Tra l’altro, il ‘600 è il Secolo delle Wunderkammer e proprio in Wunderkammer si è deciso di esporre queste opere. Di certo non è un caso…

Alcune delle opere di Luigi Ontani

I fiori, qui, non sono ritratti per evocarne il profumo o la morbidezza vellutata dei petali, bensì per essere simboli, di caducità – soprattutto – di qualcosa che, pertanto, è destinato a volar via come un soffio…

Per quanto riguarda la seconda parte del titolo, ovvero la “Vanitas”, possiamo affermare che si riferisce alla Vanità dell’artista stesso in quanto – inizialmente – il lavoro di Luigi Ontani si fregiava di gigantografie che lo ritraevano, come fossero simulacri della sua figura, della sua “posa senza riposo” (per usare le parole di Ontani). “Simulacri che potevano istruirmi e distrarmi. Proprio questo mi portò al viaggio della maschera, della mia maschera come persona, come fisionomia… Quindi ho aggiunto e continuo ancora oggi ad aggiungere maschere che, a loro volta, si ispirano all’iconologia; fantasie che trovano un senso attraverso una simbologia. In questi mesi di clausura ho trovato il senso della pittura come capriccio, come perditempo, come meditazione”.

I disegni di Ontani, dunque, non si rifanno a una ricerca anatomica, bensì a delle fantasie nel viaggio della maschera. “Ho osservato le contraddizioni umane, trovandoci anche le mie, perciò la Vanità è la mia, rispecchiata in quella altrui e nell’altrui vitalità”.

Una delle opere di luigi Ontani.

Una delle opere di Luigi Ontani.

Luigi Ontani dichiara, poi, di non possedere alcuna formazione  come ritrattista, però la sua esperienza di ritratti dal vivo gli ha permesso di riscontrare che la persona che viene ritratta molto spesso si accorge  di ciò che l’artista sta disegnando, nel momento stesso in cui lo fa: è in grado, per intenderci, di “sentire” se l’artista sta tracciando le linee dei capelli, del busto o di qualsiasi altra parte anatomica. “Non a caso ho esposto una tavolozza che ho realizzato tra il ’69 e il ’70 e che rappresenta colori viventi. All’epoca fui invitato e premiato dai Gesuiti, al Premio San Fedele. Fu in quel periodo che decisi di farmi un autoritratto con i colori delle persone che, appunto, portano il colore; il Sig. Oro e tutti gli altri mi dettero, quindi, la loro immagine. Ho composto così questa tavolozza che ho poi esposto con un vasetto in omaggio a Morandi (Giorgio Morandi, n.d.r.), in quanto il luogo in cui sono nato e risiedo è la valle dove dipingeva Morandi. Questa ceramica è stata anche esposta nella sua casa” (a Vergato, prov. Bologna).

La Tavolozza dei colori viventi, di Luigi Ontani.

Stando alle parole dell’artista, queste opere sono state aggiunte con l’intento di spogliare gli acquerelli della loro componente capricciosa, dando – così - un’ulteriore connotazione a questi feticci.

I colori di questi dipinti sono così vivi e vibranti... Le figure ritratte sono così splendidamente sensuali e squisitamente misteriose, di un mistero che si può svelare solo attraverso la chiave della Bellezza universale... Le opere esposte vi porteranno fuori dal Tempo e dallo Spazio, immergendovi in un’atmosfera di “Naturalismo magico”, come amo dire io.

Una delle opere di Luigi Ontani.

Una delle opere di Luigi Ontani.

 

 

 

 

 

 

  

 

 

ULTERIORI INFORMAZIONI

·        La mostra sarà visitabile fino al 30 gennaio 2022.

·      I fogli presenti all’ingresso della Wunderkammer sono stati realizzati dalla grafica Chiara Costa che si è premurata di redigere una sorta di mappa per permettere ai visitatori di seguire un percorso chiaro e comprensibile.

martedì 22 maggio 2018

"L'UOMO DEI BOSCHI" di Pierric Bailly, Edizioni Clichy.


Ogni mondo è fatto di persone, di cose, di accadimenti (passati, presenti e futuri), di esperienze. Ogni persona ha il PROPRIO mondo. Ogni mondo si interseca con altri mondi, tanti piccoli mondi che – unendosi – vanno a formare IL mondo. I genitori fanno inevitabilmente parte del mondo dei loro figli e viceversa, ma nessuno arriva mai a conoscere per intero il mondo di qualcun altro; né durante la vita né dopo la morte. Pierric Bailly racconta il proprio padre, ne ricostruisce la vita a partire – paradossalmente – dalla morte. Un elogio funebre? Non proprio, non soltanto. L’uomo dei boschi è anche un inno alla vita. E alla natura. L’uomo dei boschi racconta il rapporto tra l’uomo e la natura, tra un padre e un figlio e tra i vivi e i morti.
Il rapporto uomo-natura, in questo libro, è fitto quanto lo sono le fronde e le radici degli alberi di un bosco. E quando parlo di radici intendo sia in senso fisico, letterale del termine, sia in senso figurato. Le radici possono rappresentare, in fondo, anche il nostro passato, le nostre origini e – in senso più lato – i nostri genitori. L’uomo e la natura hanno in comune molte  cose. Innanzitutto hanno entrambi una doppia valenza, una sottile ambiguità: come il primo racchiude in sé una parte di “luce” e una di “ombra” così anche la seconda si fregia sia di un lato materno, bonario, accogliente e magico, sia di un lato duro, selvaggio, impenetrabile e impietoso. Viene da chiedersi: siamo noi a rispecchiare la natura o è la natura che rispecchia noi?
L’ambiguità della natura, in questo caso, viene presa in esame da Bailly per sottolineare il carattere ambiguo del padre, Christian: bellissimo e socievole eppure isolato, riservato e selvaggio. Magico e incantevole eppure sinistro e inquietante. E’ strano, se ci si pensa, ma spesso si arriva a capire l’importanza, il valore dei luoghi e delle persone solo quando ci si allontana da essi. Non è raro sentire storie di individui che hanno iniziato a provare un forte senso di appartenenza ad un Paese soltanto dopo averlo lasciato… A volte, addirittura, pensiamo di conoscere bene certi luoghi o certe persone per poi scoprire, con grande sorpresa – e forse anche un po’ di frustrazione – che non è affatto così. Dovremmo rassegnarci al fatto di non poter conoscere davvero nessuno, neppure i nostri genitori; ciò che possiamo fare – ed è ciò che fa anche Pierric Bailly in questo libro – è ricostruire le vite dei nostri cari, ormai scomparsi, attraverso i ricordi che abbiamo di loro, attraverso l’analisi degli oggetti che hanno posseduto, allo studio dei libri che hanno amato, all’ascolto della musica che essi stessi hanno ascoltato e alle testimonianze delle persone che li hanno incrociati sul loro cammino. E, poiché ogni individuo possiede un’enorme complessità di carattere, tutti, in fondo, hanno bisogno degli altri per scoprire un po’ di se stessi.
“Mi sono detto che uscendo da se stessi ci si assume il rischio di trovare qualcosa”.
E, infine, la morte. Bailly ce ne parla a suo modo, perché ognuno vive l’esperienza della morte a modo proprio. Ognuno affronta questo evento con le armi che ha a disposizione, ma il denominatore comune è che chi resta deve andare avanti, in qualche modo:
“Gli amici e la famiglia tentavano di riprendere la loro vita. Per alcuni di loro era accaduto qualcosa di molto importante, che poteva essere uno sconvolgimento. Per me era evidentemente così.
Se la perdita di un genitore, in sé, è un evento eccezionale, si può anche dire che è nell’ordine delle cose, un fatto banale. In questa storia ciò che lo è meno sono le circostanze”.
Proprio così. Spesso ci importa più di come le persone sono morte che di come hanno vissuto. Siamo attratti da quell’alone di mistero che circonda coloro che non ci sono più e, in tal senso, questo libro può essere considerato un giallo: sarà compito del lettore decidere il punto di vista da assumere per osservare le vicende. Si potrà “schierare” dalla parte in cui i protagonisti sono i fatti, le circostanze, o da quella in cui sono i sentimenti a dominare la scena. Dal canto suo, Pierric Bailly proverà entrambe le condizioni, per poi approdare definitivamente alla seconda:
“Cerco di accettare ciò che non si spiega. […] Ma cerco soprattutto di crederci. Cerco di accettare che sia veramente successo, che non ho sognato quella settimana folle e drammatica, che malgrado il tenore romanzesco degli eventi, questi non appartengono al campo della finzione letteraria, ma proprio a quello della realtà”.
La morte è un fatto reale tanto per chi muore quanto per chi resta, ma rimane comunque un grande mistero capace di scatenare le reazioni e i sentimenti più disparati. Sotto questo aspetto ha, sicuramente, molto in comune con la natura: entrambe, infatti, sono misteriose, non contemplano il perdono e non fanno sconti ad alcuno. Sanno essere discrete, quasi delicate o vestite di magnanimità, ma anche crudeli e spietate. Di entrambe si dice spesso: “è così che va”. Già… E’ la vita; è la natura; è la morte. Il principio e la fine, sempre che si creda che le cose inizino e finiscano. Per quel che mi riguarda (e – a quanto pare – per quel che riguarda anche Pierric Bailly) la morte non pone la parola “fine” a niente:
“La vita dopo la sua morte, la vita a partire dalla sua morte. Perché se n’era andato proprio all’inizio. E’ il concetto della morte. Una vita si ferma, è la fine della storia. Ma la morte genera una nuova storia, di cui il defunto è il fattore scatenante, e di cui non ha conoscenza”.
C’è una sorta di “coerenza”, di continuità tra la vita e la morte, un filo invisibile che le collega. E’ una continuità che si plasma attraverso il passaggio da una generazione all’altra; una continuità che, però, incoraggia e preserva le differenze tra una e l’altra. In questo caso, tra un padre e il proprio figlio.

martedì 13 dicembre 2016

IN TERRA E' IL PARADISO



E scopri il profumo dei fiori;
scopri che il mondo è a colori.
Scopri quella nuvola a forma di mano
e quel ciottolo che sembra un nano.

E ti accorgerai che la neve brilla;
che il mare è lo specchio del cielo;
che il silenzio, a suo modo, strilla
e il mattino sbadiglia leggero.

Apri gli occhi, non quelli del viso:
con la mente tu devi osservare!
Solo allora impari ad amare
e ti accorgi che Qui è il Paradiso.



 Questo mio componimento è stato premiato con la pubblicazione in questo libro a tiratura limitata...
...e in più ha vinto la Menzione d'Onore.