Nonostante venga ricordato
prevalentemente per Zanna bianca, Il richiamo
della foresta e Martin Eden, Jack
London ha prodotto molti altri scritti, durante la sua carriera letteraria, tra
cui proprio La figlia delle nevi (1902).
Scaturito da esperienze personali[1],
questo romanzo rappresenta “un affascinante
affresco dell’umanità che popola il Klondike. […] Un mondo regolato dalle dure
leggi di una natura inflessibile; ma anche un mondo che comincia a frantumarsi
sotto i colpi di quella civilizzazione che per l’autore minaccia la bellezza” (Alessandro
Bandiera).
London ci regala una
storia i cui protagonisti sono sia personaggi in carne ed ossa sia paesaggi del
Grande Nord. Il Klondike, così come ci viene presentato dall’autore, sembra
avere un’anima celata sotto le distese ghiacciate che lo ricoprono. “Un posto per veri uomini, per uomini tutti d’un pezzo
che non si fanno piegare dalla vita selvaggia” (per citare, ancora una
volta, le parole di A. Bandiera che ha curato l’introduzione a questo romanzo).
Leggendo La figlia delle nevi si ha l’impressione
di immergersi totalmente nel freddo territorio dello Yukon, grazie al talento
descrittivo di Jack London; immagini vivide e dettagliate si affacciano alla
mente del lettore che non potrà fare a meno di rabbrividire al solo figurarsi
le scene e le vicende raccontate.
Un romanzo, questo, che
sembra diviso in due parti di cui il collante è rappresentato sicuramente dal
rapporto uomo-natura e dalla cosiddetta “corsa all’oro” verificatasi proprio
nel territorio dello Yukon durante gli ultimi anni del 1800. La prima parte – dal
ritmo lento e pacato - contiene caratterizzazioni a trecentosessanta gradi dei
personaggi protagonisti gettando, così, le basi per la seconda parte – dal ritmo più
concitato e incalzante – che si trasforma, infatti, in un giallo con alcuni
tratti che ricordano addirittura il thriller.
Una piacevolissima “mutazione” di genere, un’evoluzione che rende la lettura
avvincente e, pertanto, scorrevole. Compensazione ed evoluzione sono, dunque,
le parole chiave per analizzare la struttura de La figlia delle nevi, che contiene – a coronare il tutto – anche un
bel colpo di scena finale.
Attraverso le parole di
London prende forma, davanti ai nostri occhi, un altro mondo (coi propri usi e
costumi) in cui i valori principali sono sicuramente la tempra fisica, la fibra
morale e l’intelligenza (sia quella istintiva sia quella razionale). Grandi
temi come quello della lotta per la sopravvivenza o dell’amore vengono trattati
con semplicità e chiarezza senza uscirne, però, sminuiti o banalizzati.
Lo stile dell’autore è
velato da un leggerissimo umorismo che contribuisce a rendere piacevole la
lettura di questo che – oltre a restituirci “una
lucida chiave di lettura della contemporaneità” – rappresenta un valido
romanzo di evasione.
[1] Nell'estate del
1897, venuto a conoscenza della scoperta di ricchi giacimenti d'oro nel
Klondike, sul confine fra Canada e Alaska, parte con un amico per unirsi alla
"Corsa all'oro", che aveva il suo centro a Dawson City, dove incontra
avventure e disavventure d'ogni tipo, spesso tragiche e crudeli, che saranno
fonti ispiratrici di molti suoi scritti. Nel 1898 rientra a San Francisco con
un misero sacchetto d'oro, che gli frutterà pochi dollari. Si dedica allora
intensamente al lavoro letterario, riuscendo a far pubblicare solo una minima
parte dei suoi numerosi scritti. Fra la fine del secolo XIX e il 1916 London
giunge finalmente al successo, seppur con alti a bassi notevoli, come
scrittore, giornalista e inviato speciale, e ben presto diventa uno tra i più
prolifici, famosi e meglio retribuiti del suo tempo: in tutta la sua carriera
letteraria scrisse oltre 50 volumi.