IL LINGUAGGIO IN
“1984”: NEOLINGUA E BIPENSIERO
In “1984” il
linguaggio viene ridotto ai minimi termini con l’introduzione della cosiddetta
“Neolingua”, la quale mette in moto un meschino ma prodigioso “lavaggio del
cervello”:
“Fine
specifico della neolingua non era solo quello di fornire, a beneficio degli
adepti del Socing, un mezzo espressivo che sostituisse la vecchia visione del
mondo e le vecchie abitudini mentali, ma di rendere impossibile ogni altra
forma di pensiero”.
[Pag.307]
“La
neolingua non era concepita per ampliare le capacità speculative, ma per
RIDURLE, e un simile scopo veniva indirettamente raggiunto riducendo al minimo
le possibilità di scelta”. [Pag.308]
“Anche
nei primi decenni del XX secolo le parole e le espressioni a incastro avevano
costituito una delle caratteristiche del linguaggio politico e si era osservato
che la tendenza a usare formazioni abbreviate di questo tipo era più marcata
nelle organizzazioni dei paesi totalitari. Si pensi a parole come NAZI,
GESTAPO, COMINTERN, INPRECOR, AGITPROP.
[…]
si era compreso che nell’abbreviare in tal modo una parola se ne restringeva e
alterava sottilmente il significato, eliminando gran parte delle associazioni
mentali a essa connesse”. [Pag.315]
Cosa ha a che fare
tutto questo con ciò che accade oggi? Ve lo starete sicuramente chiedendo.
Anche oggi è in corso questo impoverimento linguistico, con modalità molto
simili, tra l’altro. Abbiamo parole che, quasi, scoppiano per l’esorbitante
quantità di significati che sono costrette a sopportare e a supportare (es. “amore”, “morte”, ecc.) perché tutti i termini
che venivano utilizzati per indicare concetti e idee sono stati via via
soppressi, dimenticati, gettati in un oblio linguistico dal quale non esiste ritorno.
E perché – al posto di quei termini – abbiamo deciso di adottare o rubare (o
prendere in prestito, se preferite) vocaboli di altre lingue, di altri popoli
con la loro storia e il loro passato. L’Italiano è una lingua che langue
schiacciata dal peso dei neologismi (che non significano sempre ed
inequivocabilmente evoluzione e progresso)
di cui oggi si vede la nascita come dei funghi dopo la pioggia nel
bosco. “CIAONE”, “SCHISCETTA”, “BREXIT”, “PETALOSO” E “FAKE NEWS” sono solo
alcuni dei 1500 termini entrati a far parte del nostro vocabolario [che
contiene nella versione cartacea (Devoto-Oli di Le Monnier) oltre 70.000 voci e
250.000 definizioni che diventano
110.000 voci e altre 300.000 in quella digitale], ma – contrariamente a quanto
si possa pensare – usiamo un numero sempre minore di vocaboli nel nostro
parlare quotidiano. Quelli che usiamo – complice anche l’utilizzo sfrenato dei Social – sono abbreviati in modo che
risultino irriconoscibili per chi non sia avvezzo al linguaggio delle sole
consonanti, dove “XK” o “XKè” vengono usati in luogo di “PERCHE’”, dove “CM”,
“QND”, “SN”, “CMQ”, “QLCN” (e via dicendo) vengono usate per indicare
rispettivamente le parole “COME”, “QUANDO”, “SONO”, “COMUNQUE”, “QUALCUNO”. Per
non parlare del fiorire incontrollato delle emoticon,
ovvero delle “faccine” digitali in sostituzione delle parole indicanti le
emozioni e i sentimenti. E – parlando di cambiamenti significativi nella nostra
società – è impossibile non soffermarsi a parlare della nascita delle nuove
professioni e – con esse – delle nuove figure professionali come quella del
SALES ACCOUNT MANAGER, o quella del
DIGITAL CONTENT WRITER/CREATOR. Un nuovo
mondo che nasce con la nascita di ogni parola e – contemporaneamente – un mondo
che muore quando smettiamo di usare un’altra parola.
“Tu
credi, immagino, che il nostro compito principale consista nell’inventare nuove
parole. Neanche per idea! Noi le parole le distruggiamo, a dozzine, a
centinaia. Giorno per giorno, stiamo riducendo il linguaggio all’osso. […] E’
qualcosa di bello, la distruzione delle parole. Naturalmente, c’è una strage di
verbi e aggettivi, ma non mancano centinaia e centinaia di nomi di cui si può
fare tranquillamente a meno. E non mi riferisco solo ai sinonimi, sto parlando
anche dei contrari. Che bisogno c’è di una parola che è solo l’opposto di
un’altra? Ogni parola già contiene in sé il suo opposto. […] Alla fine del
processo tutti i significati connessi a parole come bontà e cattiveria saranno
coperti da appena sei parole o, se ci pensi bene, da una parola sola. Non è una
cosa meravigliosa?” [Pag.55]
Creata, dunque, per
distruggere significati, per epurare le poche parole rimaste da significati
indesiderabili e – in ultima (o in prima) analisi – per impedire alle persone
di pensare, la neolingua NON E’ affatto una cosa meravigliosa. Immaginate cosa
accadrebbe: poche parole, pochi pensieri, per di più indotti, pilotati,
inculcati, contratti, brevi, amputati. A partire dalla riduzione del numero di
verbi. Certo, perché i verbi indicano delle azioni e se non si hanno parole per
indicare determinate azioni non si pensa neppure di compiere quelle stesse
azioni. Impossibile commettere certi
tipi di reati se non si sa neanche che esistono e non lo si sa perché, appunto,
non esistono parole specifiche per identificarli ed esprimerli. Ecco – dunque –
gli scopi della neolingua: epurare il pensiero (e ridurlo all’osso, al minimo
indispensabile per servire il Partito e il Grande Fratello con gioia fanatica e
intramontabile fedeltà) e, a lungo termine, prevenire i “peccati di pensiero”
tramite l’instaurazione, l’”innesto” di una forma
mentis “ortodossa” basata sul bipensiero.
“Il
bipensiero implica la capacità di accogliere simultaneamente nella propria
mente due opinioni tra loro contrastanti, accettandole entrambe”.
[Pag.220]
E’ così che il
partito detiene il potere, d’altronde:
“Se
si desidera governare e si vuole continuare a farlo, si deve avere la capacità
di condizionare il senso della realtà creando un vasto sistema basato sulla
capacità di ingannare la mente. Nella nostra società, quelli che sanno
perfettamente ciò che sta succedendo sono anche quelli che meno riescono a
vedere il mondo così com’è. In generale, più si sa, più grande è la delusione:
il più intelligente è anche il meno sano di mente”.
[Pag.221]
Comprensibile che sia
così: come si fa a mantenere a lungo al proprio interno due posizioni
contrastanti sapendo che lo sono? Prima o poi subentrerà inevitabilmente una
sorta di schizofrenia o qualcosa che tradirà il vero pensiero, il vero
sentimento che coviamo. Un’espressione facciale, un’inflessione vocale, un gesto…
Potrà essere guidato dalla consapevolezza o dall’inconsapevolezza, ma metterà
in moto – comunque – gli occhi e le orecchie del Grande Fratello che tutto
osserva e tutto ascolta.
OGGI SIAMO O NON
SIAMO VITTIME DEL BIPENSIERO?
Pensate ai vaccini.
Siete pro o contro? Quante volte le persone hanno già cambiato idea in
proposito? Non sto dicendo che cambiare idea sia deplorevole, anzi, direi che è
legittimo e lodevole, ma se questo viene fatto a seguito di pensieri e
ragionamenti dotati di solide basi, non a seconda della “convenienza” o della
semplice accettazione passiva delle argomentazioni proposte a favore dell’una o
dell’altra “fazione” ad opera di personaggi politici o di scienziati vittime
delle pressioni delle case farmaceutiche.
E’ necessario domandarsi:
sono pensieri veramente miei? Oppure qualcuno me li ha forniti “già pensati” e
ben preconfezionati per indirizzarmi a suo piacimento verso un’opinione
piuttosto che verso un’altra, a seconda di cosa gli tornava utile al momento?
Lo schieramento è sempre volontario o è indotto subliminalmente?
“Un
tempo era segno di follia credere che la terra girasse intorno al sole, oggi lo
era il ritenere che il passato fosse immutabile. Poteva darsi che lui [Winston
Smith, il protagonista, n.d.r.] fosse il solo ad avere una simile convinzione,
ed essendo il solo doveva per forza essere pazzo. Tuttavia non lo disturbava
granché il pensiero di essere pazzo: più orribile ancora era la possibilità che
non lo fosse. […] Un bel giorno il Partito avrebbe proclamato che due più due
fa cinque, e voi avreste dovuto crederci. Era inevitabile che prima o poi
succedesse, era nella logica stessa delle premesse su cui si basava il Partito.
La visione del mondo che lo informava negava, tacitamente, non solo la validità
dell’esperienza, ma l’esistenza stessa della realtà esterna. Il senso comune
costituiva l’eresia delle eresie. Ma la cosa terribile non era tanto il fatto
che vi avrebbero uccisi se l’aveste pensata diversamente, ma che potevano avere
ragione loro. In fin dei conti, come facciamo a sapere che due più due fa
quattro? O che il passato è immutabile? Che cosa succede, se il passato e il
mondo esterno esistono solo nella vostra mente e la vostra mente è sotto
controllo?” [Pag.84 e pag.85]
Nel romanzo di Orwell
in questione, i processi di “ri-educazione” e di manipolazione del pensiero
sono attuati anche per mezzo della ri-scrittura dei libri e della distruzione
degli originali. Tutto deve rispondere ai criteri imposti dal Grande Fratello.
“Da
qualche parte stavano i cervelli pensanti, rigorosamente anonimi, che
coordinavano il tutto e fissavano le linee politiche che imponevano di
preservare, falsificare o distruggere un determinato frammento del passato”.
[Pag.46]
Anche i testi delle canzoni vengono (nel
romanzo) “assemblati” (facendo, tra l’altro, uso di una macchina chiamata “versificatore”) accostando parole vuote
di significati e, con essi, di concetti. Ogni giorno si muta il passato
divenuto scomodo o contraddittorio e si rinnega tale mutamento. I libri, quelli
autentici, sono pericolosi perché invitano al pensiero, alla riflessione e un
uomo che pensa liberamente è sempre stato e sempre sarà pericoloso. E’
preoccupante, a tal proposito, il fatto che un numero sempre inferiore di
persone legga libri. E che, di questi pochi, una percentuale ancora più piccola
legga libri di valore, intendendo - con l’espressione “di valore” – libri di
una certa caratura letteraria, libri che possono fornire al lettore non solo un
bagaglio culturale importante, ma anche un invito al libero pensiero. Si
preferiscono i libri di intrattenimento a quelli di un certo “spessore”; si
prediligono le serie televisive alla lettura. La povertà di linguaggio va di
pari passo con la pigrizia. In “1984” è vietato - pena la tortura (e la morte)
– tenere diari: anche la scrittura a mano è ridotta ai minimi termini e, chi
può, fa uso del “parlascrivi”, un
altro dispositivo automatico che limita l’azione (e il pensiero) dell’uomo. Le
persone che non leggono e che non scrivono sono più facilmente controllabili e
calpestabili.
“Se,
infatti, il benessere e la sicurezza fossero divenuti un bene comune, la
massima parte delle persone si sarebbero alfabetizzate, apprendendo così a
pensare autonomamente; e una volta che questo fosse successo, avrebbero
compreso prima o poi che la minoranza privilegiata non aveva alcuna funzione e
l’avrebbero spazzata via. Sul lungo termine, una società gerarchizzata poteva
aversi solo basandosi sulla povertà e sull’ignoranza”.
[Pag.198]
L’ignoranza è a un
passo dalla schiavitù. E – per dirla proprio tutta - siamo sicuri che ogni
volta che scriviamo qualcosa su un Social
Network (o, meglio, su un Social
Media) trasmettiamo davvero ciò che pensiamo? Siamo proprio sicuri che ciò
che postiamo non sia vittima di un
condizionamento esterno o di un’auto-censura? Prima di caricare qualcosa in
rete non ci domandiamo, forse, cosa penseranno gli altri? Approveranno?
Riceveremo un numero di consensi tale da appagare il nostro ego? Oppure
rischieremo di essere bloccati, censurati o bannati?
E tenere un diario pubblico esclude a
priori che possiamo tenere un diario privato, magari cartaceo, scritto a mano
con la nostra personale grafia (a patto che usiamo una grafia tutta nostra e
non copiata da altri)?
IL PASSATO E’ DAVVERO
IMMUTABILE?
“Chi
controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla
il passato” (pag.37 e pag. 255), recita uno degli
slogan del Partito, ma è proprio così? Nel profetico romanzo di Orwell il
passato viene costantemente modificato per risultare coerente, in ogni momento
o circostanza, con la politica del Socing
e con la visione del Partito. E’ una tecnica mentale, oltre che una pratica
concreta, che implica la continua sostituzione di determinati ricordi con altri
ricordi e il dimenticarsi di aver operato tale sostituzione. Non ricordare di
essersi dimenticati, insomma. Questa operazione avviene non soltanto con
ricordi che riguardino dati, date e avvenimenti, ma anche con i sentimenti.
Attraverso atroci torture fisiche e sofisticate tecniche di manipolazione del
pensiero, il Partito è in grado di modificare persino i sentimenti di ogni
individuo. Questa operazione viene chiamata “conversione”. Perché arrivare a
tanto? Per il potere: il potere fine a se stesso, il potere per il potere.
“Il
vero potere, il potere per il quale dobbiamo lottare notte e giorno, non è il
potere sulle cose, ma quello sugli uomini”. [Pag.273]
“Noi
controlliamo la materia perché controlliamo la mente. La realtà si trova nella
scatola cranica. […] Le cose esistono solo in quanto se ne ha coscienza”.
[Pag.272]
“Noi
non distruggiamo l’eretico per il fatto che ci resiste. Anzi, finché ci resiste
non lo distruggiamo. Noi lo convertiamo, penetriamo nei suoi recessi mentali
più nascosti, lo modelliamo da cima a fondo. […] lo portiamo dalla nostra
parte, anima e corpo […] Prima di ucciderlo, ne facciamo uno di noi”.
[Pag.262]
Orwell fa, così,
entrare in campo il SOLIPSISMO, un “termine
che si riferisce alla dottrina filosofica secondo cui l’individuo pensante può
affermare con certezza solo la propria esistenza poiché tutto quello che
percepisce sembra far parte di un mondo fenomenico oggettivo a lui esterno ma
che in realtà è tale da acquistare
consistenza ideale solo nel proprio pensiero, cioè l’intero universo è la
rappresentazione della propria individuale coscienza”. [Wikipedia]
A questo punto la
domanda sorgerà spontanea nei più attenti: “Il mondo in quanto tale, la realtà
oggettiva – insomma – esiste a prescindere da noi?”
E’ proprio qui che
vuole arrivare Orwell: una cosa è reale perché è reale o è reale perché siamo
noi a percepirla tale? Così si muta il passato, inducendo – cioè – l’individuo
a pensare che una cosa sia reale in quanto percepita come reale dalla nostra
mente. Siamo tutti legati al passato più di quanto siamo disposti ad
ammetterlo; guardiamo al passato con gli occhi del presente, ma il presente è
troppo labile per reggere il confronto poiché ad ogni istante scivola via dalle
nostre dita diventando passato. Siamo i nostri ricordi (e lasciamo che i nostri
ricordi spiacevoli influiscano giorno per giorno nelle nostre vite più di
quelli piacevoli), ci identifichiamo con essi e ad essi ci aggrappiamo con
tutte le nostre forze immortalando ogni istante della nostra vita con foto,
filmati e post su diari di pubblico
dominio quali sono i Social, sperando
di renderli più “reali”. Così facendo non viviamo i momenti personalmente, ma
attraverso dispositivi elettronici a cui ci rifaremo all’occorrenza per pescare
dalla nostra memoria quei momenti. Non cogliamo l’attimo, ma il suo ricordo in
un’immagine o in una serie di immagini o di suoni. Per la foga di scattare una
foto ci impediamo di goderci le emozioni, le sensazioni e i sentimenti che la
situazione “apparecchia” dentro di noi.
Saltando questo passaggio fondamentale, quando ripescheremo la foto in
questione dall’album, inventeremo un
sentimento che non abbiamo provato perché non ci siamo permessi di viverlo al
momento opportuno. Se – di colpo – sparisse ogni nostra traccia informatica,
probabilmente non saremmo in grado di raccontare chi siamo né come abbiamo
vissuto, né – tantomeno – ciò che abbiamo provato vivendo. Pensiamo sia
impossibile alterare il passato se lo si immortala minuto per minuto, ma questo
assunto non è sempre vero: alteriamo di continuo i nostri ricordi,
ingannandoci, raccontandoci bugie in cui ci sforziamo di credere per dare di
noi un’immagine che non rappresenta ciò che siamo realmente, ma un miscuglio
informe di ciò che vorremmo essere, di
ciò che gli altri vorrebbero che fossimo, di ciò che pensiamo di essere e di
ciò che gli altri pensano che siamo. Millantiamo una coerenza che non ci
appartiene… Nel caso di “1984” questa alterazione del passato è estesa non
soltanto al privato dei singoli individui, ma anche ai fatti storici. Complici
sono – naturalmente – anche i mezzi di informazione, primi fra tutti gli
onnipresenti teleschermi, i quali trasmettono - senza sosta alcuna - notizie false,
studiate e progettate nei minimi dettagli per assolvere il compito di
manipolare le menti dei cittadini. Le attuali fake news di cui si discute tanto da un po’ di tempo a questa parte
rappresentano, a ben guardare, dei rozzi prodromi di una realtà come quella
prospettata da Orwell nella sua distopia. E – d’altronde – le modalità con cui
i mezzi di informazione ci comunicano le notizie sono, di per sé, controllate e
studiate per scatenare in noi reazioni ben precise. Infatti, proprio come in
“1984”, anche nella nostra realtà la “nuova
aristocrazia” è composta da “burocrati,
scienziati, tecnici, sindacalisti, esperti in pubblicità, sociologi,
insegnanti, giornalisti e politici di professione […] decisi, più che mai, a
spazzare via l’opposizione”. [Pag.212]
“L’invenzione
della stampa, però, rese più semplice manipolare l’opinione pubblica, un
processo al quale diedero ulteriore impulso il cinema e la televisione. […] Per
la prima volta diveniva possibile indurre nelle coscienze non solo una cieca
obbedienza alla volontà dello Stato, ma anche una totale uniformità di
opinioni”. [Pag.212]
“Solo
il collettivismo poteva garantire all’oligarchia il suo potere. Il benessere e
il privilegio si difendono meglio quando sono un bene comune”.
[Pag.213]
Da qui all’”abolizione della proprietà privata” il
passo è breve e, ad oggi, il nostro piede si trova a mezz’aria se consideriamo
la proprietà privata di cui parlava Orwell come la moderna Privacy. Abbiamo l’illusione che la nostra Privacy sia tutelata, protetta, custodita, ma la verità è che ogni
giorno essa viene violata sotto nostro esplicito (o implicito) consenso. Siamo
davvero sotto controllo anche se crediamo di essere i detentori di quel
controllo. La tecnologia ci tiene sotto scacco coi suoi telefonini, con i suoi computer, con le sue webcam. GPS, microfoni,
videosorveglianza sono solo alcuni dei mezzi utilizzati per monitorarci. E –
proprio come nel romanzo – la nostra mente è manipolata dai media. Le opinioni che scioriniamo al
bar davanti al cappuccino ogni mattina sono frutto del pensiero di qualcun
altro: opinionisti, giornalisti, autorità politiche e religiose, e l’elenco non
si ferma certamente qui.
“Quegli
occhi vi seguivano ovunque e ovunque vi avvolgeva la stessa voce. Nella veglia
o nel sonno, al lavoro o a tavola, in casa o fuori, a letto o in bagno, non
c’era scampo. Nulla vi apparteneva, se non quei pochi centimetri cubi che
avevate dentro il cranio”. [Pag. 29 e pag. 30]
Teleschermi ovunque
anche nella distopia di Ray Bradbury, “Fahrenheit 451”, installati come
palliativo della solitudine e per
intrattenere il più possibile i loro utilizzatori: cittadini sempre più
connessi, ma – paradossalmente - sempre più alienati, addestrati e abituati a
non nutrire la mente e a non pensare. Un mondo, quello creato da Bradbury, in
cui i pompieri non hanno il compito di spegnere gli incendi, bensì di
appiccarli. Vittime designate di questa follia sono i libri, considerati troppo
pericolosi per essere lasciati in circolazione. I libri spingono al pensiero,
inducono coloro che li leggono a porsi domande e, nella società di “Fahrenheit
451”, i cittadini vengono messi in condizione non solo di non potersi fare
domande, ma anche e soprattutto di non volersele fare. Bombardati di risposte,
non possono far altro che lasciarsi invadere da realtà precostituite e
inattaccabili.
Perché si è
sviluppato tutto questo bisogno di condivisione? Orwell riporta spesso il
lettore al passato e ricorda che, un tempo, era abitudine dei potenti vergare
le menti dei sudditi con l’imperativo: “Tu
devi!” Quando fu chiaro, ci spiega ancora l’autore, che tale imperativo son
sortiva l’effetto desiderato, si passò al: “Tu
non devi!” Ma neanche questo sembrò funzionare, così, ecco che nelle
vicende di “1984” si escogita il: “Tu
sei!”, sottintendendo, però, una realtà ben più drammatica, ovvero quella
del: “Tu non esisti!”
“«Il
Grande Fratello esiste?»
«Certo
che esiste. Il Partito esiste. Il Grande Fratello è l’incarnazione del
Partito.»
«Esiste
nello stesso modo in cui esisto io?»
«Tu
non esisti» rispose O’Brien”. [Pag.266]
Come faceva, Orwell,
a sapere che il tasto dolente dell’uomo del nostro secolo sarebbe stato
l’”essere”? Come faceva a sapere che avremmo puntato tutto sul singolo
individuo e sullo studio delle identità? E – soprattutto – come faceva a sapere
che quel bisogno di autoanalisi e di autoconoscenza sarebbe stato frustrato a
tal punto da provocare l’effetto contrario, ovvero l’annullamento dell’”IO”?
Sì, perché tutti quanti hanno a cuore l’appartenenza ad un gruppo, ad una
comunità. Insieme, si ha l’illusione di essere meno soli e intoccabili. Tutto
diventa collettivo, compresi l’odio e il disprezzo e si è disposti a
sacrificare la propria unicità per quell’illusione di protezione che il gruppo
fornisce. Il singolo individuo ha paura perché, se lasciato da solo, sente
ricadere tutto il peso delle responsabilità su di sé. Perciò si rifugia nel
“NOI”. Stando in quel “NOI”, l’”IO” non ha più necessità di pensare per proprio
conto e rinuncia a farlo, sia per pigrizia sia per paura.
“Le
masse non si ribellano mai in maniera spontanea, e non si ribellano perché sono
oppresse. In realtà, fino a quando non si consente loro di poter fare
confronti, non acquisiscono neanche coscienza di essere oppresse”. [Pag.
214]
“Finché
non diverranno coscienti della loro forza, non si ribelleranno e, finché non si
ribelleranno, non diverranno coscienti della loro forza”.
[Pag.75]
Da tutto questo – dicevamo – anche l’odio ne
risulta amplificato, soprattutto l’odio per il diverso. La conseguenza è una
giustificazione per il perenne stato di guerra.
“LA
GUERRA E’ PACE. LA LIBERTA’ E’ SCHIAVITU’. L’IGNORANZA E’ FORZA.”
Così recitano gli
altri tre motti del Partito…
“Persino
l’alleato ufficiale del momento viene visto col massimo sospetto. A parte i
prigionieri di guerra, il cittadino qualunque dell’Oceania non vede mai un
abitante dell’Eurasia o dell’Estasia, e gli è interdetto l’apprendimento delle
lingue straniere. Se gli si consentisse di avere contatti con stranieri,
scoprirebbe che sono persone come lui e che la maggior parte di quanto gli è
stato detto di loro è pura menzogna. Il mondo chiuso e separato nel quale vive
andrebbe in pezzi e potrebbero svanire la paura, l’odio e l’ipocrisia su cui si
basa il suo morale”. [Pag.203 e pag.204]
Si teme ciò che non
si conosce e più lo si teme più si arriva ad odiarlo e, per quanto affermiamo
di vivere in un mondo civilizzato e globalizzato, siamo anche noi, nel 2018,
vittime dell’odio. Se pensiamo alle nostre reazioni di fronte all’immigrazione
potremo notare quanto siamo vicini all’”universo Orwelliano”.
“[…]
la guerra […] è un’autentica impostura. […] Pur essendo fasulla, però, […] non
è priva di significato. Essa divora tutti i beni di consumo in eccedenza e
contribuisce a conservare quella speciale disposizione mentale di cui ha
bisogno una società organizzata gerarchicamente. […] Al giorno d’oggi nessuno
combatte veramente contro un altro. […] Non si sarebbe probabilmente lontani
dal vero se si affermasse che, diventando perenne, la guerra ha cessato di
esistere. […] Se i tre superstati, invece di combattersi vicendevolmente,
stabilissero di vivere in sempiterna pace, ognuno inviolato entro i propri
confini, l’effetto sarebbe identico”. [Pag.206]
Abbiamo visto,
dunque, come si produce l’odio, ma vediamo, ora, come lo si alimenta:
“Quando
fai l’amore, consumi energia. Dopo ti senti felice e te ne freghi di tutto il
resto, e questo loro non possono permetterlo. Loro vogliono che tu stia sempre
lì a scoppiare d’energia: tutte queste marce, queste grida di acclamazione,
questo sventolio di bandiere, non sono altro che sesso andato a male. Se dentro
di te ti senti felice, perché mai ti dovresti entusiasmare per il Grande
Fratello, i Piani Triennali, i Due Minuti d’Odio e tutta quella merda?” [Pag.139]
La repressione sessuale
produce isteria, condizione necessaria perché il Partito possa convogliare
l’odio della massa verso i sovversivi o verso i nemici del Socing. In “Fahrenheit 451” il Sistema applicava il controllo dei
cittadini fornendo loro intrattenimento fino allo sfinimento, nel caso di
“1984” si preferisce alimentare l’energia della massa, ma solo per poterla
indirizzare contro un ipotetico nemico del benessere e della tranquillità
civile.
L’atto sessuale,
totalmente avulso dal concetto di piacere,
assume unicamente lo scopo di procreare. La riproduzione – a sua volta –
è trattata come fosse una forma di dovere nei confronti del Partito che, in tal
modo, acquisisce nuove reclute da inserire nei ranghi delle sentinelle e delle spie. Esiste persino la cosiddetta “Lega Giovanile Antisesso” a presidio di
questa ideologia di mantenimento della castità. Anche il nostro rapporto col
sesso è fortemente degenerato, nel tempo, e ha dato origine a numerose
problematiche fisiche, tra cui le malattie sessualmente trasmissibili sempre
più gravi e spaventose e un incremento notevole delle violenze. Colpa –
probabilmente – di una finta liberalizzazione che ha originato ancora più tabù,
ancora più perversioni e ancora più
discriminazioni.
Molte sono le
somiglianze tra il mondo di “1984” e il nostro, quello in cui viviamo
attualmente, ma queste mi sembrano le più eclatanti e ho sentito il bisogno di
sottolinearle. Molte sono anche le somiglianze tra “1984” e “Vox”, il romanzo
d’esordio di Christina Dalcher. L’azzeramento di lingua e linguaggio, la
nostalgia per un passato che sembra impossibile da rievocare, il bisogno di
dare vita ad una forma di resistenza segreta che possa cambiare la situazione
non appena se ne presenti l’occasione, la frustrazione dei sentimenti e del
sesso, l’educazione dei più piccoli, le forme di tortura, le reminiscenze del
periodo nazista, la presenza ingombrante di telecamere installate ovunque e la fomentazione di odio perfino tra i
membri della propria famiglia sono solo alcune delle tematiche che ricorrono in
“Vox” così come in “1984”.
Il linguaggio, come
lascia intuire il titolo stesso, è il leitmotiv
di tutto il romanzo. Alle donne è consentito l’uso di 100 parole al giorno,
soltanto. Alcune non possiedono neppure questa “concessione” e sono condannate
a tacere per tutta la vita. Al polso portano un braccialetto conta-parole che,
appunto, tiene il conto di ogni vocabolo pronunciato durante l’arco della
giornata. Non possono sforare, pena atroci torture. Anche i gesti e gli sguardi
sono costantemente sotto controllo per via dell’installazione di telecamere
dislocate pressoché ovunque.
“Sono
ovunque, le telecamere. Nei supermercati, nelle scuole, dai parrucchieri e nei
ristoranti, pronte a catturare qualsiasi cosa possa essere interpretata come
comunicazione non verbale, per quanto rudimentale”.
[Pag. 46]
Anche le webcam
private sono tenute sotto controllo dal governo e il riferimento a “1984” è
addirittura esplicito:
“Non
siamo certo messi male come Winston Smith, che deve accucciarsi nell’unico
angolo cieco del suo monolocale perché il Grande Fratello non l’osservi
attraverso uno schermo, ma abbiamo telecamere anche noi. Ce n’è una
all’ingresso principale, una sul retro, una sul garage, puntata sul vialetto.
Ero presente quando sono state installate, un anno fa, lo stesso giorno in cui
io e Sonia abbiamo ricevuto i contatori da polso. Nessuno potrebbe monitorare
tutte le case per tutto il giorno, non ci sono abbastanza uomini per una
sorveglianza costante. Nonostante questa consapevolezza, faccio ben attenzione
a tenere la busta premuta contro di me, mentre do le spalle alla cassetta delle
lettere e torno a casa”. [Pag. 253]
In “Vox” non c’è solo
un impoverimento della lingua e una drastica modificazione del vocabolario, ma
un vero e proprio assassinio delle parole (attraverso un’afasia di massa).
“A
sei anni, Sonia dovrebbe avere diecimila lessemi, un esercito formato da truppe
che si raggruppano e si mettono sull’attenti, obbedendo agli ordini del suo
cervello giovane e duttile. DOVREBBE AVERE, perché le tre competenze un tempo
previste per la sua età – leggere, scrivere e far di conto – di questi tempi si
sono ridotte a una: l’aritmetica elementare. Dopotutto, un giorno da mia figlia
ci si aspetterà che sappia fare la spesa e gestire le faccende di casa, che sia
una moglie devota e diligente, e per queste mansioni serve saper contare e non
certo conoscere l’ortografia, né la letteratura. E non serve nemmeno avere una
voce”. [Pag. 10 e pag. 11]
Poche parole, pochi
pensieri. E viceversa, naturalmente. Zero parole, zero pensieri. Almeno per
quanto riguarda la sfera femminile perché, per i maschi, tutto funziona
diversamente. Possono parlare, i maschi, e a scuola viene loro impartita
un’educazione di tipo “ortodosso”, nella quale la prima cosa che imparano è che
le donne sono inferiori e che gli uomini hanno il sacro compito di dominarle.
L’intero sistema educativo è distorto e riplasmato perché supporti questa
ideologia. I libri in circolazione appartengono a tale stampo, persino la
Bibbia è stata modificata per permettere la calcificazione di questa mentalità.
“Cosa
studiano ora, le nostre bambine? Un po’ di addizioni e sottrazioni, come
leggere l’ora e calcolare il resto. Contare, ovviamente. E’ la prima cosa che
imparano. Fino a cento”. [Pag. 104]
“Questa
è la scuola, adesso, e sarà così ancora per un po’ di tempo. Forse per sempre.
La
memoria è odiosa.
Invidio
la mia unica figlia: non ricorda com’era la vita prima delle quote di parole, o
la scuola prima che il Movimento per la Purezza prendesse piede”. [Pag.
106]
Anche qui, come nel romanzo di Orwell, torna
prepotentemente la nostalgia per il passato, per un tempo in cui gli uomini
erano liberi di pensare, di esprimersi, di agire e di amare. E – a proposito
dell’amore - anche qui, un Movimento di censura ha preso piede, un Movimento
che si occupa rendere le donne schiave devote, anche in ambito sessuale. Anche
qui non esiste più il “fare l’amore” per il piacere di stare insieme
intimamente: l’atto sessuale si svolge meccanicamente e con l’unico scopo di
procreare. Banditi i preservativi, naturalmente, ma accettata la prostituzione.
Il piacere – come è ovvio - è riservato soltanto ai maschi. L’omosessualità non è tollerata nell’orripilante universo
distopico di cui ci parla la Dalcher:
“Non
ci sono più famiglie con due mamme o due papà: i figli di partner omosessuali
sono affidati al parente maschio più prossimo – uno zio, un nonno, un fratello
maggiore – finché il genitore biologico non si sposa come si deve. Che buffo,
dopo tutte le chiacchiere sulle terapie di conversione, nessuno aveva mai
pensato al metodo infallibile per riportare i gay sulla retta via: togliere
loro i figli”. [Pag. 104 e pag. 105]
La discriminazione
del diverso, l’ostinazione nel voler vedere nell’omosessuale soltanto una
persona malata, sessualmente deviata (e, pertanto, passibile di “conversione”),
come se l’inclinazione sessuale dipendesse da una scelta, è – come ben sappiamo
- una realtà con cui la nostra società si è sempre trovata a fare i conti. Di diritti si discute molto, come si discute
di femminismo e parità dei sessi. In tutto questo, però, ci si dimentica sempre
di includere un fattore determinante: il sentimento. Il sentimento è escluso a
priori quando si parla di articoli di legge, giurisprudenza e Diritto, ed è
significativo il fatto che dai
personaggi “buoni” di entrambi i romanzi
il sentimento venga, invece, riconosciuto come fulcro fondamentale attorno al
quale far ruotare la vita intera.
L’unico sentimento
tenuto in seria considerazione da chi detiene il potere, in entrambi i libri, è
l’odio. Chi governa riconosce soltanto il valore dell’odio, scardinando
completamente il sentimento dell’amore dalle menti dei suoi sudditi. L’amore,
così come il libero pensiero, è troppo pericoloso perché sia predicato e
lasciato libero di insinuarsi e di albergare nel cuore degli individui…
“Mi
chiedo quale tipo di punizione il reverendo Carl e il suo branco di Uomini Puri
abbiano ideato per i sovversivi. In un mondo in cui le donne vengono spedite in
Siberia – in North Dakota, cioè – per crimini innocui come la fornicazione, e
in cui Jackie è condannata a marcire per sempre in un campo di concentramento
per omosessuali, di sicuro alle donne che trafugano segreti di Stato sarà
riservato un orribile trattamento specifico”. [Pag. 252]
E’ chiaro che ci si
voglia liberare da un regime dittatoriale tanto simile a quello instaurato dai
Nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. In entrambe le distopie di cui
parlo in questo articolo ci sono riferimenti agli orrori commessi in quel
preciso periodo storico ed è chiaro che sia la protagonista di “Vox” sia il protagonista
di “1984” sognino e si attivino personalmente per costruire un futuro in cui
quegli orrori non si ripetano. Dai teleschermi di Orwell e dalle televisioni
della Dalcher escono realtà fasulle e distorte:
“Oggi
il presidente Myers era di nuovo in televisione. Mi sembra che sia sempre in
televisione, sempre a proclamare un nuovo piano per trasformare il Paese sempre
a raccontarci che oggi stiamo molto meglio di prima”.
[Pag. 122]
“Lavaggio del
cervello”: anche questo accomuna i due romanzi. Come ci sono riusciti, in
“Vox”? Oltre che imbavagliando le donne, modificando i testi su cui far
studiare i ragazzini e applicando torture di ogni genere, con la persuasione
(sia quella plateale, applicata sciorinando prediche e sermoni pubblici, sia
quella subdola):
“Ecco,
è così che ci sono riusciti. Intrufolandosi in un corso qui un’associazione là,
ovunque potessero attirare i ragazzi con la promessa di rendere più appetibili
le loro candidature.
E’
bastato”. [Pag. 53]
Quel che salta
all’occhio a un certo punto è il significato che il gruppo, la massa, assume
nei due libri: in “1984” l’idea di associazione di persone è consentita solo a
patto che il gruppo in questione sia coalizzato contro i nemici del Partito e
del Grande Fratello; per quanto riguarda “Vox”, l’idea di gruppo è prevista
come forma di aggregazione per il controllo reciproco. Il risultato non è molto diverso, anzi, anche
in “Vox” i membri della stessa famiglia si tradiscono tra loro. L’unica
differenza è che il rimorso di coscienza è molto più evidente e, sicuramente,
più produttivo in “Vox” che in “1984”.
“Puoi
portare via molte cose a una persona:
soldi, lavoro, stimoli intellettuali. Puoi anche portarle via la voce senza
intaccare la sua essenza più profonda. Ma, se le impedisci di sentirsi parte di
un gruppo, se le togli lo spirito di squadra, le cose cambiano”.
[Pag. 47]
In entrambe le
distopie, cambia la percezione di cosa è normale e di cosa non lo è. Diventano
normali cose che ledono i diritti umani ed eretiche le cose che prima sancivano
quegli stessi diritti. Tornano in vigore
le torture, sia quelle fisiche sia quelle mentali, le persone ritenute
“scomode” – semplicemente – vengono fatte sparire, dall’oggi al domani, il
potere è fine a se stesso. “Immaginate
come sarà svegliarsi una mattina e scoprire che non avete più voce in capitolo
su niente”. [Pag. 20] Ci si pone persino la stessa domanda, a un certo
punto:
COSA
SARESTI DISPOSTO/A A FARE PER RICONQUISTARE LA TUA LIBERTA’?