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LA BELLEZZA

martedì 23 dicembre 2025

Il Male (è) necessario (?)

 


“«Bene e male sono i pregiudizi di Dio» - disse il serpente”.

F. Nietzsche, “La gaia scienza”

Il Male è necessario? Il Male è necessario. “Il dolore ha uno scopo preciso nell’evoluzione: ci fornisce informazioni sull’ambiente circostante e anche sui comportamenti che possono danneggiarci”. [1]Inoltre è relativo. Non esistono schieramenti netti, solo punti di vista differenti. Non tutto ciò che è piacevole può essere inserito nello scatolone del Bene e non tutto ciò che è spiacevole può essere messo in quello del Male. Ogni cosa, circostanza, fatto, persona o situazione ha innumerevoli diramazioni che dipendono da altrettanti fattori. Ogni scelta implica conseguenze nella vita di chi ha compiuto quella scelta ma anche nella vita di chi lo circonda. Dipendiamo e facciamo dipendere, siamo tutti collegati; e, come noi, lo sono anche gli eventi. È una questione di percentuali. Quanto c’è di buono in ciò che ho fatto oggi, e quanto di cattivo? Quanto ne sono al corrente? Ho compiuto scelte consapevoli? Inconsapevoli? Obbligate? Ponderate? Sconsiderate? Ho aiutato oppure ostacolato? Per fare il mio bene ho ferito qualcuno? C’erano alternative? Ho subito passivamente le decisioni degli altri? Fare ogni sera un bilancio di ciò che è accaduto durante la giornata aiuta a prestare maggiore attenzione alle azioni che compiremo in futuro e mette in ordine la soffitta della mente.

Friedrich Nietzsche, ne “La gaia scienza”, scrisse: “Scavate nella vita degli uomini e dei popoli migliori e più fecondi e domandatevi se un albero, che deve crescere superbo in altezza, possa fare a meno del cattivo tempo e delle tempeste; se inclemenza e resistenze dall’esterno, se qualche forma di odio, gelosia, testardaggine, diffidenza, durezza, avidità e prepotenza non faccia parte delle condizioni favorevoli, senza le quali un grande sviluppo, persino nella virtù, non è quasi possibile. Il veleno per il quale la natura debole perisce è per il  forte rafforzamento – e questi anche non lo chiama veleno”.[2]

Ciò che non uccide, fortifica, insomma. O quel che non strozza, ingrassa, come dicono a Roma.

Comunque sia, una risposta diplomatica che non mi piace perché non è sempre vera.

Dipende.

“Forse ogni volta che ti capita qualcosa di brutto diventi più debole, […] e quindi riesci a sopportare sempre meno”.[3]

Dipende da cosa? Dal tempo, innanzitutto. Poniamo il caso di una persona che abbia contratto la varicella; il suo corpo lotterà contro la malattia come meglio potrà e dopo la battaglia ne uscirà vittorioso. Inevitabilmente, a quella malattia, seguirà un periodo di convalescenza più o meno lungo le cui parole chiave saranno “stanchezza” e “debilitazione”, ma – una volta trascorso anche questo tempo – la persona in questione, ormai guarita, sarà immune alla varicella. Sarà dunque più forte. Facciamo un altro esempio. Un tizio, a causa di un grave incidente, perde la vista. Sulle prime avrà non poche difficoltà: sarà indebolito, svantaggiato, disorientato e – probabilmente – scoraggiato; poi, però, col passar del tempo, gli altri suoi sensi si rafforzeranno per sopperire alla mancanza della vista. Un’anticipazione… Quello che – inizialmente – può sembrarci un grande male, potrebbe risparmiarci o averci risparmiato un male assai maggiore. Destino/Fato o Provvidenza divina? Non corriamo: a questo arriveremo tra un po’. Chiaramente tutto è soggetto alla relatività, nel senso che la persona guarita dalla varicella sarà più vulnerabile all’herpes e il tizio che ha perso la vista potrebbe incontrare maggiori difficoltà in caso di eventi in cui si debba scappare o lottare. Ed è anche possibile che la cecità porti il soggetto alla depressione, indebolendolo ulteriormente anziché renderlo più forte… Mi permetto ancora una divagazione; ho scritto “ciò che non uccide, fortifica”, quando avrei potuto usare un’altra formula simile ma più specifica, cioè: “ciò che non ti/ci uccide, ti/ci fortifica” Perché l’ho fatto? È presto detto. Quel “dipende” può essere così analizzato non solo attraverso la sfera temporale, ma anche attraverso quella del soggetto che beneficia del rafforzamento. È un gioco un tantino astruso e perverso, me ne rendo conto, ma mi piace molto stimolare il mio e gli altrui cervelli… Poniamo il caso di una battaglia antica: due soldati stanno menando fendenti a destra e a manca quando, ad un certo punto, uno dei due ferisce gravemente l’altro con la propria spada. Il ferito non muore, ma la sua ferita regala un notevole vantaggio all’avversario. In questo caso, e in altri simili, potremmo dire: “ciò che non uccide (te), fortifica (l’altro)”. Coincidenze? Einstein risponderebbe che “le coincidenze sono il modo in cui Dio rimane anonimo”

Un’ultima considerazione: nel regno animale, la relatività del Male è ancora più evidente. Quando un animale ne uccide un altro non lo fa per le stesse motivazioni che potrebbero invece spingere un essere umano a commettere un omicidio. Un animale, se uccide, lo fa per istinto di sopravvivenza, di autoconservazione e, di conseguenza, di preservazione della propria specie. Tra le bestie non esistono la vendetta, il sadismo, l’invidia o la gelosia. Ci sono dei meccanismi di potere anche fra le bestie, certo, ma gli scopi sono sempre a beneficio della specie o del gruppo. Non c’è brama di conquista o di possesso. Nessuna lotta è fine a se stessa o viene combattuta per perseguire scopi egoistici. Gli animali non hanno il nostro stesso modo di distinguere il Bene e il Male; anche loro agiscono secondo dei criteri,  ma partendo dal concetto di istinto. Virus e batteri non si moltiplicano per uccidere il portatore: uccidere chi li ospita è una naturale conseguenza del loro vivere.

Ma ritorniamo a noi e alla necessità – col punto interrogativo – del Male. Il dualismo del mondo è cosa risaputa: il bilanciamento degli opposti, la compresenza dei contrari, la necessità di Yin e Yang, e così via, costituiscono una visione ampiamente condivisa dagli esseri umani.

“Hai pronunciato le tue parole come se tu non riconoscessi le tenebre, e nemmeno il male. Ma vorrai essere così cortese da riflettere un attimo sulla questione: che cosa avrebbe fatto il tuo bene se non fosse esistito il male, e che aspetto avrebbe la terra se ne scomparissero le ombre? È dalle cose e dalle persone che si genera l’ombra. Ecco qui l’ombra della mia spada. Ma ci sono anche le ombre degli alberi e degli esseri viventi. Non vorrai forse scorticare l’intero globo terrestre, strappandogli di dosso tutti gli alberi e tutto ciò che è vivo, per la tua fantasia di godere della luce nuda? Tu sei sciocco”.[4]

Che faremmo, infatti, se anziché l’alternanza di giorno e notte ci fosse solamente l’uno o l’altra? Come potremmo goderci il piacere senza aver prima conosciuto il dolore?

“«Ma le lacrime sono necessarie. Non si ricorda ciò che dice Otello? ‘Se dopo ogni tempesta vengono tali bonacce, allora che i venti soffino finché abbiano risvegliato la morte!’»”[5]

 Considerazioni legittime, certo. Ma non sempre la distinzione è così netta come tra il bianco e il nero. Quindi che fare quando ci si trova in presenza del grigio? Che fare quando le due cose si stemperano inscindibilmente l’una nell’altra (cosa che avviene il più delle volte)? Forse la risposta  è nella ricerca dell’equilibrio, nel tentativo di bilanciare equamente queste due potenze… D’altronde:

“L’attività dell’uomo s’affloscia troppo facilmente ed egli si adagerebbe con piacere in un assoluto riposo. Perciò gli metto volentieri accanto un compagno che lo sproni, ed agisca e si comporti come diavolo”.[6]

Il Male è dunque necessario? Se, come me, non volete (o non volete ancora) prendere posizione sul “sì” o sul “no”, potete iniziare a pensare al Male come strumento quantomeno “utile”…

“«Ve ne siete sbarazzati, già è il vostro sistema. Sbarazzarsi di tutto ciò che non è gradito, invece di imparare a sopportarlo. Resta da sapere  se è spiritualmente più nobile subire i colpi e le frecce del destino contrario, o combattere contro un mare di guai e opporsi a essi fini alla fine… Ma voi non fate né l’una né l’altra cosa. Voi né sopportate né affrontate. Abolite semplicemente i colpi e le frecce. È troppo facile»”.[7]

Personalmente sono sempre stata una combattente, ma ad oggi mi chiedo: a cosa serve combattere quando sai di non poter vincere? E perché sopportare anche quando non ce la fai più e senti che il Destino si sta solo divertendo a infierire su di te? Abbiamo il diritto di sentirci stanchi  e sventolare la bandiera bianca anche se spesso sento dire che non puoi sapere quanta forza tu abbia finché non ti sei messo alla prova senza risparmiarti. Ritengo ci siano dei limiti a ciò che una persona può (e dovrebbe) sopportare. Da tempo credo di aver raggiunto il mio ed è per questo che mi sto dedicando alla stesura di questo non-libro-non-saggio. Un’altra idea condivisa perlopiù dai credenti è che Dio non ci dà mai più dolore di quanto ne possiamo effettivamente sopportare. È un’idea presente  nella serie TV “The Big bang Theory”   e, se la memoria non m’inganna, ne “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni. Ma per me è un’idea ancora peggiore della precedente perché il pensiero che un’entità si arroghi il diritto di infliggermi dolore a propria discrezione mi rende nervosa. Come fa Dio a sapere cosa provo? Potrebbe saperlo se fosse me, ma Dio è me? Il mio Io è divino? Sarei presuntuosa se sostenessi che Io sono (il mio) Dio oppure sarei nel giusto? Se fossi il mio Dio probabilmente ora non sarei seduta davanti allo schermo di un portatile a scrivere tutto questo.

“L’ultimo passo ha sbilanciato

il tuo peso a sinistra. Il seguente

dovrebbe buttarti a destra

e dopo – vedrai cosa ti aspetta.

Lo chiami pensare, ma così

si cammina, anzi si dondola o si fa

la spola come un cavallo al chiuso:

dalla forza alla materia e poi alla forza,

dalla norma all’assurdo e poi alla norma,

dall’obbligo all’arbitrio e poi all’obbligo,

dal suono al senso e poi ancora al suono.

Avanti e indietro. Fa paura come

le cose vanno in coppia”.[8]

La stasi non è un’opzione, nell’universo: i pianeti non stanno mai fermi, il pensiero dell’uomo vaga di continuo, il cuore batte, il petto si alza e si abbassa, l’aria entra, l’aria esce, dopo il sonno viene la veglia e dalla posizione orizzontale si passa a quella verticale; la bicicletta ha bisogno di muoversi per mantenere l’equilibrio e andare avanti. Non c’è ombra senza luce e senza un corpo che le faccia da ostacolo. E ogni corpo, per il solo fatto di essere tale, proietta un’ombra più o meno lunga e più o meno marcata a seconda della posizione e dell’intensità della fonte luminosa. Più Bene vuol dire dunque più Male, per contrasto ed equilibrio. Più è intenso il bianco più vi si noterà qualsiasi punto nero e viceversa. La crescita, l’invecchiamento, il ricambio cellulare, tutto - dentro e fuori di noi - si muove e cambia.

Ma perché capitano tutte a me?

“Se qualcuno dice: «Dopo questa malattia mi sono convertito a Dio», allora, secondo me, la malattia è stata inutile. Si è messo su una via sulla quale non si confronta più con la gravità di ciò che è stato. Si allontana dall’esperienza. La malattia, il pericolo, la vicinanza della morte non sono più presenti. Ora invece egli ha una visione di Dio che lo ha salvato, o ringrazia la Madre Divina o chicchessia. Ognuno può constatare che questo atteggiamento gli toglie forza. Non parlo dei contenuti. Tutto ciò non ha niente a che vedere con Dio o Maria. Posso solo constatare l’effetto che ha. Se poi una persona così parla di Dio, gli altri tendono a voltarle le spalle. Questa è una cosa che ho visto accadere soprattutto a persone sulla via esoterica, mentre ho notato che accade di meno alle persone che intraprendono un cammino spirituale”.[9]

Le esperienze negative come lutti, malattie, sofferenze fisiche e mentali, disgrazie, eventi infausti, vengono a noi per un motivo? Chi crede che sia così, ha due schieramenti tra i quali scegliere: uno è quello tra coloro che pensano sia stato Dio a volerlo, per metterlo alla prova o per rafforzare la sua fede; l’altro è quello di coloro che sostengono che ogni cosa superata ci renda più forti. Ci risiamo: ciò che non uccide, fortifica? Secondo Hellinger, sì, fortifica l’anima. Per me, invece, al massimo insegna. Ogni cosa è maestra; ogni cosa ha un insegnamento da impartire in modo diverso a ognuno di noi.  Hai problemi alla gola? C’è qualcosa che non dici e che ti sta facendo soffrire. Hai mal di stomaco? C’è qualcosa che non riesci proprio a “digerire”. Problemi di stitichezza? Cosa non riesci a lasciar andare?

Se è vero che c’è un equilibrio in tutte le cose, per quale motivo sembra che tutto il Male si concentri nelle vite di certe persone piuttosto che in altre? Mi era venuta una risposta, a tal proposito ma non mi piaceva. Era basata sulla differenza tra macro-equilibrio e micro-equilibrio ed era sostenuta dall’idea che i micro-sistemi possano essere penalizzati a vantaggio dei macro-sistemi. Ma come dicevo mi sembrava un’idea cattiva, nata in un momento di rabbia e sconforto. Te la butto lì lo stesso: essere una creatura vivente vuol dire far parte di un sistema molto più grande e forse è all’equilibrio di quel sistema che la nostra vita fa riferimento… Ma come si spiegherebbe, allora, il famoso effetto farfalla?

EFFETTO FARFALLA

Con la giusta luce

anche il più piccolo

rivela grandezza

sbocciando in un’ombra

netta e imponente.

La sua sagoma

veste di nero

o di un grigio fumo

elegante.

Si staglia concreta e inafferrabile,

così fedele e cangiante

segue (o precede?) quella compagna che la sfoggia:

l’altra faccia della medaglia

svela il peso di una farfalla.

E la farfalla leggera

accarezza l’aria con ali soffici

e porta con sé il mistero del mondo:

come dal piccolo nasca grandezza,

piccola azione, grande prodezza,

da un respiro una brezza,

da un seme una quercia;

l’enormità nasce dal minuscolo,

il gigantesco dall’invisibile.

Chissà che succede se esco

a guardare il crepuscolo…

Ogni mio passo ha un peso incredibile!

 

 Per quanto possa sembrare strano, il fatto che un evento di portata minima da questa parte del mondo crei un effetto devastante dall’altra parte del pianeta rafforza questa ipotesi. Vale a dire: la Terra è solo uno dei tanti pianeti nella vastità dell’Universo, così come un uomo è un puntino sulla superficie terrestre, perciò guardare al suo equilibrio staccando la visione dall’insieme è come un uomo che fa riferimento solo alla propria vita… Sarebbe giusto? Corrisponderebbe alla Verità? Sarebbe come dire che io trascuro il benessere delle singole cellule finché non si ammala una porzione di corpo tale da farmi scattare un allarme. Sarebbe come dire che Dio trascura alcuni suoi figli che soffrono (o li fa soffrire di proposito) fino a che non ce ne saranno tanti che stanno bene.

“Vi è un unico mondo per tutti; i buoni ed i cattivi, il peccato e l’innocenza lo traversano mano nella mano. Volere ignorare una metà della vita per trascorrere una vita sicura, sarebbe come accecarsi per camminare con maggior sicurezza in un terreno accidentato, sparso di fosse e di precipizi”.[10]

Il Male e il Bene devono coesistere, a quanto pare, e non ci è dato estirpare l’uno per far trionfare l’altro.

“Se creo il mondo col solo attributo della misericordia, i peccati si moltiplicheranno oltre ogni limite; se lo creo con la sola giustizia, come il mondo potrà conservarsi? Lo creerò dunque con ambedue gli attributi; possa così durare!”[11] “Dio non è paziente solo col giusto, ma anche col malvagio”.[12]

Ancora una volta l’equilibrio tra le due parti è di vitale importanza e a nulla valgono le suppliche dei sofferenti. Perché preghiamo se è già tutto scritto, organizzato e predisposto? Non siamo nel film “I guardiani del destino”[13], dove - con la tenacia e la perseveranza, nonché la forza dell’amore - i protagonisti riescono a convincere il “Presidente” a riscrivere il Piano…

“L’apparente vittoria del male sul bene del mondo si interpretava come manifestazione della Sua misericordia”.[14]

A quanto pare, Dio fa continuare a esistere il Male perché altrimenti l’umanità cesserebbe di esistere.

 “Io faccio la pace e creo il male”.[15]

“Io formo la luce e creo l’oscurità”.[16]      

Ecco come nasce il Male. Ogni volta che compiamo un’azione si crea automaticamente un ramo con un opposto che ne bilanci il peso. Su una gamba sola saremmo instabili e cadremmo, servono due gambe uguali e contrarie per mantenere l’equilibrio. E per camminare bisogna che ci sia l’avanzamento alternato di quelle stesse gambe.                 

 “Senza contrari non c’è progresso. Attrazione e Ripulsa, Ragione e Energia, Amore e Odio sono necessari all’Umana esistenza. Da questi contrari scaturisce ciò che l’uomo religioso chiama Bene e Male. Bene è la passività che ubbidisce a Ragione. Male è l’attività che scaturisce da Energia. Bene è il Cielo. Male è l’Inferno”.[17]

Tutto, anche il Male, è al servizio del Bene. Anche la Morte, ma visto che la Morte contribuisce al benessere della specie umana, allora perché Dio ha minacciato con la Morte l’eventuale trasgressione del divieto di mangiare il frutto proibito? Ne parleremo più avanti.

«Perché la storia della Creazione  comincia con la lettera beth e non con l’aleph, che è la prima lettera dell’alfabeto? Perché beth è la iniziale di berachah (benedizione) e aleph la iniziale di arirah (maledizione). Il Santo che benedetto sia, disse: Creerò il Mio Universo soltanto con beth, sì che coloro che verranno al mondo non potranno dire: ‘Come può il mondo sussistere, essendo stato creato con una lettera di cattivo augurio?’ Ecco, lo creerò con una lettera di buon augurio, così forse durerà».[18]

A questo punto mi sorgono un po’ di perplessità: se Dio sa tutto, ancor prima che accada, perché dice “così forse durerà”? Dio si cura del giudizio altrui? Dio è superstizioso/scaramantico?

“La credenza che nell’essere umano esistano due tendenze, al male l’una, al bene l’altra, occupa un posto ragguardevole nell’etica rabbinica”. Per i rabbini, la forza che trascina al male si chiama «cattiva inclinazione». Quest’ultima nasce con l’uomo. La buona, invece, si manifesta soltanto all’età di tredici anni. La buona inclinazione si identifica con la coscienza morale. È curioso e anche un tantino inquietante il fatto che abbiano scelto ‘morale’ come termine a cui associare la buona inclinazione. La morale è il costume, il così si deve fare perché così fan tutti, l’insieme di regole imposte agli uomini da altri uomini, non certo da Dio, che –almeno per me – dovrebbe essere portavoce dell’etica, della voce della Natura… Comunque sia “esiste una teoria secondo la quale la cattiva inclinazione è collocata fisiologicamente in uno degli organi del corpo. […] Secondo un’altra veduta, esiste una forza estranea alla persona, che ne prende possesso, quando se ne presenti l’opportunità. […] il Satan e la cattiva inclinazione si identificano”.[19]

Dunque il Satan, il Male, la “cattiva inclinazione”, sono la stessa cosa, ma sulla loro collocazione gli uomini dibattono: è dentro o fuori di noi? Siamo predestinati a compiere il Male? Possiamo sfuggire a tale predestinazione? Possiamo sfuggire alla predestinazione a subire il Male?

Perché, non so tu, ma io – pur capendo che il Male sia necessario – mi sono stancata di doverlo subire, tutto in una volta, da tempo immemorabile, senza ricevere nemmeno una prospettiva di cambiamento. Sono stanca dei lutti che colpiscono con una cadenza spaventosa e scoraggiante la mia famiglia (6 perdite nell’arco di 8 anni), sono stanca delle malattie (gravi) che io e i miei cari stiamo cercando di gestire da anni senza risultati accettabili, sono stanca delle disgrazie che ci/mi colpiscono a manciate senza darmi/ci il tempo di riprenderci e ripartire. Sono stanca di soffrire sempre, di non avere mai un attimo di pace, di serenità, un’occasione di gioia, un momento di felicità, un istante di tregua. Dove sta l’equilibrio, in tutto questo?

“Era però opinione comune che la cattiva inclinazione fosse la disposizione stessa dell’essere umano, quale resulta degli istinti naturali, particolarmente dal desiderio sessuale. Di conseguenza non è un qualche cosa di essenzialmente cattivo, perché Dio crea soltanto ciò che è buono. È male solo in quanto se ne può fare cattivo uso. Ci possiamo rendere conto chiaramente di questo aspetto dalla interpretazione data alle parole «molto buono» del verso «E Dio vide tutto ciò che aveva fatto ed ecco, era molto buono» (Gen., I, 31), come riferentisi alla buona e alla cattiva inclinazione. «Anche la cattiva inclinazione è molto buona?» si domanda, e si risponde: «Se non fosse per questa inclinazione, nessuno edificherebbe una casa, sposerebbe una moglie, genererebbe figli o si affaccenderebbe in negozi»  ( Gen. R., IX, 7)”.

Così questa tendenza, per quanto suscettibile di trascinare al male, è un attributo essenziale dell’uomo, poiché gli offre la possibilità di divenire un essere morale: senza di essa, infatti, non sarebbe possibile fare il male e quindi anche il bene non avrebbe senso. […]”. Perfino la cattiva inclinazione può essere impiegata al servizio di Dio e divenire un mezzo di manifestargli amore.

 Se è chiamata cattiva e l’uomo deve costantemente guardarsi dalle sue lusinghe, è perché lo seduce al male. «La cattiva inclinazione desidera solo ciò che è proibito». «La cattiva inclinazione fuorvia l’uomo in questo mondo e testimonia contro di lui nel Mondo Avvenire».[20]

«Possente è la cattiva inclinazione, poiché anche il suo Creatore la chiama cattiva, come è detto: ‘Perché l’immaginazione del cuore dell’uomo è cattiva fin dalla sua giovinezza’».[21]

 Se è così, però, perché Dio ha punito Adamo ed Eva? Avevano davvero possibilità di scelta, quei “due”?

“La differenza fra il giusto e il malvagio si definisce così: «I malvagi sono sotto il dominio del loro cuore (cioè della cattiva inclinazione), i giusti tengono il loro cuore sotto il loro controllo».[22]

 Adamo ed Eva erano dunque malvagi? Mi sembra un’esagerazione…

“Creata da Dio a uno scopo definito, quello, cioè, della conservazione della specie umana, quando nel futuro, questo scopo sarà venuto meno, la cattiva inclinazione non sarà più oltre necessaria. Quindi l’insegnamento: «Nell’al di là, il Santo che benedetto sia, porterà la cattiva inclinazione e la ucciderà in presenza dei giusti e dei malvagi»”.[23]

Ma quando riterrà che non ce ne sia più bisogno? Voglio dire, non ce ne sarà più bisogno quando non ci saranno più malvagi o quando i malvagi terranno a bada il loro cuore? Dato che dice che la ucciderà in presenza dei giusti e dei malvagi… E poi, a un certo punto dice «Satan, JETZER HARA e Angelo della Morte sono tutt’uno», in quanto indica che l’impulso al male è una forza interna all’individuo, piuttosto che un influsso dall’esterno. Spiega anche come Dio permetta al Satan di agire e non lo distruggerà anche perché dovrebbe distruggere se stesso…

“In un libro di John Berger ho trovato questa citazione di Simone Weil:

«Ogni volta che un uomo grida dentro di sé: ‘Perché mi si fa del male?’ gli viene fatto del male. Avviene spesso che sbagli quando cerca di definire il male e perché e da chi gli venga inflitto. Ma il grido stesso è infallibile»”.[24]

 “Alla proiezione paranoica, che non tollera di fare i conti con lo straniero che abita in noi, l’etica della psicoanalisi oppone il movimento dell’introiezione o, se si preferisce, della soggettivazione. In un mondo dove si autorizza sempre più la ricerca del colpevole al di fuori dei confini del soggetto, la psicoanalisi rivendica l’assenza di un ‘fuori’”.[25]

 “Con il lamento il soggetto imputa – come accade anche nella paranoia – costantemente all’Altro (sino nella forma del destino avverso) e alla sua inadeguatezza l’origine del Male”.[26]

È tipico dell’essere umano cercare un colpevole a cui addossare ogni responsabilità di avvenimenti negativi. Nella maggior parte dei casi è una procedura che non porta benefici assoluti in quanto:

- Non è detto che si trovi il colpevole.

- Non è detto che ce ne sia uno soltanto.

- Non sempre il danno può essere riparato.

- Nei casi in cui il danno non potesse essere riparato, andrebbe risarcito, e nulla equivale alla perdita di una persona cara. E una cifra in denaro non mi ridarà indietro un bene unico dall’enorme valore sentimentale che mi è stato sottratto. La pena comminata al colpevole non elimina il dolore che la vittima prova o ha provato.

Una partoriente non prova meno dolore dando la colpa a Eva della propria sofferenza nel dare alla luce il figlio. Un uomo non dimentica di certo che un pirata della strada ha portato via la vita alla donna che amava, anche se quel pirata ora è stato arrestato e incarcerato. Una figlia non smette di piangere soltanto perché l’azienda in cui suo padre lavorava l’ha risarcita per la perdita del genitore morto a causa della negligenza della suddetta azienda. Potrei andare avanti, ma immagino tu abbia capito cosa intendo quando dico che trovare il colpevole può dare solo una soddisfazione parziale. In più, non è detto che chi ha fatto del Male lo abbia fatto deliberatamente, allo scopo di ferire. Più spesso di quanto pensiamo, infatti, le persone non si accorgono di arrecare danno ad altri o – addirittura – sono convinti di fare del bene. Come comportarsi, in casi del genere?

“In effetti non c’è più alcun limite al Male se il Male stesso viene fatto in nome del Bene”.[27]

Le strade dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni. Si pronuncia questa frase con molta leggerezza, ma di leggero ha poco. Mette sullo stesso piano chi fa del male intenzionalmente e chi lo fa con l’intenzione opposta, ovvero fare il bene. Tanto è vero che i tribunali distinguono le tipologie di omicidi commessi. Uccidere per difendere o difendersi è diverso dall’uccidere per ripicca, vendetta, noia o gelosia.

“Temo che le persone per bene facciano una infinità di male a questo mondo. Indubbiamente il peggior danno che fanno è quello di conferire una così grande importanza al male”.[28]

 

“L’irriducibilità della vita al Bene. In altre parole, secondo la psicoanalisi, la vita non vuole per natura il suo proprio bene. Anzi, tendenzialmente la vita prosegue il godimento anche quando, anzi, soprattutto quando, il godimento mette a rischio la protezione della vita”.[29]

Freud intendeva proprio questo quando parlava di ‘pulsione di morte’.

 “[…] fendi l’aria per Dio Onnipotente

inviata per un santo messaggio. C’è gioia più grande?

Perché allora la gioia è fiaccata da ogni pena?”[30]

 “Egli scende sulla terra, e dopo averla fatta languire la ricopre di ricchezze!”[31] Perché? Per quale ragione bisogna sempre soffrire? E quel che è più grave, in questo caso, è che sia Dio stesso a farci soffrire. Per poi cosa? Ricompensarci in futuro indefinito che forse non vedremo mai? Persino Gesù, nel Vangelo di Marco (10:18) disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo».

“Più accettabile era l’alternativa che, quando un buono soffre, avviene perché non è completamente buono [e la storia di Giobbe? Lì c’è una scommessa tra Dio e il diavolo per esasperare la pazienza del pover’uomo e spingerlo a cedere alla cattiva inclinazione che è in lui perché Dio ce l’ha messa… Nessuno di noi è totalmente buono o totalmente malvagio, quindi cosa volevano dimostrare Dio e il diavolo?], e quando un malvagio prospera, avviene perché non è completamente cattivo. I Dottori non vedevano nella vita terrena qualche cosa di completo per se stesso. La morte non significava la fine della esistenza umana. Vi era una vita al di là, della tomba, e solo combinando le esperienze di due periodi della vita, qui e nell’Al di là, si poteva comprendere la Provvidenza di Dio”.[32]

«La sofferenza, allora, è buona? Sì, poiché, per mezzo di essa, gli uomini ottengono il  Mondo Avvenire».[33]

“Il Male stesso era un’emanazione necessaria, un inevitabile elemento accessorio della santa esistenza di Dio; proprio come il vizio, che non sussisteva di per sé ma derivava il suo piacere dall’infangare quella virtù, senza la quale non avrebbe avuto radici; in altre parole: il vizio consisteva nel piacere della libertà, e cioè nella possibilità di peccare che è intrinseca all’atto stesso della creazione.

In ciò si manifestava una certa imperfezione logica dell’onnipotenza e dell’infinita bontà di Dio, che non aveva saputo conferire alla creatura – ovvero a ciò che Egli aveva tratto da se stesso e che ora esisteva fuori di Lui – l’incapacità di peccare. Ma ciò avrebbe significato privare il creato dalla libera volontà di allontanarsi da Dio rendendolo una creazione imperfetta o, meglio, il contrario di una creazione e di una emanazione divina. [Forse è per questa possibilità di imperfezione che Sebastiano Vassalli ne “Dio il Diavolo e la Mosca nel grande caldo dei prossimi mille anni” fece dire al suo Diavolo di essere stato lui a creare il Mondo…] In questo consisteva il dilemma logico di Dio: la sua incapacità di conferire al creato, all’uomo e agli angeli l’autonomia della scelta, ovvero il libero arbitrio e, nello stesso tempo, il dono di poter peccare. Per questo motivo la devozione e la virtù consistevano nel fare buon uso della libertà che Dio aveva dovuto garantire alla creatura in quanto tale: il che significava d’altra parte non farne alcun uso, la qual cosa, equivaleva a un certo indebolimento esistenziale, a una riduzione dell’intensità vitale nella creatura che Dio ha voluto fuori da sé.

[…] quell’idea in Dio, che aveva preferito esporre uomini e angeli al peccato anziché privarli della libertà. Ed era giusto, perché la libertà era il contrario dell’innocenza innata, libertà significava poter serbare fedeltà a Dio per volontà propria oppure commerciare con demoni e mormorare atroci oscenità durante la Messa”.[34]

“La libertà è libertà di peccare, e la devozione consiste nel non fare uso della libertà per amore di quel Dio che ha dovuto donarla”.[35]

“Il legame dialettico del male con il sacro e con il bene aveva un ruolo significativo nella teodicea, cioè nella giustificazione di Dio in relazione alla presenza del male stesso nel mondo, […]. Il male contribuiva alla perfezione dell’universo e senza il male quest’ultimo non sarebbe stato perfetto, per questo Dio lo aveva permesso, Dio era perfetto e perciò doveva volere la perfezione; [Tra gli attributi di Dio c’è la perfezione che si manifesta anche e soprattutto col fatto che esista il male nel mondo: se non ci fosse il male, infatti, non ci sarebbe equilibrio, e se partiamo dal presupposto che Dio abbia creato ogni cosa nell’Universo e abbia creato l’uomo a sua immagine e somiglianza, è logica deduzione il fatto che Dio sia perfetto. È l’imperfezione che origina la perfezione. Il male è l’imperfezione che rende l’Universo perfetto e da ciò si evince che anche Dio è perfetto.] la perfezione, tuttavia, non andava intesa nel senso del perfetto bene, bensì nel senso dell’universalità e del reciproco potenziamento dell’esistenza. Il male era assai più malvagio se esisteva il bene, e il bene assai più bello se esisteva il male, forse anzi – ma su questo si poteva discutere – il male non sarebbe stato affatto malvagio senza il buono, né il buono veramente buono senza il male. Agostino si era comunque spinto tanto lontano da affermare che la funzione delle cose malvagie è quella di far emergere con più chiarezza il bene, il quale tanto più piace e tanto più è degno di lode in quanto si confronta con il male. Su questo tema, in verità, era intervenuto il tomismo, e aveva messo in guardia dal pericolo di credere che Dio voglia veder compiere il male. Dio non vuole questo, e nemmeno vuole che il male non sia compiuto; piuttosto – a prescindere dal suo volere o non volere – Dio permette che il male esista, e la cosa va senza dubbio a vantaggio della perfezione. È tuttavia un errore affermare che Dio consente che esista il male per amore del bene; poiché nulla deve essere considerato buono se non corrisponde all’idea di «buono» per se stesso, e a prescindere da realtà accidentali. In ogni caso, […],si pone qui il problema del bene e del bello assoluti, ovvero del bene e del bello privi di relazione con il male e con il brutto: si pone cioè il problema della qualità priva di termini di paragone. Laddove viene meno il confronto, viene meno l’unità di misura, e risulta quindi impossibile parlare di cose pesanti e leggere, grandi e piccole. Il buono e il bello sarebbero in tal modo privati della loro natura e ridotti a essenze prive di qualità, condizione assai simile a quella del non essere e a quest’ultima, forse nemmeno preferibile.

[…]

Ma la vera giustificazione di Dio per le sofferenze del creato, è data dalla sua capacità di far scaturire il bene dal male. Questa facoltà, a maggior gloria di Dio, deve trovare attenzione, e tuttavia non potrebbe manifestarsi se Dio non avesse gettato la creazione in balia del peccato. In questo caso l’universo si sarebbe visto privare di quel bene che Dio stesso sa creare dal male, dal peccato, dal dolore e dal vizio, e gli angeli avrebbero avuto meno occasioni di intonare il loro canto di lode. Naturalmente accade anche il contrario, come la storia seguita a insegnarci, e cioè che dal bene provenga molto male, ma anche per evitare questo Dio dovrebbe impedire anche il bene e, in generale, non permettere l’esistenza del mondo. Il che, però, entrerebbe in contraddizione con la natura di creatore, per questo egli ha dato forma al mondo così com’è, pervaso dal peccato, vale a dire parzialmente rimesso a demoniache influenze”.[36]

 “Se si guarda qualcosa di maligno, disse Platone, qualcosa di maligno ricade nella nostra anima. Non si può guardare il male senza che vi sia una risposta in noi stessi, perché il male è un archetipo, e ogni archetipo esercita un effetto contagioso sull’essere umano”.[37]

 “Ci si libera dal problema del male, quando ci si tiene vicini al proprio centro interiore, al di là del problema degli opposti, delle lotte e del dualismo fra bene e male”.[38]

 Integrare il Male è un passo necessario per fare il Bene. “Ciò provoca grandi crisi, ma conduce anche alla guarigione totale, vale a dire all’integrazione degli opposti”.[39]

“Come ha scritto Jung in ‘Aion’, il male non era totalmente male prima del cristianesimo. Il cristianesimo aggiunse al principio del male uno spirito del male che prima non esisteva. Ma l’inasprire la diversità delle reazioni etiche in una drastica contrapposizione di bianco e nero non favorisce la vita”. [40]

 “Il male caldo viene alimentato negli esseri umani come nei demoni da un’emozione e un affetto repressi, che continuano a covare sotto la cenere, e questo tipo di affetto trattenuto è estremamente contagioso. Si possono vederne le conseguenze nelle esplosioni o nella distruttività all’opera in famiglie o nazioni, o in altre situazioni sociali. La natura contagiosa di un affetto o di un’emozione rappresenta un grande pericolo ed è in gran parte all’origine del male”.[41]

“Sai perché cadiamo, Bruce? Per imparare a rimetterci in piedi”.[42]

Nell’Ecclesiaste (o Qohelet) si dice che tutto, nella nostra vita è vanità. Ogni cosa è in travaglio, ma l’uomo è avido di ricchezze, ricchezze di cui non solo non si sazierà mai ma di cui non imparerà mai a godere. L’uomo è un accumulatore seriale di beni terreni, non si sazia mai di ciò che ha e vuole sempre di più. Si compiace di essere saggio tra gli stolti, ma non considera che sia gli uni sia gli altri faranno la stessa fine presto o tardi. E né degli uni né degli altri rimarrà traccia su questa Terra. Perciò tutto è destinato a ripetersi e non c’è mai nulla di nuovo. Tutto è già stato. L’evoluzione fa sempre lo stesso percorso e va a finire sempre allo stesso modo. Perciò di nulla possiamo dire dove e quando sia cominciato. L’inizio è nella fine e la fine è nel principio.

L’insoddisfazione dell’uomo lo porta sempre a volere di più, a desiderare di più, a non godere di ciò che ha e a non capirne il valore. Sottovaluta e non si accontenta, ma io mi domando perché dovrebbe accontentarsi, cosa siamo venuti a fare su questa Terra se poi dobbiamo accontentarci e farci andare bene le cose anche se non ci piacciono. Perché mi spingono alla rassegnazione, alla cieca accettazione delle sventure e alla muta obbedienza che non ammette repliche o tentativi di cambiare le cose che ci fanno stare male? Ribellarsi al dolore, resistere alla sofferenza è umano: quando non siamo felici ci ammaliamo, perché dunque dovremmo soccombere alla malattia? Per chi? Perché dovremmo vergognarci di piangere i nostri cari (anche i cari animali) e nascondere le lacrime? Per chi? Per gli altri o per Dio? Per far vedere quanto siamo forti? Non è forse vanità anche questa? E non è orgoglio? Davvero non piangere denota forza?

Tutto quello che c’è scritto nelle Sacre Scritture è interpretabile in due modi diametralmente opposti: impara a sottometterti, ad esempio, può voler dire sia non contrastare l’autorità (che sia essa divina o meno), non creare problemi alle macchine del potere, sia accorgiti delle cose belle e buone che hai e godine, non affannarti ad accumulare ricchezze su ricchezze perché a un certo punto morirai e non le porterai con te, perciò tutto sarà stato vano e tu avrai sprecato i tuoi giorni su questa Terra.

Soffriamo, ma soffriamo per avere un contrasto con il bene di cui ogni tanto godiamo (o dovremmo poter godere). Sia la sofferenza sia il benessere e la gioia ci vengono da Dio perché ne facciamo buon uso. Chia accumula per accumulare soffrirà, per poi lasciare tutto quello che ha conquistato col sudore e con la fatica in eredità a chi sa godere delle ricchezze. Alla fine, ti farai il mazzo per niente: questa è la morale.

Secondo Agostino vede il male chi ha il male dentro di sé. Secondo lui i manichei sono “colmi di malizia” ed è per questo che vedono il male fuori di loro. E inoltre:

“Cercavo l’origine del male cercando male e non vedendo il male nella mia stessa ricerca. Davanti agli occhi del mio spirito (Sal. 15, 8) ponevo l’intero creato, tutto ciò che ne possiamo scorgere, […] e tutto ciò che ci rimane invisibile, […]; così feci del tuo creato un’unica massa enorme, ove spiccavano secondo il loro genere i corpi, sia veri e reali, sia spirituali, resi arbitrariamente corporei dalla mia immaginazione, e feci questa enorme massa […] finita in tutte le direzioni, avvolta e penetrata da te, Signore, che pure rimanevi in tutti i sensi infinito, […]. Così concepivo la tua creazione, finita e ripiena di te, infinito”.[43]

“Mi sforzavo di vedere ciò che udivo sulla libera determinazione della volontà come causa del male che facciamo, e l’equità del tuo giudizio Sal 118, 137) come causa di quello che subiamo, ma non riuscivo a scorgerla chiaramente. […] Una cosa mi sollevava verso la tua luce: la consapevolezza di possedere una volontà non meno di una vita. In ogni atto di consenso o rifiuto ero certissimo di essere io, non un altro, a consentire e rifiutare; e qui era la causa del mio peccato, lo vedevo sempre meglio.  Invece, degli atti che compivo mio malgrado mi riconoscevo vittima piuttosto che attore e li giudicavo non già una colpa, bensì una pena inflittami da te giustamente, non esitavo ad ammetterlo considerando la tua giustizia. Ma a questo punto mi chiedevo: «Chi mi ha creato? Il mio Dio, vero? che non è soltanto buono, ma la bontà in persona. Da chi mi viene dunque il consenso che do al male e il rifiuto che oppongo al bene? Accade così per farmi scontare giusti castighi? Ma chi ha piantato e innestato in me questo virgulto d’infelicità, se sono integralmente opera del mio dolcissimo Dio? E se fossi creatura del diavolo, donde viene a sua volta il diavolo? Se anch’egli diventò diavolo, da angelo buono che era, per un atto di volontà perversa, questa volontà maligna che doveva renderlo diavolo donde entrò anche in lui, fatto integralmente angelo da un creatore buono?». Queste riflessioni tornavano a deprimermi, a soffocarmi, ma non riuscivano a trascinarmi fino al baratro di quell’errore ove nessuno ti confessa, preferendo assoggettare te al male, che crederne l’uomo capace”.[44]

Queste riflessioni di Agostino ne hanno scatenate altre in me. Mi sono spesso domandata fino a che punto siamo responsabili delle nostre azioni e quindi dove finisca il libero arbitrio e cominci il destino. Mi sono domandata dove, come, quando e perché sia nato il diavolo al quale eravamo soliti, nei secoli passati, imputare il male. Non che oggi non continuiamo a farlo – cerchiamo sempre un capro espiatorio – ma non lo chiamiamo più coi nomi del Diavolo bensì con quelli delle malattie. Mi sembrava di aver appena capito che è stato Dio a creare questa figura che incarna il Male e l’inferno in cui confinarlo, ma poi è arrivato un altro guizzo di non so che a suggerirmi l’idea che Dio avesse creato gli angeli ma avesse anche previsto che uno di loro lo avrebbe tradito. Forse sapeva che sarebbe stato Lucifero o forse no. Forse lo aveva creato appositamente o forse no. E così un’altra idea mi balena nella mente all’improvviso, spingendomi a pensare che l’Inferno si sia formato in un secondo momento, dopo la caduta di quell’angelo. Trovo che più leggo testi considerati Sacri più si crea una forte confusione nella mia mente, tanto da spingermi ad accostarmi a testi di letteratura profana (si dice così?) come il “Doctor Faustus” di Mann, “Il Maestro e Margherita” di Bulgakov, “I fratelli Karamazov” di Dostoevskij, il “Faust” di Goethe, quello di  Marlowe, quello di Spies, ma anche il “Paradiso perduto” di Milton e “Storia meravigliosa di Peter Schlemihl” di A. von Chamisso, la “Divina Commedia” di Dante, “Il monaco” di Artaud, a Sologub con “Il demone meschino”, a Tolstoj con il racconto intitolato proprio “Il diavolo”, e a molti altri. Alla fine sono entrambe – letteratura sacra e letteratura profana – opera degli uomini. Perché le masse obbedissero, gli uomini di potere scrissero regole. E dalla saggezza di pochi - o dalla loro brama di potere - nacquero i testi sacri che non dettavano solo leggi, ma raccontavano anche parabole che aiutassero la gente a capire come comportarsi in ogni circostanza, cosa fare e non fare in ogni occasione. Anche la Bibbia fu probabilmente scritta da un Dio creato dagli uomini affinché tenesse a bada popoli interi. Ma non importa che si creda o meno all’esistenza di Dio o di suo figlio Gesù, l’importante è cosa si fa delle informazioni contenute in quegli scritti. D’altronde i Vangeli sono racconti bellissimi e terribili, allo stesso tempo, in grado di farci ancora sognare, sperare e desiderare un mondo migliore. E il bello è che possono anche aiutarci a creare tale mondo! Basta imparare a leggere quelle parole con le sensazioni anziché col freddo ragionamento. Come mi fa sentire questo racconto? Ecco, prendere ciò che dal profondo del cuore ci sembra corrisponda alla nostra verità interiore e metterlo in pratica. È così che nascono la compassione, la solidarietà, le grandi amicizie, le azioni sagge.

“Dio è buono […] e in quanto buono creò cose buone e così le avvolge e riempie. Allora dov’è il male, da dove e per dove è penetrato qui dentro? Qual è la sua radice, quale il suo seme? O forse non esiste affatto? Perché allora temere ed evitare una cosa inesistente? Se lo temiamo senza ragione, è certamente male il nostro stesso timore, che punge e tormenta invano il nostro cuore, e un male tanto più grave, in quanto non c’è nulla da temere, eppure noi temiamo. Quindi o esiste un male, oggetto del nostro timore, o il male è il nostro stesso timore. Ma da dove proviene il male, se Dio ha fatto, lui buono, tutte queste cose buone? Certamente egli è un bene più grande, il sommo bene e meno buone sono le cose che fece; tuttavia e creatore e creature tutto è bene. Da dove viene dunque il male? Forse da dove le fece, perché nella materia c’era del male, e Dio nel darle una forma, un ordine, vi lasciò qualche parte che non mutò in bene? Ma anche questo, perché? Era forse impotente l’onnipotente a convertirla e trasformarla tutta, in modo che non vi rimanesse nulla di male? Infine, perché volle trarne qualcosa e non impiegò piuttosto la sua onnipotenza per annientarla del tutto? O forse la materia poteva esistere contro il suo volere? O, se la materia era eterna, perché la lasciò sussistere in questo stato così a lungo, attraverso gli spazi su su infiniti dei tempi, e dopo tanto decise di trarne qualcosa? O ancora, se gli venne un desiderio improvviso di agire, perché con la sua onnipotenza non agì piuttosto nel senso di annientare la materia e rimanere lui solo, bene integralmente vero, sommo, infinito? O, se non era ben fatto che chi era buono non edificasse, anche, qualcosa di buono, non avrebbe dovuto eliminare e annientare la materia cattiva, per istituirne da capo una buona, da cui trarre ogni cosa? Quale onnipotenza infatti era la sua, se non poteva creare alcun bene senza l’aiuto di una materia non creata da lui?”[45]

“Non ci sarebbe nessun piacere nella meta se non ci fosse nessun rischio durante il viaggio”.[46]

“Il mondo è il risultato di una continua tensione tra bene e male, tra uomo e donna, tra contrari necessari l’uno all’altro e che interagiscono costantemente. Al di sopra di essi c’è solo l’Unità, astratta e di sostanza divina, che supera e trascende tutte le divisioni presenti al proprio interno”.[47]

Ma poco prima c’è scritto che lo Spirito ha doppia natura, cioè contiene il maschile e il femminile. È contraddittorio, a mio parere. A meno che la trascendenza della divisione interna non sia stata superata solo apparentemente… Dopo la ribellione, Lucifero fu esiliato all’Inferno perché Dio non desiderava avere a che fare da vicino con la propria Ombra, la quale avrebbe potuto – in un momento di debolezza – prendere il sopravvento su di Lui. “La guerra in Paradiso è all’origine della divisione tra forze del bene e del male, ognuna con un proprio esercito a disposizione”.[48] Lucifero, ovvero il portatore di luce poteva davvero mettere in ombra la Luce stessa? Il rischio era reale oppure è stato Dio a peccare di presunzione pensando di essere l’unico detentore del potere? Non è tenendo reclusa la propria Ombra che saremo davvero completi, questo lo abbiamo già appurato nel capitolo precedente. Vediamo ora quale sarà l’argomento del prossimo…

Tutto ciò che la mente escogita per uccidere il tempo appartiene all’ordine del Bene. Il Male è il vuoto dentro e fuori di noi, è il dispiegarsi dell’assenza che ci rende il tempo estraneo. È l’atto negativo della Noia, che sgancia gli istanti dalla loro successione per porgerceli nudi, insipidi, come il cuore che batte in loro – VUOTO NEL VUOTO…”[49]

 

 

 

 

 



[1] Dalla serie TV “The Big Bang Theory”, ep. 15, stagione 9

[2] Friedrich Nietzsche, “La gaia scienza”, RBA, 19 – Il Male, pp. 304-305

 

[3] James Baldwin, “La stanza di Giovanni”, Fandango Libri, p. 136

[4] Michail Bulgakov, “Il Maestro e Margherita”, Mondadori, pp. 411-412

[5] Aldous Huxley, “Il mondo nuovo”, Mondadori, p. 194, mentre la citazione contenuta nella citazione è tratta da Shakespeare, “Otello”, II, 1

[6] J. W. Goethe, “Faust”, Feltrinelli,  p. 19

[7] Aldous Huxley, “Il mondo nuovo”, Mondadori, p. 195

[8] Robert Frost, “Fuoco e ghiaccio”, Adelphi, p. 453, A un pensatore, vv. 1-14

 

[9] Bert Hellinger, “Riconoscere ciò che è”, Feltrinelli, p. 71

[10] Oscar Wilde, “Aforismi”, Newton Compton, p. 47

[11] (Gen. – R., XII, 15), p. 43, Abraham Cohen, “Il Talmud”, Editori Laterza

 

[12] Abraham Cohen, “Il Talmud”, Editori Laterza, p. 43

[13] Film tratto da un racconto di Philip K. Dick, “The adjustment bureau”

[14] P. 44, Abraham Cohen, “Il Talmud”, Editori Laterza

[15] (Isaia, XLV, 7)

[16] P. 57, Abraham Cohen, “Il Talmud”, Editori Laterza

[17] Giuseppe Ungaretti, “Visioni di William Blake”, Mondadori, pp. 119,121

[18] Abraham Cohen, “Il Talmud”, Editori Laterza, p. 67

 

[19] Pp. 122, 124, Abraham Cohen, “Il Talmud”, Editori Laterza

 

[20] P. 125, Abraham Cohen, “Il Talmud”, Editori Laterza

 

[21] Pp. 125-126, Abraham Cohen, “Il Talmud”, Editori Laterza

 

[22] Abraham Cohen, “Il Talmud”, Editori Laterza, p. 126

[23] Abraham Cohen, “Il Talmud”, Editori Laterza, p. 127

[24] La citazione è tratta da Chandra Candiani, “Questo immenso non sapere – Conversazioni con alberi, animali e il cuore umano”, Einaudi p. 89. La citazione della citazione, invece, è tratta da J. Berger, “Paesaggi”, ed. it. a cura di M. Nadotti, il Saggiatore, Milano 2019, p. 93

[25] Massimo Recalcati, “Elogio dell’inconscio”, p. 52

[26] Massimo Recalcati, “Elogio dell’inconscio”, Castelvecchi, p. 52

[27] Massimo Recalcati, “Elogio dell’inconscio”, Castelvecchi, p. 53

[28] Oscar Wilde, “Aforismi”, Newton Compton, p. 54

[29] Massimo Recalcati, “Elogio dell’inconscio”, Castelvecchi, P. 98

[30] John Keats, “Lucente stella”, Feltrinelli, p. 81, “Come nel cielo che si annera una colomba d’argento”

 

[31] Hans Christian Andersen, “Fiabe”, Einaudi, “La fanciulla ebrea”, 387

[32] Abraham Cohen, “Il Talmud”, Editori Laterza,  p. 153

[33] Abraham Cohen, “Il Talmud”, Editori Laterza, p. 156

[34] Thomas Mann, “Doctor Faustus”, Mondadori, pp. 144-145

[35] Thomas Mann, “Doctor Faustus”, Mondadori,  p. 146

[36] Thomas Mann, “Doctor Faustus”, Mondadori, pp. 148-149

[37] Marie-Louise von Franz, “L’Ombra e il male nella fiaba”, Bollati Boringhieri, p. 243

[38] Marie-Louise von Franz, “L’Ombra e il male nella fiaba”, Bollati Boringhieri, p. 243

[39] Marie-Louise von Franz, “L’Ombra e il male nella fiaba”, Bollati Boringhieri, p. 209

[40] Marie-Louise von Franz, “L’Ombra e il male nella fiaba”, Bollati Boringhieri, p. 165

[41] Marie-Louise von Franz, “L’Ombra e il male nella fiaba”, Bollati Boringhieri, p. 168

[42] Dal film “Batman begins”

[43] Sant’Agostino, “Confessioni”, Mondadori, pp. 174-175

[44] Sant’Agostino, “Confessioni”, Mondadori, p. 173

[45] Sant’Agostino, “Confessioni”, Mondadori, pp. 175-176

[46] Episodio 25 della serie TV “Stargate SG1”

 

[47] Angemì Rabiolo e Iris Biasio, “Angelology”, Vivida, p. 12

[48] Angemì Rabiolo e Iris Biasio, “Angelology”, Vivida, p. 14

[49] E. M. Cioran, “Finestra sul nulla”, Adelphi, p. 86

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