CHI
è MAYLIS DE KERANGAL?
Domenica 13 maggio
2018, nella Sala Azzurra del Salone del Libro di Torino, Fabio Gambaro ha incontrato
la scrittrice francese Maylis de Kerangal (autrice di Nascita di un ponte, Riparare
i viventi e Corniche Kennedy). Ho
riportato qui di seguito i punti salienti dell’intervista, indicando con “F” le
frasi pronunciate da Fabio Gambaro e con “M” quelle pronunciate da Maylis de
Kerangal: buona lettura.
F:
“Perché hai scelto di ambientare la storia a Marsiglia?” (N.d.R. Corniche Kenneky).
M:
“Marsiglia è la città mediterranea con la riva più lunga. Io sono nata a
Tolone, a pochi chilometri da Marsiglia, e conosco bene quella città.
Oltretutto la posizione del lungomare, il fatto che segni il confine tra due
mondi, rappresenta lo scenario perfetto per una cornice: unisce e separa, allo
stesso tempo. Il genio del luogo
nella letteratura è importantissimo: ci sono luoghi che, da soli, possono
condurre alla creazione di un romanzo”.
F:
“Il concetto di “frontiera”, è ben visibile – d’altronde – anche in Riparare i viventi, dove la linea di
confine si trova tra la vita e la morte.
Sai creare un
linguaggio ad hoc per narrare le
storie: non si tratta – necessariamente – di realismo, ma di qualcosa che rende
bene le idee che vuoi esprimere. Quali sono – a tal proposito – i concetti che
hai voluto rendere in Corniche Kennedy?”
M:
“I pilastri fondamentali su cui si regge Corniche
Kennedy sono quattro: l’adolescenza, i riti di iniziazione, le regole dei
giovani, i tuffi. Il linguaggio, i corpi e gli atti che quei corpi compiono
rappresentano lo “scheletro” della storia.
La protagonista (Suzanne) dovrà compiere una serie di tuffi per poter
essere ammessa in un gruppo. La sua presenza porterà una “fiamma” erotica
all’interno di quel gruppo nel quale scatterà una forte competizione per
accaparrarsi il suo amore. Gli adolescenti descritti in questo libro hanno una
certa sensualità.
Il corpo e il suo mito
sono fondamentali sia in Corniche Kennedy
sia in Riparare i viventi perché non
è una scrittura che passa attraverso la psicologia dei personaggi, la mia, ma
una scrittura che passa attraverso la
fenomenologia, attraverso il corpo, la fisicità: concretismo al posto
dell’astrattismo. L’esterno (il corpo) mostrerà automaticamente quel che alberga
nella mente e nella psicologia dei personaggi: quest’ultima è tutta nei gesti
perché i corpi non sono solo gusci vuoti!
Sia Riparare i viventi sia Corniche Kennedy sono romanzi basati
sull’urgenza: il ritmo della narrazione è veloce, incalzante, e la scrittura è
“a orecchio”, ma molto precisa. Non si tratta di trascrizione orale, ma di
“restituzione”. Corniche Kennedy non
voleva essere un romanzo “ventriloquo”, scritto con il linguaggio dei giovani,
ma qualcosa di più complesso fatto di slang
inglese, termini colloquiali, insulti, stile triviale. Ne è scaturito un testo
“sonoro”, se vogliamo”.
F:
“Cosa rappresenta il commissario Sylvestre, in Corniche Kennedy?”
M:
“Innanzitutto il suo nome deriva dalla parola “selva” (infatti entra in scena
arrivando da un bosco). Il suo personaggio rappresenta la repressione: ha il
compito di evitare che i ragazzi si tuffino, ma allo stesso tempo è invidioso
della loro giovinezza. E’ ambivalente: da un lato li vuole proteggere e
dall’altro li invidia… In questo senso è sicuramente un personaggio “di
frontiera”, cioè a cavallo tra due mondi.
Tra l’altro a Marsiglia
ci sono davvero poliziotti che fanno ronde continue per impedire che i giovani
saltino giù dai ponti”.
F:
“Quali libri e quale musica stanno dietro a Corniche
Kennedy?”
M:
“Per quanto riguarda la musica: Alicia Keys, Beyoncé, Rihanna, un po’ di Punk e
un po’ di Rock. Per quanto riguarda, invece, i libri: La gioia spaziosa di Jean Louis Chrétien. Si tratta di un libro che
dimostra l’analogia tra emozioni e corpo. Per intenderci: quando stiamo bene
abbiamo l’impressione che il cuore si dilati, mentre quando stiamo male ci
sembra di avere un macigno sullo stomaco”. [Argomentazioni presenti anche in Riparare i viventi, N.d.R.].
F:
“Il fatto di essere madre di quattro figli ha influito, in qualche modo, sulla
stesura del tuo romanzo?”
M:
“Sì, in quanto un romanzo – prima di essere conoscenza/competenza – è
esperienza, nasce, cioè, dall’esperienza personale dello scrittore. E
l’esperienza può derivare da fattori diversi: il mondo fisico, la lettura e la
scrittura sono i fattori principali. Il primo mondo che noi conosciamo,
infatti, è quello fisico, quello delle sensazioni (caldo, freddo, fame, ecc.);
quando leggiamo, invece, entriamo in contatto con la conoscenza e l’esperienza
dello scrittore e – così facendo – siamo portati a formulare delle idee che ci
appartengano. In questo senso, la lettura e la scrittura sono due modi di creare
mondi… O di accedervi.
Per poter scrivere bene
i miei romanzi compio – innanzitutto – un meticoloso lavoro di ricerca e di
studio: leggo/rileggo molto, mi informo, mi documento, scrivo e poi lascio
sedimentare il linguaggio. In alcuni casi alterno fiction e non-fiction
all’interno dello stesso romanzo: si tratta di un espediente letterario che è
funzionale a far “respirare” la storia raccontata. Insomma, metto il massimo
impegno in quello che faccio”.
DISCLAIMER:
Nella trascrizione di
questa intervista (così come in quella – precedente – di Antoine Volodine) mi
sono presa la libertà di ricostruire domande e risposte a partire dai miei
appunti.
RINGRAZIAMENTI:
Colgo l’occasione per
ringraziare Patrizia Stella, ovvero l’interprete che mi ha reso possibile la
comprensione delle parole di Maylis de Kerangal. E un ringraziamento
particolare va anche a Maria Baiocchi, traduttrice dei libri di Maylis de
Kerangal.
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