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venerdì 18 maggio 2018

MAYLIS DE KERANGAL


CHI è MAYLIS DE KERANGAL?




Domenica 13 maggio 2018, nella Sala Azzurra del Salone del Libro di Torino, Fabio Gambaro ha incontrato la scrittrice francese Maylis de Kerangal (autrice di Nascita di un ponte, Riparare i viventi e Corniche Kennedy). Ho riportato qui di seguito i punti salienti dell’intervista, indicando con “F” le frasi pronunciate da Fabio Gambaro e con “M” quelle pronunciate da Maylis de Kerangal: buona lettura.
F: “Perché hai scelto di ambientare la storia a Marsiglia?” (N.d.R. Corniche Kenneky).
M: “Marsiglia è la città mediterranea con la riva più lunga. Io sono nata a Tolone, a pochi chilometri da Marsiglia, e conosco bene quella città. Oltretutto la posizione del lungomare, il fatto che segni il confine tra due mondi, rappresenta lo scenario perfetto per una cornice: unisce e separa, allo stesso tempo. Il genio del luogo nella letteratura è importantissimo: ci sono luoghi che, da soli, possono condurre alla creazione di un romanzo”.
F: “Il concetto di “frontiera”, è ben visibile – d’altronde – anche in Riparare i viventi, dove la linea di confine si trova tra la vita e la morte.
Sai creare un linguaggio ad hoc per narrare le storie: non si tratta – necessariamente – di realismo, ma di qualcosa che rende bene le idee che vuoi esprimere. Quali sono – a tal proposito – i concetti che hai voluto rendere in Corniche Kennedy?”
M: “I pilastri fondamentali su cui si regge Corniche Kennedy sono quattro: l’adolescenza, i riti di iniziazione, le regole dei giovani, i tuffi. Il linguaggio, i corpi e gli atti che quei corpi compiono rappresentano lo “scheletro” della storia.  La protagonista (Suzanne) dovrà compiere una serie di tuffi per poter essere ammessa in un gruppo. La sua presenza porterà una “fiamma” erotica all’interno di quel gruppo nel quale scatterà una forte competizione per accaparrarsi il suo amore. Gli adolescenti descritti in questo libro hanno una certa sensualità.
Il corpo e il suo mito sono fondamentali sia in Corniche Kennedy sia in Riparare i viventi perché non è una scrittura che passa attraverso la psicologia dei personaggi, la mia, ma una scrittura che passa  attraverso la fenomenologia, attraverso il corpo, la fisicità: concretismo al posto dell’astrattismo. L’esterno (il corpo) mostrerà automaticamente quel che alberga nella mente e nella psicologia dei personaggi: quest’ultima è tutta nei gesti perché i corpi non sono solo gusci vuoti!
Sia Riparare i viventi sia Corniche Kennedy sono romanzi basati sull’urgenza: il ritmo della narrazione è veloce, incalzante, e la scrittura è “a orecchio”, ma molto precisa. Non si tratta di trascrizione orale, ma di “restituzione”. Corniche Kennedy non voleva essere un romanzo “ventriloquo”, scritto con il linguaggio dei giovani, ma qualcosa di più complesso fatto di slang inglese, termini colloquiali, insulti, stile triviale. Ne è scaturito un testo “sonoro”, se vogliamo”.
F: “Cosa rappresenta il commissario Sylvestre, in Corniche Kennedy?”
M: “Innanzitutto il suo nome deriva dalla parola “selva” (infatti entra in scena arrivando da un bosco). Il suo personaggio rappresenta la repressione: ha il compito di evitare che i ragazzi si tuffino, ma allo stesso tempo è invidioso della loro giovinezza. E’ ambivalente: da un lato li vuole proteggere e dall’altro li invidia… In questo senso è sicuramente un personaggio “di frontiera”, cioè a cavallo tra due mondi.
Tra l’altro a Marsiglia ci sono davvero poliziotti che fanno ronde continue per impedire che i giovani saltino giù dai ponti”.
F: “Quali libri e quale musica stanno dietro a Corniche Kennedy?”
M: “Per quanto riguarda la musica: Alicia Keys, Beyoncé, Rihanna, un po’ di Punk e un po’ di Rock. Per quanto riguarda, invece, i libri: La gioia spaziosa di Jean Louis Chrétien. Si tratta di un libro che dimostra l’analogia tra emozioni e corpo. Per intenderci: quando stiamo bene abbiamo l’impressione che il cuore si dilati, mentre quando stiamo male ci sembra di avere un macigno sullo stomaco”. [Argomentazioni presenti anche in Riparare i viventi, N.d.R.].
F: “Il fatto di essere madre di quattro figli ha influito, in qualche modo, sulla stesura del tuo romanzo?”
M: “Sì, in quanto un romanzo – prima di essere conoscenza/competenza – è esperienza, nasce, cioè, dall’esperienza personale dello scrittore. E l’esperienza può derivare da fattori diversi: il mondo fisico, la lettura e la scrittura sono i fattori principali. Il primo mondo che noi conosciamo, infatti, è quello fisico, quello delle sensazioni (caldo, freddo, fame, ecc.); quando leggiamo, invece, entriamo in contatto con la conoscenza e l’esperienza dello scrittore e – così facendo – siamo portati a formulare delle idee che ci appartengano. In questo senso, la lettura e la scrittura sono due modi di creare mondi… O di accedervi.
Per poter scrivere bene i miei romanzi compio – innanzitutto – un meticoloso lavoro di ricerca e di studio: leggo/rileggo molto, mi informo, mi documento, scrivo e poi lascio sedimentare il linguaggio. In alcuni casi alterno fiction e non-fiction all’interno dello stesso romanzo: si tratta di un espediente letterario che è funzionale a far “respirare” la storia raccontata. Insomma, metto il massimo impegno in quello che faccio”.
DISCLAIMER:
Nella trascrizione di questa intervista (così come in quella – precedente – di Antoine Volodine) mi sono presa la libertà di ricostruire domande e risposte a partire dai miei appunti.
RINGRAZIAMENTI:
Colgo l’occasione per ringraziare Patrizia Stella, ovvero l’interprete che mi ha reso possibile la comprensione delle parole di Maylis de Kerangal. E un ringraziamento particolare va anche a Maria Baiocchi, traduttrice dei libri di Maylis de Kerangal.

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