IL GABBIANO JONATHAN LIVINGSTON di Richard Bach, Bur (Rizzoli)
“Il gabbiano Jonathan
Livingston non è come tutti gli altri. Là dove i suoi simili, schiavi di becco
e pancia, si limitano a composti viaggetti per procurarsi il cibo inseguendo le
barche da pesca, lui intuisce nel volo una bellezza e un valore assoluti. Tanto
basta per meritargli il marchio dell’infamia e l’allontanamento dallo stormo
Buonappetito. Solo, audace, sempre più libero, Jonathan il Reietto scopre
l’ebbrezza del volo acrobatico e varca i confini di altri mondi, altre
dimensioni abitate da gabbiani solitari simili a lui nella spasmodica fame e
sete di perfezione. Ne diventa la guida, il capo indiscusso, e tra i compagni
incontrerà chi senza saperlo è pronto a raccogliere la sua eredità”.
“Possiamo elevarci
dall’ignoranza, possiamo scoprirci creature straordinarie, intelligenti e
capaci, Possiamo essere liberi! Possiamo imparare a volare!” [Pag. 27]
Possiamo superare i
nostri limiti. Possiamo farlo proprio perché siamo creature meravigliose;
perché la perfezione esiste e “il nostro scopo nella vita è trovare quella
perfezione e manifestarla”. E perché “scegliamo il nostro prossimo mondo in
base a ciò che apprendiamo in questo. Se non impari niente, il prossimo mondo
sarà identico a questo, con tutti gli stessi limiti, le stesse zavorre”. [Pag.
55]
Il prossimo mondo non è
necessariamente quello in cui avverrà la nostra prossima reincarnazione. Il
prossimo mondo può manifestarsi già qui, ora, semplicemente riconoscendo di
voler essere liberi. Non è necessario morire fisicamente, per rinascere: ogni
cambiamento è una morte. Ogni superamento dei nostri limiti è un superamento di
noi stessi perciò davanti a noi si spalanca un nuovo mondo ad ogni mutazione.
Per questo, se non cresciamo, se non cerchiamo le nostre aspirazioni, non otterremo
mai più del mondo in cui abbiamo sempre
vissuto. Per vivere in un mondo migliore non bisogna aspettare che siano altri
a crearlo, bisogna adoperarsi per crearselo da soli, vale a dire in autonomia. E
poi, quando si sono superati i propri limiti, “si scompare” (così è scritto nel
libro di Bach) perché la terra è diventata troppo limitata per contenerci.
“Scomparire” è un altro modo per dire che non siamo più al livello di prima,
così chi ha deciso di non “innalzarsi” con noi non è più in grado di vederci.
Il gabbiano Jonathan non si limita a sperare che le cose cambino, lui lotta
perché il cambiamento avvenga. Dimostra al suo stormo che il volare non è
solo il modo per sopravvivere, ma anche
e soprattutto lo scopo della vita. Anzi, è la vita stessa. Si nasce per volare
e quella del volo è una bella metafora a sostegno del fatto che sia necessario
perseguire alte aspirazioni, tendere al miglioramento e alla crescita, (puntare
in alto se preferite), ricercare sé stessi in qualcosa (o Qualcosa) di più
grande ed elevato. Da questo deduciamo che esistono due modi di volare: uno è
facendo lo stretto indispensabile per sopravvivere e l’altro è votandosi alla
libertà per vivere davvero.
“Vede più in là il
gabbiano che vola più in alto”. [Pag. 72]
Volare significa mettere
le ali al pensiero, significa cambiare il punto di vista, superare i propri
limiti, crescere. “Volare è molto più che limitarsi a sbatacchiare le ali da un
posto all’altro!” [Pag. 74]
Volare è qualcosa di intenzionale, è volontà. Non a
caso è stato coniato quel famoso detto che recita: “Volere è volare!”
Volare è desiderare di
sentirsi liberi e lasciarsi colmare dalle idee così da avere qualcosa da
realizzare (e per cui vivere). Guardare in faccia la bellezza con gli occhi di
Eros, fino a raggiungere una forma di estasi e ritornare, poi, alla realtà
portando “in grembo” un’idea da “partorire”. Come si partorisce? Condividendo,
insegnando ciò che si è appreso, o anche semplicemente realizzandolo.
L’Iperuranio di Platone, la Maieutica di Socrate…
“Il paradiso non è un
luogo, e non è un tempo. Il paradiso è essere perfetti. […] Raggiungerai il
paradiso nel momento in cui raggiungerai la velocità perfetta”. Il che non vuol
dire volare a una certa velocità (cioè a un certo numero di chilometri/miglia
all’ora), “perché qualunque numero è un limite, e la perfezione non ha limiti.
La velocità perfetta è esserci”. [Pag. 56-57]
Allora la perfezione che
cos’è?
Se ho ben capito, è
andare incontro alla libertà. E nel momento in cui decidiamo di voler essere
liberi, di voler spezzare le catene dei limiti, siamo già a metà della strada
per la perfezione. L’altra metà si percorre facendo del proprio meglio in ogni
cosa fino ad arrivare alla pace coi sé stessi.
Non è un atto di egoismo in quanto una buona parte del nostro cammino prevede
che condividiamo con gli altri ciò che abbiamo appreso. Ognuno raggiunge la
perfezione nel momento in cui sta bene con sé stesso, nel momento in cui sente
di essere pervaso dalla pace interiore. Ognuno è perfetto a modo proprio.
Il gruppo è un’agevolazione
o un ostacolo?
Il gruppo è un organismo
plurivalente: da una parte può fornire appoggio, protezione e compagnia mentre
dall’altra può rivelarsi una gabbia di regole, costrizioni e impedimenti. Ma
queste non sono le uniche funzioni cui può assolvere un gruppo (o, per restare
in tema, uno stormo). Se composto da individui coraggiosi , questo organismo
può far crescere i propri membri attraverso la solidarietà e soprattutto la
condivisione delle esperienze. Ma alla condivisione torneremo tra un po’.
A un certo punto compare
una frase che mi ha lasciata assai perplessa: “Per volare veloce come il
pensiero, e andare ovunque devi convincerti che sei già arrivato”. [Pag. 68]
Ho sempre pensato che
convincersi di non avere più obiettivi, di sapere già tutto e di non avere più
nulla da imparare fosse la peggior forma di ignoranza. Così ho letto e riletto
questa frase, preda di un profondo turbamento, e più la rileggevo più mi
sembrava di leggere qualcosa come: se vuoi guarire devi pensare di essere già
guarito. Provavo un certo fastidio davanti a questo punto di vista. Poi, però,
poche righe dopo, ho ribaltato la mia prospettiva quando ho letto queste righe:
“Il trucco era sapere che la sua vera natura viveva ovunque nello stesso
momento, perfetta come un numero non scritto, nello spazio e nel tempo”. [Pag.
69]
L’insieme dei tuoi tanti
“io” fa sì che tu sia unico proprio perché molteplice, speciale proprio perché
perfetto e perfetto dal momento in cui
decidi di essere te stesso. Raggiungi la perfezione ogni volta che ti poni un
obiettivo in linea con te stesso e lo consegui. Essere te stesso è l’obiettivo
più grande cui tu possa aspirare perché
fatto di tante piccole tappe. Se ti accorgi di ogni tappa, le dai il giusto
riconoscimento e trovi i coraggio di esserne felice, allora significa che il
miracolo della perfezione si è appena manifestato a te, in te e attraverso di
te. Per chi ha a cuore la Bibbia, siamo
tutti figli di Dio, creati a Sua immagine e somiglianza; perfetti non perché
privi di difetti bensì per merito di quelle caratteristiche che ci rendono
unici. Tendere alla perfezione significa ricordarci che siamo nati per essere
creature meravigliose, per splendere della nostra vera natura; che possiamo
diventare qualsiasi cosa se solo troviamo il coraggio di immaginare che dentro
di noi abbiamo il potenziale necessario per esserlo. Il coraggio è
fondamentale. Anche quello per capire che il tempo non è un ostacolo perché non
esiste e che il passato e il futuro sono fusi in ciò che comunemente chiamiamo
“presente” (che potremmo benissimo intendere come “eternità”). D’altronde,
quando ricordiamo il passato siamo nel presente e lo stesso accade quando
immaginiamo il futuro. Un gioco molto stimolante che vi consiglio col cuore
consiste nello stravolgere a tal punto l’idea di tempo da concepire la possibilità
di ricordare il futuro e immaginare il passato… Quel “convincersi di essere già
arrivati”, dunque, acquista tutta un’altra valenza, non trovate? O, almeno, a
me piace pensare che sia così. Difatti:
“[…] li esortava a non smettere mai di
imparare, di esercitarsi, di sforzarsi di capire sempre più a fondo il perfetto
principio invisibile di tutta la vita”. [Pag. 71]
“Tutto il vostro corpo
[…] non è altro che il vostro pensiero stesso in forma visibile. Spezzate le
catene del pensiero e spezzerete anche le catene del corpo…” [Pag. 87]
“[…] il suo modo di dimostrare amore era
donare parte della verità che aveva capito a un gabbiano che cercasse solo il
modo di vederla”. [Pag. 72]
Ecco che tutto torna: è
possibile crescere da soli, ma senza l’aiuto degli altri non si supereranno mai
certi limiti. Siamo allievi e maestri per tutta la vita; non si può imparare
senza insegnare e non si può insegnare senza imparare (e senza aver imparato).
Il primo passo consiste nel capire chi si è veramente e cominciare a farne
pratica, stando a quanto scritto a pagina 94. Poi:
“Tu devi solo continuare
a scoprire te stesso ogni giorno di più a scoprire il vero Gabbiano Fletcher, quello
privo di limiti. È lui che devi scoprire, è lui che devi esercitarti ad
essere”. [Pag. 103]
“Non credere a ciò che ti
dicono i tuoi occhi. Tutto ciò che vedono è limitato. Guarda con l’intelletto,
scopri ciò che già sai, e troverai il modo di volare”. [Pag. 103]
Essere è ricordare…
Se leggerete questo libro
(magnifico, a parere mio), vi accorgerete sicuramente dei numerosissimi
riferimenti alla Bibbia e ai Vangeli. Qui di seguito ve ne suggerisco qualcuno:
·
Jonathan Livingstone è velatamente
rappresentato come il Messia, chiamato (non a caso) “il Figlio del Grande
Gabbiano in Persona” (pag. 94), “mille anni in anticipo sul suo tempo”. In
quest’ottica, i suoi compagni di volo/allievi sono gli Apostoli. Partendo da
questo presupposto, si ravvisano molte
somiglianze tra il modo in cui fu trattato Gesù e il modo in cui viene trattato
Jonathan… Senza contare il messaggio che entrambi hanno tentato di portare su
questa terra: “Quello che è venuto a dirci è che siamo in grado di volare”
(pag.112), o – meglio – lo saremmo se solo lo volessimo e, anziché limitarci a
teorizzare, ci dedicassimo alla pratica.
·
“[…] un gabbiano è un’idea illimitata di
libertà, un’immagine del Grande Gabbiano, e tutto il vostro corpo, […], non è
altro che il vostro stesso pensiero”.
Cfr: Gen. 1, 26-27
·
Quando Jonathan guarisce il gabbiano che
sostiene di non poter volare perché non riesce a muovere l’ala (pagine 92 e
93), ricorda la guarigione del paralitico di Betesda da parte di Gesù.
Cfr: Gv. 5, 1-16
·
Quando, a pagina 101, Jonathan resuscita
il Gabbiano Fletcher, sembra di leggere del miracolo della resurrezione di
Lazzaro.
Cfr: Gv. 11, 1-46
·
Vedere per credere… [Cfr. pagine 124 e 125
con Gv. 20, 24-29 e Gv. 4, 43-54]
·
“Ma io non chiedo onori. Non desidero
essere il capo. Voglio solo condividere ciò che ho scoperto, mostrare gli
orizzonti che si aprono davanti a tutti noi”. [Pag. 34] Cfr: Mc. 10, 42-45
·
A pagina 118 c’è una replica perfetta del
comportamento dei fedeli in Chiesa, ad ascoltare sermoni e prediche su un uomo
che non ha mai voluto (esattamente come il Gabbiano J.L.) essere venerato! Il
problema è che la Chiesa ha innalzato Gesù a livelli tali che se l’uomo
provasse a seguire il suo esempio sarebbe considerato blasfemo o eretico. La
Chiesa in quanto Istituzione religiosa gradisce e predilige maggiormente umani
imperfetti e peccatori penitenti rispetto a individui consapevoli del fatto che
- in quanto figli di Dio, fatti a Sua immagine e somiglianza – si può aspirare
alla perfezione anche in terra. Abbiamo creato degli “alibi terminologici” per
sperimentare la libertà: dicendo che cerchiamo di “scoprire ciò che è vero” ci
permettiamo di nascosto qualcosa che avremmo tutto il diritto di attuare alla
luce del sole. È facile e comodo parlare di bontà, amore, gentilezza,
fratellanza e solidarietà, ma praticare questi valori è tutta un’altra
faccenda. È facile e comodo attribuire la bellezza dei miracoli e la
responsabilità della loro realizzazione a Dio o a Suo Figlio; tutt’altra cosa è
impegnarsi a diventare miracoli o, ancor meglio, a essere miracoli viventi. La
Fede è diventata uno sforzo; sono subentrate le superstizioni (pag.119); Gesù è
diventato un Mito, una Leggenda, una favola da raccontare anziché da
sperimentare nella pratica. Tutti i gabbiani possono fare ciò che fa J.L. e Giovanni,
nel capitolo 14 del suo Vangelo (vv 11 e 12), parlava negli stessi termini.
·
“Tu devi solo continuare a scoprire te
stesso ogni giorno di più a scoprire il vero Gabbiano Fletcher, quello privo di
limiti. È lui che devi scoprire è lui che devi esercitarti ad essere”. [Pag.
103]
Cfr: Gv. 14, 1-14 Vado a prepararvi un posto…
“Non sia turbato il
vostro cuore. Abbiate fede in Dio
abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore.
Se no, vi avrei mai detto: «Vado a prepararvi un posto»? Quando sarò andato e
vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove
sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado conoscete la via. Gli disse
Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?» Gli
disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non
per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da
ora lo conoscete e lo avete veduto”.
Sei stato, sei e sarai
molte cose. Dentro di te convivono tanti “io”; le strade che ti si parano
davanti sono numerose. Seguire il proprio “vero io” non è cosa facile né
semplice… “Io sono la via, la verità e la vita” è un po’ come dire che l’Io è
la Via che devi percorrere (seguendoTi) per arrivare alla Verità che sei e che
alberga in Te. Il fondamento della Vita risiede proprio in questa scoperta di
sé. Segui il tuo istinto e le tue intuizioni e non sbaglierai (come Vassilissa
seguiva la propria bambola e non sbagliava mai).
Mc. 10, 17-22 Lascia tutto e seguiti…
“Gesù gli disse: «Una
cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un
tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!» Ma a queste parole egli si fece scuro in
volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni”.
Ma qual è il bene più
prezioso che possiedi? Te stesso, esatto. E i beni materiali, per quanto
numerosi o preziosi possano essere, non saranno mai minimamente paragonabili a
te. L’avarizia (soprattutto quella nei confronti di se stessi) è un vizio
terribile!
Segui il tuo Io…
Franco Battiato, nella
canzone composta insieme a Manlio
Sgalambro e intitolata “Il mantello e la spiga”, cantava: “Lasci un’orma
attraverso cui tu stesso ti segui nel tempo e ti riconosci”. “Lascia tutto e
seguiti”.
Ma abbiamo già visto che
il tempo e lo spazio sono concetti relativi, per cui decidere di abbandonare le
zavorre e iniziare a seguire se stessi è già essere se stessi. Immersi come
siamo nell’eternità, ogni cosa scritta nel futuro è già avvenuta, potrebbe già
essere avvenuta o – magari - sta accadendo proprio adesso... È complicato, lo
so, ma è fondamentale allargare l’orizzonte spaziale tanto da contemplare
l’infinito e allargare l’orizzonte temporale tanto da contemplare la già citata
eternità. Solo così avverranno i miracoli…
Bellissima, a questo
proposito, la citazione di pagina 74:
“Se la nostra amicizia
dipendesse da cose come lo spazio e il tempo, quando finalmente supereremo lo
spazio e il tempo avremo distrutto la nostra fratellanza! Superiamo lo spazio,
e tutto quello che ci resta è il Qui.
Superiamo il tempo, e tutto ciò che ci resta è l’Ora. E nel bel mezzo del Qui e
dell’Ora non credi che potremmo vederci qualche volta?”
Ci sarebbero ancora
tantissime cose da dire su questo testo, riferimenti da fare, concetti da
approfondire, ma per adesso è meglio fermarsi qui. Per chiudere, vi consiglio
caldamente la nuova edizione della Bur (Rizzoli), quella col capitolo inedito e
le magnifiche immagini di gabbiani disseminate tra le pagine. E che dire, poi,
della splendida nota finale, a cura dello stesso autore, sul dono
dell’immaginazione e sul potere dello scrittore, ovvero le parole.
Volate, amici e amiche!
Siate liber* di essere voi stess*!