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TRAD U/I ZIONI D'EURASIA
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Ma tenete
d’occhio le mostre: a loro piace cambiare!
Chi va a visitare il MAO,
non ha solo l’occasione di vedere degli oggetti esposti, ha l’occasione di fare
un’esperienza. Un’esperienza ogni volta diversa, pur nell’ambito di una stessa
mostra. Perché? Perché le mostre del MAO mutano, cioè propongono performances e allestimenti sempre
diversi, cambiano in corso d’opera. In tal modo è come se ogni mostra
racchiudesse in sé tante mostre, dove si avvicendano opere e artisti sempre
nuovi. Può darsi che andiate oggi e assistiate a un qualcosa che vi fa dono di
una determinata esperienza, ma, tornando domani, vediate cose diverse e
facciate un’esperienza di tutt’altro tipo.
D’altronde chi ha detto che i Musei debbano essere luoghi statici e
noiosi? Il MAO, dunque, è un “dispositivo” (come lo definisce il Direttore Davide
Quadrio) in continua trasformazione, un ambiente di cura e di confronto in cui
non sono soltanto le opere a “dialogare” tra loro, ma anche chi le studia e se
ne prende cura. Nel caso di “TRAD U/I ZIONI D’EURASIA” sono addirittura quattro
le Curatrici
e innumerevoli le collaborazioni, le partnership
e gli/le artisti/e che hanno contribuito a rendere speciale il progetto.
TRAD U/I ZIONI
D’EURASIA
Già il titolo è un
condensato di informazioni, ma anche di misteri…
La parola “TRADUZIONE” può
essere intesa sia come veicolazione di messaggi da una lingua a un’altra, sia
come trasporto di oggetti, simboli e cultura da un luogo a un altro.
“TRADIZIONI”, invece, è intesa per ciò che è: l’esposizione dei valori, dei
costumi e delle usanze all’interno delle società eurasiatiche.
“Terza e ultima presentazione della serie espositiva FRONTIERE
LIQUIDE E MONDI IN CONNESSIONE, TRAD U/I ZIONI D’EURASIA volge lo sguardo sulla
storia profondamente complessa dell’interazione culturale tra Asia ed Europa,
esponendo oggetti che evidenziano contatti, traduzioni e migrazioni di simboli,
forme, materiali e colori, avvenuti grazie
a scambi commerciali e politici nel corso di duemila anni di storia,
dedicandosi in particolare al periodo che va dal VI al XVI secolo.
Gli oggetti parlano anche del desiderio dell’esotico nato da
tali contatti. La loro storia, a più livelli e frammentaria, evidenzia come la
relazione tra gli esseri umani e le ‘cose’ non sia mai stata lineare e
semplice; al contrario, spesso complessa e diseguale. Ci mostrano come
l’esotismo abbia plasmato idee di lusso e raffinatezza attraverso il tempo e lo
spazio; idee che sono state condivise, variamente tradotte e ampiamente diffuse
tra i due continenti.
I colori e il loro potere saranno anche al centro dell’intervento
dell’artista contemporanea Yto Barrada (marocchina, francese, nata nel 1971 a
Parigi). Nel corso della sua collaborazione di un anno con il MAO e la
Fondazione Merz, l’artista svilupperà un progetto all’interno della sua ricerca
sui colori e in particolare sullo studio e formazione di pigmenti naturali
nonché sulla loro origine, materialità e funzionalità, sulle cariche
simboliche, politiche e metaforiche. Il progetto di Yto Barrada trae
ispirazione dal libro, recentemente ripubblicato, COLOR PROBLEMS: A PRACTICAL
MANUAL FOR THE LAY STUDENT OF COLOR, dell’artista e studentessa Emily Noyes
Vanderpoel (1842-1939)”.
Ed è proprio
dai colori che vorrei partire per raccontarvi questa nuova mostra…
Indossati i copri-scarpe che
vi saranno forniti all’ingresso della sala e che vi conferiranno un’aria da
chirurghi, potrete finalmente immergervi nello spazio senza tempo e senza…
spazio di un ambiente interamente bianco. Il morbido candore della moquette sotti i vostri piedi, il bianco
delle pareti e l’allestimento minimalista contribuiscono, infatti, a creare una
sorta di “altrove” dove non ci sono distrazioni, bensì “astrazioni” perciò è
comunque possibile – se non addirittura auspicabile – il viaggio
nell’immaginazione. In quel bianco – della neutralità e della rinascita -
spiccano gli oggetti esposti, pochi in ogni sala, ma selezionati con attenzione
e disposti con cura come pennellate di colore su una tela… Quale colore? Il
blu, tanto per cominciare.
Il blu
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Una selezione di reperti blu. Questi oggetti sono attualmente esposti al MAO di Torino in occasione della mostra "Trad u/i zioni d'Eurasia".
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Indaco, oltremare, blu di
Prussia, ceruleo, celeste, turchese, azzurro, cobalto, zaffiro, ciano, sono
solo alcune delle innumerevoli sfumature di questo colore, colore che non è
sempre stato in vetta alle classifiche dei colori più “nobili”, ma che – una
volta compreso e accettato – ha saputo farsi strada nel mondo dell’Arte. “Il blu ha
svolto un ruolo socio-culturale fondamentale lungo le rotte terrestri e
marittime che collegavano l’Eurasia in epoca pre-moderna, stimolando numerosi
scambi culturali. Minerali come il lapislazzuli dell’Afghanistan, l’ossido di
cobalto dell’Iran e le foglie di Indigofera Tinctoria dell’Asia meridionale non
solo erano materiali essenziali per la produzione di pigmenti pittorici,
invetriature ceramiche e tinture tessili, ma avevano soprattutto un valore
simbolico universale. Espressione di lusso e opulenza, il fascino suscitato dal
colore blu contribuì a molteplici trad u/i zioni artistiche e culturali tra
Iran, Cina e Mediterraneo orientale”.
Se poi uniamo
il colore blu all’arte calligrafica otteniamo una combinazione vincente e…
avvincente!
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Una selezione di reperti calligrafici esposti attualmente al MAO di Torino in occasione della mostra "Trad u/i zioni d'Eurasia".
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“Una goccia di blu su una superficie immacolata e le parole
prendono forma. A prescindere da chi
abbia inventato la ceramica bianca e blu, i ceramisti iracheni hanno
sicuramente contribuito alla popolarità ben oltre i confini delle terre
islamiche. Molti di questi manufatti sono decorati con iscrizioni in arabo che
menzionano eccezionalmente i loro creatori, quasi un marchio della loro
presenza nell’opera. La combinazione di blu e bianco si ritrova nello stesso
periodo su tessuti con iscrizioni particolarmente ermetiche: molte lettere sono
state modificate per creare un ritmo dinamico. I testi sono solitamente di
carattere religioso (invocazioni e benedizioni) o politico (nome e titoli
onorifici di un califfo), ma possono essere eseguiti in maniera così
artificiosa da risultare illeggibili o contenere errori ortografici. Ciò
suggerisce che la presenza stessa della scrittura fosse talvolta più importante
del suo significato, a riprova dell’importanza simbolica del segno scritto in
molte culture eurasiatiche”.
E tante sono le culture che
tenevano in grande considerazione la scrittura…
La scrittura degli antichi
Egizi, per esempio, era altamente simbolica e direttamente associata agli dei
che si credeva avessero donato all’uomo il linguaggio.
Nella cultura ebraica ogni
parola scritta racchiude in sé molti mondi: il significato (concreto e
simbolico) della parola nella sua interezza e il significato (concreto e
simbolico) di ogni lettera che compone quella parola…
“Che si sappia o meno leggere, non si potrà non godere della
bellezza della calligrafia”. (Qadi Ahmad, XVI secolo)
Ma torniamo al
blu…
Facendo alcune ricerche per
la stesura di questo articolo, ho trovato - sul mio vecchio testo di Storia
dell’Arte – un brano tratto da Cennino Cennini, “Il Libro dell’Arte” o
“Trattato della pittura”. Il brano parla dell’immenso lavoro che un pittore
doveva compiere per ottenere il colore blu. Ve lo riporto qui:
“Se vuoi fare un mantello di Nostra Donna d’azzurro della Magna,
o altro vestire che voglia fare solo d’azzurro, prima in fresco campeggia il
mantello, o ver vestire, di sinopia e di nero; ma le due parti sinopia, e il
terzo nero. Ma prima gratta la perfezione delle pieghe con qualche puntaruolo
di ferro, o agugiella; poi in secco togli azzurro della Magna lavato bene, o
vuoi con lisciva, o vuoi con acqua chiara, e rimenato un poco poco in su la
pria da triare. Poi, se l’azzurro è di buon colore e pieno, mettivi dentro un
poco di colla stemperata, né troppo forte, né troppo lena, che più innanzi te
ne parlerò. Ancora metti nel detto azzurro un rossume d’uovo; ma se l’azzurro
fosse chiaretto, vuole essere il rossume di questi uovi della villa, che sono
bene rossi. Rimescola bene insieme, con pennello di setole morbido: ne da’ tre
o quattro volte sopra il detto vestire. Quando l’hai ben campeggiato, e che sia
asciutto, togli un poco d’indaco e di nero, e va’ aombrando le pieghe per lo
mantello, il più che puoi; pur di punta ritornando più e più fiate in su le
ombre. Se vuoi in su’ dossi delle ginocchia, o altri rilievi, biancheggiare un
poco, gratta l’azzurro puro con la punta dell’asta del pennello. Se vuoi
mettere in campo, o in vestire, azzurro oltramarino, temperalo all’usato modo
detto di quello della Magna, e sopra quello danne due o tre volte. Se vuoi
aombrare le pieghe, togli un poco di lacca fina, e un poco di nero temperato
con rossume d’uovo. E aombralo gentile quanto puoi, e più nettamente; prima con
poca di quella, e poi di punta, e fa’ men pieghe che puoi, perché l’azzurro
oltramarino vuol poca vicinanza d’altro miscuglio”.
Lo stralcio che avete appena
letto (o avete saltato a piè pari?) mi permette di introdurre in questo
articolo luuuuunghiiiiiiissimo (io vi ho avvertit*, eh!) una delle opere che –
grazie alla collaborazione con i Musei Reali di Torino – è esposta al MAO in
questo momento.
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Barnaba da Modena, "Madonna con il Bambino", 1370, tempera e oro su supporto ligneo. Musei Reali di Torino, Galleria Sabauda. Attualmente esposta al MAO in occasione della mostra "Trad u/i zioni d'Eurasia".
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L’opera in questione è la “Madonna con il Bambino” di Barnaba
da Modena (Barnaba Agocchiari). Il dipinto risale al 1370 ed è stato inserito
all’interno di TRAD U/I ZIONI D’EURASIA in quanto l’artista lo ha realizzato
raffigurando “stoffe
preziose provenienti dall’Asia, molto ricercate tra le aristocrazie europee
poiché conferivano lustro e prestigio a chi le possedeva. Nella veste del
Bambino la sfarzosità del tessuto a piccoli motivi rimanda a un panno tartarico
così come le pseudo-iscrizioni in lingua araba sugli orli delle vesti di
entrambe le figure. Queste imitavano la scrittura cufica, uno stile
calligrafico che, insieme ad altri, adornava le khil’a, le vesti di gala tra i
principali doni nelle corti del mondo islamico”.
E se lo stile di Barnaba da
Modena vi piace, vi consiglio di andare ad ammirare un altro dei suoi dipinti,
che si trova a Palazzo Madama, il Museo Civico d’Arte Antica di Torino:
anch’esso ritrae una Madonna col Bambino. Il mantello di Lei è, ancora una
volta, blu con venature dorate.
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Barnaba da Modena, "Madonna con Bambino", metà XIV secolo, tempera su tavola. Palazzo Madama, Torino.
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Oro e tessuti
“Tessere l’oro in epoca mongola era operazione complessa:
l’ampio uso del filo aureo rimanda all’agemina, al niello e all’incastonatura,
tecniche proprie della metallurgia islamica persiana e turca fin dall’XI e XII
secolo. Il filo in metallo prezioso, spesso realizzato in strisce piatte
rivestito di lamine auree, copre quasi interamente il dritto della stoffa
creando un effetto prospettico di profondità del disegno”. In
mostra potrete ammirare “un rarissimo nasij (tessuto d’oro) di altissima qualità” sul quale campeggiano due leoni alati inscritti
in medaglioni. I motivi “sono tratti dalla tradizione persiana di origine
sasanide e si alternano a figure di grifoni, animali fantastici di un
repertorio iconografico condiviso dalla Cina alle sponde del Mediterraneo”.
Poi ci sono i tiraz (parola persiana che significa
“ricamo”), le cui iscrizioni sono per l’appunto ricamate con filo blu indaco su
un fondo di lino naturale. L’unico elemento decorativo che possiedono i tiraz consiste in una serie di
iscrizioni in cufico, particolarmente elaborate; si tratta di invocazioni a Dio
che hanno il pregio di conferire un’aura di solennità a tessuti altrimenti
molto semplici.
Oro e potere
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Una selezione di tessuti esposti al MAO per la mostra "Trad u/i zioni d'Eurasia".
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“I Mongoli non possedevano una tradizione di tessitura della
seta e fecero ampio uso delle competenze e delle tradizioni maturate nel corso
dei secoli dalle civiltà che sottomisero. Diverse manifatture sorsero in Cina,
Asia centrale e Iran. La seta lavorata con l’oro divenne un importante simbolo
di potere. I tessitori godevano di uno status particolare e dovevano essere
pronti a soddisfare la richiesta di tessuti lussuosi dell’alta società mongola.
Più il filo d’oro era impiegato nei tessuti, più questi esprimevano il potere
del suo possessore. In Europa questo stile prese il nome di ‘tartarico’, cioè dei Tartari, come
venivano chiamati i Mongoli”. I sovrani mongoli, a quanto
pare, amavano i tessuti scintillanti, perciò le vesti destinate ai membri
dell’aristocrazia erano interamente intessute in filo d’oro… E l’oro non veniva
solo filato, ma anche stampato su seta, con metodi di tintura che purtroppo
sono andati perduti.
Tessuti e
simboli
Alcuni degli elementi
decorativi dei tessuti esposti al MAO sono: le coppie di segmenti ondulati (che
fanno riferimento alla pelle di tigre e ricordano i motivi del cintamani tradizionalmente associato
alla regalità), le nuvole in cumuli (antico motivo divinatorio cinese
simboleggiante il collegamento tra Cielo e Terra, dimora dei draghi
protettori), gli animali alati (come il mitico cervo, detto qilin), i caratteri cinesi di buon
auspicio (ritenuti appropriati per commemorare i defunti e garantire buona
fortuna nell’aldilà) e le tre sfere disposte a triangolo (che, invece, fanno
riferimento alla pelle di leopardo). Rifacendosi a Rostam (eroe di un antico
mito persiano, ovvero iranico, che indossava le pelli dei suddetti felini e,
con il loro magico potere, riusciva a sconfiggere i propri avversari) i sultani
ottomani prediligevano indossare stoffe preziose recanti tali motivi, così da
legittimare il proprio potere e sentirsi, in qualche modo, invincibili.
E poi c’è la carpa… Simbolo
di prosperità e buona salute in Cina e in Giappone, questo pesce dalle squame
luminescenti è legato alla leggendaria porta del Dragone (anch’esso dotato di
squame). Il “motivo a squame” si è diffuso in particolar modo durante il XVI
secolo, grazie agli intensi scambi diplomatici tra la dinastia dei Ming e
l’Impero Ottomano. Per questo lo ritroviamo nel mondo islamico (in generale),
nelle ceramiche turche (in particolare) e nella produzione di oggetti in
metallo.
Molti altri sono i simboli identificabili
in quel periodo e in quei luoghi… Due esempi fra tutti? La luna e il gallo.
La seta
“La seta cinese svolse un ruolo cruciale sia per i mercanti
sogdiani
sia per i suoi acquirenti, utilizzata per secoli come moneta alternativa ed
emblema tangibile di lusso esotico in Asia. Alla fine del V secolo, tuttavia,
il segreto della sericoltura trapelò dalla Cina, consentendo agli artigiani
iraniani e dell’Asia centrale di produrre i propri tessuti, in seguito
ampiamente esportati”.
E, d’altra parte, i mercanti
della Sogdiana furono grandi trad U ttori, cioè conduttori/trasportatori di
idee, testi, simboli e merci. Percorrendo quella che oggi è nota come “Via
della Seta” (lunga ben 4.800 km), attraversando montagne, oasi e deserti, essi
veicolarono prodotti e culture e, di queste, divennero i mediatori principali.
Una curiosità
che… calza a pennello
Aggirandovi silenziosamente
– ché la moquette assorbe i rumori dei vostri passi – a un certo punto vi
imbatterete in una scarpetta… Si tratta di un calzare, appartenuto – udite, udite
- al pontefice Benedetto XI!
Altri oggetti
in mostra
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Una selezione di oggetti attualmente esposti al MAO di Torino per la mostra "Trad u/i zioni d'Eurasia". |
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Che odore ha una civiltà? Di
cosa sanno i luoghi? E i tempi? Se fossimo vissuti nel Medioevo, ad esempio,
quali odori avremmo sentito? Tra gli oggetti esposti ci sono bruciaprofumi che
servivano a spargere nell’aria aromi di muschio, ambra grigia, legno di aloe e
canfora…
La ciliegina
sulla torta
Quando arriverete alla fine
del percorso, ci sarà un’ultima stanza ad attendervi: la più suggestiva, a mio
parere. Ora ve la racconto…
C’era una volta una stanza
immersa nel bianco, ma non era – come si potrebbe pensare – una stanza vuota…
Infatti, proprio nel mezzo, tra quattro colonne, torreggiava un bellissimo
oggetto: un enorme cubo nero sospeso nel vuoto! E la caratteristica di tale
cubo era il fatto d’esser come intagliato, così che da quelle “ferite” con
motivi floreali potesse uscire non sangue, bensì luce. Proprio così, il cuore del
gigante d’acciaio era fatto di luce, una luce che giocava a dipingere se stessa
in forma di fiori su quel candore niveo. E, poiché la bellezza – per esser tale
– ha bisogno di qualcuno che l’ammiri, il fondo della sala era fatto di
specchi.
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Anila Quayyum Agha, "Shimmering Mirage (Black)", 2018, acciaio.
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Poi qualcosa cambiò: era
entrata una spettatrice e il cubo, d’un tratto, non fu più solo a rimirar se
stesso. Come so tutto questo? Perché
vidi il mio riflesso negli specchi e capii che la spettatrice ero io. E mi
sentii una diva sul red carpet, anzi,
sul white carpet, perché mentre
giravo intorno al grande cubo la luce del suo cuore pulsava, veloce come i flash dei fotografi, di tanti fotografi.
E più mi muovevo velocemente io, più la luce pulsava a un ritmo frenetico. Poi
mi resi conto che il pulsare di quel cuore luminoso aveva il ritmo del mio
cuore, così mi calmai e anche la luce rallentò la sua corsa intermittente. Come
quando sfrecci su una strada, di notte, costeggiando lampioni disposti a
intervalli regolari. Come quando il sole prova a sbirciare tra i rami degli
alberi. E tu giochi a nascondino con lui. E lui con te.
Quello che avete appena
letto è il racconto della mia esperienza davanti (e intorno) all’installazione
di Anila Quayyum Agha intitolata “Shimmering Mirage (Black)”.
Un breve video dell'opera di Anila Quayyum Agha, "Shimmering Mirage".
“L’utilizzo di motivi islamici che diventano reinterpretazioni
dei disegni originali, mi permette di infondere nell’opera un focus
contemplativo che evoca l’ordine soggiacente del cosmo attraverso le simmetrie
presenti in natura. Questi motivi geometrici, in qualche modo familiari, mi permettono
di approfondire e reinterpretare gli elementi del quotidiano per rivelare le
complessità della simbiosi tra generi, culture e civiltà e le frontiere liquide
che esistono tra loro”.
E dato che ho fatto trenta,
faccio trentuno… Ho aperto questo articolo dicendo che alle mostre piace
cambiare, perciò ora vi riassumo quello che accadrà da adesso fino alla
primavera del 2024.
Nell’ambito di Evolving soundscapes
(a cura di Chiara Lee & freddie Murphy), ovvero il music public program della mostra Trad u/i zioni d’Eurasia, si avvicenderanno numerosi artisti
provenienti dall’Asia, dal Mediterraneo e dal nord Africa. Il programma include
anche Distilled,
un’installazione sonora site specific
composta da alfabeti sonori, che si svilupperà e si arricchirà gradualmente di
nuovi elementi nel corso dei mesi di mostra.
Venerdì 3 novembre
(alle ore 22), nelle Antiche Ghiacciaie del Mercato Centrale di Torino, in
occasione di Artissima, ci sarà una performance
di Raja Kirik con Silir Pujiwati e Ari Dwiyanto intitolata The Phantasmagoria of Jathilan. Si
tratta di un’esplorazione artistica della tradizione Jathilan che ne
reinterpreta musica, voci e movimenti. Frutto di un’ampia ricerca sulla storia
dell’isola, con la loro pratica artistica i Raja Kirik riflettono sulla violenza,
l’oppressione e la resistenza che hanno plasmato Java. Rappresenta il rifiuto
del dominio coloniale e il conseguente desiderio di libertà attraverso un punto
di vista contemporaneo sulla trance dance
javanese.
Mercoledì 6
dicembre (ore 18.30) si potrà assistere a El Khat un mix retro-futuristico
di canzoni tradizionali yemenite, groove
contemporanei e strumenti auto-costruiti utilizzando oggetti di scarto. Lo
scopo, anche in questo caso, è dare vita a un’espressione di libertà attraverso
la costruzione di un “ponte” tra la musica tradizionale yemenita e la musica
del futuro.
Giovedì 25 gennaio
2024 (ore 18.30), Ya Tosiba. Nato dalla collaborazione tra la
musicista e cantante azera Zuzu Zakaria e il produttore finlandese Tatu Metsätähti,
Ya Tosiba unisce elettronica, strumenti suonati dal vivo e la tradizione
poetica orale del Caucaso in un suono
moderno e accattivante.
Febbraio 2024, Širom.
I
Širom sono un trio sloveno che suona musica folk
che sembra provenire da un universo parallelo. La loro musica unisce approcci,
stili e influenze diverse. Contaminazioni per creare un folk pan-globale alternativo e innovativo.
Mercoledì 27 marzo
2024 (ore 18.30), Maya Al Khaldi + Sarouna. Voci e musica dal passato e
dal presente palestinese.
Il Museo del
bonsai
Nasce al MAO il Museo del
bonsai! A partire da ottobre 2023 e fino alla primavera 2024, il terrazzo del
Museo d’Arte Orientale si trasformerà in un museo a cielo aperto, un giardino
di pace, scoperta e studio che ospiterà otto esemplari di bonsai selezionati da
Massimo Bandera, fra i maggiori bonsaisti italiani e internazionali. In qualità
di curatore del progetto, Bandera proporrà una periodica sostituzione degli
esemplari esposti, che saranno scelti in base al naturale ciclo delle stagioni
e agli archetipi di simbologia sino-giapponese.
I laboratori
E, per chiudere, vi annuncio
che al MAO saranno messe a disposizione anche delle attività di laboratorio.
Trame e orditi tra
mondi in connessione (da 8 anni in su).
Il percorso prevede la
visita della mostra contemporanea con una particolare attenzione alle opere in
tessuto, fili di seta che tracciano intricate e preziose trame. In laboratorio
verranno utilizzati piccoli telai per comprendere l’antica tecnica di tessitura
manuale e realizzare uno scampolo di seta.
Diamo forma all’argilla
(per
tutte le età).
L’attività prevede la visita
della mostra concentrandosi in modo particolare sulle preziose opere in
terracotta, ceramica e porcellana. L’osservazione delle brocche, dei piatti,
delle fiasche e dei brucia-incensi fornirà ispirazione e spunto per la realizzazione
in laboratorio di un manufatto di argilla.
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Da sx: Vigo, Prestini, Fazio, Raffo
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Laura Vigo,
Nicoletta Fazio, Elisabetta Raffo e Veronica Prestini.