CHI è ANTOINE VOLODINE?
Il 2018 ha portato al
Salone del Libro di Torino molti nomi conosciuti, tra cui quello di Antoine
Volodine. Descrivere lui è difficile quanto descrivere i suoi libri. Attorno
alla sua persona è visibile un delicato alone di mistero, a partire dall’anno
di nascita… 1949 o 1950? In fondo non è tanto importante conoscere l’età esatta
di uno scrittore quanto il suo stile di scrittura e le motivazioni che lo hanno
spinto ad adottare proprio quello stile e a scrivere proprio quelle storie. Lo ha
affermato Volodine stesso, durante l’intervista condotta da Gabriele Pedullà
all’interno della Sala Blu del Salone (sabato 12 maggio).
Volodine è considerato
un personaggio “unico e inimitabile, fondatore e portavoce del movimento
letterario del post-esotismo” e – analizzando a fondo questo movimento – si
possono dedurre, estrapolare le esperienze biografiche che gli stanno dietro.
Ogni opera scaturisce dal vissuto personale del suo autore. Infatti – entrando
nel vivo dell’intervista – Volodine ha raccontato di aver iniziato a
scrivere quando era molto giovane,
entrando – così – in una sorta di “trance
sciamanica di scrittura”, dominata da una ricca serie di pseudonimi. Volodine
stesso è uno pseudonimo, al cui interno si nasconde una “pluralità di voci”
(eteronimi).
Ma perché Volodine
ricorre all’uso di pseudonimi (o – per meglio dire - eteronimi)? Per la stessa
ragione per cui mantiene il segreto sull’anno di nascita, vale a dire per dare
importanza al pensiero, all’idea, più che alla persona che l’ha partorita. Col
passare degli anni gli eteronimi di Volodine hanno acquisito sempre più forza,
hanno adottato stili e partorito idee differenti; hanno anche avuto editori
differenti, ma – di sicuro - hanno concorso tutti per dare vita ad un’unica
corrente: il post-esotismo, appunto.
E parliamo – dunque –
di questo fantomatico post-esotismo. Deriva per la maggior parte dalla
fantascienza, genere letterario molto caro a Volodine, ma anche piuttosto
disagevole. Perché disagevole? Perché, per molti anni, in Francia la
fantascienza è stata considerata una
sorta di “ghetto” della letteratura e – di conseguenza – chi se ne occupava era
a sua volta ghettizzato.
Volodine scrive spesso
di mondi in cui “l’umanità è prossima all’estinzione”, ma come si costruisce
una storia in cui la morte non rappresenti veramente la fine dei personaggi? Se
è vero che – di solito – la morte è vista come una cosa lugubre, è vero anche
che il post- esotismo è una corrente un po’ più ottimistica secondo la quale,
dopo il decesso, non si smette di vivere, ma si entra in un Bardo, un luogo
caratterizzato da un tempo-non tempo. I personaggi di Volodine sono già in quel
Bardo, quando inizia la storia, pertanto la fine non è la morte vera e propria,
ma un lentissimo (e graduale) spegnimento della voce narrante. Il post-esotismo non è post-modernismo magico
- viene precisato durante l’intervista – perché, all’interno del Bardo, ciò che
conta è costruire un annullamento dei contrari dove “IO” e “NOI” sono la stessa
cosa. E come si fa a costruire questo annullamento dei contrari? Coi ricordi.
La condizione di tempo-non tempo forza i ricordi, li ritrova e – infine – li
riassembla.
Ancora una “chicca”
prima di terminare la trascrizione dell’intervista…
Antoine Volodine ha
origini russe (ha persino insegnato russo per quindici anni, prima di dedicarsi
alla scrittura) e, in gioventù, si è “nutrito” di canti russi, di letteratura
russa (di Tolstoj, in particolare) e di cinema.
Personaggi, per lui,
fondamentali sono stati: Sergej Michajlovič Ėjzenštejn (con La
corazzata Potëmkin), Tarovskij e Strugatsky.
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