“Vivere è un’avventura. […] Quindi, insegnare a vivere non è
solo insenare a leggere, scrivere e far di conto, né solamente insegnare le
conoscenze basilari utili della storia, della geografia, delle scienze sociali,
delle scienze naturali. Non è concentrarsi sui saperi quantitativi, né
privilegiare la formazione professionale specializzata: è introdurre una
cultura di base che includa la conoscenza della conoscenza.”
Tutte le materie
sopracitate “non
forniscono alcuna verità assoluta e definitiva, […] ma mezzi per svegliare e
stimolare le menti.” Questo
perché “vivere
è affrontare continuamente il rischio di errore e di illusione nella scelta di
una decisione.” Vivere significa
dover scegliere e quindi poter sbagliare. Pertanto la vita è una scommessa, una
lunga serie di avvenimenti la cui unica certezza è- perdonate il gioco di
parole – l’incertezza. Il primo passo per insegnare a vivere è quindi quello di
insegnare ad affrontare le incertezze e i rischi. Per vivere bisogna imparare a comprendere (sé stessi e gli
altri), ecco perché è necessario preferire le competenze esistenziali a quelle nozionistiche.
Vivere
–però – non è sopravvivere; vivere
significa poter sviluppare le proprie qualità e le proprie attitudini. L’essere
umano non è un oggetto, ma una creatura che possiede dei diritti oltre che dei
doveri!
I valori che vanno di moda, oggi, sono il
dominio (il potere), il controllo, il denaro (la ricchezza economica) e altre
oscenità del genere, mentre si sono persi completamente la solidarietà, la
convivialità, la serenità, la saggezza e il senso di libertà. Siamo tutti schiavi dei consumi, dei numeri, degli
obblighi e dei doveri, ossia di quelle cose che ci tolgono il piacere e la
capacità di vivere.
Come avrete potuto
capire da queste poche righe, “Insegnare
a vivere” presenta in maniera egregia ed esaustiva le problematiche della
nostra società e dei nostri attuali metodi educativi, ma ciò che scarseggia è
la proposta di esempi pratici per cambiare tutto questo. Se non siamo più spinti dalla passione, dall’Eros per le cose, è chiaro che non
potremo neanche pretendere di cambiare le fondamenta della nostra cultura, ma COME riconquistare (nella pratica) questa passione…beh, non ci è dato saperlo.
I nostri giovani
sono spinti per forza di inerzia a inglobare dati e cifre, che probabilmente
non utilizzeranno mai nella vita reale, quella di tutti i giorni, quella fuori
dalle mura scolastiche. I nostri cervelli vengono bombardati da informazioni e
letteralmente riprogrammati, omologati
e standardizzati, ma quando usciamo dalle scuole non siamo in grado di vivere:
a malapena siamo in grado di sopravvivere. E dico “a malapena” perché a scuola
non ci insegnano come guadagnarci il pane e la serenità, ma ci seppelliscono
con palate di teoria che non sapremo mai mettere in pratica.
Diciamo che lo
scopo di Edgar Morin voleva essere quello di farci aprire gli occhi, di farci
prendere coscienza del fatto che abbiamo imboccato un vicolo cieco. Cosa
succederà se non torniamo indietro e cambiamo strada? Secondo me cresceremo i
nostri figli come una mandria di zombie senza sogni, senza desideri e senza
valori. Ragazzi con “una, nessuna e centomila” personalità che vivono in realtà
virtuali create da altrettanto virtuali amici di social. Gente che non avrà
idea di cosa siano la compassione, l’empatia e la vera interazione umana; gente
che non sarà in grado di pensare con la propria testa e di prendere decisioni
importanti. Gente vuota, senza personalità, senza aspirazioni e priva di etica o di qualsivoglia morale. Individui paradossalmente
massificati che avranno perso la voglia e l’interesse per la lettura, per il
dialogo e per l’indagine di sé e degli altri. Un mondo svuotato dall’Eros che
mondo potrebbe essere, secondo voi?
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