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LA BELLEZZA

martedì 22 aprile 2025

SECONDA RISONANZA


 
SECONDA RISONANZA, dal 16 aprile al 7 settembre 2025, alla GAM di Torino.

Nel precedente articolo vi ho lasciati con una promessa… Ho promesso che vi avrei parlato di… scale. No, non sono impazzita, si tratta di una tessera del grande e complesso “puzzle” che la GAM e il MAO stanno pian piano componendo grazie a una fitta rete di collaborazioni e prestiti. E, quando parlo di prestiti, non intendo solo di opere d’arte, bensì anche di… artisti. Se, infatti, la GAM ha prestato al MAO “Kotatsu (J. Stempel)” di Tobias Rehberger, il MAO ha ricambiato il favore prestandole Chiara Lee e freddie Murphy, il cui intervento sonoro – grazie anche alla collaborazione con l’artista sakha Aldana Duoraan – sorprende i visitatori proprio sulle scale della Galleria d’Arte. L’occasione? Seconda Risonanza. Se ricordate, l’anno scorso la nuova Direttrice della GAM – Chiara Bertola – aveva innescato un meccanismo di profondi cambiamenti che hanno preso il nome di Prima Risonanza[1]. La GAM sta cambiando aspetto e… assetto, grazie all’introduzione di novità come L’Intruso, i Quaderni dell’Intruso[2], il Deposito Vivente, l’ampliamento delle collezioni permanenti con un nuovo allestimento ispirato proprio ai temi della Seconda Risonanza e le mostre temporanee molto particolari. E i mutamenti – sia nell’architettura sia nell’organizzazione degli spazi sia nelle iniziative – stanno proseguendo la loro corsa: quest’anno, infatti, i protagonisti saranno Fausto Melotti, Alice Cattaneo, Giosetta Fioroni e i già citati Chiara Lee, freddie Murphy e Aldana Duoraan. E se nella Prima Risonanza i temi erano luce, colore e tempo, in questa seconda tappa sono ritmo, struttura e segno. Ora mettetevi comodi, così vi racconto il perché…

Collage di opere di Alice Cattaneo

Anche se può sembrare una scelta azzardata, parto con L’Intruso, anche perché l’installazione sonora a cura di Aldana Duoraan, Chiara Lee e freddie Murphy è ciò che accoglie e accompagna i visitatori su e giù per le scale della GAM. A un certo punto il suono “accade”, proprio come un’intrusione nella passeggiata tra le opere, ma non preoccupatevi, quel suono rappresenta una porta invisibile tra i mondi nelle sale. D’altronde non esiste una effettiva delimitazione dello spazio fisico alla GAM, in quanto ogni artista in mostra espande la propria “risonanza” in ogni ambiente. Trovate un po’ di Melotti in giardino, nel Deposito Vivente e nella hall oltre che al primo piano. E, in un certo senso, c’è un po’ di Fausto Melotti nell’”aura” di Alice Cattaneo e un po’ di Cattaneo nelle sculture di Melotti. Vi suona strano, vero? Vi starete chiedendo: come può una persona ancora in vita influenzare le opere di un’altra persona spentasi nel lontano 1986? La risposta, ancora una volta, risiede nel termine “risonanza”. La si avverte nell’astrattismo “conciso” che permea entrambi gli artisti e le rispettive opere. La stessa cosa vale per l’aspetto sonoro di cui parlavo prima: non c’è alcun confine fisico che delimita gli ambienti eppure qualcosa ci avverte che ne stiamo attraversando uno… È una sensazione, ma le sensazioni non arrivano mai a caso e vanno “ascoltate” perché ci raccontano sempre qualcosa di interessante. Questo concetto di sensazione e di limite invisibile, tra l’altro, è alla base del lavoro di Alice Cattaneo, tanto è vero che la mostra dedicata a lei si intitola “Dove lo spazio chiama il segno”. Questo titolo è nato da una conversazione che l’artista ha avuto con un maestro vetraio di Murano il quale, per indicarle quando e in quale punto tagliare il materiale per le sculture, ha suggerito di farlo dove questo “chiama”. Eccoci giunti al dunque: non c’è un segno fisico che dice “Tagliare qui”, ma un segno esiste nel momento in cui entriamo spiritualmente in comunicazione con ciò che ci circonda. Questo vale per tutto. A volte sentiamo che siamo chiamati a fare qualcosa e una voce da dentro – o da fuori, chissà – ci dice come dobbiamo agire. Chiamatelo “istinto”, “intuizione”, “sesto senso”, “magia”, “empatia”, “connessione”, ma il risultato con cambierà. Evidentemente qualcosa del materiale “risuona” nella mente nella mente dell’artista e l’unica via percorribile, per lei, è “vibrare” alla stessa frequenza.

Collage di opere di Alice Cattaneo

Un’altra parola chiave di questa Seconda Risonanza potrebbe infatti essere “interconnessioni”.

Collage di opere di Alice Cattaneo

Io non ci capisco molto di arte astratta o concettuale, ma mi affido sempre alle sensazioni, a ciò che le opere mi comunicano quando le osservo o quando il mio sguardo si posa su di esse di sfuggita. Se qualcosa attira la mia attenzione, mi soffermo su quel qualcosa e lascio che mi parli. E, a malincuore, devo dire che ciò che ha destato la mia curiosità è stato quel che sta “dietro” le opere più che le opere in sé. Un po’ come era accaduto per i lavori di Maria Morganti e Mary Heilmann (sulle quali cui trovate un articolo sempre qui, su questo blog). Si tratta, per me, di Arte che va oltre l’Arte in una sorta di allargamento dei confini entro i quali rinchiudiamo la nostra idea già consolidata di Arte. Se usciamo da tali schemi mentali, comprendiamo che tutto ciò che ci dona delle emozioni e delle sensazioni può essere una forma d’Arte. Un colore, una sagoma, una consistenza… Nella mostra su Melotti, ad esempio, è stata l’ombra proiettata da un’opera a darmi un piccolo fremito; così come gli spicchi di luna in ferro che caratterizzano alcune sculture. Guardando queste ultime, mi sono resa conto di quanto ogni cosa venga ridimensionata a seconda dell’osservatore. C’è una relatività delle dimensioni che sta alla base di tutto l’universo: siamo minuscoli e insignificanti se osservati dalla Galassia, ma visti con gli occhi di una formica siamo giganteschi e spaventosi, probabilmente. La gravità di un problema varia a seconda che questo sia esterno o interno all’osservatore.

Per quanto riguarda, invece, le opere di Cattaneo, ho provato una certa attrazione per un blu intenso, del quale ho avuto una strana – e, forse, antica - paura; e per un giallo che mi ha dato una sferzata di energia. Mentre passeggiavo tra i cubi disposti a terra, immaginavo di trovarmi tra i ghiacci. E se guardavo soltanto davanti a me o ai miei piedi mi sentivo solo un puntino in mezzo a tanti, mentre se alzavo gli occhi mi accorgevo di far parte di un Tutto più grande e complesso. Con quei montanti di legno che – collegati – andavano da una sala all’altra, potevo davvero sentire una certa “risonanza” col Tutto. Ci vuole sensibilità per accorgersene – mi rendo conto – una sensibilità che, fortunatamente, possiedo. Posso percepire i legami invisibili che tengono unite le cose e che trasformano oggetti inanimati in esperienze e colori in ricordi. Tuttavia non posso dire che quest’Arte faccia per me. Sono una persona di larghe vedute, ma il mio gusto prescinde dalla mia capacità di analisi.

Collage di opere di Alice Cattaneo

Al di là di tutto questo mio sproloquiare, di cui molto probabilmente non vi importa nulla, restano da dire cose più tecniche e oggettive sui 4 allestimenti che fino al 7 settembre 2025 occuperanno gli ampi spazi della GAM di Torino. Se avrete la pazienza di restare con me ancora un po’ vi entrerò nel dettaglio.

Collage di opere di Fausto Melotti

 

I curatori e sound artist Chiara Lee e freddie Murphy sono gli Intrusi[3] invitati per questa Seconda Risonanza. A loro è stato dato l’arduo compito di trasformare le scale del museo in strumento musicale. Il progetto è in collaborazione con il MAO Museo d’Arte Orientale di cui da circa 3 anni curano il public program Evolving Soundscapes. Lee e Murphy si sono a loro volta avvalsi della collaborazione di Aldana Duoraan, artista sakha che, attraverso il suono, esplora la cosmologia sakha delle tre anime, o Üs Kut. In questa tradizione, l’anima è composta da tre componenti: il Salgyn Kut (Spirito dell’aria), il Lye Kut (Anima della madre) e il Buor Kut (Spirito della terra), che si separano e si riuniscono in un ciclo continuo di transizione tra mondi fisici, simbolici e spirituali. Tale  passaggio tra i mondi si concretizza in un suono che riflette la tradizione del khomus (strumento che ricorda uno scacciapensieri) e che stimola riflessioni sullo scorrere del tempo, sulla fluidità dell’esistenza e sulle intersezioni tra il visibile e l’invisibile.

Collage di opere di Fausto Melotti

Salendo le scale ci si imbatte in “Lasciatemi divertire”[4], la mostra sulle opere di Fausto Melotti, il cui titolo trae ispirazione da un’ironica affermazione dell’artista e sottolinea l’approccio giocoso e sperimentale che ha caratterizzato la sua ricerca. L’esposizione – un percorso attraverso l’intera produzione di Melotti dagli esordi astratti degli anni Trenta fino alla maturità artistica – presenta oltre 150 opere dislocate in varie aree del Museo, compreso il giardino, in cui campeggia Modulazione ascendente (opera del 1977). La mostra si sviluppa in 8 sezioni, organizzate secondo un criterio cronologico e tematico. Il cuore dell’esposizione è rappresentato da un allestimento che sia architettonicamente sia metaforicamente simboleggia il periodo più intenso della produzione dell’artista. 

Collage di opere di Fausto Melotti

Questo cuore è racchiuso infatti nelle sale interne del percorso di visita ed evoca gli studi dell’artista a Milano (via Leopardi) e Roma (via Margutta), spazi di intensa creatività in periodi differenti della sua carriera. Le narrazioni delle altre sale si concatenano, talvolta sfumando l’una nell’altra. Il percorso espositivo attraversa i principali nuclei tematici della poetica melottiana: dall’Arte astratta della prima metà degli anni Trenta alle suggestioni urbane e naturali di Città e foreste, passando per Cosmologie e i miti antichi, fino agli Alfabeti, testimonianza del profondo legame di Melotti con la scrittura, oltre che al disegno e alla scultura. 

Collage di opere di Fausto Melotti

Due sezioni, intitolate Intervalli e contrappunti e Pioggia e vento, raccolgono opere ispirate rispettivamente alla musica e ai ritmi naturali. Risonanze che si intrecciano indissolubilmente ai concetti di vuoto e silenzio.

Collage di opere di Fausto Melotti

 Infine, ampio spazio è riservato alla Produzione ceramica e ai Teatrini, piccoli scenari abitati da figure antropomorfe che Melotti ha realizzato a partire dalla metà degli anni Quaranta. La presentazione delle opere tiene conto delle esposizioni storiche di Melotti, adottando soluzioni espositive da lui stesso ideate, come i caratteristici piedistalli a “I”. Per completare il quadro, la Biblioteca della GAM espone al proprio interno una selezione di documenti e fotografie.

Collage di opere di Fausto Melotti

“Dove lo spazio chiama il segno”[5] di Alice Cattaneo racconta invece diversi momenti della ricerca dell’artista, una ricerca improntata su parole come ritmo, interruzione e cura.

Giosetta Fioroni, "La ragazza della TV", 1964, smalto su tela.

Per quanto riguarda Giosetta Fioroni[6], invece, c’è poco da dire, ma… molto da guardare. La mostra[7], seppur piccina piccina - si compone infatti, di un dipinto e quattro filmati, proiettati su altrettanti schermi – parla al visitatore senza far uso del sonoro.  I film, proprio come il dipinto, sono muti, ma raccontano di specchi e riflessioni, e della strana risonanza che mette in collegamento vanità e timidezza, tangibilità e inconsistenza, essenza e apparenza. Come specchi negli specchi, le immagini che vediamo nelle opere di Giosetta Fioroni non sono di prima mano, ma rappresentano riflessi di immagini, e questo dà l’impressione di trovarsi in una realtà bidimensionale che fa di tutto per apparire a tre dimensioni. L’ “argento” – colore dominante delle pellicole in b/n (e del dipinto) – accentua, secondo me, questa impressione. Ma io non so granché nemmeno di Arte filmico-cinematografica, quindi mi rifaccio, ancora una volta, alle mie sensazioni… Comunque sia, a proposito delle sue opere, Fioroni ha detto: “Cercavo la leggerezza quasi di un’antica sequenza dei fratelli Lumière, del primo cinema, qualcosa che proprio trascorre […], qualcosa che poteva suggerire in chi guardava un che di tremulo, di estremamente lieve: un’apparenza, una dissolvenza”.

 

Le mostre di cui vi ho parlato in questo articolo sono talmente particolari che non so se affermare che sono adatte a tutti o solo ad alcuni, ma una cosa è certa: se andrete a visitarle, non limitatevi a osservarle con gli occhi, cercate di “sentirle” con lo stomaco.



[1] Se volete saperne di più, potete consultare l’articolo che scrissi in merito. Lo trovate a questo link: 

https://manumelaracconti.blogspot.com/2024/10/berthe-morisot-e-la-nuova-gam.html 

[2] Generosamente offerti e pubblicati da Allemandi Editore.

[3] Dal 16 aprile al 7 settembre 2025 alla GAM di Torino.

[4] A cura di Chiara Bertola e Fabio Cafagna, in collaborazione con Fondazione Fausto Melotti e con il contributo di Galleria Christian Stein e il sostegno di Hauser & Wirth. Dal 16 aprile al 7 settembre 2025. Alla GAM di Torino.

[5] A cura di Giovanni Giacomo Paolin. Dal 16 aprile  al 7 settembre 2025. Spazio del Contemporaneo, GAM Torino.

[6] Coppie, Gioco, Goffredo e Solitudine femminile – questi i titoli delle pellicole – sono stati girati tutti nel 1967, ma la mostra si apre con un dipinto del 1964, intitolato La ragazza della TV.

 

[7] A cura di Elena Volpato. Visitabile dal 16 aprile al 7 settembre 2025. Nella videoteca della GAM di Torino.

 


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