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LA BELLEZZA

lunedì 30 settembre 2024

LA COSCIENZA DELLE PIANTE

Nikolai Prestia, "La coscienza delle piante", Marsilio.

 

Questo libro è tante cose, ma è soprattutto un percorso che ogni lettore fa mentre il protagonista – Marco – compie il proprio. È un percorso a tappe e a temi, e di temi ce ne sono tanti, e sono tutti molto scottanti. La meta è la guarigione; quella guarigione che deriva dalla consapevolezza, consapevolezza che si raggiunge scavandosi dentro, andando oltre vergogna e la paura, oltre il disprezzo di se stessi e oltre il giudizio degli altri.

Questo libro è un’indagine sul rapporto tra genitori e figli, tra compaesani, tra laureati e non laureati, tra ciò che sembra volere la società da noi e ciò che, invece, noi vogliamo. Coloro che ci circondano, infatti, sembrano sempre aspettarsi qualcosa da noi, e su di noi riversano il peso di ciò che non hanno potuto realizzare loro.

In questo libro la parola chiave è “colpa”. Sia come senso, sia come dolo. Marco è una specie di portavoce di tutti coloro che si sentono sbagliati, in difetto, incompiuti, inadeguati, perdenti, falliti, sbagliati, vuoti. Marco si sente spettatore della propria vita e prova il terribile contrasto tra l’aver paura di morire e il sentirsi incapace di vivere. Marco avrebbe solo bisogno di trovare la propria strada, invece avverte su di sé quella intollerabile pressione che oggi tanti, troppi giovani sentono sulle loro spalle. Marco ha bisogno di distinguere il volere degli altri dal proprio; ha bisogno di sapere se la strada che sceglierà sarà dipesa da lui o dalla famiglia o – peggio ancora – dalla società. Perché la società ci impone di diventare un pezzo di carta, ci costringe a identificarci con un titolo di studio. In questo modo, una laurea può rappresentare due cose: un mezzo propedeutico al coronamento di un sogno oppure l’identità di chi l’ha acquisita. Se ne deduce che chi possiede un titolo di studio “superiore” è esso stesso superiore a coloro che un “pezzo di carta” non ce l’hanno. Per la società, un individuo viene catalogato come un elemento di serie A oppure uno di serie B, ed è considerato come qualcuno che si è realizzato oppure un fallito. Come se il fallimento fosse una cosa di cui vergognarsi…

“Inconsapevolmente, feci mia l’idea che fallire era una cosa da falliti, che rallentare era una cosa da perdenti”.

Di chi è la colpa se una persona non sta bene o non riesce a raggiungere gli obiettivi richiesti o non ci riesce nei tempi prestabiliti da una consuetudine firmata da altri? Dei genitori, degli amici, della società o di Dio? Sembrano domande lecite, legittime, ma per me non è così. Io opterei per:

- perché devo sentirmi in colpa per qualcosa che sono (o che non sono)?

- perché dobbiamo sempre attribuire le colpe (che molto spesso non sono realmente delle colpe) a qualcuno? Vale a dire: perché abbiamo bisogno di un capro espiatorio?

In questo mondo bisogna sempre eccellere, primeggiare, distinguersi, essere perfetti o – almeno – mostrarsi tali. Non si può tentennare, non si può dubitare, cambiare idea, opinione, strada. Invece è indispensabile – ce lo insegnano Marco e suo nonno – imparare a cadere. La caduta dovrebbe essere una materia di studio fondamentale nella vita, qualcuno dovrebbe insegnarci a fallire…

“[…] prima per essere invincibili bisogna fallire. […] fallire è necessario, e a volte è pure giusto”.

“Fallire è normale, così come morire. E la normalità forse se la stanno dimenticando tutti… […] La normalità, forse, spaventa tutti”.

Normalizzare il fallimento significa accorgersi che nessuno è perfetto eppure ognuno lo è, perché ognuno ha i propri tempi, vede e sente le cose a modo proprio, vive a modo proprio ed è diverso da tutti gli altri, anche da chi sembra stia vivendo un’esperienza simile alla sua. Normalizzare il fallimento significa comprendere l’altro, stargli vicino senza giudicarlo, senza appesantirlo con la nostra storia, con le nostre esigenze o col nostro modo di percepire le situazioni, la vita. In alcuni casi riusciremo a salvare qualcuno in difficoltà, altre volte potremmo non riuscirci, ma è importante non addossarsi le colpe del destino altrui: ognuno compie le proprie scelte secondo ciò che ritiene più opportuno.

“Mi torna in mente una frase che era solita dirmi quando da bambino mi rimboccava le coperte. «Se sarai distanza, io diverrò il tempo, per colmarti, per raggiungerti.» Io le domandavo: «Che significa, mamma?» E mentre mi passava la mano sui capelli, sorridendo rispondeva: «Che ti sarò sempre vicino.»”

Questo libro è un esempio calzante del potere distruttivo delle menzogne; delle bugie raccontate agli altri e di quelle – ben peggiori – che raccontiamo a noi stessi. La menzogna, inizialmente, crea due personalità all’interno di un Io e – di conseguenza – due mondi: uno reale e uno costruito, fittizio. A furia di mentire, si finisce col credere alle proprie bugie: la menzogna, a quel punto, diventerà l’unica verità, e fare i conti col mondo reale diventerà complicato ed estremamente doloroso. Chiedere aiuto sarà impensabile, inconcepibile, perché costringerebbe chi è in difficoltà ad ammettere di aver mentito. Per quale ragione questa società ci inculca la convinzione che il fatto di essere umani – e pertanto fallibili - non sia dignitoso? Perché siamo costretti a mantenere una facciata, un’apparenza di pulizia e perfezione, di ordine e bellezza, quando dietro (o dentro) il caos, l’orrore e il dolore ci divorano?

“[…] mi ingannavo prendendo tempo, ma in realtà era lui che prendeva me”.

Mi fa male pensare che un individuo arrivi a vedere la vita come una gabbia, una prigione, e la morte come unica via d’uscita, come una forma di liberazione. Non dovrebbe esistere questa dicotomia tra vivere e sopravvivere, tra supportarsi e sopportarsi. Un uomo non dovrebbe essere l’incubo di se stesso! Ed è terribile non riconoscere il proprio Io nell’immagine che vediamo allo specchio: per quale ragione ci vuole coraggio per essere autentici? Perché non può essere una cosa naturale e spontanea? Perché ci fa tanta paura il cambiamento?

E, a proposito di cambiamento, tra le cose che appartengono a questo libro c’è anche l’elaborazione del lutto, anzi, di due tipi di lutto: il lutto per la morte dei nostri cari, ma anche quello per la morte di una parte di noi. Perdere qualcuno che amiamo è talmente straziante che non sempre riusciamo a “metabolizzare” la perdita. Affrontare una mancanza è difficile e complicato, più ancora che affrontare una presenza: con una presenza è più facile fare i conti perché la vedi, la senti, le parli; mentre ciò che non c’è più tende a permeare le nostre vite, a soffocarle, senza darci la possibilità di afferrarlo, confrontarci con esso per poi, finalmente, lasciarlo andare.

È possibile sanare un debito con qualcuno che non è più con noi?

 

“La coscienza delle piante” è un libro doloroso e bellissimo, uno dei più belli tra quelli che ho letto quest’anno, e avrei potuto dire molto di più, ma credo che le pagine di Nikolai Prestia siano così dense che sviscerare ogni cosa, ogni particolare, avrebbe solo appesantito il mio articolo. Spero comunque, nella mia brevità, di avergli reso giustizia.

 

mercoledì 25 settembre 2024

CHANGE! e MEMORIE D'ACQUA

 

Change! Ieri, oggi, domani. Il Po

CHANGE! Ieri, oggi, domani. Il Po - approfondisce il tema della crisi climatica, offrendo un sunto dei cambiamenti millenari lungo il percorso del fiume Po, paradigma di quanto sta avvenendo su scala mondiale.

Il progetto espositivo – dall’allestimento variegato e multiforme – punta l’attenzione sul tema dell’acqua e in particolare sul fiume Po, coi suoi 652 chilometri di lunghezza, 141 affluenti, quasi 87.000 chilometri quadrati di bacino idrografico, 19.850.000 di abitanti, il 37% della produzione agricola italiana, il 55% dell’industria zootecnica nazionale…

Il Po e il bacino padano, dove si produce il 40% del PIL nazionale, costituiscono una delle aree con la più alta concentrazione di popolazione, industrie e attività commerciali a livello europeo. La mostra Change! ha l’obiettivo di descrivere i cambiamenti avvenuti nel tempo, offrendo occasioni di riflessione sulla crisi e sui possibili scenari di adattamento ad essa, ma anche di esortare all’azione e alla presa di coscienza: è necessario agire, prima che sia troppo tardi!

Dal forte impatto scenografico ed emotivo, grazie al progetto di Emilio Alberti e Mauro Zocchetta, la mostra si apre con una formidabile installazione capace di proiettare il paesaggio di dieci milioni di anni or sono, tramite il mondo dei fossili per poi proseguire con un’esposizione che intesse un racconto visivo tutto sviluppato nell’interazione tra grande pittura e fotografia, illustrazione e infografica.

Change! Ieri, oggi, domani. Il Po. Un mio collage di immagini.

 Per mostrare  come appariva ieri il mondo c’è una selezione di dipinti veramente eccezionale, nella quale compaiono nomi come Luigi Onetti, Guido Cordero di Montezemolo, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Antonio Fontanesi, Vittorio Amedeo Cignaroli, Luigi Baldassarre Reviglio e Carlo Pittara.

Change! Ieri, oggi, domani. Il Po. Un mio collage di immagini.

 E ci sono foto e stampe meravigliose, tra le quali spiccano quelle di Mario Gabinio e Riccardo Moncalvo. Per mostrare e dimostrare in cosa il mondo si sta trasformando oggi, invece, c’è una sezione che vi lascerà sbalorditi… Viene spontaneo domandarsi: dove sono finite le stelle? Ricordo che quando, da bambina, i miei mi portarono al Colle del Lis, restai senza fiato nel guardare il cielo: c’erano talmente tante stelle che sembrava di vedere un enorme tappeto luminoso! Quella visione mi ha incantata e la conservo nel cuore perché solo lì posso sperare di rivederla, se le cose non cambieranno. O, meglio, se non faremo in modo che cambino.

Change! Ieri, oggi, domani. Il Po. Un mio collage di immagini.

 

 Il futuro dipende da noi.

 Video, foto, dipinti, oggetti, reperti, fossili… Change! è una mostra ricchissima che “sfocia” (tanto per restare in tema acquatico) in un’altra mostra, MEMORIE D’ACQUA. Parole e immagini.

Al primo impatto, Memorie d’acqua può sembrare una mostra “di nicchia”, una di quelle cose nate e sviluppate solo ed esclusivamente per un pubblico elitario e appassionato dei temi proposti, ma – vista nel contesto in cui è inserita – è tutt’altro che un progetto per pochi scelti. L’esposizione infatti riprende e sviluppa alcune delle tematiche affrontate in Change! e ne fa una sorta di “esploso”: il mozzo di questa strana ruota è la lingua, quella della cultura popolare, della memoria collettiva, relativa, naturalmente, all’acqua, ai suoi usi nel tempo e ai paesaggi che ne sono toccati. Grazie al lavoro svolto dall’Atlante Linguistico Italiano - Istituto fondato nel 1924 sotto la direzione di Matteo Giulio Bartoli (1873-1946) all’Università di Torino, con il supporto della Società Filologica Friulana – Memorie d’acqua fornisce una selezione di carte geografiche (sulle quali – nelle loro versioni estese - sono riprodotte, per ogni località italiana esplorata, le corrispondenti traduzioni dialettali di un concetto, di una nozione, o di una frase, raccolte dalla viva voce delle persone), fotografie d’epoca, cartellini, curiosità, documenti e campioni atti a fornire uno spaccato dell’evoluzione di uomo, paesaggio e lingua. L’ALI (Atlante Linguistico Italiano) è infatti detentore di una raccolta che conta oltre 5 milioni di schede dialettali e quasi 10.000 fotografie etnografiche dall’altissimo valore documentario.

Memorie d'acqua. Parole e immagini. Un mio collage.

La mostra desidera valorizzare in particolare le competenze e i meriti del primo raccoglitore di voci, Ugo Pellis (1882-1943), con una selezione di carte – dal 1995 pubblicate in volumi a stampa – e di schede dialettali, di strumenti usati per la raccolta dei dati e di fotografie realizzate negli anni Trenta e Quaranta del Novecento nell’Italia Settentrionale, a corredo del dato linguistico.

Memorie d'acqua. Parole e immagini. Un mio collage.

In particolare, vengono illustrate le modalità attraverso le quali il legame inscindibile tra il dato linguistico e quello etnografico viene trattato sia nella fase di raccolta delle voci, durante la quale i ricercatori sul campo si avvalsero di immagini e di fotografie per sollecitare traduzioni letterali, sia nella fase di pubblicazione dei risultati. Particolare rilievo assume il dato iconografico poiché, oltre a costituire un elemento cruciale di questo processo, rappresenta oggigiorno una testimonianza preziosissima dell’Italia rurale della prima metà del Novecento.

Vi faccio un esempio, così rendo più afferrabile il concetto di questa mostra.

In una delle teche c’è una carta geografico-dialettale che riporta molti dei nomi con cui, nei vari comuni, veniva chiamato il martin pescatore (Alcedo atthis), un bellissimo uccello dai colori vivaci. Merla pescoira, martin piscù, merlu piumbin, pìa-pes, merlu pescadur, ucel da la madone, sverdulis, sirena sono solo una manciata di questi appellativi. Consideriamo, infatti, che le denominazioni della fauna selvatica spesso devono la propria origine a caratteristiche fisiche o comportamentali degli animali. Così la forma più diffusa, piombin, deriva dal termine latino che indicava il piombo, usato qui per identificare come perfettamente perpendicolari all’acqua i tuffi eseguiti dal volatile per pescare le sue prede. Sverdulis (ma anche verdulin) sono invece denominazioni dovute alla colorazione verde-azzurra del piumaggio. Sirena, probabilmente, è dovuto al fatto che i colori delle sue piume assomigliano a quelli del cielo quando è sereno. Ucel da la madone (uccello della Madonna), ancora una volta, richiama l’attenzione sul colore del piumaggio, colore che per antonomasia viene associato alla Madonna.

Memorie d'acqua. Parole e immagini. Il martin pescatore.

Ci sono taccuini traboccanti di trasposizioni dialettali riguardanti ogni oggetto d’uso lavorativo e/o quotidiano, come la secchia di rame e lo scaldaletto; e poi ci sono traduzioni di frasi intere, come ‘Esse si fermarono a chiacchierare’ o ‘Le donne vanno a prendere l’acqua’. In questo modo, vengono rispolverati tanti mestieri, tanti usi e costumi, tante abitudini che oggi, soprattutto per via del progresso tecnologico, sono cambiati o addirittura si sono perduti. Oggi, infatti – e oserei dire ‘per fortuna’ nessuna donna appartenente a un paese industrializzato, ha più bisogno di recarsi al fiume per lavare i panni sporchi: la lavatrice ha sostituito il lavoro manuale! Abbiamo l’acqua in casa e non necessitiamo di andare a estrarla dai pozzi o dai fiumi, caricarcela in spalle e trasportarla fino alla nostra abitazione, ma spesso dimentichiamo che questi sono tutti privilegi e, ancora più spesso, tendiamo a sprecare (e a inquinare) quelle preziose risorse idriche di cui disponiamo.

Ed è qui che Change! e Memorie d’acqua s’incontrano, ovvero nella rievocazione di un passato che sembra ormai lontanissimo e nell’appello a cambiare rotta, in vista di un futuro che non contempli il disastro ambientale cui stiamo assistendo e di cui siamo i maggiori responsabili.

Osservare come è cambiata la Lingua di un popolo, racconta molte cose sulla Storia di quello stesso popolo. La lingua è la Storia narrata tra le righe, è quella Storia che nessuno racconta e che sarebbe stata irrimediabilmente dimenticata se persone come Ugo Pellis non avessero svolto un minuzioso lavoro di ricerca e catalogazione. E osservare come è cambiato il paesaggio – confrontando foto, dipinti e illustrazioni di un tempo con le immagini satellitari e con quelle che possiamo vedere in diretta solamente guardandoci attorno – ci fa capire come siamo cambiati noi, e potrebbe rappresentare una base di partenza per mettere a posto le cose.

La suggestiva prima sala della mostra - Change! Ieri, oggi, domani. Il Po - dove sembra di immergersi nel fiume Po!

Personalmente mi sento molto vicina a tutti questi temi (cambiamento climatico, inquinamento, Lingua e linguaggi, preservazione del pianeta), tanto è vero che – negli anni – ho cambiato il mio regime alimentare e le mie abitudini quotidiane. In più, sto portando avanti un progetto sui miei canali Social, che riguarda proprio le parole: ho infatti ideato un hashtag apposito (#resuscitounaparola) che ha proprio lo scopo di arricchire il vocabolario con il quale ci esprimiamo oggi, ripescando termini che sono caduti in disuso mentre avrebbero ancora molto da dire e da dare. E mi sono avvicinata alla fotografia naturalistica, alla quale ho cominciato ad affiancare poesie per sensibilizzare le persone al rispetto di flora e fauna. A parer mio, l’educazione ambientale andrebbe introdotta come materia di studio (e applicazione pratica) nelle scuole, ma per ora non voglio “esondare”… Vi invito, invece, ad andare a Palazzo Madama (Torino, piazza Castello) per vedere queste mostre.

Change! Ieri, oggi, domani. Il Po. Un fossile.

 Portateci anche i più piccoli: rimarranno sicuramente affascinati dai fossili della prima sezione di Change! 

Change! Ieri, oggi, domani. Il Po. Un fossile.

 e toccati da quella sui vari tipi di inquinamento. D’altronde sono loro il futuro della Terra e devono sapere cosa erediteranno, un giorno, a meno che…

 

Change! Ieri, oggi, domani. Il Po. Dal 26 giugno 2024 al 13 gennaio 2025

Memorie d’acqua. Parole e immagini. Dal 23 settembre al 18 novembre 2024