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LA BELLEZZA

martedì 4 aprile 2023

VIAGGIO AL TERMINE DELLA STATUARIA

Nanda Vigo, "Frammenti di riflessione [exoteric gate]", 1976

 

La scultura è la “lingua morta” dell’arte?

Quando si pensa alla scultura, di solito si pensa a oggetti immobili, bloccati nelle loro pose plastiche; si pensa alle statue dalla vita inanimata, statue a cui si attribuisce un momentaneo soffio vitale nel solo istante in cui si associa il soggetto scolpito alla categoria a cui appartiene: un leone, un uomo, una regina, un cavallo sono creature vive e vitali e, vedendole riproposte in forma scultorea, non è difficile immaginarle tali, ma è questione di attimi e la magia svanisce nel marmo, nella pietra o nel materiale di cui è composta la statua. Non a caso, ne “La scultura lingua morta” del 1945, Arturo Martini faceva il punto amaro sui vincoli della rappresentazione concessi a questa tecnica, e i limiti della sua capacità di sperimentazione, riferendosi in particolare alla statua, imprigionata come “immobile nei secoli, lingua aulica e sacerdotale, simbolica scrittura incapace di svolgersi nei moti quotidiani”. Verdetto che lanciava però un monito altrettanto forte, predittivo: “né più si confonda con la vita apparente in una statua, la vera vita della scultura”.

Dunque cosa aspettarsi dalla nuova mostra allestita da Riccardo Passoni alla GAM di Torino, intitolata “Al termine della statuaria”?

In poche parole? Sfatare il concetto di lingua morta. Distruggere la convinzione, spesso ben radicata, che la scultura sia immobilità, staticità, costrizione, vincolo, prigione. Grazie all’esposizione di 50 opere di 40 artisti attivi in Italia tra il 1940 e il 1980, la mostra si propone di dimostrare il dinamismo, il movimento, la “fluidità” che può permeare l’arte scultorea, se si ha il coraggio di sperimentare.

Come si ottiene l’effetto dinamico in scultura?

La dimostrazione che l’oggetto scolpito non ha nulla da invidiare al soggetto dipinto può essere ottenuta in molti modi: attraverso la scelta del soggetto da scolpire, attraverso l’utilizzo del colore, di materiali non convenzionali o- per meglio dire – non di natura Classica; anche gli espedienti ottici sono utilissimi allo scopo.

Dadamaino [Edoarda Emilia Maino], "Oggetto ottico-cinetico", 1964-1965

 Perciò, le tecniche usate dai 40 artisti vi stupiranno per i loro risultati. Plastica, lamiera, acciaio, poliuretano espanso, cartone, ottone, polistirolo, legno, specchi, terracotta, alluminio sono tra i materiali più usati; recupero e assemblaggio di materiali di scarto, giochi di luci, geometrie, disequilibri, fusioni di antico e moderno, contraddizioni, tocchi di colore (soprattutto oro, rosso e blu) sono, invece, alcune delle tecniche di cui si fa sfoggio. E i soggetti? L’essere umano non manca, 

Agenore Fabbri, "La rissa", 1951

ma sono anche rappresentati concetti astratti, così come il rapporto dell’uomo con la natura e – di conseguenza – dell’arte con la natura. E, a proposito di natura, vedendo “La zuccaia” di Piero Gilardi, è lecito pensare che la scultura possa essere adatta a rappresentare persino cose che sono prerogative della pittura, ovvero le nature morte.

Piero Gilardi, "Zuccaia", 1966

 

 Tra tutto, però, trovo che l’utilizzo degli specchi sia particolarmente interessante in quanto lo spettatore stesso diventa scultura e, muovendosi di fronte ad essi, rende dinamica la struttura specchiante.

Pietro Gallina, "Ombra specchiante di uomo", 1967

L’uso del colore: il colore ha la capacità - insieme alle luci e alle ombre – di donare tridimensionalità, spessore e volume alle figure; ma è anche in grado di aggiungere un carico simbolico alle rappresentazioni, comprese quelle di natura strettamente geometrica.

Claudio Parmiggiani, "La tela filosofica", 1977

 Si aggiunga a ciò anche il fatto che il colore richiama la tradizione pittorica e questa miscellanea di tecniche fa sì che sia manifesta l’intenzione di sovvertire l’opinione comune nei confronti della scultura.

Vettor Pisani, "Madonna dei pennelli", 1978

Geometria e disequilibrio: nell’opera di Giuseppe Uncini (“Ombra di un cubo sospeso T8”) è quanto mai evidente il bisogno di uscire dalla plasticità della posa, enfatizzato dal senso di imminente caduta che emana dalla pendenza della scultura.

Giuseppe Uncini, "Ombra di un cubo sospeso T8", 1973

 Tale bisogno si percepisce anche nell’opera vicina (“Costruttivo 1/69, Alfa” di Nicola Carrino), un organismo modulare scalare in 4 blocchi, trasformabile. 

Nicola Carrino, "Costruttivo 1/69, Alfa", 1969

Tutto questo non toglie che anche l’equilibrio, se ben sfruttato, abbia le potenzialità di trasmettere dinamismo: mi riferisco, ad esempio, agli “Equilibristi” di Giuseppe Tarantino.

Giuseppe Tarantino, "Equilibristi", 1954

 

Contraddizioni: destinata originariamente a emergere dal manto erboso, la “piattezza” dell’opera di Lucio Fontana (“Concetto spaziale”) sovverte i principi primi della scultura.

Lucio Fontana, "Concetto spaziale", 1952

 Stranamente, però, il contrasto tra la quasi bidimensionalità dell’opera di Fontana non fa altro che esaltare la ricerca delle tre dimensioni spaziali all’interno della dimensione temporale. Il risultato, infatti, assomiglia a un’ “emersione” progressiva  della scultura dal terreno. La contraddizione in termini (e non solo) della scultura bidimensionale risulta essere, pertanto, il corrispettivo di un ossimoro. Grazie a questa similitudine tra arte e letteratura ho l’occasione di riprendere la domanda iniziale: la scultura è la “lingua morta” dell’arte?

Mario Ceroli, "La Grande Cina", 1968

  La risposta è… no! Nelle sculture c’è vita, c’è fermento, c’è dinamismo, c’è un'energia che aspetta solo di essere colta e liberata.

Fausto Melotti, "Scultura A - I pendoli", 1968


La mostra sarà visitabile dal 04-04-23 al 10-09-23

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