Nel libro di
Francesco Piccolo, “L’animale che mi porto dentro”, convivono moltissimi
elementi, tra cui:
-
L’importanza di sentirsi parte di
“qualcosa” (un gruppo, un progetto, un obiettivo comune, ecc.).
-
Il sacrificio dell’ “Io” per
appartenere a un “Noi”.
-
Il dualismo, anzi, il pluralismo: in
ognuno di noi ci sono tanti “io”, tante personalità ed è difficile riuscire a
farle convivere in modo equilibrato perché una tenderà a prevalere sulle altre
oppure si alterneranno a seconda delle circostanze.[1]
-
Essere se stessi sfoderando una
personalità ribelle che sarà motivo di delusione per la comunità oppure
adattarsi (volenti o nolenti) per essere l’orgoglio di quella stessa comunità?
-
Il legame con i coetanei contrapposto
al legame con gli adulti.
-
La pressione esercitata dalla
prestazioni sessuali contrapposta alla potenza e all’’importanza dei
sentimenti.
-
La paura di essere giudicati meno
virili nel momento in cui, sulla “bilancia”, prevalgono i sentimenti.
-
Mostrare la propria vulnerabilità:
dignitoso o inaccettabile?
-
Quanto contano i geni (intesi come
patrimonio genetico) nello sviluppo della personalità di un individuo? Cioè:
quanto si è simili/dissimili dai propri genitori?
-
Si possono usare l’indifferenza o
l’ignoranza come scudo di protezione contro gli urti della vita?
-
Bestialità e sensibilità: motivi di
orgoglio o di vergogna?
-
All’interno di ogni uomo c’è una
comunità/assemblea di persone formata dai genitori, dagli amici, dai parenti,
dai conoscenti, dalle autorità, dagli “idoli”, ecc. che ne controlla la personalità
e ne determina le scelte e le decisioni.[2] Non si è
mai soli, la sorveglianza è permanente, come in una prigione mentale in cui si
è sia detenuti sia carcerieri…[3]
-
L’importanza di non identificarsi con
nessuna delle proprie caratteristiche per lasciarsi liberi di scoprire tutte le
sfaccettature della propria personalità.[4]
-
I difficili passaggi dall’infanzia
all’adolescenza e da quest’ultima all’età adulta.
Un libro intimo, toccante,
ricco e ben strutturato. Una lettura meravigli
[1] Se voleste
approfondire questo concetto, vi consiglio la lettura di “Sei personaggi in
cerca d’autore” di Luigi Pirandello, Mondadori Edizioni.
[2] “L’occhio sociale,
dal punto di vista dei maschi, è una versione ancora più estremizzata del
panopticon, teorizzato da Foucault in
Sorvegliare e punire, e cioè è una specie di controllo totale di tutti su
tutti. non c’è solo lo sguardo di un sorvegliante su tutti gli altri, ogni
maschio ha uno sguardo sugli altri e così tutti si controllano a vicenda. Ogni
maschio è sorvegliante e detenuto. Ora, anche se tenti di sfuggire al controllo
con la scelta di non fissare il tuo sguardo sugli altri, non per questo ti sei
liberato dello sguardo degli altri su di te. In questo modo è l’intera comunità
che assume il ruolo di controllore. Come dice Focault: il potere dello sguardo
tiene tutti assoggettati, in uno stato costante di osservazione.
Osservare ed essere osservati: un
modo di stare al mondo al quale un maschio cresciuto con le regole che gli sono
state date (e che ho cercato di raccontare), difficilmente si sentirà
liberato”. Pag. 175
[3] Se voleste
approfondire questo concetto, potete leggere “La teoria del tutto raccontata da
te” di Igor Sibaldi, Salani Editore.
[4] Per approfondire,
potete leggere i pensieri di Carl Gustav Jung sul concetto di “ombra” e “Lo
strano caso del Dottor Jekyll e del Signor Hide” di Robert Louis Stevenson,
Crescere Edizioni.
Nessun commento:
Posta un commento
Grazie per essere passato/a di qua. Cosa pensi di questo post? Lasciami un commento e ti risponderò al più presto!!!