Su questo pianeta, così affollato, tante persone pensano di poter fare la differenza, tante sperano di poter fare la differenza, tante vogliono fare la differenza, mentre altrettante preferiscono rifugiarsi nell’indifferenza.
La possibilità di raccontare e raccontarsi è, ormai, estesa a tutti (o a
tanti), diffusa e accessibile, e ognuno sgomita per emergere, per far sentire
la propria voce. Tanti (troppi, a dire il vero) non si curano delle conseguenze
e adottano l’ormai vecchio e consolidato detto: “Non importa che se ne parli
bene o che se ne parli male, perché l’importante è che se ne parli”.
Presunzione, paura della solitudine, bisogno di attenzioni, desiderio di
approvazione, senso di appartenenza, senso di giustizia, brama di
potere/fama/gloria/notorietà… Sono svariate le motivazioni che spingono sempre
più persone a dire la propria, soprattutto in rete. Le parole, d’altronde,
stanno diventando i mezzi più potenti a nostra disposizione per comunicare. Le
parole hanno surclassato perfino i silenzi e i gesti. Per questa ragione è -
ora più che mai – necessaria un’“educazione” al linguaggio. E’ importantissimo
prendersi cura delle parole, sceglierle e dosarle con attenzione, onestà e
rispetto. Rispetto per le idee, per le persone e per le diversità. Nasce, così,
il manifesto di Parole O_Stili. [http://paroleostili.com/manifesto/]
1. VIRTUALE E’ REALE.
Dico e scrivo
in rete solo cose che ho il coraggio di dire di persona.
“[…]
basta un niente perché una parola diventi più dura di un sasso e un’invenzione
qualcosa di più vero del bisogno di respirare”. Tommaso Pincio, Il bianco e il nero.
Siamo costantemente
pervasi dal bisogno (e dall’ansia) di postare in rete ogni istante della nostra
vita. I Social sono inondati di
immagini, slogan, pensieri, appelli,
riflessioni e sfoghi. La maggior parte di noi vive più vite in contemporanea
(una per ogni profilo) dedicando grande attenzione a ritoccare foto e a
scegliere frasi ad effetto affinché ottengano visibilità e consensi. Invidiamo
o facciamo il possibile per renderci oggetti d’invidia da parte degli altri.
Puntiamo a far colpo, in ogni caso. Tanto c’è lo schermo pronto a proteggerci. Tanto
siamo al sicuro dietro un cellulare, un computer
o un tablet. Purtroppo non è così,
non sempre, almeno. Ciò che definiamo “virtuale” ha, molto spesso, conseguenze
reali. Ogni schermo dietro il quale ci rifugiamo è un’arma a doppio taglio: da
una parte può conferire sicurezza, aiutare a farsi avanti, a lanciare idee,
progetti, iniziative, pensieri, ma dall’altra può isolare, facendoci
precipitare in una sorta di depressione da solitudine o – al contrario -
donandoci l’illusione di essere intoccabili e facendoci cadere nel tranello
dell’arroganza e della presunzione. Solo perché stiamo parlando ad una
videocamera o solo perché stiamo scrivendo sulla bacheca di un Social non significa che siamo
autorizzati ad esternare qualsiasi cosa ci passi per la mente e in qualsiasi modo
ci venga voglia di farlo! Ogni operazione che decidiamo di svolgere (online o offline) ha delle conseguenze, più o meno grandi. Quando
comunichiamo abbiamo sia diritti sia doveri: il diritto di dire la nostra
opinione e il dovere di accollarci la responsabilità di ciò che comunichiamo e
del modo in cui lo facciamo.
Tante persone covano
grandi insicurezze, hanno paura o si vergognano a mostrarsi per quello che sono
e si sforzano di mostrarsi come credono che gli altri li vogliano. I profili
sui Social assomigliano sempre più a
maschere pirandelliane: identità sempre meno genuine e sempre più costruite.
Quel che dovremmo ricordarci è che non possiamo piacere a tutti e che – anche se
viviamo nell’era dell’ “approvazione a tutti i costi” – ognuno ha il diritto e
il dovere di mantenere la propria identità e la propria genuinità.
2. SI E’ CIO’ CHE SI COMUNICA.
Le parole che
scelgo raccontano la persona che sono: mi rappresentano.
“La
presunzione di essere decisivi, e finali,
solo perché ci riteniamo così. Solo perché non troviamo noi, proprio noi: al
centro costante delle nostre stesse vite, le parole giuste per raccontarci chi
siamo”.
“Le
parole; le parole che contano sono come proiettili d’argento sospesi a mezz’aria:
rigorose soprattutto quando
colpiscono il bersaglio, se sono nate per uccidere, o far uccidere: per morire
loro stesse prima di raggiungere l’obiettivo, perché erano sfocate, sbagliate”.
Giordano Meacci, Io sono il diavolo.
Scegliere le parole
accuratamente non significa plasmare il nostro pensiero affinché si adegui a
ciò che gli altri si aspettano da noi, ma dotare il nostro pensiero dell’ “abito”
adatto (ovvero delle parole giuste) per mostrarlo in pubblico; vestirlo di
chiarezza, semplicità, correttezza, autenticità, sincerità e buona educazione.
Ciò che diciamo non può prescindere dal modo in cui lo esprimiamo, ma le idee
devono mantenere/garantire l’autenticità del nostro pensiero. E’ necessario
scegliere le parole giuste per rappresentare ciò che pensiamo e non plasmare il
pensiero perché si adatti alle parole. E’
facile cadere nelle contraddizioni e nell’incoerenza; è facile essere
travisati, male interpretati, incompresi, equivocati, fraintesi, ed è proprio
per questo che è indispensabile prestare la massima attenzione al modo in cui
ci esprimiamo.
3. LE PAROLE DANNO FORMA AL PENSIERO.
Mi prendo
tutto il tempo necessario a esprimere al meglio quel che penso.
“[…]
non riesce a scacciare via l’immagine della bambina che sorride schioccando la
lingua e pronunciando parole prive di suono, tutte mentali, fatte del suono
della mente. Lo scrittore si scuote a ogni sillaba: è impotente davanti alle
parole, come qualunque scrittore. La mente è un web che preesisteva”.
Giuseppe Genna, Gli ultimi giorni dell’umanità.
Quante volte ci è
capitato di provare una sensazione o – addirittura – un sentimento e non
trovare le parole per esprimerlo? Allora ci affanniamo a cercare il termine
giusto, quello che più sia adatta al nostro sentire. In questo modo, senza che
ce ne rendiamo conto, senza esserne consapevoli, mettiamo in ordine i pensieri.
Come dicevo poc’anzi non si dovrebbe adattare il pensiero alle parole, bensì le
parole al pensiero: questa pratica – però – è difficile da attuare in quanto, a
volte, ci troviamo a fare i conti con una opprimente povertà di linguaggio che,
inevitabilmente, ci fa scendere a compromessi. Come mai tanta penuria di
termini? Le ragioni sono molteplici:
- Ogni lingua è dotata
di un vocabolario che è in grado di esprimere molto bene alcuni concetti a discapito
di altri;
- Ignoranza/insipienza
e pigrizia;
- Il bisogno di
sentirsi parte di un gruppo o di una comunità porta, a volte, le persone a
usare solo alcuni vocaboli. Si vedono fiorire, in tali circostanze, espressioni
gergali, dialettali o – addirittura – neologismi.
4. PRIMA DI PARLARE BISOGNA ASCOLTARE.
Nessuno ha
sempre ragione, neanche io. Ascolto con onestà e apertura.
“
- Senta, ho l’impressione che questa telefonata sia cominciata proprio male.
- Se non le ho ancora detto perché l’ho
chiamata.
- Se le dicessi che non m’interessa saperlo?
- Le risponderei che sta facendo un
grandissimo errore, perché se mi ascolta capirà che quello che voglio dirle è
prezioso”.
“Lei
non regge il confronto dialettico, la disturba essere contrariato perché pensa
di essere al di sopra del dibattito”. Diego De Silva, Lievitazione.
“Nessuno ha la verità
in tasca”, come si suol dire. C’è sempre da imparare perché ognuno di noi è sia
maestro sia allievo e se ci fermassimo alla prima risposta che riteniamo valida
(di solito, la nostra) smetteremmo di crescere come individui e inizieremmo a
morire dentro. E’ cruciale mantenere vivo l’intelletto per non farsi ingabbiare
in schemi di pensiero limitanti e inamovibili. Per essere pronti al dialogo non
basta mettere in discussione: bisognerebbe, innanzitutto, metterSI in
discussione. Ci saranno occasioni in cui ci batteremo per difendere un’idea o
un’ideale che riteniamo particolarmente valido e volte in cui ci sentiremo in
disaccordo con i pareri degli altri: quando si esprime un pensiero ad un
pubblico è naturale che quel pubblico si senta in diritto di dire la propria,
di controbattere, di approvare o – al contrario – di confutare quel pensiero. L’importante
è ascoltare. Prima e dopo. Pregiudizi e preconcetti sono come i paraocchi per i
cavalli: ci impediscono di vedere più di quanto potremmo. Al contrario essere
aperti e disponibili al confronto è un buon modo per accorgersi del mondo
circostante, delle alternative, delle sfumature, delle opportunità e delle
possibilità che abbiamo intorno. Arroccarsi sui propri principi, abbarbicarsi
ai propri schemi di pensiero non permette di crescere mentalmente/intellettualmente
e spiana il terreno all’ottusità; e quest’ultima è spesso foriera di cinismo,
ipocrisia, arroganza e antipatia. Cambiare idea, al contrario, non è segno di
debolezza mentale, bensì di apertura, elasticità e intelligenza. Condannare o
etichettare qualcuno - o addirittura noi stessi – perché si è cambiata l’opinione
su qualcosa è insensato. Resta il fatto che imparare a pensare – ognuno con la
propria testa – è indispensabile. Anche prendere in considerazione le idee di
qualcun altro o persino farle proprie va benissimo, purché lo si faccia
scientemente e senza condizionamenti o forzature dovute ad una nostra
incapacità di criticare. A questo proposito è bene spendere qualche parola sul
significato del termine “criticare”. Letteralmente corrisponde a questa
definizione: attività del pensiero impegnata nell'interpretazione e nella
valutazione del fatto o del documento storico o estetico o delle stesse
funzioni e contenuti dello spirito umano, dal punto di vista gnoseologico e
morale. Nel linguaggio corrente, tutto questo si è contratto assumendo il
significato di “biasimo” e “censura”. Dove sono finite le attività di pensiero
e di discernimento?
5. LE PAROLE SONO UN PONTE.
Scelgo le
parole per comprendere, farmi capire, avvicinarmi agli altri.
“Aspettavo
che si addormentasse per affrontare l’i-Phone, il migliore amico mutato in
serpente a sonagli”. Helena Janeczek, Castelli e ponti.
Le parole sono –
unitamente al linguaggio corporeo (comunicazione non verbale) e ai silenzi – il
nostro più potente mezzo di comunicazione, ma hanno un grande difetto: quando
sono scritte, non sempre riescono ad esprimere il “tono”. Un’affermazione neutra
può facilmente essere percepita come offensiva, l’ironia può essere avvertita
come sarcasmo o una battuta che voleva essere amichevole può – in alcuni casi –
essere scambiata per scherno o insulto. Per limitare le conseguenze di questo
problema spesso facciamo uso delle emoticon,
ma non possiamo affidarci sempre e soltanto ad esse. Sfidiamo la pigrizia e
iniziamo a curare il nostro vocabolario, la nostra proprietà di linguaggio e
sforziamoci di analizzare e scegliere con cura le parole: questa pratica
richiederà tempo e impegno, ma solo in questo modo potremo davvero costruire e
intrecciare relazioni solide basate sul dialogo sincero, sulla comprensione e
sul rispetto.
6. LE PAROLE HANNO CONSEGUENZE.
So che ogni
mia parola può avere conseguenze, piccole o grandi.
“Non
c’è niente di sexy nell’ordine. […] Che idiozia scrivere un post del genere. Ma
come le è venuto in mente?” Alessandra Sarchi, Estensioni.
Le parole sono una
forma di contatto e hanno un peso specifico che si misura valutando l’impatto
che esse– di volta in volta – potrebbero avere all’interno di una
conversazione. Le parole ci mettono in collegamento coi pensieri degli altri e
dobbiamo prendere coscienza del fatto che – a seconda di come vengono
utilizzate – possono influenzare, ferire o, al contrario, lenire. Con le parole
esprimiamo i pensieri che albergano nella nostra mente ed esterniamo i
sentimenti che campeggiano nel nostro cuore. Palesiamo opinioni e giudizi che –
per loro natura – sono estremamente pericolosi. Per noi e per gli altri.
Esprimendo a parole ciò che sentiamo, ci esponiamo.
Sempre più spesso
possiamo assistere o – Dio non voglia – essere vittime del cosiddetto cyber-bullismo, ovvero quella forma di
violenza virtuale che ha le stesse conseguenze (se non conseguenze peggiori)
della violenza fisica. Minare la psiche delle persone è molo semplice; fare
leva sui punti deboli degli altri è crudele e abominevole. Siamo tutti
vulnerabili - in rete e non solo - ancora una volta per quell’ambivalenza
propria della tecnologia, la quale è in grado di conferire un grande potere a
chi la sa sfruttare, ma che – allo stesso tempo – non è in grado di proteggere
i più deboli. E’ assolutamente necessario educare al rispetto.
7. CONDIVIDERE E’ UNA RESPONSABILITA’.
Condivido
testi e immagini solo dopo averli letti, valutati, compresi.
“Nessuno
di loro immaginava che ciò che stavano facendo, diffondendo una notizia falsa,
era inserire dei proiettili veri dentro un fucile vero che un uomo vero avrebbe
imbracciato la mattina del 4 dicembre”. Fabio Geda, Pizzagate.
Ci sono tantissime
persone che commentano i post in rete
senza averli letti nella loro interezza; persone che mettono il “Mi piace”/”Non
mi piace” prima di aver visto un video (o senza averlo visto) andando sulla
fiducia o – al contrario – lasciandosi prendere la mano dal pregiudizio. Poi ci
sono persone che condividono/divulgano informazioni senza averle minimamente
comprese o senza essersi assicurati che corrispondessero alla realtà dei fatti.
Spesso (non sempre, per fortuna) l’immediatezza, la brevità e l’impatto visivo “vincono”
sull’approfondimento e sull’argomentazione. Le immagini ottengono maggior successo
rispetto alle parole e le frasi brevi e concise fanno a pugni con gli articoli
composti da più di due o tre righe. Tutto è studiato per attirare l’attenzione,
per colpire. La fretta e la pigrizia si sposano con la superficialità e la
conseguenza è il dilagare delle fake-news
(= notizie false).
Il più delle volte non
ci rendiamo conto delle responsabilità di cui siamo investiti nel momento in
cui decidiamo di condividere/divulgare
una notizia o un’informazione di qualsiasi tipo: possiamo contribuire al
successo o all’insuccesso di un evento, di una persona, di un’idea o di un’attività;
possiamo difendere e scagionare oppure
screditare; favorire o sfavorire le vendite di determinati prodotti; diffondere
panico e allarmismi o – al contrario – minimizzare o sminuire la gravità di
certi accadimenti; possiamo calunniare e diffamare e – in casi estremi –
istigare al suicidio o all’omicidio.
Sottovalutando le nostre potenzialità sottovalutiamo anche le nostre
responsabilità e questo non è ammissibile!
8. LE IDEE SI POSSONO DISCUTERE. LE PERSONE SI DEVONO RISPETTARE.
Non trasformo
chi sostiene opinioni che non condivido in un nemico da annientare.
“[…]
possiamo discutere senza litigare”. Nadia Terranova, La felicità sconosciuta.
“Il mondo è bello
perché è vario”, si dice. Eppure vediamo nemici ovunque, temiamo la
concorrenza, siamo terrorizzati che gli altri facciano crollare le nostre
certezze come castelli di carte, ma dovremmo imparare che difendere le nostre
opinioni non significa prevaricare le idee degli altri. E’ molto meglio
considerare la diversità una ricchezza piuttosto che una minaccia!
9. GLI INSULTI NON SONO ARGOMENTI.
Non accetto
insulti e aggressività, nemmeno a favore della mia tesi.
“Solo
se riconosciamo la violenza possiamo contrastarla”.
Christian Raimo, Bifida.
Ormai è un must: attacchiamo prima di essere
attaccati per paura di non avere modo di difenderci, ma l’attacco non è la
miglior difesa!
La violenza verbale non
è una prerogativa dei forti, semmai una corazza dei deboli, intendendo con “deboli”
coloro che sono vittime dell’insicurezza e della paura. Queste ultime, infatti,
possono manifestarsi in molti modi: c’è chi attua un attacco preventivo e chi s’immobilizza;
c’è chi aggredisce verbalmente e chi si sente morire le parole in gola.
Ricordiamoci che si possono avere tutte le ragioni di questo mondo e tutte le
prove a proprio favore, ma usare queste cose nella maniera sbagliata conduce
inevitabilmente dalla parte del torto. Quello che prevede la violenza come argomentazione
non si può chiamare ragionamento!
E’ un’utopia estirpare
la rabbia e l’indignazione dalle nostre vite, ma sfogarle attraverso gli
insulti e l’aggressività (per difendere o per attaccare), difficilmente porta a
lieti epiloghi… E’ meglio favorire il dialogo, la critica costruttiva, lo
scambio di idee, piuttosto che ingaggiare attaglia a suon di insulti.
10.
ANCHE IL SILENZIO COMUNICA.
Quando la
scelta migliore è tacere, taccio.
“Ora
c’è il tempo per trovare le parole, per fare quel silenzio, dentro, che occorre
per far nascere immagini, pensieri, visioni nuove, soluzioni, la calma che ti
serve per ricominciare a correre, insieme agli altri”.
Simona Vinci, Dead End.
A volte la cosa più
saggia che si possa fare è esprimere la propria opinione mantenendo il
silenzio. Effettuare una “disintossicazione” dalle parole, all’occorrenza, è
utile e sicuramente preferibile all’aprire la bocca a casaccio, soltanto per il
gusto di dire qualcosa.
Un libro prezioso.
Lascio qui sotto il link, per tutti coloro che vorranno approfondire il progetto di Parole O_Stili:
http://paroleostili.com/
Un libro prezioso.
Lascio qui sotto il link, per tutti coloro che vorranno approfondire il progetto di Parole O_Stili:
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