Il
punto di vista di “Notti bianche” è quello di un sognatore di cui non abbiamo
indicazioni per quanto riguarda il nome e neppure per ciò che concerne l’aspetto
fisico. La narrazione avviene in prima persona, ma non avendo alcun tipo di
informazione fisica o biografica del nostro sognatore, abbiamo l’impressione di
trovarci di fronte al racconto di una figura eterea, impalpabile, la quale
esiste per il solo fatto di sognare. Ma che cosa è esattamente il sogno per
Dostoevskij? Il sogno è capacità immaginifica, pura immaginazione. Le vicende
si svolgono a Pietroburgo, una città che – in “Notti bianche” – non è la
Pietroburgo reale e conosciuta, ma una Pietroburgo - per l’appunto - immaginaria, parallela, scaturita
dalla mente creativa del sognatore, il quale vive in uno stato di profonda
solitudine che lo porta – addirittura - a intavolare conversazioni con le case,
trattandole alla stregua di creature viventi dotate di personalità. Il tempo in
cui trascorre la propria esistenza il sognatore è distorto, esattamente come è
distorto lo spazio in cui egli o – forse
sarebbe meglio dire - esso si muove. Il sognatore può vivere una vita intera in
poche ore, fatta di cose meravigliose, ma totalmente inafferrabili. La
struttura di questo breve romanzo è quella di un diario suddiviso in quattro
notti e un mattino, anche se – alla fine della narrazione (ovvero al mattino) – il tempo sembra dilatarsi, pare
espandersi, fino ad appropriarsi dell’intera vita del sognatore. La trama
rispecchia il protagonista: poco articolata e fondata sul classico triangolo
amoroso in cui lui ama lei, ma lei ama l’altro. Nonostante un triangolo non
lasci dubbi sul fatto di avere solo tre personaggi in scena, secondo la mia
visione delle cose le figure coinvolte sono almeno quattro: “lui” (il sognatore), “lei” (Nasten’ka, l’unico
sogno diventato – forse – realtà, per il nostro protagonista), “l’altro”
(ovvero l’innamorato di Nasten’ka e quindi il rivale del sognatore, l’uomo
dalla vita concreta e reale) e la Solitudine, nella quale il nostro
protagonista sembra crogiolarsi con tormento, quasi abbandonandosi ad una vita
di accidia. Il linguaggio del sognatore è altalenante: a tratti semplice, quasi
trascurato, a tratti magistrale, quasi una prosa da “libro stampato” . E
altalenante è anche l’umore dei due protagonisti, in particolare quello di
Nasten’ka, tanto da essere in grado di influenzare rispettivamente gli animi
dell’uno e dell’altra come se questi stessero su una montagna russa. Il
romanticismo di Dostoevskij conferisce alla narrazione un lirismo delicato, ma
commovente. Il tempo atmosferico sembra persino riflettere lo stato d’animo del
protagonista il cui destino è quello di vivere e rivivere un’intera vita
ripercorrendo un solo attimo di beatitudine. Il conforto di una vita in un solo
istante di immensa gioia. Il lettore percepisce una sorta di nebbia, una
dissolvenza – se vogliamo – nelle immagini che Dostoevskij propone in “Notti
bianche” e proprio questa nebbia mi ha portata a chiedermi: quale delle quattro
figure presenti in questo racconto è davvero reale? Quale di esse è una
proiezione di chi?
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