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LA BELLEZZA

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mercoledì 23 maggio 2018

MINI-POST su "Una donna" di Annie Ernaux, L'Orma Editore.


“Non ascolterò più la sua voce. Era lei, le sue parole, le sue mani, i suoi gesti, la sua maniera di ridere e camminare, a unire la donna che sono alla bambina che sono stata. Ho perso l’ultimo legame con il mondo da cui provengo”.
Con Una donna Annie Ernaux ha voluto onorare la figura di sua madre, renderle omaggio ricostruendone la storia, la vita. La scrittura, per questa autrice, è catartica e ben si presta ad esorcizzare il dolore causato dalla perdita di un genitore.
“Non ho detto a nessuno che sto scrivendo su mia madre. Ma non sto scrivendo su di lei, piuttosto ho l’impressione di vivere assieme a lei in un tempo, in luoghi, in cui è ancora viva”.
 Quel dolore che è simile a una pugnalata: improvviso, acuto, insopportabile. Quel dolore che nasce ogni volta che alla mente si affaccia il pensiero, il ricordo, la consapevolezza di aver perso una persona cara. Quel dolore spiazzante, annichilente, dato dall’assenza definitiva della donna più importante nella vita di ogni individuo. Perché, se è vero che la mamma è sempre la mamma, è pur vero che una mamma – prima di essere una mamma – è una donna; una donna con la propria storia, il proprio passato, la propria vita alle spalle.
“Questa sensazione, nella quale la presenza illusoria di una madre è più forte della sua assenza reale, dev’essere la prima forma dell’oblio”.
A volte è difficile analizzare i propri genitori, contestualizzarli anche - e soprattutto - nei periodi della loro vita in cui noi figli non c’eravamo ancora o eravamo troppo piccoli per ricordarcene, ma bisogna ricordare che ogni individuo recita numerosi ruoli durante il corso della propria esistenza, ha molte “maschere” che indossa a seconda delle necessità. Annie Ernaux sviscera in modo magistrale queste sfaccettature della madre e analizza anche se stessa in rapporto a quelle “maschere” di cui parlavo poc’anzi. E’ interessante notare anche come – attraverso la narrazione della vita della madre – Annie Ernaux riesca a raccontarci perfino il modus vivendi degli anni in cui la madre era giovane: la povertà, l’indigenza, la severità e il rigore erano all’ordine del giorno, ma prima di ogni cosa lo era la dignità.
E’ semplice e naturale cedere all’empatia, leggendo le parole della Ernaux. Annie ci racconta quanto sia straziante vedere la propria madre logorata dall’Alzheimer, malattia che – per sua natura - è solita ledere l’identità e la dignità di chi ne è affetto. La scrittura diventa, pertanto, un grido, un’esplosione che libera la tensione e il dolore accumulati nel tempo.
Un libro magnifico, un’esortazione a godere appieno di ogni istante che possiamo trascorrere in compagnia dei nostri cari.

giovedì 17 maggio 2018

"Angeli minori" di Antoine Volodine. L'Orma Editore


La civiltà è da tempo tramontata, e alcune vegliarde immortali guardano con occhi delusi il nipote Will Scheidmann: lo hanno creato con pezzi di stoffa e incantesimi, ma ne sono state tradite. Pronto a essere giustiziato dalle proprie nonne, Will le intrattiene come un novello Sheherazade con una particolarissima forma di racconti intessuti di storie  e figure stranianti allucinate: sono i narrat, «istantanee romanzesche» di sua invenzione, nelle quali tutte le trame di un’unica tela narrativa si incrociano, si sfilacciano, si riuniscono. L’umanità di cui narra è ormai quasi estinta, e solo sparute voci si levano da una terra ridotta a un ammasso post-apocalittico di tendopoli e rovine. Le strade sono, però, ancora vive di una piccola e folle masnada di musicisti, scrittori, vagabondi  e sciamani, che pur nella disperazione non rinuncia alle speranze dell’amore e al piacere di un humor nero feroce e vitale.
Angeli minori è un’opera seducente e folgorante su un mondo oltre la fine del mondo. Una sinfonia di voci e personaggi che provengono da un futuro riposto nei lati oscuri della nostra coscienza.


RECENSIONE

Realtà distorte che non si distinguono dai sogni… O dagli incubi. In un surrealismo degno di Kafka si alternano personaggi che a definirli strani o bizzarri li si renderebbe quasi normali o – quantomeno – plausibili. Storie a un passo dal delirio, frammenti di vite, pochi fotogrammi per ogni racconto… Fotogrammi che, se collegati tra loro, vanno a comporre un puzzle di una bellezza inquietante. E il senso di profonda inquietudine viene amplificato dalla freddezza con cui Volodine è solito rappresentare scene cruente o macabre, dando forma a quella che potrebbe definirsi “ordinaria follia”. Magia, sciamanismo e dettagli onirici fungono da collante, in questo romanzo dallo stile visionario.
Angeli minori è una raccolta di racconti brevi, sconvolgenti e apparentemente sconnessi tra loro che trovano, però – pian piano – un filo conduttore nella creazione di un mondo a pochi passi – eppure distante anni luce – da quello in cui viviamo. Ogni racconto – imprescindibile dagli altri - è paragonabile a una fiaba, a una leggenda che lascia nel lettore uno sconcerto simile a un seme: lentamente ogni seme metterà radici, germoglierà e darà origine a fiori spaventosi per la loro natura unica e sinistra. A quel punto l’apparente nonsense, che si sarà fatto largo nella mente del lettore, assumerà - via via – contorni più limpidi, più nitidi, rivelando immagini grottesche e mostruose, ma – allo stesso tempo – affascinanti, quasi ipnotiche.
Se è vero che ogni racconto è indispensabile per dar vita a uno scenario distopico intriso di decadentismo, è anche vero che alcuni dei racconti presenti in Angeli minori “passano” come una folata di vento davanti allo sguardo attonito del lettore, lasciandogli all’interno soltanto immagini frammentarie, come al risveglio da un sogno… O da un incubo.
Volodine è stato in grado di rappresentare un mondo in prossimità del collasso totale in cui, però, il percorso per arrivare alla fine risulta essere ancora lungo ed estenuante. Il crollo dell’umanesimo è reso magistralmente grazie allo “stile onirico” dell’autore, il quale è riuscito a conferire a questo romanzo l’aspetto di una serie televisiva. Ogni racconto è come una puntata di tale serie.
I riferimenti politici sono sempre presenti anche se li si può trovare sotto varie forme che vanno dalla velata ironia al sarcasmo più pungente.
Desolazione, solitudine, silenzio e squallore si amalgamano perfettamente tra loro in una realtà in cui il cannibalismo è – ormai – all’ordine del giorno. Gli scenari ricordano vagamente quelli descritti da McCarthy nel suo La strada.
Analizzando più a fondo Angeli minori, si scorge una particolarità anche nel narratore: esso sembra sempre lo stesso e – contemporaneamente - sempre diverso.  E’ come se una sorta di coscienza collettiva si esprimesse – di volta in volta – attraverso un personaggio diverso. Sono proprio questi personaggi gli “angeli minori” cui si fa riferimento nel titolo;  sono i protagonisti dei narrat di Will, sono gli ultimi sopravvissuti di un’umanità decimata, quasi estinta.
Una volta terminata la lettura di questo romanzo è inevitabile sentirsi come al risveglio da un sonno dominato da sogni tormentosi e arrivare a chiedersi: ho sognato il futuro?

martedì 18 aprile 2017

"L'altra figlia" di Annie Ernaux. L'Orma Editore.

Annie ha dieci anni quando  un giorno - per caso - sente la madre rivelare un pesante segreto ad una donna: lei non è figlia unica. E' così che Annie scopre di aver avuto una sorella o - meglio - scopre che i suoi genitori hanno avuto un'altra figlia (Ginette), deceduta due anni e mezzo prima della sua nascita. Una presenza ingombrante, un fantasma, un'ombra nella vita di Annie, le cui percezioni - da quel momento in avanti - non saranno più le stesse.

"Secondo l'anagrafe sei mia sorella. Porti anche il mio stesso cognome, [...]. Sul libretto di famiglia dei genitori, quasi a brandelli, nella sezione Nascite e Decessi dei Figli nati nel Matrimonio figuriamo una dopo l'altra. Tu per prima, [...] e sotto io, [...]. 
Ma tu non sei mia sorella, non lo sei mai stata. Non abbiamo giocato, mangiato, dormito insieme. Non ti ho mai toccata, abbracciata. Non conosco il colore dei tuoi occhi. Non ti ho mai vista. Sei senza corpo, senza voce, sei giusto un'immagine piatta su qualche foto in bianco e nero. Non ho alcun ricordo di te. Quando sono nata eri già morta da due anni e mezzo. Tu sei [...] la bambina invisibile di cui non si parlava mai, la grande assente da tutte le conversazioni. Il segreto. Sei sempre stata morta. Sei entrata morta nella mia vita nell'estate dei miei dieci anni. Nata e morta in un racconto, [...].

Come può, una persona che non c'è più, rappresentare una presenza tanto ingombrante nella vita di chi è ancora su questa Terra? Ce lo racconta Annie Ernaux in questo libro meraviglioso intitolato "L'altra figlia", dove  l'altra figlia non è Ginette, ma la stessa Annie.
Come può, una notizia, avere un tale impatto fisico su una persona pur non detenendo il "potere" di toccare?
La Ernaux "mette a nudo" tutti i suoi sentimenti, tutte le sue sensazioni e tutti i suoi pensieri più intimi in questa lettera indirizzata alla sorella Ginette, mai conosciuta. Una lettera che è funzionale affinché Annie possa compiere un'indagine e un  percorso dentro sè stessa; una lettera per rendere omaggio alla  sorella, per informarla di non serbare alcun rancore nei suoi confronti, per farla emergere dai frammenti dei propri ricordi e darle - finalmente - corpo, in modo da poterla lasciare andare e vivere il resto della propria vita senza quell'ombra di fianco a sè. "Forse ho voluto saldare un debito immaginario dandoti a mia volta l'esistenza che la tua morte mi ha dato. Oppure farti rivivere e rimorire per liberarmi di te, della tua ombra. Sfuggirti. Lottare contro la lunga vita dei morti. [...] Eppure un residuo di pensiero magico dentro di me vorrebbe che, in maniera inconcepibile, analogica, questa lettera ti raggiungesse come la notizia della tua esistenza mi ha raggiunta, una domenica d'estate". Scrivere diventa per la Ernaux un espediente per esorcizzare la morte, la paura della morte; scrivere rappresenta un'esperienza catartica per l'autrice di questo libro, che - così facendo - ha la possibilità di fare ordine e chiarezza nel proprio cuore e nella propria mente. "Io non scrivo perché tu sei morta. Tu sei morta perché io possa scrivere, fa una grande differenza". Grazie a questa lettera, il lettore compie un percorso insieme alla scrittrice di cui arriva a comprendere tutti i sentimenti; sentimenti che vanno dalla gioia di essere viva al senso di colpa per la stessa gioia, al senso di colpa per aver avuto il diritto di sopravvivere, alla consapevolezza di dover essere l'unica - tra le due - a poter sopravvivere. Scrivere è - per la Ernaux - una valvola di sfogo, ma anche un mezzo essenziale per comprendere sè stessa e fornire un nome adatto a ciò che prova. Talvolta è difficile dare un nome ai propri sentimenti e - ad un certo punto - anche la Ernaux crede di  aver bisogno di una lingua apposita, di un linguaggio plasmato ad hoc per parlare di Ginette. "Bisognava dunque che tu morissi a sei anni affinché io potessi venire al mondo ed essere salvata.
Orgoglio e senso di colpa nell'essere stata scelta per vivere, in un disegno indecifrabile".
"Orrore e senso di colpa nello scoprire in me il pensiero selvaggio che, evidentemente, tu non fossi fatta per la vita, [...]".
In questo libro capiamo cosa Ginette ha rappresentato per Annie e per i suoi genitori, ma anche cosa ha provato Annie per la figura materna. Annie ha vissuto nel costante paragone con la sorella, una sorella buona, troppo buona,  quasi Santa e questo ha scatenato un dolore indescrivibile nel suo cuore, dove sentiva di rappresentare - per la propria madre - un rimpiazzo indegno della perfetta sorella ormai defunta, ma sempre viva nel ricordo dei genitori. "Ti devono aver detto 'quando sarai grande', illustrato ciò che avresti potuto fare, insegnato a leggere, andare in bicicletta, fare da sola il tragitto fino a scuola, ti hanno detto 'l'anno prossimo', 'quest'estate', 'presto'. Una sera, al posto del futuro c'è stato soltanto il vuoto. Hanno ridetto le stesse parole anche per me. Ho avuto sei anni, poi sette, poi dieci, ti avevo superato. Per loro non c'erano più paragoni da fare".  Chi era - dunque - Annie per i propri genitori? La figlia meno buona? Il - già citato - rimpiazzo indegno? O - semmai - il futuro, la bambina che ce l'ha fatta, quella che è sopravvissuta e di cui potevano raccontare la vita e le vicende? Con Ginette han dovuto fermarsi ai sei anni, mentre con Annie han potuto andare avanti, han potuto riempire un enorme vuoto, un gigantesco buco nero di esperienze mai vissute.
Con questo libro la Ernaux  vorrebbe confessare ai propri genitori quanto il loro silenzio e il loro dolore per la perdita della prima figlia abbia inciso sulla vita della seconda. Da quella volta in cui Annie ha appreso - per caso - il grande segreto di aver avuto una sorella, nè la madre nè il padre hanno fatto più parola di Ginette. 
Per tutto questo Annie prova - o meglio, ha provato - sentimenti contrastanti anche nei confronti della madre, la quale inizialmente viene dipinta (dalla stessa autrice) come una "portatrice di morte", come creatrice di disagi, ma poi viene "scagionata" da tutte le accuse.

Un libro doloroso, toccante, fortemente intimo. 
Un romanzo breve, ma intenso, ricco di analisi e di scavi interiori. 
Una lettera in cui Annie dichiara di non avere nulla da condividere con la propria sorella, neppure i genitori, ma grazie alla quale - nello stesso tempo - sente di avere tutto in comune con lei. 
 Un libro bellissimo.