Chi fa arte sa che l’arte si può fare con ogni materiale e con ogni mezzo.
Chi fa arte sa che tutti possono farla, sa che ognuno di noi è creativo e può trovare ispirazione ovunque.
Chi fa arte sa che l’arte rispecchia, poco o tanto, chi la fa; sa che l’opera è una parte dell’artista, a volte è persino un’estensione di quest’ultimo.
Chi fa arte sa che ogni opera è un
racconto che parla non soltanto dell’artista, ma anche dello spettatore, perché
tutti coloro che vanno a vedere una mostra sono sì degli osservatori, ma
osservatori attivi. So che suona come contro-intuitivo, ma è inevitabile: chi
osserva l’arte, contemporaneamente fa arte, interpretando ciò che vede,
mettendo se stesso nell’opera, proiettandosi in ciò che osserva fino a
diventare osservato. Non sempre, però, gli artisti si identificano con le loro
opere, anzi, a volte tendono a prendere le distanze da ciò che hanno prodotto,
soprattutto se – come è accaduto a Giuseppe Gabellone – si tratta di prodotti
dell’età giovanile. Il video “Km 2,6”,
infatti, è un prodotto del 1993, un prodotto che rispecchia un Giuseppe
Gabellone appena ventenne, anche se già maturo dal punto di vista artistico.
Trent’anni dopo, Gabellone si sente più vicino alla fotografia che non al mezzo
filmico e ce lo dimostra attraverso gli 8 scatti appesi nella videoteca della
GAM; 8 fotografie “Untitled” disposte tutto attorno al vecchio monitor Hantarex
che riproduce “Km 2,6”.Giuseppe Gabellone, "Untitled", 2009, 8 stampe digitali, 52 x 35 cm, courtesy l'artista e ZERO..., Milano
Le foto non hanno didascalie, ma quella che può
sembrare una mancanza è, in realtà, una forma di libertà: ogni spettatore
immaginerà una storia priva di vincoli per raccontarsi ciò che sta osservando,
mentre l’artista potrà dirsi libero di tenere per sé le origini, i dettagli e
le storie che accompagnano ogni foto e – nello stesso tempo – sarà libero di
aggirarsi nelle intuizioni del suo pubblico. In tutto questo, la cosa più
importante è il tempo: il dislivello temporale tra il 1993 (l’anno del video),
il 2009 (l’anno delle fotografie) e l’oggi; lo svolgersi del nastro adesivo
(lungo 2,6 Km) ricorda lo svolgersi del nastro magnetico sul quale è impresso
il video; e, infine, la contrapposizione tra i 30 minuti (durata del video),
immutabili (anche dal punto di vista del percorso che l’artista compie per
“nastrare” tutti gli elementi), e il tempo - senza limiti di tempo - che lo
spettatore deciderà di concedere all’osservazione di ogni fotografia. Già, il
tempo è tutto, a sentire l’artista, ma un ruolo altrettanto importante lo ha il
sonoro. “Km 2,6”, infatti, è dotato di una componente audio da non
sottovalutare: si tratta del rumore, fastidioso ma essenziale, dello scotch che viene srotolato. Ripeto:
fastidioso ma essenziale. Perché essenziale? Perché la vita ha sempre una
colonna sonora; perché se non ci fosse, proveremmo un senso di incompletezza; e
non importa se inizialmente ne siamo infastiditi, perché dopo un po’ lo
ingloberemo e lo adageremo sullo sfondo della nostra visita e cominceremo a
percepirlo come una guida alla mostra; perché questo rumore strascicato e
stracciato ci risucchia all’interno del video e ci fa diventare parte
integrante della narrazione artistica.Giuseppe Gabellone, "Km 2,6", 1993, video, colore, sonoro, 30' Fondazione per l'Arte Moderna e Contemporanea CRT
Sotto molti aspetti le opere di
Giuseppe Gabellone mi hanno ricordato quelle di Michael Snow e, a quanto è emerso
confrontandomi con la Curatrice Elena Volpato, non è un caso. Effettivamente c’è un filo conduttore… Dal
2014, infatti, la GAM propone video di artisti inseriti soprattutto nel periodo
storico compreso tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta e, anche se questa è
la prima volta che si esce un po’ dal seminato di quel periodo, il collegamento
tra i due artisti è molto forte. L’importanza della fotografia e l’impostazione
fortemente concettuale della scultura sono due elementi che sicuramente accomunano
Gabellone e Snow, ma non sono gli unici: anche il coinvolgimento dello
spettatore è un tratto distintivo che collega un artista all’altro; il saper
creare l’immobilità attraverso il movimento e il movimento attraverso
l’immobilità; e non dimentichiamo l’uso di un sonoro quasi ipnotico, una scelta
di suoni che infastidiscono e cullano, contemporaneamente, fino a bilanciarsi,
a equilibrare le sensazioni e a calmare l’anima.L'artista Giuseppe Gabellone (a sn) e la Curatrice Elena Volpato (a dx)
Una personalità davvero originale, quella di Gabellone: introspettiva e sensazionalista, legata al quotidiano ma fuori dagli schemi, apparentemente fasciata nella bidimensionalità ma in realtà votata a tutte le dimensioni. Ha destato la mia curiosità soprattutto per il suo bizzarro approccio artistico: creare sculture, fotografarle e poi distruggerle così da salvare soltanto le immagini immortalate in foto. Un approccio che colpisce, che lascia il segno, che trasforma l’opera d’arte in immagine pura e l’immagine in opera d’arte.
In breve, cosa troverete nella videoteca della GAM dal 3 maggio all’1 ottobre 2023? Troverete un video che accorpa tante modalità espressive differenti (tra cui scultura, fotografia e pittura); un nuovo modo di giocare con le tre dimensioni (unendo tanti elementi bidimensionali a formarne di tridimensionali e viceversa, cioè tornare alle due dimensioni partendo dalle tre); una serie di livelli temporali; stimoli per ravvivare l’immaginazione; elementi per narrare la vostra storia interpretando quella dell’artista…
Voglio chiudere con uno spunto di riflessione che forse troverete stimolante: Carl Gustav Jung disse che l’intuizione è qualcosa che assomiglia alla macchina del tempo di H. G. Wells, un apparecchio con quattro colonne di cui tre (rappresentanti le tre dimensioni spaziali) sempre ben visibili e una (rappresentante il tempo) indistinta. Quest’ultima, stando al ragionamento di Jung, è paragonabile all’intuizione. Il modo in cui Giuseppe Gabellone ha usato le varie forme espressive per giocare con spazio e tempo potrebbe essere interpretato, secondo il mio punto di vista, come una chiave per dare allo spettatore la possibilità di esplorare le opere (e, con esse, se stesso) a 360°…
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