JAMES GRAHAM BALLARD
(1930-2009) è considerato uno dei più originali scrittori inglesi
contemporanei. Innovatore della letteratura fantascientifica, si concentra
sugli effetti che la modernità produce su psiche e società. Ha scritto il suo
primo romanzo, “Il mondo sommerso”, nel 1961.
J. G. Ballard, "Il mondo sommerso", Feltrinelli. |
IL MONDO SOMMERSO
Ne “Il mondo sommerso”,
Ballard ci prospetta il futuro del pianeta Terra in seguito ad un ipotetico
surriscaldamento globale: cosa potrebbe accadere al paesaggio, alla natura,
alle città, agli animali, alle piante e – soprattutto – al genere umano. Non si
tratta di un nuovo mondo, ma di un ritorno alle origini, così come non si
tratta di progresso o di evoluzione dell’uomo, bensì di regressione e di
involuzione.
“Si potrebbe
semplicemente asserire che, in seguito all’aumento della temperatura,
dell’umidità relativa e del livello di radioattività, la flora e la fauna di
questo pianeta stanno cominciando ad assumere ancora una volta le forme che le
avevano caratterizzate all’epoca in cui queste stesse condizioni ambientali si
sono verificate, l’ultima volta… per dirla in breve, nel Triassico. […] Ovunque
si è verificato lo stesso processo: infinite mutazioni hanno trasformato
completamente gli organismi per permettere loro di adattarsi alle condizioni di
sopravvivenza del nuovo ecosistema”. [Pag. 47]
Per quanto riguarda le
ripercussioni sulle persone, Ballard immagina che l’aumento della temperatura e
della radioattività risveglino nei protagonisti codici temporali e antichi
ricordi – i ricordi più antichi del mondo – presenti in ogni gene e cromosoma.
“Come la psicoanalisi si
prefigge di ricostruire la situazione traumatica originaria al fine di
provocare la liberazione del materiale
rimosso, così ora noi stiamo precipitando nel nostro passato archeopsichico,
riscoprendo gli antichi tabù e gli istinti primordiali, rimasti sopiti per
migliaia di anni. Il pensiero della brevità della singola vita umana è
fuorviante. Ognuno di noi ha la stessa età dell’intero regno biologico e il
nostro flusso sanguigno è immissario dell’immenso oceano della sua memoria
collettiva”. [Pag. 49]
Il tempo non va più
calcolato, dunque, secondo la solita modalità, vale a dire sulla base degli
orologi e della durata media della vita di un individuo, ma su una scala
immensamente più ampia, una scala cosmica.
“L’orologio girava
all’indietro”, ci racconta uno dei personaggi del romanzo di Ballard:
“Più lento era un
orologio, più riusciva ad approssimarsi alla progressione maestosa e
infinitamente graduale del tempo cosmico: in realtà, invertendo la direzione
delle lancette e facendole ruotare all’indietro, si poteva inventare un
orologio che, in un certo senso, si muoveva ancor più lentamente dell’universo
e che, di conseguenza, faceva parte di un sistema spazio-temporale ancora più
grande”. [Pag. 71]
E i sogni, le visioni
oniriche che invadono la mente dei protagonisti della storia, sono – quindi –
ricordi di un passato ancestrale, primordiale, responsabili della perdita
di ogni distinzione tra il reale e il surreale, al punto che sogni e
realtà arriveranno a coincidere. Accadrà quando la regressione sarà completa e
il tempo dell’individuo sarà stato riassorbito dal suddetto tempo cosmico. Sarà
equiparabile a un azzeramento, alla formazione di un punto di ripartenza della
vita , ma – di certo – non della vita come la conosciamo oggi. Una tale
regressione porterà l’uomo a un ritorno nell’utero di Madre Terra e, forse,
prima ancora. Simbolicamente, tutto questo rappresenta un bisogno inarrestabile
di scoprire i segreti dell’inconscio, con le inevitabili conseguenze che tale
bisogno trascina dietro di sé, tra cui la rinascita di rituali arcaici, i
timori nei confronti di antiche divinità e numerosi tabù.
Sì, “Il mondo sommerso”
è una sorta di evoluzione involutiva – se così vogliamo azzardarci a definirlo
– “attivata” da un moderno “diluvio universale” il cui culmine o obiettivo
implicito è l’avvento di un nuovo “Eden”. È il viaggio verso una diversa forma
di psicologia, scatenato da una saturazione della mente. Di cosa è satura la
mente dell’uomo moderno possiamo evincerlo facilmente osservandone i comportamenti: schemi di
pensiero asfittici e costrittivi, mancanza di rispetto per sé, per la natura,
per il pianeta che lo ospita e per i suoi stessi simili. In questo caso, il
ritorno alle origini prevede che l’uomo civilizzato si riappropri degli istinti
animali sepolti sotto una spessa coltre di ipocrita moralità e resetti gli
schemi di pensiero che lo hanno reso schiavo di se stesso. Certo, l’atmosfera
che permea tutto quanto il romanzo è decadente, ma è proprio questa decadenza a
rendere vivide le suggestioni e a conferire fascino alla narrazione.
Ballard è stato in grado
di creare un mondo dentro al Mondo, un microcosmo dentro il Macrocosmo, con la
conseguente nascita di un nuovo tempo, antico – è proprio il caso di dirlo -
come il Mondo. E “i due mondi intersecati sembravano apparentemente sospesi in
una strana giuntura temporale”. [Pag. 11]
“IL CONDOMINIO”
Anche il condominio
rappresenta un mondo all’interno del Mondo, un microcosmo all’interno del
Macrocosmo. Ancora una volta Ballard torna a scandagliare l’animo umano
analizzandone le pulsioni e immaginandone il ritorno al primitivismo, agli
istinti più reconditi e oscuri che albergano nel suo profondo. La natura
animalesca trova la propria metafora perfetta nel riferimento allo “zoo
verticale”, come spesso viene definito il condominio all’interno del romanzo.
Naturalmente, i padroni indiscussi della scena sono – ancora una volta – la
psicologia e l’analisi degli schemi di pensiero (e di comportamento) dei
personaggi. L’analisi verte sugli effetti che gli eccessi (tecnologici e di
modernizzazione) hanno sulle persone. Come già era accaduto ne “Il mondo
sommerso”, la regressione e l’involuzione (attuate per compensazione) portano a
una distorsione delle percezioni spazio-temporali: concetti come “vicino” e
“lontano” diventano relativi così come il “prima” e il “dopo” diventano
indistinguibili l’uno dall’altro. C’è soltanto il “qui e ora”. Ma procediamo
con ordine. Il condominio è innanzitutto la rappresentazione simbolica della
stratificazione sociale, la cui gerarchia è così definita:
“Di fatto, il
grattacielo si era già diviso nei tre gruppi sociali classici, la classe
inferiore, la classe media, la classe superiore. Il centro commerciale del
decimo piano costituiva un chiaro confine fra i nove piani più bassi, con il
loro “proletariato” […] e il settore mediano del grattacielo, che andava dal
decimo piano alla piscina e alla terrazza-ristorante del trentacinquesimo. I
due terzi centrali del condominio formavano la sua borghesia […]. Sopra di
loro, ai cinque ultimi piani del grattacielo, c’era la classe superiore, la
prudente oligarchia […]”.
Il grattacielo stesso
viene personificato diventando – di fatto – sia teatro di scontri brutali e
sanguinosi sia creatura viva e pulsante; un organismo perlopiù ostile,
manipolatorio e decisamente inquietante. L’atmosfera è – se possibile – ancora
più decadente di quella descritta ne “Il mondo sommerso”. Nonostante questo –
inaspettatamente – qui come nel già citato romanzo, la sensazione di tensione
resta costante fino alla fine. Anche quando ogni cosa sembra trasudare calma;
si tratta, infatti, di una calma illusoria, surreale che contribuisce ad
alimentare la suddetta tensione. La civilizzazione cede il passo a clan e tribù
e, gradualmente, si riaffacciano sulla scena il culto dell’individualismo e la
legge del più forte. Che cosa intendo quando parlo di decadenza, è presto
spiegato: declino delle condizioni igienico-sanitarie, vandalismi, crudeltà,
violenze, omicidi e molto altro, in una escalation
di orrori. L’erosione all’esterno dell’edificio arriva a rispecchiare le
condizioni interne, la fatiscenza, la putrefazione fisica, ma anche quella
psichica che riguarda – nello specifico – la perdita dei valori morali ma,
soprattutto, di quelli etici. L’unico valore che resta in piedi è costituito
dalla lotta per la sopravvivenza, ma vengono meno il rispetto per i morti e
quello per i vivi, eccezion fatta per quei vivi che detengono una qualsiasi
forma di potere a cui ci si può assoggettare per ottenere in cambio protezione
o favori. Ma, in quei casi, non è corretto parlare di rispetto: il termine più
appropriato è, infatti “sottomissione”. Parole d’ordine sono, a tal
proposito, “supremazia” e “prevaricazione”. Anche i rapporti uomo-donna
sono alterati da tale ordinamento gerarchico: i consueti ruoli sociali e
famigliari vengono meno, prepotentemente soppiantati da forza, egoismo,
astuzia, sessualità aggressiva, rabbia e ferocia. Il disconoscimento degli
affetti provoca alienazione nei protagonisti e, di conseguenza, un senso di
straniamento nel lettore. Le immagini descritte da Ballard sono crude e
disturbanti; i protagonisti sembrano essere indifferenti, in quasi tutto il
romanzo, alla violenza e alla brutalità degli accadimenti, ma verso la fine si
possono cogliere dei segnali di fastidio. D’altronde, solo la consapevolezza
può fare la differenza, cioè: soltanto riconoscendo gli effetti devastanti
delle proprie azioni si può cominciare a pensare di cambiare lo stato delle
cose. Il finale è, in questo senso, ambivalente e può essere letto a seconda
della propria inclinazione personale. Forse e, ripeto, FORSE l’unico modo per
migliorare il nostro mondo è tornare indietro, regredire fino a toccare il
fondo. Raschiare, se necessario, per scoprire/riscoprire i veri valori, i
valori fondamentali, quelli essenziali per la nostra vita. Autodistruggersi per
poi risorgere dalle proprie ceneri come un’enorme fenice. Una resurrezione che,
naturalmente, implicherebbe il ritorno a una purezza incontaminata che solo le
creature appena nate possiedono. Ma, il punto è: possiamo ancora redimerci o è
troppo tardi? Impareremo a farlo o siamo destinati all’estinzione?