Un viaggio attraverso gli occhi della gente. Vivere dei racconti e nei racconti degli altri. Un viaggio a scoprire il mondo intero, da seduti. Sul seggiolino di un pianoforte, mentre una musica - troppo bella per esistere davvero - aleggia nell'aria e il nostro cuore rimane sospeso tra sogno e realtà. Questo è "Novecento".
- "Suonavamo perché l'Oceano è grande , e fa paura, suonavamo perché la gente non sentisse passare il tempo, e si dimenticasse dov'era, e chi era. Suonavamo per farli ballare, perché se balli non puoi morire, e ti senti Dio. E suonavamo il ragtime, perché è la musica su cui Dio balla, quando nessuno lo vede."

- "Una volta chiesi a Novecento a cosa diavolo pensava, mentre suonava, e cosa guardava [...].
E lui mi disse: "Oggi son finito in un paese bellissimo, le donne avevano i capelli profumati, c'era luce dappertutto ed era pieno di tigri".
Viaggiava, lui.
E ogni volta finiva in un posto diverso [...].
Il mondo, magari, non l'aveva visto mai. Ma erano ventisette anni che il mondo passava su quella nave: ed erano ventisette anni che lui, su quella nave, lo spiava. E gli rubava l'anima.
[...] Sapeva ascoltare. E sapeva leggere. Non i libri, quelli son buoni tutti, sapeva leggere la gente. I segni che la gente si porta addosso: posti, rumori, odori, la loro terra, la loro storia... Tutta scritta addosso. Lui leggeva [...]. Ci viaggiava sopra da dio, poi, mentre le dita gli scivolavano tra i tasti [...]".
- "Non era una di quelle persone di cui ti chiedi chissà se è felice quello. Lui era Novecento, e basta. Non ti veniva da pensare che c'entrasse qualcosa con la felicità, o col dolore. Sembrava al di là di tutto, sembrava intoccabile. Lui e la sua musica: il resto non contava".
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