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LA BELLEZZA

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giovedì 30 giugno 2016

"Lo strano viaggio di un oggetto smarrito" di Salvatore Basile. Garzanti.



“Lo strano viaggio di un oggetto smarrito”  è un capolavoro letterario scaturito dalla penna di Salvatore Basile.  E’ la storia di Michele  e del suo diario segreto. Michele fa il capostazione a Miniera di Mare – mestiere ereditato dal padre, deceduto 11 anni prima. Sua madre,  Laura, invece, lo ha abbandonato quando lui aveva solamente 7 anni, portando via con sé il  suo diario segreto, con la promessa  di restituirglielo, un giorno. Laura, non è mai più tornata, ma il giovane, ormai ventisettenne, ritrova il proprio diario tra i sedili del treno e da quel momento inizia la ricerca di sua madre. La storia di Michele è indissolubilmente legata a quella di Elena, una pendolare che ha perso una bambola cui tiene molto proprio su quello stesso treno che Michele perlustra ogni sera.  Elena piomberà, quindi, nella casa e nella vita del giovane capostazione come un fulmine a ciel sereno e lo aiuterà nella sua impresa.
Una narrazione, quella di Basile, in grado di portarci avanti e indietro nel tempo a scoprire il presente e il passato dei protagonisti.  Le pagine del diario di Michele ci spiegano con la chiarezza - che solo da  un bambino può scaturire – il vissuto del giovane. Avvalendosi di quelle pagine, Michele si “spoglia” per noi lettori e si rivela per quello che davvero è. In tal modo scopriremo che la sua casa all’interno della stazione stessa, è un “involucro” (come lo definisce Basile), un guscio in cui Michele si è rifugiato, attorniato da tutti  gli oggetti smarriti sul treno nel corso degli anni. Quegli oggetti gli fanno da scudo, lo proteggono, lo fanno sentire al sicuro, non lo tradiscono, come invece  hanno fatto i suoi genitori  e contribuiscono alla sua routine e alla sua quotidianità sempre uguale.
Questo libro rappresenta la crescita  interiore ed esteriore di Michele (che a pag. 133 sembra quasi seguire l’onda di Dorian Gray  (“In tutti quegli anni, pensò, tra il bambino di sette anni e l’uomo di trenta, era cambiato soltanto l’aspetto esteriore, ma la sua anima era rimasta intatta, come un oggetto smarrito messo al riparo dalle intemperie. Ora, invece, stava recuperando il tempo perduto e, in quello sguardo che vedeva riflesso nello specchio, aveva paura di non riconoscersi più”.). Ogni fermata del treno è una tappa della sua vita. Sul suo cammino, Michele incontrerà e conoscerà molte persone, ognuna delle quali gli insegnerà qualcosa, gli farà scoprire una parte si sé e gli farà recuperare in pochi giorni un passato di ben 20 anni.
Nel corso di tutta la narrazione si susseguiranno innumerevoli colpi di scena, eventi improvvisi che il lettore non si aspetta e che sono funzionali allo scopo di far entrare il lettore stesso in empatia con Michele e con Elena e con le rispettive storie di vita. In alcuni tratti mi è parso di ritrovare un pochino del romanzo di Paolo Giordano (“La solitudine dei numeri primi”),ad esempio a pagina 232 (“Rancore e gratitudine si alternavano sulla tastiera dei suoi sentimenti, come le mani di un fisarmonicista che, mentre suonano, si avvicinano e si allontanano, senza toccarsi mai”). Magistrale è stata la bravura di Basile nel penetrare all’interno della mentalità e del pensiero dei suoi personaggi per poi portare a galla, pezzo dopo pezzo, tutti i loro sentimenti, le loro sensazioni, le loro vicissitudini. Assolutamente encomiabile il rapporto tra Michele ed Elena che Basile è riuscito a creare, portando i due giovani a provare le stesse cose l’uno per l’altra e viceversa. Michele ed Elena arrivano quasi ad essere in rapporto gemellare tra di loro: se lui sta male, lei lo percepisce anche a distanza di chilometri e viceversa.
In alcuni punti della narrazione è il lettore stesso a provare le stesse sensazioni dei protagonisti. A pag. 255 a me personalmente è sembrato di essermi smarrita; mi sono sentita confusa e mi sembrava di vorticare; ho provato un forte senso di vertigine, ma non ho potuto staccare gli occhi dalla lettura. Perché, in fondo, è proprio questo che fa il romanzo: ti tiene incollato alle pagine, ti suscita il desiderio e il bisogno irrefrenabile di sapere come procede la storia, di sapere cosa accadrà di lì a poco, quali colpi di scena ha in serbo l’autore. E così tu, lettore, ti ritroverai a girare vorticosamente le pagine, una dopo l’altra, senza poterti fermare. E così, lettore, ti scoprirai a cercare freneticamente la madre di Michele, ti arrabbierai insieme a lui, piangerai con lui, imparerai che cosa si prova ad essere abbandonati, imparerai a lottare, ti verrà voglia di mollare tutto, ad un certo punto, ma qualcosa ti spingerà ad andare avanti; imparerai il sentimento del perdono, capirai il valore della famiglia, quello dell’amore,  quello della compassione e quello della gioia più profonda.
Il tema del colore fa da sfondo, ma allo stesso tempo domina tutto il romanzo. Grazie alle parole che l’autore fa pronunciare ad Elena, possiamo renderci conto che tutti i nostri sentimenti, tutto ciò che proviamo attimo dopo attimo, ci ricorda o ci trasmette un determinato colore. Così, se faremo attenzione, potremo percepire il colore di chi ci sta di fronte in ogni momento e interagire con chiunque nel modo più corretto. Un richiamo, questo, ad andare a fondo nelle cose, a non fermarsi alla superficie, a mettersi nei panni degli altri. La parola chiave di tutto il romanzo è EMPATIA.
Grazie a questo libro, possiamo apprendere il valore dei ricordi e quanto questi influiscano sulle nostre scelte di vita. I ricordi ci formano, stratificano uno sull'altro e possono indurire il nostro cuore, ma spetta solo a noi permettere che sbarrino la strada al nostro futuro oppure no.
Stupenda l’intervista a Salvatore Basile, posta al termine del romanzo. Mi duole non svelarvi di più né della trama, né dell’intervista, ma questo libro va letto assolutamente e se vi dessi ulteriori informazioni vi toglierei il gusto di farvi emozionare da questa storia così meravigliosa e commovente.

lunedì 13 giugno 2016

Le poesie di Pablo Neruda.

Vorrei precisare che tutte le recensioni presentate il questo blog sono frutto delle mie personali riflessioni e questo post sulle poesie di Pablo Neruda non fa eccezione. Nulla di ciò che scrivo è da considerarsi verità assoluta, ma un' umile base di partenza che magari può invogliare chiunque segua il mio blog a fare proprie le mie stesse letture.
Fatta questa doverosa premessa, posso passare a parlarvi del Premio Nobel per la Letteratura del 1971, Pablo Neruda.
Pablo Neruda (pseudonimo di Ricardo Eliécer Neftalì' Reyes Basoalto) è stato un poeta cileno di enorme talento. Un poeta "di pancia e per la pancia"- lo definirei - in quanto, con le sue parole, arriva dritto allo stomaco del lettore e con le sue tematiche così vicine a tutti, così quotidiane, sa conquistare ogni palato. Creature alate come api, farfalle, condor, albatros (l'elenco è lungo, ma io mi fermo qui) popolano ogni suo componimento. Silenzio e assenza si fondono insieme e dominano ogni verso con la loro presenza. Incisivo e delicato, sa rendere perfettamente il contrasto tra notte e giorno, tra luce e buio, tra vita e morte. Neruda coinvolge tutti e quattro gli elementi naturali; parla di solitudine, di malinconia e di nostalgia, ma - allo stesso tempo - compare spesso qualche spiraglio di luce nell'ombra, nell'oscurità delle sue parole.
Unendo due aggettivi che fanno parte di sfere sensoriali differenti, rende sempre in modo chiaro l'idea di ciò che prova. (ES. "Solo la morte" v. 46 "suono buio"). Accostamenti azzardati eppure così ben riusciti fanno spesso capolino tra i versi. (ES. "Barcarola" v. 11 "fiamme umide"). 
Le sue poesie, i suoi versi, le sue parole scorrono, galleggiano, gorgogliano, si immergono e ti parlano dal profondo di un abisso per poi riemergere e farti scoprire che erano comprensibili anche da "sommerse". Neruda ha il potere di trasportarti, di dondolarti, di cullarti, ma anche di farti rabbrividire. 
Si trovano spesso ripetizioni di una stessa parola all'interno della medesima strofa o della medesima poesia, ma il risultato non è mai stucchevole. Anzi - Neruda riesce a penetrare nelle profondità del tuo cuore e della tua sensibilità con quelli che io ho soprannominato "messaggi subliminali grezzi" che ti inducono a provare a sentire ciò che ha sentito lui, come una specie di empatia.
Alcune tematiche sembrano rappresentare per questo poeta dei "chiodi fissi", che però vengono resi sempre in maniera diversa: il sesso - ad esempio -è erotico, è crudo, è sensuale, è dolce, ma non è mai volgare.
Spalanca le porte del quotidiano, rivela la bellezza della semplicità. Alcune poesie sono ispirate proprio dal quotidiano e dalla semplicità, altre - invece - si nutrono di ricordi, sono fortemente autobiografiche e ci parlano di morte, di sangue, di ultime volontà, della casa natia, ma soprattutto degli orrori della guerra. Allitterazioni con funzioni onomatopeiche conferiscono alla sua poesia una musicalità evocativa. (ES. "Spiego alcune cose" vv. 53,54,55 "sciacalli che lo sciacallo caccerebbe,/pietre che il cardo secco morderebbe sputando,/vipere che le vipere odierebbero"). Ogni ripetizione è messa lì, apposta, per creare empatia tra poeta e lettore, per trasmettergli dolore, angoscia e disperazione. (ES. "Spiego alcune cose" ultime due strofe: "Chiederete perchè la sua poesia/non ci parla del sogno, delle foglie,/ dei grandi vulcani del suo paese natio?///Venite a vedere il sangue per le strade,/ venite a vedere/ il sangue per le strade,/ venite a vedere il sangue/ per le strade!"). Non ricorda anche a voi un climax di dolore e angoscia ascendenti?
Sono poesie "arcobaleno" quelle di Neruda, "variopinte" nel senso più lato del termine dove sono presenti i grandi e i piccoli temi della vita ma anche tutti i colori dello spettro cromatico (con una spiccata predilezione per l'oro, il nero, il rosso e l'azzurro).
Sono speciali i suoi raffronti tra il giorno e i metalli nell'"Ode al giorno incostante" e - più in generale - sono speciali le sue odi agli ortaggi e agli animali. Ci commuove la storia antropomorfizzata di un carciofo; ci fa sentire ricchi avere un limone; ci fa ribollire il sangue pensare al pomodoro. 
Occhi ingenui, ma esperti, quelli del poeta; parole semplici, ma efficaci, ricercate, curate, le sue. 
Memoriali commoventi ci parlano dei suoi ricordi familiari, della sua casa, della "mamadre", del padre, ma troviamo anche il periodo del suo esilio, nonché il rapporto col proprio corpo e con l'altro sesso.
La terra vista come patria, come letto di morte, come elemento naturale; l'acqua nelle sue infinite sfaccettature, nelle sue molteplici forme e nei suoi mille usi. Ogni cosa è esaminata e resa in tutte le sue forme e in tutti i suoi significati.
Tutta la sua poesia trasuda il periodo storico-politico da lui vissuto, la sua terra e la terra dell'esilio. Ogni cosa ha contribuito a rendere straordinaria la scrittura di Pablo Neruda che è completa, intuitiva e coinvolgente, ma soprattutto comprensibile a chiunque.