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LA STORIA INFINITA (17-26)


CONTINUAZIONE DELLA PAGINA "LA STORIA INFINITA" (1-16) DI CUI VI LASCIO QUI SOTTO IL LINK:

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CAPITOLO 17: “ Un drago per l’Eroe Inrico”
E’ calata la notte.
“Fùcur, il Drago della Fortuna, cantava. […] Era un canto senza parole, la grande e semplice melodia della pura felicità. E chi la udiva si sentiva aprire il cuore alla gioia”.
Bastiano e Atreiu ascoltano immersi in una sorta di “estasi silenziosa”.
Atreiu chiede a Bastiano come abbia fatto a domare la Morte Multicolore e Bastiano risponde che è stato per merito di AURYN e sembra quasi passare un’ombra di gelosia sul volto del Pelleverde. Bastiano, allora, gli propone di rimetterlo al collo, ma Atreiu rifiuta adducendo a spiegazione di averlo portato abbastanza a lungo. Anche Atreiu ha visto la scritta quando era lui a portarlo, ma non sapendo leggere che le orme, le lettere dell’alfabeto non hanno assunto alcun significato per lui. Bastiano legge la scritta per Atreiu:
“Se tu lo avessi saputo, le cose sarebbero state diverse per te?”
“No, io ho fatto quello che volevo”.
I due ragazzi parlano anche del mutato aspetto di Bastiano e quest’ultimo non si capacita di essere stato diverso, un tempo.
Bastiano si trova a riflettere sul fatto di voler conquistare la fiducia incondizionata di Atreiu. Per farlo – pensa – dovrà fare qualcosa di veramente grande, qualcosa che nessuno in tutta Fantàsia sia in grado di fare, neppure con l’amuleto. Qualcosa che solo lui sia in grado di fare.
“Si sentiva sempre dire e ripetere che in Fantàsia nessuno sapeva creare qualcosa di nuovo. […] E questo invece era proprio ciò che lui sapeva fare, era la sua specialità”.
Il mattino successivo il Vegliardo d’Argento annuncia di voler organizzare una festa in onore di Bastiano. Gli Amarganti sono noti in tutta Fantàsia per la loro abilità nel raccontare storie, ma purtroppo il loro repertorio è ormai praticamente esaurito e così…
“[…] si è sparsa la voce, non so fino a qual punto esatta, che tu sei noto nel tuo mondo come grande inventore di storie. E’ vero?”
“Sì”, risponde Bastiano “Sono stato persino deriso per questo”.
“Deriso per saper raccontare storie che nessuno aveva mai sentito prima? Come è possibile? Fra noi non c’è nessuno capace di farlo e noi tutti, io e i miei concittadini, ti saremmo indicibilmente grati se tu ci potessi regalare qualche nuova storia. Vorresti dunque renderci questo servizio, facendo uso del tuo genio?”
Il Vegliardo è molto stupito di come gli uomini non abbiano saputo apprezzare quella facoltà che Bastiano ha di inventare storie. E lo abbiano addirittura deriso. Troppa fantasia non è vista di buon occhio nel nostro mondo e chi ne ha – come i bambini – viene rinchiuso in gabbie mentali, viene “programmato” per servire le “cose reali” e concrete, e gli viene “soffocata” o “estirpata” la facoltà di inventare.
 Ovviamente Bastiano accetta di buon grado la proposta di Querquobad.
“Bastiano tuttavia si sentiva sempre più eccitato, perché non aspettava altro che venisse il suo turno. Il desiderio della sera precedente si stava realizzando per filo e per segno. Moriva dall’impazienza, nell’attesa che anche il resto si tramutasse in realtà”.
Quando finalmente giunge il suo turno, Bastiano esordisce dicendo:
“Io vi regalerò tutte le storie che ho inventate, perché posso sempre inventarne di nuove, quante ne voglio. Molte di queste le ho raccontate a una bambina di nome Lu Ci A, ma la maggior parte  le ho narrate solo a me stesso. Quindi nessun altro all’infuori di me le conosce. Ma ci vorrebbero settimane e mesi per raccontarvele tutte, e così a lungo non posso fermarmi fra voi. Perciò voglio invece narrarvi una storia in cui sono contenute tutte le altre. Si chiama ‘La Storia della Biblioteca di Amarganta’ ed è molto breve”.
E così Bastiano racconta la storia delle origini di Amarganta stessa, storia in cui include personaggi, eventi e popoli inventati che però si manifesteranno nei capitoli successivi. Tutto ciò che Bastiano racconta, infatti, ha il potere di avverarsi. Querquobad è estasiato ed estremamente riconoscente al ragazzo per il suo magnifico dono. E “Bastiano era lui stesso impressionato che tutto ciò che aveva raccontato si fosse tramutato in realtà (o era già stato così da sempre? Graogramàn probabilmente avrebbe detto: entrambe le cose!)”.
Non posso svelarvi molto di più, questa volta, (anche se ogni cosa scritta in questo libro è di importanza essenziale) perché dovrei riportare tutto il capitolo. Vi dirò solo che Bastiano trova la Biblioteca di Amarganta (di cui lui stesso ha inventato l’esistenza), ne apre la porta svelando il mistero di  una pietra su cui è inciso un indovinello e vi trova all’interno una quantità esorbitante di volumi in cui ci sono tutte le storie che lui stesso ha raccontato!
Nel sentire di tutte le prodezze compiute da Bastiano, Icrione, Isbaldo e Idorno vogliono seguirlo nel suo viaggio, per poter avere – anche loro – una storia personale. Bastiano accetta, molto onorato.
Ma che fine ha fatto l’Eroe Inrico? Apprendiamo dai tre cavalieri che il poveretto è distrutto per via del fatto che la principessa lo ha respinto. Al che, Bastiano arrischia un tentativo di consolazione: “Forse non dovreste dare tanta importanza alla principessa Oglamàr. Vi sono certamente altre dame che potrebbero piacervi altrettanto”.
Ma Inrico controbatte con queste parole: “No, a me piace lei proprio perché non si contenta, perché vuole solo il migliore”.
“E se provaste a ottenere i suoi favori esibendovi in altre arti?”
“Io sono un eroe”, replica allora Inrico irritato “non posso e non voglio cambiare mestiere. Sono come sono”.
“Già, questo lo vedo”.
Anche a Inrico serve un’opportunità per dimostrare di essere un eroe: gli serve, dunque, un mostro da sconfiggere. Bastiano ne immagina uno all’istante e racconta all’eroe che la sua dama è in pericolo perché è stata appena rapita da un drago di nome Smarg e solo lui può salvarla.
Così Inrico parte per la missione in sella al suo stallone nero, dopo aver ricevuto da Bastiano tutte le indicazioni necessarie affinché possa trovare il drago, combatterlo, sconfiggerlo e salvare la principessa.
Bastiano ha salvato Fantàsia, ha dato una storia ad Amarganta e all’Eroe Inrico, e Atreiu lo incalza dicendo: “Posso immaginare che ora desideri tornare nel tuo mondo per riportare anch’esso alla salvezza”. Partono tutti insieme a Bastiano per accompagnarlo sulla via del ritorno a casa.
Interessante il fatto che Inrico riesca a compiere, effettivamente, la sua impresa e a riportare la principessa a suo padre, ma – una volta portata a termine la missione e ottenuto il favore di Oglamàr – non sia più interessato a sposarla… Ormai ha dimostrato a se stesso di essere un eroe, ed era questa la cosa importante: doveva prendere coscienza delle sue capacità compiendo una vera impresa!
Ancora una volta, però, voglio terminare l’analisi del capitolo con un consiglio.
Inrico dice di essere un eroe e di non potere né voler cambiare mestiere. “Sono come sono”, dice. Ma chi dichiara di essersi conosciuto, di aver scoperto e compreso il proprio vero “IO” ha – in tal modo – messo fine alla Grande Ricerca e, secondo me, non c’è niente di peggio. Fermarsi, nella convinzione di essere appagati e soddisfatti, significa morire. Psichicamente e fisicamente. Terminata l’impresa, Inrico è, probabilmente,  arrivato a comprendere che può diventare molto di più e ha deciso di proseguire il suo percorso di scoperta.  Per questo il mio consiglio è: NON FERMATEVI, NON ACCONTENTATEVI MAI!


CAPITOLO 18: “Gli Acharai”

Il gruppo è in viaggio ormai da diversi giorni e il cammino sembra farsi sempre più  difficile. Tuttavia i tre cavalieri sembrano essere sempre di buon umore o ogni tanto cantano, addirittura:
“Quando ero un bambinello,
op lalà tra vento e pioggia”.
Versi che gli stessi tre attribuiscono ad un certo “Scexpir o qualcosa del genere”. Abbiamo già trovato Shakespeare qualche capitolo fa, ricordate?
Sono tutti in viaggio per ricondurre Bastiano a casa, ma in realtà Bastiano non vuole affatto tornare a casa e – al contrario - il suo dissidio interiore lo porta ad addentrarsi sempre di più verso il centro di Fantàsia, ovvero verso la Torre d’Avorio.
Nel frattempo si mettono a discutere sulle vicende capitate a Inrico e alla principessa Oglamar per invenzione di Bastiano. Quest’ultimo è angosciato perché non sa se, creando il crudele Smarg, possa aver involontariamente causato altre sciagure al Mondo di Fantàsia e ai suoi abitanti. Comincia a riflettere sul fatto che molto probabilmente non ha il diritto e neppure la volontà di comportarsi come l’Infanta Imperatrice, la quale non fa alcuna differenza fra Bene e Male, Bello o Brutto. Per lei ogni creatura di Fantàsia possiede gli stessi diritti e importanza. Bastiano vorrebbe essere riconosciuto in Fantàsia per la sua bontà e per il suo altruismo e non certo per essere un creatore di mostri e orrori.
Durante il viaggio Bastiano ha già dimenticato anche Lu Ci A; sa di aver raccontato agli Amarganti di essere stato deriso dagli abitanti del suo mondo, ma non si ricorda la ragione. Sta compiendo un ulteriore passo nel cambiamento. Non si ricorda più neanche perché  abbia rubato il libro de “La Storia Infinita” al signor Coriandoli. Sta dimenticando tutto ciò che è stato un tempo, sta abbandonando convinzioni e certezze su di sé.
“I suoi ricordi erano frammentari, e questi frammenti gli apparivano lontani e confusi, come se non si fosse trattato di lui, ma di un altro”.
E in effetti, non ricordando più, Bastiano ha preso le distanze da quel che era. Chi sa di essere, in realtà non è; viceversa, chi non sa di  essere qualcuno o qualcosa, allora è quel qualcuno o quel qualcosa. Un bell’interrogativo che dovremmo porci tutti è: QUANTI SIAMO? Invece ci ostiniamo a chiederci solamente CHI SIAMO?  Questa domanda è molto limitante, nella sua risposta. QUANTI SIAMO? - al contrario – è molto aperta e lascia spazio a tantissime, innumerevoli risposte e possibilità. Perché? Perché ognuno di noi incarna al proprio interno svariate personalità, multi-sfaccettate, con altrettanto potenziale nascosto. Cercarsi e scoprirsi giorno dopo giorno è il modo più corretto per vivere appieno se stessi. Una grande ricerca che non debba mai avere fine…
Atreiu pone moltissime domande a Bastiano. Su tutto.
“Lo meravigliava un poco che Atreiu mostrasse tanto interesse per le cose quotidiane. Forse proprio grazie al modo in cui Atreiu lo stava ad ascoltare, anche lui ora cominciava a vederle non più come cose comuni e quotidiane, bensì come se tutte nascondessero un segreto, qualcosa di misterioso di cui egli non s’era accorto prima”.
E’ un male del nostro mondo e del nostro tempo: non siamo più in grado di accorgerci delle cose che ci circondano, di meravigliarci e di coglierne la bellezza. C’è un tarlo che si chiama ABITUDINE e che logora le nostre esistenze. Quando nasciamo siamo capaci, ma crescendo impariamo – purtroppo – a dare per scontato, a catalogare, a schematizzare, a razionalizzare, a giudicare, a ragionare e smettiamo di pensare, di sognare, di immaginare, di fantasticare, di osservare il mondo a 360° e di lasciarci aperte tutte le porte. Strutture mentali, preconcetti, inconscio collettivo, pregiudizi, limiti, confini e tabù diventano la normalità. Come se ne esce? TORNANDO A FARE E A FARSI DOMANDE. Le domande GIUSTE, naturalmente, quelle che cominciano con la parola  PERCHE’ sono le migliori… Vi avverto, però: chi fa domande non è visto di buon occhio dalla società; spesso risulta scomodo per il Sistema. E’ necessario tanto coraggio, ma ne vale la pena.
Stando alle parole che Atreiu pronuncia poco dopo, questa strana amnesia di Bastiano dipende da AURYN:
“Lo Splendore agisce su di noi in maniera diversa che sul figlio dell’uomo. […] L’amuleto dà un grande potere, ti permette di realizzare tutti i tuoi desideri, ma al tempo stesso ti porta via qualche cosa: il ricordo del tuo mondo. […] Esso ti dà la direzione e al tempo stesso ti porta via la meta”.
E’ giusto che sia così: per evolversi  bisogna tornare all’inizio, a quando si era  ancora incontaminati dal mondo, dai suoi schemi e dalle sue regole; epurarsi da tutte le gabbie mentali a cui si è stati sottoposti nel tempo. Bellissime, a questo proposito, le parole della canzone cantata dai cavalieri: la libertà mentale di cui eravamo dotati quando eravamo bambini e di cui potevamo disporre a nostro piacimento era illimitata e ci donava gioia.
In questo capitolo Bastiano conosce gli Acharai, un popolo di creature orripilanti simili a “vermiciattoli informi, lunghi quanto un braccio, con una pelle che li faceva sembrare avvolti in stracci sporchi”. Si sono sempre tenuti nascosti, gli Acharai, per non offendere o turbare nessuno. Bastiano ha creato l’esistenza degli Acharai nel suo racconto ad Amarganta. Non tollerano neanche la loro stessa vista, questi esseri, ma cercano di compensare la loro bruttezza sciogliendo con le loro lacrime l’argento per poi intesserlo a formare filigrane di straordinaria bellezza.
Bastiano cerca di rassicurarli dicendo loro che non hanno alcuna colpa per il fatto di essere come sono, ma gli Acharai rispondono:
“Ohinoi, ci sono tante forme di colpa, quella dell’azione, quella del pensiero… La nostra è quella di esistere”.
E’ il principio della Confessione[1]. Ma non è solo questo, purtroppo. Quanti, infatti si sentono in colpa senza un motivo apparente o per il solo fatto di esistere o – addirittura - di essere? Troppi, a mio parere. Il senso di colpa è come una malattia e ha gli stessi risvolti di una malattia: ti logora dentro, ti fa stare male. Bastiano riconosce che non c’è colpa nella coscienza degli Acharai. Non hanno colpa del loro aspetto fisico. Questa constatazione gli tornerà molto utile nel riconsiderare l’idea che ha di se stesso. A volte, infatti, riconoscere caratteristiche negli altri o grazie agli altri, ci aiuta a vederle in noi stessi.

Gli Acharai chiedono a Bastiano di dar loro un altro aspetto e Bastiano li accontenta: li trasforma in creature variopinte, simili a farfalle, sempre allegre e divertite.
“Bastiano si stese per dormire. Era straordinariamente soddisfatto di sé. Ben presto tutta Fantàsia sarebbe venuta a conoscenza dell’opera buona ch’egli aveva appena compiuto. Ed essa era stata veramente altruistica, perché nessuno avrebbe mai potuto affermare che, con quel desiderio, egli avesse voluto qualcosa per sé. La gloria di tanta bontà si sarebbe irradiata intorno a lui in perfetto splendore”.
Ma Bastiano non sa cosa gli è costato questo gesto. Interferire in cose che non ci riguardano direttamente può portare a conseguenze disastrose. Coinvolgere altri nei nostri desideri rappresenta spesso un grave errore.
Il mattino successivo, infatti, le creaturine così trasformate sono mutate anche all’interno e non si lasciano più sottomettere alle regole o alla volontà di altri. Men che meno a quella di Bastiano stesso, che cominciano – anzi – a chiamare “Il Coso”. Gli Acharai ormai mutati anche nel nome (da Acharai, i Perpetui Piangenti ad Uzzolini, i Sempre Ridenti), arrivano perfino a ridere di Bastiano e della sua ostinazione a ripetere la parola “IO” per definire la propria persona, la propria identità. Per loro Bastiano rimane Il Coso anche se lui continua a ripetere: “Io non sono un Coso! Io sono Bastiano Baldassarre Bucci […] e sono il vostro benefattore!”
Non potrebbe aver detto loro cosa peggiore, Bastiano, il cui nome viene immediatamente storpiato e reso irriconoscibile.
Chi è Bastiano? CHI E’ “IO”? COSA O CHI INTENDIAMO QUANDO DICIAMO “IO”?
“Bastiano stava lì come di sale e quasi non sapeva più neppure lui come si chiamava veramente. Non era più tanto sicuro di aver fatto una buona azione”.
Noi non siamo il nostro nome. Di sicuro ABBIAMO il nostro nome, ma NON SIAMO quel nome! Identificarci con il nostro nome significa porci dei limiti così come identificarci con una o più nostre caratteristiche significa porre degli enormi limiti a quello che siamo, a quanto e a quanti siamo. Il nome aiuta, certo, dà origine alle cose, le distingue (o ci prova) le une dalle altre, in un certo modo le identifica, ma non le descrive per tutto ciò che sono! Riflettete sul fatto che il nome ci viene DATO alla nascita: questo lo rende nostro, ma noi non siamo quel nome. Non siamo SOLO quel nome. Anche la Sovrana dei Desideri ha sempre bisogno di nomi nuovi per poter continuare ad esistere…
Nella loro insolenza, perciò, gli Uzzolini hanno fatto un favore a Bastiano: hanno insinuato in lui il tarlo del dubbio. Sulla sua identità, sulle sue azioni, sulla sua coscienza.



CAPITOLO 19: “I compagni di strada”

Trasformando gli Acharai in Uzzolini, Bastiano ha perso un altro pezzetto dei propri ricordi e il drago gli consiglia di smettere di usare il potere di AURYN  se non vuole correre il rischio di perdere completamente la memoria e non poter più ritornare a casa. Ma Bastiano non vuole tornare nel suo mondo e quando Atreiu lo viene a sapere si allarma moltissimo:
“Ma tu devi tornare indietro e cercare di riportare ordine nel tuo mondo, affinché ci siano di nuovo uomini che vengano da noi in Fantàsia. Altrimenti essa presto o tardi andrà nuovamente in rovina e tutto sarà stato inutile!”
Atreiu e Fùcur spingono Bastiano a pensare a suo padre, che di sicuro sarà in ansia per lui, ma Bastiano prende questo invito nel modo sbagliato: è ormai convinto che il padre sia contento di essersi liberato di lui e pensa che anche Atreiu e il drago vogliano fare altrettanto.
La compagnia continua a viaggiare, ma ogni volta è come se avessero viaggiato in tondo perché sul finire del giorno si ritrovano di fronte al castello diroccato dal quale erano partiti al mattino. Ogni giorno. Iaia conosce il motivo di questo strano, disarmante e frustrante fenomeno:
“Tu non hai più alcun desiderio, mio signore. Hai smesso di desiderare”.
La mula possiede una grande saggezza e uno spiccato senso dell’orientamento perciò sa che Bastiano vuole raggiungere nuovamente la Sovrana dei Desideri e sa quale direzione va presa per arrivare fino a lei.
Il mulo è il prodotto di un asino e una cavalla. E’ un animale nato a cavallo di due mondi e questa caratteristica si rispecchia anche nel suo significato simbolico: simboleggia la crescita interiore, il passaggio a un livello di coscienza e consapevolezza superiore.
Fùcur e Atreiu comprendono di aver dato il consiglio sbagliato al povero Bastiano, dicendogli di smettere di usare il potere di AURYN, così lo invitano a farne nuovamente uso, anche se sanno che questo gli farà perdere un’altra fetta di ricordi. Bastiano deve trovare il  desiderio successivo o non riuscirà a venir fuori dalla situazione di stallo in cui si è arenato.
Bastiano e Fùcur discutono:  il drago dubita che la Sovrana lo riceverà ancora perché afferma che l’Imperatrice può essere incontrata una volta sola.  Bastiano è adirato sia con Fùcur sia con Atreiu che fanno un po’ la parte del Grillo Parlante di Pinocchio o quella di Abele, se volete.  I due, però, tengono molto a Bastiano e vogliono aiutarlo, anche se questo dovesse significare  andare contro la volontà della stessa Imperatrice.
Il gruppo, intanto, si accorge di essere braccato da inseguitori provenienti da tutte le direzioni, così Bastiano inizia a dormire con indosso Sikanda e in sogno, una notte, gli appare la Sovrana. Questa visione rafforza la speranza di Bastiano di poterla incontrare di nuovo. Continuando a leggere scopriamo che gli inseguitori sono, in realtà, prìncipi provenienti da diverse Terre di Fantàsia che si sono messi in cammino per salutare Bastiano, rendergli omaggio e  chiedere il suo aiuto.
“Sappiamo, o signore, che tu puoi tutto. Se tu dici una cosa, essa esiste. Per questo ti invitiamo a venire da noi e farci dono di una storia che ci appartenga. Poiché noi non ne possediamo”.
Bastiano accetterebbe volentieri, ma prima vuole incontrare l’Infanta Imperatrice, perciò lancia loro una controproposta: chiede di essere aiutato a trovare la Torre d’Avorio. Essi accettano con gioia.
Il viaggio prosegue.



CAPITOLO 20: “La Mano che vede”

I messaggeri continuano ad aumentare.
Bastiano si è riconciliato con Atreiu e Fùcur, ma in cuor suo continua a pensare che i due lo stiano trattando come un bambino sprovveduto. Così sente di voler “diventare un individuo pericoloso, temibile e temuto. Uno di quelli da cui tutti si sarebbero dovuti guardare. Anche loro due”.
Il gruppo si sta inoltrando in una selva di orchidee carnivore che porta il nome di Giardino di Oglais e appartiene al castello di Horok, chiamato anche la Mano che vede. Nel castello in questione abita la più potente e perfida delle maghe di Fantàsia: Xayde.
Bastiano è intenzionato a scontrarsi con la maga (non ha un motivo particolare per farlo, lo vuol fare e basta) e Atreiu, sempre più preoccupato per l’integrità della memoria dell’amico, gli fa una proposta:
“E perciò ti volevo proporre di darmi nuovamente AURYN e di affidarti alla mia guida. Io cercherò la strada per te”.
Ma Bastiano rifiuta, ritenendo Atreiu in preda ad un attacco di pura gelosia.
“Non ti accorgi che sei completamente cambiato? Che cosa è rimasto di quello che eri? E che ne sarà di te? 
“Sono IO, nel caso ve lo foste dimenticato, sono io colui che ha salvato Fantàsia, sono io dopotutto colui al quale Fiordiluna ha affidato il suo potere. […] Non sono più quel sempliciotto che voi ancora vedete in me!”
Atreiu cerca ancora di far ragionare Bastiano, ma con risultati pressoché nulli.  Riceve, anzi, una risposta ancor più allarmante dall’amico umano:
“Resterò per sempre in Fantàsia. Mi piace molto star qui. Ai miei ricordi posso tranquillamente rinunciare. E per quanto riguarda il futuro di Fantàsia, io sono in grado di dare mille nuovi nomi all’Infanta Imperatrice. Non abbiamo più bisogno del mondo degli uomini!”
Quello che Bastiano non riesce a comprendere è che non solo lui e Fantàsia hanno bisogno del mondo degli uomini, ma anche il mondo degli uomini ha bisogno di Fantàsia. Senza uomini Fantàsia sarebbe destinata, prima o poi, a scomparire: Bastiano non è sufficiente per “alimentarla”. Senza Fantàsia gli uomini, dal canto loro, sarebbero destinati a vivere una vita a metà e vivere una vita del genere non equivale a vivere, bensì a sopravvivere: niente Fantàsia, niente desideri, niente scopi, niente meraviglia, niente vita. I due mondi rappresentano, l’uno per l’altro, la salvezza o la completa distruzione. Il destino dei due mondi è tutto nelle mani di un figlio dell’uomo. Come Bastiano, ognuno di noi può fare la differenza. Stando al modo in cui abbiamo ridotto il nostro mondo, l’unica soluzione sarebbe azzerare tutto e rifare ogni cosa daccapo. Distruggere tutte le certezze potrebbe essere il primo passo. Rimettersi in discussione, re-imparare a pensare - ognuno con la propria testa – smettere di dare tutto per scontato, ricominciare a dare ascolto al proprio corpo, alle proprie sensazioni,  alle proprie emozioni e ai propri sentimenti. All’inizio è dura, lo so, ci si sente smarriti e terribilmente soli. Ma quello è solo l’inizio. Altri seguiranno l’esempio…
Più tardi la carovana di viaggiatori (che, via via, continuano ad aumentare) viene assalita da una banda di individui chiusi in grosse armature nere, che fanno pensare alla corazza di un enorme insetto. Icrione, Isbaldo e Idorno, nel tentativo di difendere il gruppo di viaggiatori, vengono catturati. E’ opera della maga Xayde, la quale fa recapitare un durissimo messaggio a Bastiano, di cui riporto qui solo la parte principale:
“Essa ordina che il salvatore si sottometta a lei incondizionatamente e giuri di servirla da schiavo fedele con tutto ciò che è, che ha e che sa. Nel caso però che a questo egli non fosse disposto, o che pensasse di ricorrere a qualche inganno, per umiliare la volontà di Xayde, i suoi tre cavalieri Icrione, Isbaldo e Idorno moriranno di una terribile, crudele e vergognosa morte, fra indicibili torture”.
Il viaggio che Bastiano sta compiendo serve proprio a liberarlo dalle tante forme di schiavitù in cui ha vissuto la sua vita da terrestre, perciò sottomettersi a Xayde significherebbe tornare ad essere schiavo, di un padrone diverso, ma comunque schiavo. Bastiano dovrebbe cedere alla maga tutto il suo essere, tutta la sua individualità, ed entrare a far parte di una collettività senza una volontà propria (come gli individui nelle armature nere). Diventerebbe una delle tante cellule di un organismo, una delle tante api operaie dell’alveare, una delle tante formiche del nido.
Bastiano decide che la cosa migliore sia coglierla di sorpresa e architetta un piano.
Il castello di Horok assomiglia in maniera impressionante ad una gigantesca mano le cui dita sono costituite la alte torri. Trovato il punto da cui entrare, Bastiano finalmente raggiunge i sotterranei in cui sono rinchiusi i tre cavalieri. Liberarli dalle catene che li tengono legati richiederebbe l’uso di una spada, ma Sikanda non accenna a saltar fuori dal fodero. Solo quando viene braccato dai giganti corazzati, finalmente, la spada magica si sguaina e inizia a menar fendenti micidiali guidando con destrezza la mano di Bastiano (che ne approfitta anche per spezzare le catene dei tre amici). Il pericolo – quello cui ci si può opporre con la spada - almeno – sembra passato e i quattro risalgono le scale dei sotterranei. In cima trovano Atreiu e Fùcur che si complimentano con Bastiano. Ora devono trovare Xayde. Essa è nel salone della magia, bellissima, su un trono di corallo rosso e con indosso una veste di seta viola. La sala è colma di oggetti stranissimi, dall’utilità sconosciuta a Bastiano, che rimane ammutolito. La maga, allora, corre verso di lui, gli afferra un piede e se lo mette sulla testa. Dice che si sottometterà a lui e alla sua volontà come una schiava ubbidiente, servendolo con tutto ciò che è, possiede e sa se lui le concederà la grazia.
“Insegnami ciò che tu ritieni degno di desiderio e io sarò la tua umile allieva e ubbidirò a ogni cenno dei tuoi occhi […] e vedrai di cosa saremo capaci, unendo le mie arti al tuo potere”.
Sembra pentita, Xayde, e Bastiano decide di non punirla.
 Fùcur viene costretto da Bastiano a portare tutti loro, compresa Xayde, dagli altri viaggiatori. Quando il drago domanda quale direzione debba prendere, è Xayde a rispondere “sempre dritto!”
 Bastiano si limita a ripetere le parole della maga e Atreiu cerca di metterlo in guardia dalla losca figura della donna:
“Questo è tutto un suo piano, Bastiano. La tua vittoria è in realtà una sconfitta. Lei ti ha lasciato vincere solo per accaparrarsi i tuoi favori”.
Bastiano si infuria:
“Chiudi il becco e lasciami in pace! E se a voi due non piace ciò che faccio e ciò che sono, andatevene per la vostra strada! Io non vi trattengo! Andate dove volete. Ne ho abbastanza di voi!”
 La maga sorride, di un sorriso malvagio e in Bastiano si spegne in un istante il ricordo di essere stato, un tempo, nel suo mondo, un bambino.




CAPITOLO 21: “Il Monastero delle Stelle”

Il viaggio verso la Torre d’Avorio prosegue. Continuano ad arrivare ambasciatori da tutte le parti e tra la folla ci sono ancora Fùcur e Atreiu, entrambi a testa bassa. Bastiano ha un vessillo con un candelabro a sette bracci come simbolo e, quando la folla si accampa, la sua tenda è sempre al centro. Durante il cammino è solito stare alla testa del corteo, sul dorso di Iaia, ma sempre più spesso gli accade di unirsi a Xayde sulla sua lettiga. La maga non fa che adularlo e Bastiano si abitua a crogiolarsi nella pigrizia, nella vanità, nel cinismo e nell’ipocrisia. Xayde sta ben attenta a non rivangare il passato di Bastiano con domande che riguardino il mondo degli uomini e spesso fuma da un narghilè che somiglia, per forma e colore, ad una vipera[2]. I giganti ch’ella si porta dietro sono vuoti e quindi guidati dalla sua volontà, la quale può appunto guidare tutto ciò che è vuoto. Anche la volontà di Bastiano è in grado di guidarli e la maga spinge quest’ultimo a provare, così da poter essere trasportato da strutture mosse da lui stesso, piuttosto che dalla vecchia mula. In realtà Bastiano dice di cavalcare la mula non tanto perché piace a lui, ma perché così facendo, accontenta l’animale. Così Xayde gli fa notare che lui pensa troppo agli altri, ma nessuno vale tanto da poter distrarre la sua vera ascesa. Gli consiglia, pertanto, di pensare un po’ di più alla sua perfezione. Bastiano, così raggirato, congeda la sua fedele mula, ma non prima di averla premiata per la sua fedeltà:  il premio consiste nel darle una storia personale in cui ella potrà farsi una famiglia felice. E’ risaputo che i muli sono sterili, ma Bastiano usa il suo potere per forzare le cose e per permettere a Iaia di avere figli e nipotini a cui raccontare di aver portato il salvatore di Fantàsia sul suo dorso. E’ l’ennesima interferenza nel destino di altre creature…
Ma, pur pensando di aver compiuto una buona azione, Bastiano non riesce a dissipare il proprio malumore né la propria malinconia.
“Il fatto è che tutto dipende dal perché e da quando si fa qualcosa per amore di un altro”.
Bastiano ha detto addio a Iaia su consiglio di Xayde e non per uno slancio di amore vero e sincero. Così la maga, per consolarlo e per “farsi perdonare” gli dona una cintura che rende invisibile chi la indossa. Perché sia sua, Bastiano le deve fornire un nome, pertanto la chiama “Cintura Ghemmal”. La indossa, ma la sensazione che prova è sgradevolissima, allora cerca di aprirla, ma non vedendo più il proprio corpo, non ci riesce. Xayde lo aiuta e gli spiega che bisogna prima imparare a servirsene.
Non vedersi, non avere percezione di sé, perdere il controllo… Sono tutte cose che contribuiscono all’annullamento di un individuo. Nessuno può vedere Bastiano se indossa la cintura, ma nemmeno lo stesso Bastiano è in grado di vedersi.
La cintura, secondo la maga, dovrebbe servire a proteggerlo. Da cosa? Dal pericolo che alberga in lui stesso:
“Saggio è stare al di sopra delle cose, non odiare nessuno e non amare nessuno. Ma tu, mio signore, tieni ancora all’amicizia. Il tuo cuore non è freddo e distaccato, non è inaccessibile come la vetta di un monte, e in tal modo qualcuno potrebbe arrecarti danno”.
Dicendo “qualcuno”, ovviamente, Xayde intende Atreiu e insinua in Bastiano il dubbio che lui voglia portargli via il medaglione.
Bastiano non dà credito alle parole della maga, ma un tarlo comincia a rodergli la mente: desidera essere saggio, un grande saggio, il più grande di tutta Fantàsia.
Da questo momento in poi Bastiano inizia a prestare veramente attenzione al paesaggio circostante. Così facendo si accorge di sei[3] gufi[4] che si stanno avvicinando a lui. I gufi in questione si presentano come i messaggeri (notturni) volanti di Ghigam, il Monastero delle Stelle, mandati a Bastiano da Ushtu, la Madre dell’Intuizione. Il Monastero è il luogo della Saggezza[5] e lì abitano i Monaci dell’Illuminazione. Ushtu è uno dei tre Grandi Meditanti alla guida del Monastero e istruttori dei Monaci.
“Se fosse giorno, allora sarebbe stato Scirkri, il Padre della Visione, a mandare i suoi messaggeri, che sono aquile[6]. E nell’ora del crepuscolo, che sta tra giorno e notte, allora è Ysipu, il Figlio dell’Intelligenza, a mandare i suoi messaggeri, che sono volpi[7]”.
Scirkri e Ysipu sono gli altri due Grandi Meditanti, naturalmente.
Chi sono i tre Meditanti? Sono le tre caratteristiche della Saggezza: l’Intuizione, l’Attenzione[8] e l’Intelligenza.
I gufi sono stati mandati alla ricerca del Massimo Sapiente (Bastiano), affinchè egli si rechi da loro e risponda alla domanda per la quale essi non hanno saputo trovare risposta in tutta la loro vita.
Bastiano decide di portare con sé Atreiu e Xayde.
Arrivati al Monastero, incontrano i Meditanti e il più anziano dei tre, Scirkri, inizia a parlare:
“Da tempo immemorabile meditiamo sull’enigma del nostro mondo. Ysipu pensa diversamente da come Ushtu intuisce e l’intuizione di Ushtu è diversa dalla visione che ho io che, a mia volta, vedo diversamente da come Ysipu pensa. Ma così non può durare. Dobbiamo arrivare a una conclusione. […] Che cos’è Fantàsia?”[9]
Quando Bastiano risponde che Fantàsia è la Storia Infinita, i tre Meditanti chiedono tempo per pensare a quella risposta. Si accordano, quindi, per rivedersi la notte seguente.
Dalla meditazione che i tre fanno nasce un altro interrogativo: vogliono sapere dove è scritta la Storia Infinita. A questa domanda Bastiano risponde che la storia di Fantàsia è scritta in un libro rilegato in seta color rosso rubino cupo. Ancora una volta i tre Meditanti vogliono un giorno per pensare. La notte successiva c’è un’altra domanda ad attendere Bastiano: dove si trova il libro in questione? La risposta di Bastiano è: “Nella soffitta di una scuola”.
I tre Meditanti ne vogliono una prova. Bastiano li invita, allora, ad osservare il cielo dal tetto del Monastero, la notte seguente. Dal tetto Bastiano vede in lontananza la Torre d’Avorio, poi tira fuori dalla tasca la pietra che aveva trovato nella città di Amarganta e ne pronuncia il nome ad alta voce, per la seconda volta. Dalla pietra scaturisce una luce fortissima e in quella luce si può scorgere la soffitta della scuola di Bastiano.
Una vera e propria ILLUMINAZIONE per i tre Meditanti, che – però – formulano una nuova domanda per Bastiano, ricominciando il ciclo per la ricerca di una nuova illuminazione…
Ovviamente Bastiano non può rimanere nel Monastero a soddisfare le richieste dei Meditanti, così si accinge a riprendere il viaggio verso la Torre d’Avorio.
“Bastiano però, in quella notte, aveva perduto ogni ricordo della scuola. Anche la soffitta, e persino il libro rubato con la copertina di seta color rubino cupo, erano scomparsi definitivamente dalla sua memoria. E ormai non si chiedeva neppure più come fosse arrivato in Fantàsia”.
Se ci si ricorda di aver dimenticato una cosa, quella cosa verrà ricordata. Per dimenticare realmente, quindi, occorre anche dimenticare di aver dimenticato…
A parte questo gioco di parole e concetti sul quale vi invito a riflettere, vorrei soffermarmi su una cosa di cui fino ad ora non ho parlato: la volontà. 
Abbiamo detto che desiderare è una cosa fondamentale se vogliamo cambiare la nostra realtà; abbiamo detto che ci sono desideri “giusti” e desideri “sbagliati”; abbiamo anche parlato di come fare a desiderare e delle caratteristiche che un desiderio dovrebbe avere per essere ben formulato. Quello che non abbiamo detto è che una delle condizioni fondamentali perché si realizzi è VOLERLO veramente. Volere rappresenta la concretizzazione di un bisogno, ovvero di un desiderio profondo. Se non sappiamo COSA VOGLIAMO VERAMENTE non potremo CREARE. Desiderio e Volontà vanno di pari passo…



CAPITOLO 22: “La battaglia della Torre d’Avorio”

Bastiano è preda dei dubbi.  La sua mente lotta con due idee contrastanti: da una parte l’impazienza e l’ansia di rivedere l’Imperatrice, dall’altra il rifiuto di dover riconsegnarle AURYN.
Quando stanno per raggiungere la Torre d’Avorio un messaggero avverte Bastiano del fatto che l’Imperatrice non si trova lì. Una grande delusione lo investe e gli tornano in mente le parole di Fùcur: “Nessuno può vedere l’Infanta Imperatrice più di una volta”. A questo pensiero gli viene nostalgia di Atreiu e Fùcur così decide di indossare la Cintura Ghemmal per  recarsi da loro senza ch’essi lo vedano. Quando li raggiunge sente che Atreiu sta escogitando un piano per portargli via l’amuleto. Non per gelosia, ma per impedire a Bastiano di aggravare la situazione.
Bastiano decide allora di impedire che ciò accada guidando con la propria volontà le vuote armature della maga. Quando Atreiu e Fùcur vengono a trovarsi al cospetto di Bastiano, questi li bandisce entrambi additandoli come ladro, uno, e come complice, l’altro. Xayde è molto soddisfatta del comportamento del suo “signore”:
“Ora finalmente hai raggiunto la tua vera grandezza, ora non t’importa veramente più di nulla e nulla può più toccarti”.
“Xayde sapeva molto bene che, proprio in quel momento, per nessuna ragione avrebbe dovuto lasciarlo solo con se stesso. Era molto prossimo a sfuggirle”.
“Tu sarai ora l’Infante Imperatore, mio signore e maestro… E ne hai tutto il diritto. Con la tua venuta, tu non solo hai salvato Fantàsia, ma l’hai creata! Noi tutti, io stessa, siamo soltanto tue creature! Tu sei il Massimo Sapiente; perché ti spaventa tanto accettare l’onnipotenza che ti è dovuta?”
Xayde spinge Bastiano ad usare il suo arbitrio per creare e distruggere a suo piacimento. Un tipo di governo diametralmente opposto a quello dell’Imperatrice che ha sempre lasciato la libertà di essere e di fare, a tutte le creature. Secondo la maga, quella di governare Fantàsia è la vera volontà di Bastiano.
La maga è davvero frutto dell’invenzione di Bastiano. In maniera indiretta, certo, ma anche lei è scaturita dalla sua fantasia. E’ stata creata in un momento in cui Bastiano ha desiderato di diventare pericoloso, temibile e temuto ed è quindi “nata” con lo scopo di essere vinta, battuta. Ma non è il solo motivo per cui ha fatto la sua comparsa in Fantàsia. Con il suo desiderio, Bastiano ha voluto - inconsciamente – ottenere ammirazione e gloria imperitura, adulazione e sottomissione delle altre creature di Fantàsia (compresi Atreiu e Fùcur). Ma questo non rappresentava e non rappresenta neanche ora la sua vera volontà, ma soltanto una tappa obbligatoria del suo viaggio per comprendere quale essa sia realmente. E’ una creatura diabolica, Xayde, ma il Male, l’ostacolo ch’ella rappresenta è  funzionale alla prosecuzione della crescita di Bastiano. E’ una sorta di Malefica Sacerdotessa (e ricordiamo, a questo proposito, che indossa vesti viola). Il viola è un colore estremamente ambiguo, legato alle funzioni religiose, nonché alla morte e alla sventura. Il viola è, però, anche il colore del settimo Chakra[10].
“L’accoglienza che venne tributata a Bastiano alla Torre d’Avorio fu festosa e solenne, come egli aveva desiderato”.
Bastiano vuole arrivare al padiglione che forma l’estremità della Torre,  ma vede che il fiore di magnolia è chiuso e l’ultimo pezzo di strada da percorrere è così liscio e ripido che è impossibile percorrerlo.  Arrivare lì deve essere un dono.
“Se c’era qualcuno che poteva fargli dono d’ora in poi di quell’ultimo pezzo di strada, quello era lui stesso”.
Non riuscendo a salire, però, ordina a coloro che sono stati i consiglieri dell’Imperatrice di studiare un modo per salire fin sulla magnolia.
“E ricordatevi che la mia pazienza ha un limite”.
Obbliga tutti a fare giuramento di completa sottomissione al suo volere perché ora è lui il regnante in carica. Per di più proclama che di lì a settantasette giorni esatti intende incoronarsi Infante Imperatore.
Il comportamento di Bastiano appare a tutti assolutamente mostruoso, ovviamente.
“[…] non si occupò più di nulla. […] Nei giorni e nelle settimane che seguirono, Bastiano invece passava la maggior parte del tempo immobile nella stanza che si era scelto come privata dimora. Teneva gli occhi fissi davanti a sé e restava lì senza far nulla. Gli sarebbe piaciuto poter avere ancora qualcosa da desiderare, o essere ancora capace di inventare delle storie che gli tenessero compagnia, ma si sentiva completamente svuotato”.
Si instaura in Fantàsia un clima di ribellione, ma Xayde continua a incalzare Bastiano affinché, una volta Imperatore effettivo, faccia piazza pulita di tutto ciò che non sia la sua volontà.
E Bastiano inizia a dire, persino: “Io voglio che loro vogliano quel che voglio io”.


Ma è impossibile (e profondamente ingiusto) intervenire e condizionare la Volontà/Libero Arbitrio degli altri!

Il giorno dell’incoronazione è il giorno della sanguinosissima battaglia della Torre d’Avorio, quando i moti di ribellione e le sommosse diventano un vero e proprio scontro punico.  Scendono tutti in campo, ognuno con uno scopo diverso. Anche Atreiu è nella mischia dei combattenti, solo che “Atreiu non combatteva per se stesso, ma per l’amico che voleva sconfiggere solo per salvarlo”.
Quando Bastiano si alza dal suo trono di specchi (ormai in frantumi), sfida Atreiu, ma poiché Sikanda resta nel fodero, Bastiano la sguaina con la forza e colpisce Atreiu. Ferito, Atreiu cade all’indietro, ma viene afferrato da Fùcur, che lo porta via. Il mantello di Bastiano, intanto, ha cambiato colore: è diventato nero come la notte.
“La sua vittoria aveva il gusto amaro del fiele e al tempo stesso gli dava una sensazione di selvaggio trionfo”.


Qui, Bastiano ricorda in maniera particolare Caino, mentre Atreiu – suo alter ego – può essere – in questo caso – paragonato ad Abele.

Nello scontro muoiono moltissimi Fantasiani e altrettanti rimangono gravemente feriti. Bastiano si allontana dal campo con la cintura dell’invisibilità in tasca. Improvvisamente il Padiglione della magnolia prende fuoco e si apre: dentro c’è solo il vuoto.  L’ultima immagine del capitolo è quella di Bastiano che parte alla ricerca di quello che è – secondo lui – il responsabile di ogni cosa: Atreiu.
“Si issò su uno dei giganteschi cavalli di metallo nero. […] Il destriero s’impuntò, ma egli lo costrinse con la forza della sua volontà e lo spronò al galoppo nel cuore della notte”.
Una delle cose peggiori che possa capitare ad un individuo durante la sua crescita interiore è il credere fermamente di avere ragione. Allora la volontà viene applicata ad una cosa orribile chiamata ottusità. L’ignoranza (cioè il decidere volontariamente di non vedere come stanno veramente le cose) è un ostacolo gigantesco. Chi ha deciso di non mettersi più in discussione ha smesso di crescere e di evolversi.



CAPITOLO 23: “La Città degli imperatori”

Bastiano vuole vendetta per non essere riuscito a diventare Imperatore. Cavalca alla ricerca di Atreiu,  ed è seguito da Xayde, la cui volontà sembra giunta ai limiti delle possibilità. Nella mente di Bastiano compaiono gli occhi e lo sguardo di Atreiu poco prima di cadere all’indietro, ferito da Sikanda. Atreiu ha esitato, non si è avventato contro Bastiano per strappargli AURYN con la forza e Bastiano si chiede il perché.
Mentre sta cavalcando, Bastiano cade in mezzo ad un cespuglio: il cavallo metallico si è disintegrato sotto di lui. Rimasto, dunque, anche senza cavalcatura, il ragazzino si alza, si getta sulle spalle il mantello nero e si incammina verso la luce che sta nascendo all’orizzonte. Non ha una meta, e – cadendo – ha perso anche la  Cintura Ghemmal; non se ne è accorto, ma non ha importanza perché con quella cintura Bastiano ha fatto soltanto danni…
Verso mezzogiorno Bastiano giunge davanti ad una città stranissima che sembra frutto di una follia collettiva. In questa città, ogni cosa dà l’immagine della pazzia. Strani gli edifici e strani gli abitanti che, per quanto affaccendati, danno tutti l’impressione di non sapere affatto dove vogliano andare. Tutti sono dominati da una febbrile attività e il brulicare è intensissimo.
Bastiano fa la conoscenza di Argax, una scimmietta che si fregia di essere il guardiano della città. Argax spiega a Bastiano che “è perfettamente inutile far loro [agli abitanti della città] delle domande, tanto quelli non ti possono dire più niente. Si potrebbero chiamare i Nulladicenti”.
La città di cui si parla in questo capitolo non ha nome, ma Argax la definisce la “Città degli Imperatori” perché, anche se nessuno degli abitanti ha l’aria di un Imperatore, un tempo lo sono stati tutti.
“Ogni essere umano che non trovi la strada per tornare indietro presto o tardi vuol diventare imperatore”.
La scimmietta propone a Bastiano di fargli da Cicerone:
“Desideri fare una piccola visita della città, signore? Diciamo… una prima conoscenza con il tuo futuro luogo di residenza? […] Su, vieni, non costa niente. Il prezzo d’ingresso lo hai già pagato comunque”.
Gli abitanti della Città degli Imperatori si comportano in maniera strana, si ignorano come se neppure si vedessero, non interagiscono né parlano tra loro. Eppure erano tutti esseri umani, un tempo, proprio come Bastiano. Sono tutte persone che non hanno ritrovato la strada per tornare nel loro mondo:
“Prima non volevano e ora… diciamo… non possono più”.
Perché non possono più? Semplice. Perché dovrebbero desiderarlo, ma ormai non desiderano più niente… Hanno sprecato il loro ultimo desiderio in qualche altra cosa.
“Ma perché, non si può continuare ad avere desideri fin che si vuole?”
“Certo che no! Puoi continuare ad avere desideri fintanto che ti ricordi del tuo mondo. Quelli che vedi qui invece hanno fatto fuori tutti i  loro ricordi. E chi non ha più un passato non ha neppure un avvenire, non ti pare? Per questo non invecchiano, […] ma restano così come sono. Per loro nulla può cambiare, perché loro stessi non possono più cambiarsi”
Bastiano scopre che esistono due tipi di matti:
“Gli uni hanno ceduto i loro ricordi a poco a poco. E quando hanno perduto anche gli ultimi, nemmeno AURYN ha potuto più soddisfare alcun nuovo desiderio. […] Gli altri, invece, che si sono fatti imperatori, quelli i loro ricordi li hanno perduti sul colpo. Anche  in questo caso AURYN non poteva più soddisfare alcun desiderio, perché non ne avevano più. […] Quando uno si proclama imperatore, AURYN scompare di propria iniziativa. E’ chiaro come il sole, si  potrebbe dire, perché dopotutto non si può usare il potere dell’Infanta Imperatrice per defraudarla appunto del suo potere”.
Il risultato è, però, lo stesso per entrambe le categorie: non possono più andarsene da lì.
Il messaggio è chiarissimo: NON CI SI PUO’ SOSTITUIRE A DIO!
Interessante “Il Gioco del Caso” inventato dalla scimmietta per tenere occupati i Nulladicenti. Prendete il libro de “La Storia Infinita” e leggetelo: vi lascerà a bocca aperta! Il significato del gioco è che, una volta spariti Desideri e Volontà, non resta altro che affidarsi al Caso…
Tutto comincia a prendere forma… Bastiano non è stato proclamato Imperatore per un soffio, perciò porta ancora il medaglione. Atreiu ha probabilmente qualche merito, in proposito. Quel che resta da fare a Bastiano, la sua unica via d’uscita, è trovare un desiderio che lo riporti nel suo mondo. Ne ha pochissimi ancora a disposizione, forse tre o quattro, quindi le possibilità che riesca a tornare nel Regno (decima e ultima Sephira della Qabbalah) sono molto scarse.
“Nessuno in Fantàsia sa dov’è, per quelli come voi, la strada che conduce nel vostro mondo”.
Ovvio, no? I Fantasiani sono una creazione degli uomini, non viceversa. E ognuno degli uomini è diverso, ha desideri diversi e quindi una strada diversa. Bastiano non sa cosa fare, “ciò che aveva desiderato era la sua rovina e ciò che aveva odiato era la sua salvezza”. Le sue certezze sono andate completamente capovolte, distrutte… Sfinito, si addormenta e quando si sveglia ha perso il ricordo di essere stato un tempo capace di inventare delle storie.
Decide di abbandonare Sikanda e di seppellirla: “nessuno ti deve trovare qui, prima che sia dimenticato ciò che è accaduto per mezzo tuo e per colpa mia”.
Ora non gli rimane altro da fare se non desiderare. “I pochi ricordi che gli erano rimasti li poteva sacrificare soltanto per riavvicinarsi al suo mondo e, anche in questo caso, solo quando fosse stato proprio necessario. Ma i desideri non si possono evocare, né soffocare a piacimento”.
I desideri sono BISOGNI, necessità. “Essi nascono dalle profondità più remote del nostro animo, più nascosti di ogni altra intenzione, siano essi buoni o cattivi. E a nostra insaputa”.
In Bastiano comincia a nascere un nuovo desiderio. La solitudine in cui sta vagando da giorni gli ha fatto desiderare di “appartenere ad una comunità, di essere accolto in un gruppo, non come signore, capo o vincitore, o come qualcosa di speciale, ma soltanto come uno fra gli altri, fosse anche il più piccolo e meno importante, comunque come uno che fa naturalmente parte di un gruppo”.
Ed è così che giunge al Mare delle Nebbie, dove tutto è a misura di bambino anche se gli abitanti sono adulti delle dimensioni di bambini. Personaggi talmente simili gli uni agli altri che è quasi impossibile riconoscerli. Tutto, in questa città, è fatto di giunco. La città è perciò chiamata “la città di giunco”, Yskal. Bastiano si presenta a tre navigatori (gli Yskalnari) dicendo di chiamarsi “Uno”. Neanche gli Yskanari usano nomi per chiamarsi.  Il Mare delle Nebbie, Skaidan, è noto perché la sua nebbia ha la proprietà di togliere a chiunque e in qualunque momento il senso dell’orientamento. Chiunque voglia attraversare il Mare delle Nebbie deve rivolgersi ai tre uomini di mare che ho appena citato.
La cosa interessante è che “come Bastiano poté presto notare, tutti qui potevano totalmente ignorare la parola «io» e, parlando, si servivano sempre del «noi».
Un viaggio sullo Skaidan differisce di molto da qualsiasi viaggio in mare, perché non si può mai sapere quanto si starà fuori né dove si arriverà. Il sistema di propulsione della nave è l’energia. Né vele, né braccia, né remi servono a muoverla, ma la forza del pensiero.
“Se tu vuoi muovere le gambe ti basta pensarlo, no? Oppure devi manovrarle con qualche sistema di ruote?”
“E così Bastiano andò ora a scuola dai navigatori della nebbia e imparò il segreto della loro comunanza: la danza e il canto senza parole”.
Senza parole non ci sono fonti di fraintendimento e malintesi, non c’è la possibilità di litigare o di trovarsi in disaccordo, ma gli Yskalnari non litigano mai anche perché non hanno idee diverse: pensano all’unisono, un pensiero unico. Questo modo di pensare non richiede alcuno sforzo e, alla lunga, diventa monotono, così come monotona è la melodia dei canti del Yskalnari.
Con gli Yskalnari Bastiano prova un benefico senso di appartenenza, eppure, nel profondo del suo cuore si sente solo e inizia a desiderare di non esserlo più.
“Sentiva che in tutto questo mancava qualcosa di cui egli aveva fame, ma non sapeva dire di che cosa si trattasse”.
Gli Yskalnari non provano questo senso di “fame” perché non sentono la mancanza di nessuno: per loro il singolo non conta nulla.
“Ma Bastiano vuole essere un individuo, un qualcuno, non soltanto uno come tutti gli altri. E proprio per questo voleva anche essere amato, perché era così com’era”.
Nella comunità di cui è entrato a far parte c’è – sì – l’armonia, ma manca l’amore.
“Egli non voleva essere il più grande, il più forte, il più intelligente. Tutte queste cose le aveva ormai lasciate dietro di sé. Aveva una grande nostalgia di essere amato così com’era, buono o  cattivo, bello o brutto, stupido o intelligente, con tutti i suoi difetti. O addirittura proprio per questi. Ma lui com’era, in realtà? Non lo sapeva più”.
Finalmente arriva sull’altra sponda del Mare delle Nebbie e sceso a terra, Bastiano si incammina per un sentiero sinuoso.
Tutti noi facciamo parte di una comunità e parlando diciamo spesso “noi”, inserendoci in qualche gruppo: “noi” italiani, “noi” operai, “noi” amici, “noi” studenti, e così via. Quando, a volte, pronunciamo la parola “io”, però, non sappiamo di cosa stiamo parlando: non apparteniamo a nessuna categoria e ci sentiamo soli e smarriti. Da un lato sentiamo il bisogno di distinguerci dalla massa (per intelligenza, bellezza, bontà o altre caratteristiche positive o – a volte – negative), dall’altro abbiamo la necessità di appartenere ad un gruppo. Perché? Perché il gruppo ci fornisce un’illusoria sensazione di conforto, di forza, di stabilità di compagnia. Ma non siamo veramente amati, nel gruppo. Siamo accettati e integrati finché sottostiamo alle regole imposte da quel gruppo, ma nel momento in cui iniziamo a pensare autonomamente, con la nostra testa, diventiamo inutili se non – addirittura – pericolosi. Il nostro nome non dice niente di noi e non possiamo contare su quello per distinguerci DALLA massa. Il nostro nome serve – semmai – a distinguerci NELLA massa, ma “io” non è un nome e non dice alcunché di quello che è veramente “io”!
Nel mondo in cui viviamo siamo soltanto delle “entità” che sommate tra di loro formano una massa. Per capire meglio questo concetto vi invito a tornare un po’ indietro con la memoria, a quando eravate bambini: vi hanno sempre spiegato che non si possono sommare cose diverse. Esempio: 1 mela + 1 mela = 2 mele. Fin qui, tutto bene. Ma 1 mela + 1 palloncino + 1 bicchiere = ? Qual è il risultato di questo calcolo? Non si può fare. Per farlo, dovremmo considerare la mela, il palloncino e il bicchiere – genericamente – semplici oggetti. Allora il calcolo avrebbe questa forma: 1 oggetto + 1 oggetto + 1 oggetto = 3 oggetti. Cancellare l’”io” in favore del “noi”…
E voi volete essere “io” o “noi”?



CAPITOLO 24: “Donna Aiuola”

Che fine ha fatto la maga Xayde?  E’ morta durante la permanenza di Bastiano nella città di Yskal. Vediamo come…
Xayde ha seguito Bastiano ed è giunta nella Città degli Imperatori. Ragionando, è arrivata a comprendere che se Bastiano era lì, allora non sarebbe servito più a niente né a se stesso né tantomeno  a lei e ai suoi scopi. Così ha ordinato ai suoi giganti corazzati  di fermarsi, ma quelli, inspiegabilmente, hanno proseguito la loro corsa. Quando Xayde è saltata giù dalla lettiga e si è messa davanti a loro per fermarli, quelli l’hanno calpestata a morte.  Solo alla sua morte, le creature si sono fermate di colpo. Icrione, Isbaldo e Idorno, visto il cadavere della maga, pensano che si sia trattato di suicidio, dato che i giganti erano sotto il controllo della sua volontà e così mettono fine alla campagna militare e prendono ognuno una strada diversa, in una ricerca senza senso.
Certo, perché - prese una per una - le caratteristiche impersonate dai tre cavalieri non servono a molto. Sono come degli “io piccoli”, troppo piccoli per poter compiere un viaggio tanto complesso e pericoloso come quello  per la Grande Ricerca, o ricerca del “vero io”.
Tornando a Bastiano…
Grande stupore lo coglie nel vedere un cartello lungo il sentiero che sta percorrendo. Il cartello in questione, recita:
“ALLA CASA CHE MUTA”
Il profumo delle rose lo inebria e lo prepara a qualcosa di meraviglioso…
Camminando, Bastiano arriva ad una casetta, una casetta con una particolarità: è in continuo mutamento! Bastiano la osserva per un po’ con stupore e divertimento e mentre è in contemplazione di quel bizzarro fenomeno ode una voce femminile, dolce e calda, provenire dall’interno. Bastiano  trova la voce deliziosa e vorrebbe che la canzone fosse per lui. Non trascriverò qui la canzone perché – come spesso vi ho detto – vorrei che leggeste il libro anche voi!
Riporterò soltanto due versi perché sono essenziali e riassumono in poche parole il significato di INIZIAZIONE:
“Gran signore, sii bambino!
Torna a essere piccino!”
Bastiano bussa e quando ottiene il permesso di entrare vede, seduta a tavola, una donna “che aveva ella stessa un po’ l’aspetto di una mela, bella tonda e con le gote rosse, dall’aria sana e appetitosa”.  La donna ha un modo di guardare che ispira fiducia e i suoi abiti sono fatti di fiori, foglie e frutti. Vorrebbe abbracciarla, attratto da lei come se fosse sua mamma.
“Mentre se ne stava lì a guardarla, fu colto a una sensazione che non aveva più conosciuto da tanto, tanto tempo. Non poteva ricordare dove e quando l’avesse provata, sapeva soltanto che, talvolta, si era sentito così quando era molto piccolo”.
E’ una sensazione che gli arriva probabilmente dal grembo materno, per questo non può ricordare, ma soltanto “sentire”. “La sua mamma era morta e non era certo qui in Fantàsia. Questa donna aveva lo stesso sorriso amoroso e lo stesso modo di guardare che ispirava fiducia, ma la somiglianza era al massimo quella di una sorella. Sua madre era una donna piccola e minuta, questa invece era alta e di aspetto imponente”.
Per tornare nel proprio Regno (decima Sephira), Bastiano deve “reincarnarsi” e  “rinascere” e ora si trova – per l’appunto nel grembo materno.
Bastiano pensa di essere giunto lì solo per caso (pur essendo, invece, atteso da tempo, da più di cento anni), ma la donna lo invita con dolcezza a magiare e a sfamarsi, mentre lei si annaffia la testa. Il cibo è buonissimo e ogni frutto è più buono del precedente. Mentre Bastiano mangia estasiato, la donna fiorita inizia a raccontargli una storia: è la storia di Fantàsia e di Bastiano!
“Ma dimenticavo di dirti come si chiamava il bambino atteso già da tanto tempo nella Casa che muta. Molti in Fantàsia lo chiamavano semplicemente ‘il salvatore’, altri ‘candelabro a sette bracci’ oppure il ‘Massimo Sapiente’, o anche ‘Signore e Sovrano’, ma il suo vero nome era Bastiano Baldassarre Bucci”.
“In verità ti aspettavamo da più di cento anni. Già mia nonna e la nonna di mia nonna ti aspettavano. Vedi, ora A TE viene raccontata una storia che è nuova, eppure parla di un passato antichissimo”.
Donna Aiuola si accorge che Bastiano è ancora affamato, allora coglie per lui dei frutti dal “cappello” che porta sul capo. Ho messo le virgolette alla parola cappello perché in realtà quel cappello fa parte di lei come per noi i capelli. Bastiano è perplesso e imbarazzato e intesse questo dialogo con la donna:
“Come si fa a mangiare qualcosa che viene fuori da un’altra persona?”
“E perché no? I bambini piccoli prendono pure il latte dalla mamma E’ una gran bella cosa”.
“Già, ma solo fintanto che sono piccoli piccoli”.
“Allora adesso dovrai diventare di nuovo piccolo piccolo, bambino mio”.
Bastiano ricomincia a mangiare e più mangia più la donna dà frutti sempre più splendenti. Ad un certo punto Donna Aiuola invita Bastiano a trasferirsi nella stanza accanto perché probabilmente la Casa che muta avrà preparato una sorpresa per lui. E infatti la Casa ha allestito una stanza che faccia sentire Bastiano piccolo piccolo. La Casa è una creatura buona che ama cambiare spessissimo ogni cosa dentro di sé mettendo – a volte – tutto a soqquadro o a testa in giù. E’ burlona e pazzerella, ma molto cara ed affettuosa. E’ più grande dentro che fuori.
Bastiano comincia ad avere sonno, ma cerca di seguire il discorso di Donna Aiuola:
“Ho sempre desiderato di avere un bambino. Anche mia mamma e mia nonna hanno desiderato di avere un bambino. Ma soltanto io ne ho avuto uno, adesso. [Perché] noi non moriamo, e non veniamo neppure al mondo. Noi siamo sempre la medesima Donna Aiuola e al tempo stesso non lo siamo. […] E così siamo noi stesse la nostra creatura e non possiamo essere madri. Per questo sono contenta che tu sia qui, bambino mio”.
Donna Aiuola è Madre Natura, è tutte le madri del mondo, è una sorta di Madonna, di Vergine Maria. Non nasce e non muore, ma compiuto un ciclo vitale, appassisce e si chiude in se stessa, finché una nuova stagione arriva e lei risorge a nuova vita. E’ come un albero che vive le sue quattro stagioni eternamente, in un ciclo continuo: primavera, estate, autunno, inverno. Una Fenice che risorge dalle proprie ceneri.
E’ madre, Donna Aiuola, e allo stesso tempo non lo è perché non dà mai alla luce una creatura, ma sempre e solo se stessa. Ecco come ha fatto ad attendere Bastiano da più di cento anni… La Casa, dunque, fa parte di lei e rappresenta proprio il grembo materno, che muta di continuo, ma rappresenta anche il Mondo. Un mondo che è più grande dentro che fuori? Certo! Tutti noi pensiamo che il nostro corpo sia un involucro che basta a contenere l’”io”… Beh, il nostro “io” è molto più grande di quel che vediamo quando guardiamo il nostro corpo.
Bastiano si addormenta, cullato dalla ninna nanna della donna e quando la mattina seguente si sveglia si sente bene, contento e soddisfatto. Tutto ciò di cui ha bisogno gli viene fornito in abbondanza e Bastiano rimane con Donna Aiuola per diversi giorni.
Una sera, però, Bastiano esordisce dicendo:
“Ho sbagliato tutto. Non ho capito niente. Fiordiluna mi ha donato tante cose e io, con i suoi doni, non ho fatto che combinare guai, per me e per fantàsia”.
Donna aiuola non è d’accordo e gli risponde:
“Questo non lo credo. Tu hai percorso la strada dei desideri, e quella non è mai dritta. Hai fatto un gran giro, ma era proprio la TUA strada. E sai perché? Perché tu sei di quelli che possono tornare indietro soltanto quando hanno trovato la fonte da cui sgorga L’Acqua della Vita. E quello è il luogo più segreto di Fantàsia. La via per arrivarci non è mai facile. […] Ogni strada che conduce là risulta, alla fine, quella giusta”.
La Fonte in questione si trova ai confini estremi di Fantàsia. Obiezione: Fantàsia non ha confini! Invece li ha, solo che non sono esterni, bensì interni. Sono dentro, non fuori. “Sono nel luogo da cui l’Infanta Imperatrice riceve tutto il suo potere e dove lei stessa non può arrivare”.
E c’è un solo modo per arrivare là: con l’ultimo desiderio.
Grazie ad AURYN, ogni desiderio di bastiano si  è realizzato, ma per ognuno di quei desideri lui ha perso qualcosa e anche ora perderà un ricordo. Donna Aiuola non gli dice cosa perderà perché se Bastiano lo sapesse in anticipo, farebbe di tutto per tenersi stretto quel ricordo. E’ necessario, però, che sappia di non aver perso nulla in realtà perché:
“Nulla va perduto, tutto si trasforma”.
Col passare del tempo, Bastiano mangia sempre di meno e inizia a sentirsi sazio anche delle cure e della tenerezza fornitegli da Donna Aiuola. Questo va di pari passo con il risvegliarsi di un nuovo desiderio: ora è lo stesso Bastiano a voler amare. Tale desiderio cresce in lui giorno dopo giorno perché quello è il suo ULTIMO desiderio, la sua Vera Volontà. Ora che lo ha trovato, ha dimenticato suo padre e sua madre: gli è rimasto soltanto il suo nome. Deve salutare Donna Aiuola e la Casa e andar via, guidato dal suo ultimo desiderio.



CAPITOLO 25: “La miniera delle immagini”

Bastiano si mette in cerca della fonte da cui sgorga l’Acqua della Vita e arriva fino ad un luogo innevato ed  immerso nel più totale silenzio. Là vive e lavora Yor, un minatore cieco. Yor è cieco soltanto alla luce, ma sottoterra, nelle profondità della sua miniera, ci vede benissimo.  La miniera è la cava di Minroud, anche detta miniera delle immagini, ed è fatta per le persone che non riescono a trovare l’Acqua della Vita. Yor spiega a Bastiano cosa rappresentano le immagini contenute nella miniera in questione.
“Nulla al mondo va perduto. Non ti è mai capitato di sognare qualcosa e poi, al risveglio, non sapere più che cosa hai sognato?”
Yor acconsente a portare Bastiano nella cava, ma ad una condizione: non deve emettere alcun suono perché un rumore qualsiasi è in grado di distruggere tutte le immagini. Le immagini sono lastre sottilissime di una specie di mica molto fragile trasparenti e colorate, di tutte le forme e dimensioni. Non si sa cosa rappresentino, il loro significato è per lo più misterioso, ma c’è proprio tutto, anche se nelle combinazioni più grottesche.
Le  immagini sono i sogni dimenticati degli uomini. “E quanto più si scava in profondità, tanto più sono fitti. Tutta Fantàsia posa su fondamenta di sogni dimenticati”.

Se parlaste della miniera delle immagini ad uno psicanalista probabilmente vi direbbe che essa è il nostro inconscio e – forse - non avrebbe tutti i torti…
 
Ci sono anche quelli di Bastiano e lui dovrà trovarne almeno uno. Perché? Perché Bastiano ha dimenticato tutto, all’infuori del proprio nome e della propria volontà. Vuole amare, Bastiano, ma quando avrà trovato la fonte, questa gli domanderà CHI vuole amare e lui non potrà rispondere. Se non potrà rispondere non potrà neanche bere l’Acqua della Vita e di conseguenza non potrà tornare a casa, nel suo mondo.
“Perciò l’unica cosa che ti può aiutare è ritrovare un sogno dimenticato, che ti dia un’immagine con la quale arrivare alla fonte. Ma per questo dovrai anche dimenticare l’ultima cosa che ti rimane: te stesso”.
Delle immagini che Yor porta su dalla miniera Bastiano non ne trova nemmeno una che abbia valore per lui, perciò il minatore gli consiglia di scendere e di andare a scavare personalmente. Ma mentre Yor ci vede benissimo nelle profondità della terra, Bastiano è completamente cieco al buio, perciò spesso va ad urtare contro spigoli o sporgenze di roccia.  A poco a poco, però, impara a muoversi e ad orientarsi anche laggiù.
“Riconosceva i passaggi e le gallerie con una sorta di sesto senso, un senso nuovo che non si sarebbe mai potuto spiegare”.
“Raggomitolato su se stesso come un feto nel grembo della madre, Bastiano giaceva nelle tenebrose profondità delle fondamenta di Fantàsia e scavava paziente alla ricerca di un sogno perduto, di un’immagine che potesse condurlo all’Acqua della Vita. […] Non si lamentava e non si ribellava. Aveva perduto ogni compassione per se stesso. Era diventato silenzioso e paziente”.
Bastiano sta vivendo quelli che potremmo definire come gli ultimi momenti di una gestazione e ha dimenticato quasi tutta la sua vita precedente.
Una sera porta in superficie una lastra con un’immagine che lo sconvolge: è l’immagine di un uomo in camice bianco, dal volto triste. Questa immagine gli risveglia una forte nostalgia di quell’uomo sconosciuto e in quel frangente, Bastiano perde ciò che ancora ricorda di sé: il proprio nome.
Ancora una volta il sesto senso lo aiuta e nel cuore Bastiano “sente” le parole di supplica di quell’uomo in camice bianco:
“Ti prego, aiutami! Non abbandonarmi. Da solo non ce la faccio a uscire da questo ghiaccio. Aiutami! Solo tu puoi liberarmi, solo tu!”
Bastiano può finalmente rimettersi in viaggio, guidato dall’immagine che porta con sé, ma deve fare molta attenzione a non perderla o romperla: solo lui sa cosa significa e oltre quella non gli rimane più nulla in Fantàsia!
Sulla strada incontra, però, gli Uzzolini che gli rammentano di quando Bastiano li ha trasformati. Ora essi hanno di nuovo bisogno di lui perché si annoiano a morte a non avere delle regole. Certo, bastiano li aveva trasformati da Acharai a Uzzolini con le migliori intenzioni, ma le creature hanno pagato cara la sua bontà. La loro richiesta a Bastiano è che lui diventi il loro capo. Rispondendo loro di non poterli accontentare, li fa infuriare. Ne scaturisce una lotta in cui l’immagine che Bastiano ha tenuto fino a quel momento al sicuro si rompe.
Ora tutto sembra veramente perduto, ma all’orizzonte si stagliano due figure: sono Atreiu e il Drago della Fortuna…



CAPITOLO 26: “Le Acque della Vita”

Bastiano, a cui non è rimasto nulla, neppure il nome, si trova ora davanti ad Atreiu, la cui ferita non sanguina più. I due giovani si guardano in silenzio poi Bastiano depone AURYN ai piedi di Atreiu. A quel gesto, lo Splendore si illumina tanto intensamente da abbagliare. Quando i tre riaprono gli occhi si trovano sotto una immensa cupola i cui confini sono costituiti dai due serpenti che si mordono la coda. Così stretti, i serpenti (uno bianco e l’altro nero) custodiscono le Acque della Vita, che sgorgano da una fonte posta proprio al centro dell’ovale. Bastiano fissa assetato quella fonte, ma non sa come raggiungerla. La fonte canta un canto di gioia che solo Fùcur, Drago della Fortuna, può comprendere. E le Acque (che più vengono bevute più si arricchiscono) continuano a ripetere:
“Bevi, bevi! Fa’ ciò che vuoi!”
Ma Bastiano è senza ricordi e senza ricordi non può entrare, così Atreiu si offre di rispondere per l’amico. Le Acque vogliono sapere perché, se davvero i due sono amici, Atreiu ha quella ferita sul petto e Atreiu risponde con parole sagge e meravigliose:
“Noi avevamo entrambi ragione  entrambi ci siamo sbagliati. Ma ora Bastiano ha deposto volontariamente AURYN”.
A queste parole i serpenti li accettano perché quel luogo è AURYN!
“Auryn  è la porta che Bastiano cercava. Egli l’ha avuta con sé fin dall’inizio. Ma, dicono loro, i serpenti non lasciano passare nulla che venga da Fantàsia oltre la soglia. Per questo Bastiano deve deporre tutto ciò che ha avuto in dono dall’Infanta Imperatrice. Altrimenti non può bere l’Acqua della Vita. […] Dicono che qui finisce il potere di Fiordiluna. E lei è l’unica che non può mai entrare in questo luogo. Non può penetrare nell’interno dello Splendore, poiché non può deporre se stessa”.
I tre personaggi entrano all’interno delle “mura” formate dai due serpenti  e si dirigono verso la fonte:
“E mentre vi si dirigevano, a ogni passo una delle meravigliose doti fantàsiche che Bastiano aveva ricevuto in dono lo abbandonava. […] Così, da ultimo, rimase tutto nudo davanti al gran cerchio d’oro al cui centro sgorgavano le Acque della Vita […]”
Per un istante, nel momento della transizione, Bastiano non sa a che mondo appartiene e viene colto da una totale incertezza, ma inizia a bere e beve fino a quando la sua sete si placa e la gioia lo colma. Naturalmente le Acque della Vita possono essere ricondotte con facilità alle acque presenti nel grembo materno, di cui l’ovale (formato dai due serpenti e dalla cupola) è proprio la rotondità di quello stesso ventre. Quando la testa del serpente bianco si apre, è come se si fossero “rotte le acque” e Bastiano – nudo - fosse entrato nel canale del parto. Il buio e l’incertezza sono le stesse cose che tutti i bambini vedono e sentono quando vengono fatti nascere perché il passaggio da un mondo all’altro è stato faticoso e travagliato.
BASTIANO E’ APPENA RINATO. “E la cosa più bella era che adesso voleva proprio essere così com’era. Se avesse potuto scegliere fra tutte le possibilità, non avrebbe scelto altro che questa. Perché adesso sapeva: c’erano nel mondo mille e mille forme di gioia, ma, in fondo, tutte si racchiudevano in una sola, quella di poter amare. E gioia e amore erano la stessa cosa”.
Atreiu e Fùcur, nel frattempo, iniziano a rendersi conto di essere già stati lì in precedenza. Non hanno riconosciuto subito il luogo perché la prima volta vi erano stati portati nel sonno ed erano stati ricondotti via mentre dormivano. Ma ora anche loro ricordano.
Bastiano ha finalmente ritrovato se stesso, ma per uscire dall’ovale e per ritornare nel suo mondo deve passare attraverso la testa del serpente bianco. Solo che non può perché prima di passare deve aver portato a termine tutte le storie cominciate in Fantàsia! A meno che non trovi qualcuno che assuma questo compito in sua vece. Atreiu e Fùcur si offrono volontari, così Bastiano può varcare l’altra soglia dietro la quale non c’è altro che oscurità, un’oscurità nella quale Bastiano invoca suo padre.
Nell’invocare il padre, (in una sorta di pianto/vagito neonatale) Bastiano si ritrova di colpo nella soffitta della scuola. Tutto è come lo aveva lasciato, ma il libro è scomparso. Esce dalla scuola passando dalla finestra della soffitta e si dirige verso casa. Il padre lo accoglie a braccia aperte e lui fa altrettanto. Scopre così di essere stato via soltanto un giorno e una notte e di aver creato uno stato di terribile angoscia nel proprio padre.
“E allora Bastiano cominciò a raccontare tutto quello che gli era accaduto. Narrò tutti i particolari e il suo racconto durò parecchie ore. Suo padre lo ascoltava come mai aveva fatto prima d’allora. E comprendeva bene quel che Bastiano diceva”.
“E allora vide una cosa che non aveva mai visto prima di allora. Vide delle lacrime negli occhi di suo padre”.
Bastiano, in qualche modo, è riuscito a portare anche al padre un po’ di Acqua della Vita. Le lacrime che sgorgano dai suoi occhi sono il segno che dimostra lo “sblocco” dei sentimenti del padre di Bastiano. Nell’immagine impressa sulla lastra presa dalla Miniera delle Immagini, l’uomo col camice bianco aveva un’espressione fredda e triste ed è stato proprio questo a spingere Bastiano a tornare a casa, dopotutto. Suo padre è cambiato e Bastiano sa che ora TUTTO sarà diverso, migliore.
Resta una sola cosa da fare: andare dal signor Coriandoli e spiegare la situazione. Bastiano vuole farla personalmente, perché è finalmente in grado di assumersi le proprie responsabilità.
Quando i due si incontrano, però, il bottegaio dice di non ricordarsi del libro di cui Bastiano parla e afferma che dalla sua bottega non manca nulla.
Bastiano racconta anche a lui di tutte le vicissitudini passate a causa e per merito de “La Storia Infinita” e alla fine del racconto si sente rispondere:
“Una cosa intanto è chiara: tu quel libro non lo hai rubato, perché non appartiene né a me, né a te, né a chiunque altro. Se non mi sbaglio, il libro stesso viene da Fantàsia. Chi lo sa,  forse in questo preciso momento è arrivato nelle mani di qualcun altro che si è messo a leggerlo”.
Dal dialogo tra i due, scopriamo che anche il signor Coriandoli è stato in Fantàsia e che anche lui ha dato un nome all’Imperatrice, ma non ha letto “La Storia Infinita” perché, afferma: “Ogni vera storia è una Storia Infinita”. Fantàsia è diversa per ciascuno di noi e “ci sono una quantità di porte che conducono in Fantàsia. Di libri magici come quello ce n’è più d’uno. Molta gente non se ne accorge neppure. Dipende appunto da chi prende in mano un libro simile”.
Il signor Coriandoli svela a Bastiano anche il motivo per cui l’Imperatrice non si possa vedere una seconda volta:
“Da Fiordiluna non ci puoi andare una seconda volta, questo è vero, fintanto che è Fiordiluna. Ma se tu sei in grado di darle un altro nome, la puoi rivedere. E per quanto spesso ti possa accadere ogni volta sarà la prima e l’unica”.
Con queste parole illuminanti io vi lascio, ma non prima di avervi invitato, ancora una volta, a leggere “La Storia Infinita”. E’ un libro straordinario, per la bellezza della storia in sé e per la sua complessità. Gli elementi e i concetti che la compongono sono – è proprio il caso di dirlo – infiniti e io ne ho riportati e analizzati solo alcuni. Ognuno di voi, leggendo, scoprirà cose diverse e vedrà cose che altri non possono vedere perché la Storia Infinita è diversa per ognuno di noi. E’ la nostra storia, la storia di cosa eravamo prima di nascere, di cosa siamo alla nascita e di cosa diventiamo una volta che abbiamo raggiunto questo mondo. E’ una storia di speranza, perché tutti, in qualsiasi momento, possiamo recarci a Fantàsia. Tutti possiamo ritrovare le nostre origini e tutti possiamo scoprirci, riscoprirci e modellare la nostra vita sulla base dei nostri desideri.
Se avete l’impressione che qualcosa, il NULLA, vi stia prosciugando le energie e vi stia rosicchiando l’intensità della vita, non dovrete far altro che trovare la vostra vera volontà, quello che desiderate davvero. E scoprirete interi continenti inesplorati dentro di voi; talenti, sogni e bisogni nascosti verranno a galla e vi cambieranno la vita se saprete dar loro ascolto.
Il NULLA è una sorta di Diavolo, che con l’abitudine, la routine, l’obbedienza agli schemi mentali e molte altre “armi” e tecniche affinate, vi spegne i sogni.  Perciò, non fermate la vostra Grande Ricerca, ma – al contrario – domandate perché se chiederete, vi sarà dato.






[1] CONFESSIONE: [Con il sacramento della penitenza un credente, se sinceramente pentito, ottiene da Dio la remissione dei peccati. È un sacramento amministrato necessariamente da un vescovo o un presbitero ed è anche chiamato con il nome di riconciliazione o confessione.]

[2] Nella Qabbalah esiste una Sephira che non è mai segnalata come tale e che si trova tra la prima e la seconda. Rappresenta la Conoscenza e fa riferimento al frutto proibito, simbolo del Peccato Originale biblico. E’ curioso che si parli del narghilè come di una vipera, perché è come se si volesse rievocare la tentazione di Adamo ed Eva da parte del serpente. Ad un certo punto Xayde dice anche: “Il mio modo di sapere le cose, signore, non è di quelli che si possono dimostrare”. La maga è una tentatrice, ammalia con i suoi gesti, con le sue parole e con la sua sola presenza. Instilla dubbi e infila tarli nella mente di Bastiano.
[3] Il numero 6 è un chiaro riferimento al sesto Chakra e all’INTUIZIONE.
L’Intuizione è rappresentata dalla terza Sephira della Qabbalah.
[ Il nome sanscrito di questo chakra è AJNA che originariamente significava “percepire” e in seguito “comandare”. Questo termine si riferisce alla duplice natura di questo chakra, che accoglie le immagini con la percezione, ma costruisce anche immagini interiori in base alle quali noi governiamo la nostra realtà. L’intuizione è il riconoscimento inconscio degli schemi. E’ una delle quattro funzioni junghiane (le altre sono la sensazione e il sentimento, collegati ai primi due chakra e il pensiero che è collegato al settimo). Lo sviluppo dell’intuizione accresce le nostre capacità psichiche ed è la funzione centrale del sesto chakra. Senza l’intuizione ci è impossibile afferrare la totalità o l’essenza di una cosa. Viviamo in una cultura che privilegia la logica sull’intuizione. Da bambini non ci viene insegnato a dare ascolto alla nostra intuizione e spesso le nostre impressioni sono tenute in poco conto se non possiamo difendere con la logica il nostro ragionamento. Così, spesso diamo poca importanza alle nostre impressioni, perché non crediamo di poter veramente conoscere le cose attraverso un percorso di pensiero non logico. Questa invalidazione interna sopprime le nostre capacità psichiche.
L’intuizione è “come il lampo di un fiammifero nel buio” (Sri Aurobindo)].

[4] IL GUFO. Nella mitologia greca è noto che la civetta (animale differente rispetto al gufo, ma molto spesso identificato con quest’ultimo) rappresentava la dea Atena ed era l’emblema della saggezza e della sapienza.

[5] La Saggezza è rappresentata dalla seconda Sephira della Qabbalah.
[6] E’ nota la cosiddetta “vista d’aquila”.
[7] La volpe è universalmente nota per la sua grande intelligenza.
[8] L’Attenzione è data dall’unione di Osservazione e Pensiero.
[9] Le tre qualità sopra elencate sono complementari tra loro perché lavorano in modo molto diverso l’una dall’altra.
[10] SETTIMO CHAKRA. Plesso coronale. Nome sanscrito SAHASRARA (“mille volte ripiegato in sé”). Il suo elemento è la luce e il tipo di energia a esso collegato è  quello dell’energia spirituale. Nessun mantra viene associato a questo Chakra in quanto lo si riconduce al silenzio e all’ascolto mistico. L’animale simbolico è il SERPENTE ILLUMINATO (guarda caso il simbolo de “La Storia Infinita” e l’animale cui somiglia il narghilè di Xayde), le cui energie si sono trasformate fini a raggiungere il livello spirituale. Il suo metallo è la pietra filosofale e noi abbiamo visto che l’Alchimia e le varie fasi alchemiche sono due dei grandi temi posti alla base del libro di Ende. La pietra filosofale è il prodotto finale delle trasformazioni alchemiche. Il colore del settimo Chakra è, come abbiamo già detto, il viola, e i suoi colori complementari sono: il bianco, la trasparenza incolore, l’oro. La pelle di Xayde è, infatti, bianchissima.  L’oro è il metallo strettamente collegato all’Alchimia e alla Pietra Filosofale. Le parole e le frasi chiave di questo Chakra sono: “Io trascendo”. Senso dell’infinito, trascendenza, misticismo, filosofia, multidimensionalità, abbandono del sé. Centro di unificazione delle attività spirituali. Saggezza, beatitudine, illuminazione. Unione con l’Assoluto, estasi. Capacità di compiere miracoli. Riunione di macrocosmo e microcosmo. Poiché è in relazione con qualunque tipo di religione, questo vortice viene associato con la coscienza cosmica (l’akasha degli Orientali) e con l’energia divina. Chiamato anche “loto dai mille petali”, è collegato al terzo Chakra. Tuttavia la conoscenza del “loto dai mille petali” è parziale, essendo la sua vibrazione molto elevata e quindi, per certi aspetti, fuori della comprensione umana.
[Parte delle informazioni qui sopra riportate sono state da me reperite nel libro intitolato “Chakra – le sette porte dell’energia” di Fabio Nocentini, Edizioni Giunti].

APPROFONDIMENTI E CURIOSITA' 

Una piccola curiosità sulla Morla (capitolo 3):

La Morla è rappresentata come una enorme tartaruga d’acqua, ma non per caso…

Infatti, [secondo la cosmologia induista, la Terra è una mezza sfera, collegata al cielo tramite il monte Merhu, posto al suo centro e sostenuto da elefanti. La stessa Terra è sostenuta da altri e più grandi elefanti, i quali si sorreggono su un’enorme tartaruga che si appoggia su un serpente, detto Ouroboro, simbolo del tempo ciclico, tanto grande da circoscrivere l’intero universo[1]].

La vecchissima Morla, la Montagna di corno, l’Ouroboro… Niente è lasciato al caso!







[1] “FILOSOFIA – Storia delle idee dalle origini a oggi” di Ubaldo Nicola. Edizioni Giunti.

VIDEO SUL MIO CANALE YOUTUBE:
La Storia Infinita || Iniziazione





CURIOSITA’ SULLA CINTURA GHEMMAL (capitolo 21 – “Il Monastero delle Stelle”).

La cintura che Xayde dona a Bastiano ha il potere di donare l’invisibilità a chiunque la indossi e, in questo, ricorda molto l’elmo di Ade:

“[…] e Atena

845 mise il casco dell’Ade, perché Ares potente non la vedesse”[1].

“Ma abbiamo scoperto che la giustizia come tale è per l’anima il bene più prezioso, e che questa deve agire secondo giustizia, che possieda l’anello di Gige oppure no, e in più l’elmo di Ade”[2].



CURIOSITA’ SULLE ACQUE DELLA VITA (capitolo 26 – “Le Acque della Vita").
Le Acque della Vita di cui parla Ende sono molto simili all’acqua del fiume Amelete (nella pianura del Lete), ovvero l’acqua che le anime bevono prima di incarnarsi (o re-incarnarsi):
“A sera, le anime si accamparono presso il fiume Amelete, la cui acqua nessun vaso può trattenere. Ognuna fu costretta a berne una certa quantità, ma quelle che non erano protette dalla prudenza ne bevvero più del necessario: chi beveva quell’acqua, si dimenticava tutto”[3].




[1] “Iliade” – Omero – La grande biblioteca dei classici latini e greci – Fabbri Centauria, V 844-5, pagina 193.
[2] “La Repubblica” – Platone - La grande biblioteca dei classici latini e greci – Fabbri Centauria, Libro X, pagina 817 – Mito di Er.
[3] Mito di Er tratto da “La Repubblica” di Platone - La grande biblioteca dei classici latini e greci – Fabbri Centauria, pagina 843. Nota 73 (pagina 843): Lete significa «oblio». Il fiume Amelete è quello che fa dimenticare ogni cura. Infatti nella pianura del Lete l’anima dimentica il suo passato e si prepara a rinascere. 






APPROFONDIMENTO IMPORTANTE SUL CAPITOLO 11 (“L’INFANTA IMPERATRICE”).
Nell’undicesimo capitolo si parla dei Sette Poteri dell’Infanta Imperatrice (e del Vecchio della Montagna Vagante). Anche la Qabbalah ne parla e lo fa così:
32. “Questo è l’albero che ha due sentieri […] per lo stesso fine (cioè il bene e il male, perché è l’albero della conoscenza del bene e del male). E ha intorno a sé sette colonne (ossia i sette palazzi), e i quattro splendori (ossia i quattro animali) turbinano attorno a esso (in quattro ruote) sui loro quattro lati (secondo la quadruplice descrizione del cocchio di Yechesqiel (Ezechiele).
           [I sette palazzi rispondono alla 3ͣ, 4ͣ, 5ͣ, 6ͣ, 7ͣ, 8ͣ, e 9ͣ  Sephiroth operanti       attraverso i                                  rispettivi ordini di angeli nelle sfere dei sette pianeti, Saturno, Giove, Marte, Venere, Mercurio e Luna. I quattro animali, o Chaioth Ha-Qadesch, sono i poteri vivificati delle quattro lettere del Tetragrammaton, che operano sotto la presidenza della Prima Sephira come il principale movente del primum mobile della creazione. Le quattro ruote sono i loro correlativi sotto la seconda Sephira, sui loro quattro lati, e cioè i quattro elementi, aria, fuoco, acqua, terra, che sono le sedi degli spiriti degli elementi, i silfi, le salamandre, le ondine e gli gnomi sotto la presidenza della decima Sephira]".
[1].




[1] Pagina 112 del volume I di “Magia della Cabala” a cura di S. L. MacGregor Mathers – Edizioni Mediterranee Roma.




APPROFONDIMENTO SU MASCHILE/FEMMINILE
La ricerca dell’equilibrio tra maschile e femminile è spesso presente nel libro de “La Storia Infinita”, ad esempio nel capitolo 7 (“La Voce del Silenzio”), in cui compaiono le definizioni di “Figli di Adamo” e “Figlie di Eva”. E’ un po’ come vedere la distinzione tra i due emisferi del cervello umano (uno– si dice – preposto alla razionalità, l’altro alla creatività). La distinzione (e il completamento) tra maschile e femminile si vede anche e soprattutto in merito alla descrizione del Vecchio della Montagna vagante e a quella dell’Infanta Imperatrice. La Qabbalah, ancora una volta, ci fornisce una spiegazione a riguardo:
40. "Fra queste Sephirot, unitamente e singolarmente, troviamo lo sviluppo delle persone e degli attributi di Dio. Di essi alcuni sono maschi e altri femmine. Per qualche ragione a loro nota, i traduttori della Bibbia hanno accuratamente lasciato fuori ed eliminato ogni riferimento al fatto che la Deità è insieme maschile e femminile. Essi hanno tradotto un plurale femminile con un singolare maschile nel caso della parola Elohim. Tuttavia hanno involontariamente riconosciuto di sapere che si trattava di un plurale in Genesi IV, 26: «Ed Elohim disse: Facciamo l’uomo». Egualmente (V, 27) come poteva, Adamo, essere fatto a somiglianza di Elohim, maschio e femmina, a meno che anche gli Elohim non fossero maschi e femmine? La parola Elohim è un plurale  formato dal singolare femminile ALH, Eloh, aggiungendo IM alla parola. Ma poiché IM è solitamente la terminazione del plurale maschile, ed è qui aggiunto a un nome femminile, esso dà alla parola Elohim il senso di una potenza femminile unita a un’idea maschile e quindi capace di prolificare. Sentiamo parlare molto del Padre e del Figlio nelle comuni religioni attuali, ma nulla si dice della Madre. Nella Qabalah, però, troviamo che l’Antico dei Giorni si conforma simultaneamente nel Padre e nella Madre e così genera il Figlio. Questa Madre è Elohim"[1].


[1] Pagine 29 e 31 del Volume I di “Magia della Cabala”, a cura di S. L. MacGregor Mathers. Edizioni Mediterranee Roma.




ANCORA SUI POTERI DELL’INFANTA IMPERATRICE…
Leggendo uno dei libri di Igor Sibaldi (scrittore, filologo e studioso delle filosofie antiche), intitolato “La teoria del tutto raccontata da te”, edito dalla Salani, ho scoperto che anche nella filosofia induista esiste una classificazione dei massimi poteri che il Dio Śiva ha (e che può ottenere anche l’uomo, seguendo i suoi insegnamenti). Di otto poteri si parla, infatti, a pagina 205 del suddetto libro, nei seguenti termini:
“E l’unione con Śiva conferisce otto poteri, che sono:
la vista di ogni cosa
l’udire tutti i suoni
la comprensione di tutte le cose
la conoscenza di tutte le scritture
l’onniscienza
la velocità, pari a quella della mente
l’assumere tutte le forme
il fare ogni cosa, sempre”.


Tratto da Pāśupata Sūtra, I
 
Chissà… Forse Ende si è ispirato al Dio Śiva per attribuire i poteri all’Infanta Imperatrice…

INCONGRUENZE CHE NON SONO INCONGRUENZE…
Per quanto riguarda il capitolo 16, Ende ci narra che l’eroe Inrico (e – come lui – tutta Fantásia) è a conoscenza dell’esistenza della Morte Multicolore, ma come può esserlo, dato che Graogramàn è stata “creata” solo poco prima? Ancora una volta il tempo, così come lo consideriamo  solitamente, non ha valore nel mondo di Fantásia: una vita può trascorrere in un attimo e un attimo può durare una vita o… un’eternità! 


Esattamente come nella fiaba di “Pinocchio”, nella quale (come lo scrittore Igor Sibaldi fa notare) lo stesso Pinocchio viene riconosciuto e festeggiato dagli altri burattini come fosse sempre esistito, mentre il lettore sa che è stato appena creato!

 In realtà, quello di Pinocchio è il tentativo di una nuova incarnazione… ma vi rimando alle bellissime conferenze del già citato Sibaldi, per saperne di più.



LA “B” DI BASTIANO BALDASSARRE BUCCI…
Ancora una volta devo dire “grazie” ai libri di Igor Sibaldi, questa volta – in particolare – per una bellissima spiegazione della lettera “B” che si trova nel suo “Libro della Creazione”, edito da Mondadori (da pag. 105 a pag. 107, capitolo che, non a caso, si intitola: “La biografia della B”).
“Nelle religioni l’inizio è per lo più un modo di escludere qualcosa che vi era prima, e che sarebbe d’imbarazzo. […] Quanto all’inizio di tutti gli inizi delle nostre grandi religioni, cioè alle prime parole della Genesi, è opinione comune che non vi sia esclusione più radicale.
In principio Dio creò il cielo e la terra
significherebbe che quello, e soltanto quello, si debba ritenere il vero «principio», cioè la negazione di qualsiasi «prima». E molti obbediscono, e credono che così sia; e molti no, e ritengono che chi scrisse la Genesi non avesse voluto far sapere che cosa vi era stato prima (per esempio, da dove venisse il Dio creatore) o che non lo sapesse e che, con quella frase, volesse imporre il  suo non-sapere, per impedire che si indagasse più in là.
Il testo ebraico dà torto sia agli uni sia agli altri. Vedremo che l’espressione solitamente tradotta con «in principio» […] non significa all’inizio, e che il verbo «creò», in ebraico, non è al passato remoto: sicché non è vero che in quel lontanissimo istante cominciò tutto. Ma prima ancora, esploreremo la prima lettera di questa parola, la B, che ha già moltissimo da dire su ciò che Mosè intendeva come inizio di un universo, e di Dio, e di un’evoluzione dell’umanità.
Osserviamo innanzitutto che la B è la seconda lettera dell’alfabeto ebraico, e che ciò è strano: in una lingua in cui le lettere contano non meno delle parole, era lecito attendersi che un libro in cui si narra l’origine di tutto incominciasse con la prima lettera dell’alfabeto, àlef. E sarebbe stato possibile: il nome del Dio creatore è ˊElohim, con l’àlef iniziale. Sarebbe bastato scrivere:
ˊElohim creò.
Invece, Mosè non soltanto volle quella B davanti a tutto, ma la calcò nella parola seguente (BaRa’: «dà forma») […].
Gli premeva che la B attirasse l’attenzione.
E la B è il segno geroglifico di un luogo chiuso, di un’interiorità da cui può formarsi e provenire qualcosa. Dimodoché si percepisce, il sottinteso: «Ma tu che leggi, certamente ti chiederai quale fosse quel luogo-B da cui qui si cominciò, e da quando esisteva? E non vorrai cercarlo?»
Numerosi commentatori lo notarono. E di questi, alcuni amano credere che la Genesi fosse non il primo, ma il secondo libro della Creazione e he il primo cominciasse, quello sì, con l’àlef. E che forse Mosè lo distrusse, così come si narra che distrusse, nel deserto, le prime tavole della Legge. O forse, chissà, lo nascose. […]
Più semplicemente, più realisticamente e più avventurosamente al tempo stesso, quella B da cui incomincia il racconto può essere intesa come l’interiorità di un individuo.
Un racconto deve essere stato scritto da qualcuno. L’inizio del racconto dovrà dunque trovarsi in costui, prima ancora che in ciò di cui narra. E il significato della nostra B diventa:
Come comincia un Tutto, un intero universo? Per certo in un uomo, nella storia di un uomo. Dentro di me, in tutta la mia vita, vi è qualcosa che ha prodotto ciò che tu ora leggi.
E chi fu quell’uomo in cui Dio incominciò, e come giunse quell’uomo all’inizio di Dio dentro di sé, è narrato con precisione all’inizio del libro successivo alla Genesi: nei primi capitoli dell’Esodo – che narrano la nascita, l’infanzia, la giovinezza di Mosè”.




IL CANDELIERE A SETTE BRACCI
A pagina 98 de “La Storia Infinita”, Bastiano si guarda attorno e nota, nello stanzone in cui si trova, un candeliere a sette bracci: mi sono domandata spesso se quel candeliere avesse un significato ancora più profondo di quello che io riconduco al numero 7 e… effettivamente è così. Poco tempo fa, sfogliando un libro intitolato “GHIMATRIA – CHIAVE DELLA CABALÀ” di Arie Ben Nun, Edizioni Arktos 2007, ho trovato (a pagina 198 e seguenti) riferimenti al numero 7 e – in particolare – proprio al candelabro a sette bracci, ovvero la MENORAH (il “Candelabro del Tempio con le sette braccia e dalla fiamma Perenne. La fiamma centrale è Perenne”).


2 commenti:

  1. Ciao , sono capitato su queste pagine grazie al video che hai pubblicato su YouTube , è veramente interessante la ricerca e l'approfondimento che hai fatto su uno dei miei libri preferiti , ti ringrazio per il tempo che gli hai dedicato . Mi sono stampato tutto e piano piano leggerò ogni tua riflessione per alimentare in me quel fuoco che accende una nuova ricerca

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    1. Ciao Roberto, sono molto felice che il mio video ti abbia portato qui e sono ancora più lieta del fatto che la tua curiosità sia tale da averti spinto a voler approfondire, attraverso le mie parole, i significati nascosti di un libro tanto importante nella storia della letteratura. Se ti va (e se non l'hai già fatto), ti invito a leggere anche tutti gli altri saggi che ho dedicato a "La Storia Infinita": li trovi sempre qui, sul mio blog, in una pagina apposita, denominata, appunto "Tutti i miei saggi su La Storia Infinita". In quella pagina troverai approfondimenti sulle tre "B" di Bastiano, sul valore della Bellezza (nel libro di Ende, ma non solo), e sul coinvolgimento della Qabbalah all'interno del libro in questione (il sggio si intitola: Nuovi Mondi). "La Storia Infinita" è un libro davvero straordinario, una storia che è tutte le storie, un insieme immenso di simboli, miti, misteri ed enigmi; è un libro in cui ogni parola vuol dire più di ciò che sembra dire; è un libro per crescere tornando bambini...
      Grazie ancora per il tuo splendido commento e il tuo interesse, Roberto, e buona crescita!

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