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LA BELLEZZA

mercoledì 6 marzo 2024

Appunti su "Margherita Dolcevita"

 

Stefano Benni, "Margherita Dolcevita", Feltrinelli.

 “Ci sono delle cose che sembrano cattive e invece sono buone. Si può tagliare un ramo per far stare meglio l’albero, oppure per rovinarlo. C’è una pioggia che fa bene e una che fa marcire”.

In questa citazione è racchiusa l’essenza del libro di Stefano Benni, “Margherita Dolcevita”. È risaputo, ormai, il Bene e il Male, il giusto e lo sbagliato assoluti non esistono, non su questa Terra, almeno. E non sono sufficienti le buone intenzioni perché ciò che facciamo o diciamo sia considerato buono. Le cose oscure ci spaventano e ci attraggono. “In ogni casa che crediamo di conoscere bene c’è sempre qualcosa di dimenticato, di nascosto. Un cassetto chiuso, con un coltello insanguinato in mezzo ai tranquilli cucchiaini”. Ognuno di noi è impossibilitato a definirsi interamente buono o interamente cattivo (“Si può diventare condottieri o tiranni, anche in un giorno”), ed è per questo che dare per scontate le cose o le persone è un grave errore; pensare di conoscere qualcuno o qualcosa nella sua totalità è da ingenui o da presuntuosi. Spesso le cose (e le persone) non sono quel che sembrano e, ancor più spesso, le sembianze di cose e persone cambiano al mutare del punto di vista. L’osservatore è indispensabile quanto lo è l’osservato. E ognuno ha la propria verità. Eppure, per molti, “siamo quello che sembriamo”. Siamo il riflesso negli occhi degli altri e loro sono il riflesso nei nostri. “Fake view”. Una visione falsa, distorta e fuorviante della realtà.

Con “Margherita Dolcevita” Benni, più o meno consapevolmente, divide il mondo in tre tempi: 1. Ciò che succede da “sempre” (e forse “sempre” accadrà); 2. Ciò che sta accadendo “oggi”; 3. Ciò che accadrà “domani”, se proseguiremo su questa rotta.

DA “SEMPRE” (e, forse, per “sempre):

Ø “Quando i bambini crescono e diventano adulti, capiscono subito che quello che gli avevano detto da bambini non è vero, eppure riciclano ai loro figli l’antica bugia. E cioè che tutti vogliono consegnare ai bambini un mondo migliore, è un passaparola che dura da secoli, e il risultato è questa Terra, questa vescichetta d’odio.

Perciò io, che sono una bambina in scadenza, penso:

a)    che i grandi non hanno più nulla da insegnarci;

b)    che sarebbe meglio se noi prendessimo le decisioni, e i temi scolastici contro la guerra li scrivessero loro;

c)     che dovrebbero smettere di fare i film dove la giustizia trionfa e farla trionfare subito all’uscita del cinema”.

Margherita ci dimostra che diventare adulti è un passaggio complicato e doloroso. E quanta solitudine si annida, in quel passaggio! Non si è più piccoli, ma non si è nemmeno grandi… Eppure si vedono tante cose in quel confine tra i mondi: cose che i bambini non possono ancora vedere e gli adulti non vedono più.

Ø “In ogni stanza da gioco che si rispetti c’è una porta segreta”.

Ø “[…] la mia stanza magica. Ognuno ce l’ha, anche se spesso la dimentica. E ognuno ha il suo vecchio giocattolo preferito. […] Quegli oggetti avevano una storia, un passato utile e felice. Avevano le rughe e le cicatrici come noi. Non parlavano, ma ti guardavano”.

E il nonno di Margherita ci dimostra che diventare adulti restando bambini è ancor più complicato. Pochi sono in grado di convivere con due realtà agli antipodi nella propria mente, dove tutto è importante e nulla lo è; dove tutto è una scoperta orripilante e meravigliosa, al tempo stesso. Perché ciò che rende davvero speciale la nostra vita è la “data di scadenza”, il fatto di essere mortali.

Ø “Quante battaglie stupide e quante nobili e giuste ci sono nella giornata media di ognuno?”

E quanti “bambini ottantenni” incontriamo sul nostro cammino?

Ø  “Dice che l’uomo è stato creato padrone della Terra, ma gli manca una cosa fondamentale: una borsa di attrezzi per riaggiustarsi. Ah, sospira, se ci fosse un cacciavite per togliere le idee sbagliate e un martello per fissare le buone intenzioni, una chiave inglese per stringere per sempre l’amore e una sega per tagliare col passato! Ma questa attrezzeria non ce l’hanno data e, dopo aver tentennato e scricchiolato, prima o poi ci romperemo”.

Ø  “Quei signori e signore e ragazzi e ragazze seduti, tutti avevano ragione. E, parlandone, si rafforzavano in questa loro certezza. E la loro ragione era costruita sul dileggio, sulla rovina, sul disprezzo degli altri. E più parlavano, più la ragione cresceva e chiedeva il suo tributo di parole, di minacce, di gesti. E sempre più gli altri, quelli dalla parte del torto, diventavano lontani e miserabili. Ma guardando oltre la strada, nei bar di fronte, altra gente era seduta e anche loro avevano ragione. Una gigantesca, unica ragione divideva il mondo in quelli che l’avevano, cioè tutti, e gli altri, e cioè tutti.

          E io, che sentivo di non avere ragione, cosa avrei fatto?”

Tutti hanno ragione e nessuno ce l’ha, ma il punto non è questo, il punto è che tutti si fanno la guerra perché ognuno vuole la ragione per sé, per controllare gli altri e sottometterli. Quello che si ottiene incutendo timore, infondendo paura, minacciando, urlando e gonfiando il petto non è rispetto, è sottomissione. La prepotenza non garantisce la benevolenza, bensì tutto il contrario. E non ci si innalza schiacciando il prossimo, non ci si mette in luce spegnendo gli altri.

 

IL PRESENTE:

Ø “Ma erano cambiati. Non vivevano più, aspettavano che qualcuno gli dicesse come vivere”.

In questa frase saltano all’occhio due concetti: 1. Che cosa significa “vivere”; 2. Chi è questo “qualcuno”. La vita si porta dietro due parole imprescindibili, due parole senza le quali tutto il resto non ha significato: “rispetto” e “libertà”. Vivere significa essere liberi e rispettare la vita (e dunque la libertà) altrui. E nessuno dovrebbe permettersi di violare questi principi. Ma qualcuno lo fa. Qualcuno che usa il potere per controllare, soggiogare, manipolare, schiacciare gli altri, stabilendo in tal modo una differenza (inesistente in Natura) tra le creature “di razza” e quelle “bastarde”.

Ø “Dove sono finiti gli yes dogs? E gli hula-hoop? E le tartarughe Ninja? E la carta moschicida? E la democrazia?”

Benni accosta concetti apparentemente stridenti tra loro. In agguato, nelle sue frasi, c’è l’ombra del progresso senza scrupoli e senza una base etica. Dietro la normalità si nasconde un orrore indicibile, un cambiamento che non prevede né l’amore né il rispetto né la solidarietà né la compassione. Ma il cambiamento, poi, è davvero un cambiamento? Una sostituzione, ad esempio, può essere definita un cambiamento? “Uno muore, subentra un altro”, scrive l’autore. Ci illudono, ci illudiamo; speriamo e crediamo di sperare in un futuro migliore finché anche la speranza non muore, e allora…

Ma il talento di Stefano Benni si evince anche dal linguaggio usato: grazie alla sua Margherita,  il vocabolario si fonde col “vocabolaltro” per dare origine agli hapax (legomena). Parole di uso comune convivono pacificamente con gemme uniche, brillanti e geniali.

Ø “In economia bisogna essere furbi e capire quali sono i desideri degli altri, ma soprattutto insegnare agli altri che desideri devono avere”.

Le leggi di mercato (o il marketing, come si usa dire adesso) parlano chiaro: bisogna studiare la gente per capirne i bisogni, ma soprattutto per crearglieli. Creare la domanda per produrre l’offerta. Spingere alla novità, alla ricerca dell’ultimo modello; indurre il desiderio di oggetti e servizi non necessari facendo credere che lo siano. Una delle parole-ventosa che il mercato ama usare e da cui il pubblico si lascia ammaliare è “gratis”. Sono in pochi a resistere alla gratuità, spesso usata come specchietto per le allodole, come miele per attirare il consumatore incallito come quello ingenuo.

Capricci, desideri indotti, falsi bisogni e falsi miti (come quello dell’eterna giovinezza) ci distolgono da ciò che desideriamo davvero e ci spingono a volere cose che non ci servono o che non vogliamo. Perennemente in gara col mondo, abbiamo perso di vista i veri valori. Corriamo contro il tempo invece di farci amicizia e non ci godiamo la bellezza e gli attimi di felicità che la vita ci concede. Sempre impegnati, occupati, indaffarati… Per dare risalto alle apparenze non ci curiamo più delle sostanze; per compiacere gli altri dimentichiamo noi stessi.

 

Ø “[…] l’arma batteriologica del secolo: il tedio. Quella che ti convince che aspettare di vivere è meno faticoso di vivere”.

La noia, certo, ma la noia non è la sola “arma” del secolo… L’accompagnano altri fattori onnipresenti come la paura, l’invidia (“Si è gelosi anche di cose orrende”), il rancore, l’odio, la menzogna e l’indifferenza. A mio parere, quest’ultima è la peggiore fra tutte.

Ø “Le pubblicità sono false per quello che mostrano, ma ancor più per quello che nascondono”.

Come distinguere il vero dal falso e la sincerità dall’inganno? “C’è sempre qualcosa di nascosto a chi vuol nascondere”, scrive Benni, e questo dovrebbe far riflettere…

Ø “La prima regola della guerra moderna è non far vedere i cadaveri”.

Probabilmente è così, ma c’è anche una soluzione diametralmente opposta per occultare qualcosa, e cioè mettere quel qualcosa in bella vista, in evidenza, sotto gli occhi di tutti. Saturare lo sguardo degli spettatori, riempirlo di violenza e morte, di cadaveri e feriti, di sangue e sofferenza, è un modo altrettanto efficace di condurre la gente all’abitudine e all’insensibilità.

Ø  “La morale è: non dobbiamo ridere quando siamo contenti noi, ma quando sono contenti loro”.

Torniamo al binomio noi-loro, torniamo alla distinzione tra buoni e cattivi, tra creature di serie A e creature di serie B. In Natura queste distinzioni non esistono, ma l’uomo ha sempre cercato di imporre il proprio dominio sul prossimo…

 

IL FUTURO:

Ø “Io credo che esisteranno sempre l’intelligenza, la voglia di libertà, l’eros e le sale da ballo – ha detto il nonno – ma la parola speranza non mi sento più di pronunciarla”.

Ø “Uomini senza donne, forti e armati. La razza del futuro”.

Ø “La paura sarà il sentimento più puro dei tuoi anni futuri, Margherita. Impara ad amarla. Ma con noi avrete meno paura. Perché stiamo inventando nuove difese, nuovi controlli, una nuova intelligenza, una nuova industria contro il nemico.

-Quale nemico?

-Il nemico che vi diremo”.

L’uomo ha inventato l’odio ed è sua consuetudine dare a questo sentimento una forma o un obiettivo sempre diversi, qualcuno o qualcosa verso cui scagliarsi. Che le vittime siano innocenti o meno, a lui non importa. “Succede sempre così: per ammazzarne uno cattivo, ne fai fuori mille che non c’entrano”.

 

Ø “Avete inventato armi più efficaci e tecnologiche, ma avete inventato anche gente che imparerà a usarle, bastardi senza scrupoli o bravi bambini come me. Le vostre armi hanno un inconveniente. Siccome dovete venderle, dovete vendere anche le istruzioni. Un giorno, una scuola elementare potrà diventare una potenza nucleare”.

Ø “Armi nuove e tecnologiche, ma vecchie e sanguinose bugie”.

Ø “QUIS FUIT OPTIMUS PRIMUS QUI PROTULIT ENSES?”

Se Tibullo (che principiò in modo simile una sua elegia[1]) vivesse in questo tempo ancor più subdolo e sanguinoso di quello in cui visse lui, forse modificherebbe così il proprio incipit. Perché abbiamo nascosto tanto bene il male tra le pieghe dell’utilitarismo, della convenienza e della brama di potere che non sappiamo più distinguerlo.

E i desideri? Esisteranno ancora i desideri, in questa prospettiva fatta di violenza e disperazione?

Ø “Desiderare, gli aveva detto un antico maestro, vuol dire questo. Aspettare sotto le stelle che qualcuno torni vivo dal campo di battaglia”.

LA BAMBINA DI POLVERE

La Bambina di polvere è Margherita; e Margherita è tutti i bambini e le bambine del mondo. Perché la Storia non solo si ripete, ma peggiora, e porta via un po’ di speranza ad ogni passo, e fa invecchiare prima del tempo anche i giovanissimi. Perché per combattere un nemico bisogna assomigliare a lui, a quanto pare.

Ø “Non so chi sono, so cosa non sono più. Non sono più un bambino, né la tua sfortunata sorella, né un’adolescente, nessuno dei nomi che date al vostro passato. In pochi anni avete ucciso la lunga infanzia del mondo, era di tutti e l’avete rubata. Non ci saranno più figli. Cresceremo in fretta, per difenderci da voi. Dopo pochi anni impareremo a usare le vostre armi e vi combatteremo. I nostri giochi di soldati diventeranno vera guerra. Quelli che sopravvivranno invecchieranno in un attimo. Finché un giorno qualcuno deciderà che non ha più senso continuare. Questo è ciò che avete voluto, fingendovi forti. Siete morti, impotenti, sconfitti”.

Ø “Vorrei sapere se un giorno anche io dovrò avere paura di un aereo sopra la mia testa. O se già devo averne paura. Lontano, le ciminiere sputano fumo giallo contro la luna, le luci della città sono fioche. Una farfalla notturna corteggia un lampione”.

L’uomo ha compromesso il proprio futuro e quello del pianeta sul quale poggia i piedi. Le guerre, i pesticidi (e tutte le forme di inquinamento), la deforestazione, l’edilizia spietata, gli incendi dolosi, gli esperimenti (fisici, chimici, biologici), le armi sempre più sofisticate e sempre più devastanti…

Minimizza o ingigantisce le cose a seconda di ciò che vuole ottenere, ma non si accorge di portare avanti un gioco troppo pericoloso…

E, quel che è peggio, ha trasformato l’orrore in normalità. Noi tutti siamo quella farfalla che corteggia il lampione, siamo sull’orlo del precipizio, ignari o incuranti della fine che si approssima, della catastrofe imminente.

 

 

SOLUZIONI, NE ABBIAMO?

Ø “Come possiamo lottare quando tutto il mondo è contro di noi?”

La domanda ne nasconde un’altra, ovvero: quanto può il singolo contro la massa? Effettivamente essere soli non permette di operare grandi cambiamenti; è necessario trovare tanti “soli” che costituiscano una massa, allora – forse – quella nuova massa avrà più probabilità di essere presa in considerazione.

Ø “Ho sognato i sogni degli altri. Perché se capiamo i sogni degli altri, ho pensato, forse non ci separeremo”.

In parole povere: mettersi nei panni degli altri, magari praticando un po’ di empatia, potrebbe essere d’aiuto. Questo, almeno, è il pensiero di Margherita.

Ø “Sono diventati amici, ciò che resiste e ciò che si consuma. Bisognerebbe essere tutte e due le cose insieme”.

Sapersi modellare sulle circostanze, essere in grado di adattarsi agli eventi, cambiare a seconda delle esigenze, ma anche prendere posizione, ancorarsi se e quando lo si ritenga necessario. Creare un connubio tra passato e presente, guardando al futuro in maniera propositiva e immaginifica. Lottare quando c’è da lottare e lasciare andare le cose che hanno fatto il loro tempo.

Ø “Era inutile lamentarsi, bisognava lottare. Se ti arrendi a quattordici anni, ti abituerai a farlo tutta la vita. Solo i pesci morti vanno con la corrente”.

Ø “È brutto non fidarsi alla mia età. Ti resta dentro per sempre”.

Ø “Oppure, proprio perché siamo piccola cosa, dobbiamo combattere per la nostra briciola di giustizia, o le stelle crolleranno?”

Ø “[…] ognuno vive di briciole?”

Forse sì, forse ognuno di noi vive di sole briciole, ma comunque sia ci sono delle briciole senza le quali proprio non si può andare avanti: sono le briciole dell’amore. La vita senza l’amore non è vita; tutti abbiamo bisogno di darlo e di riceverlo. Tutti.

Un’altra cosa fondamentale è crescere rimanendo bambini, come il nonno di Margherita; coltivarsi, innaffiarsi, prendersi cura di sé - così da potersi prendere cura anche degli altri – imparare a rinnovarsi ogni giorno, guardare il mondo con occhi nuovi in ogni istante, godendo delle meraviglie che ci circondano, non smettere mai di fare e farsi domande, essere curiosi. E poi parlare con tutto e con tutti, e ascoltare: piante, animali, minerali, stelle e pianeti. Perché tutti hanno una storia da raccontare, persino gli oggetti.

C’è una Margherita in ognuno di noi…

 

 

 



[1]QUIS FUIT HORRENDOS PRIMUS QUI PROTULIT ENSES”, ovvero “Chi fu il primo a inventare le orride spade/armi?”

 

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