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LA BELLEZZA

venerdì 24 febbraio 2023

Le Chiavi della Città di Torino nei capolavori di Palazzo Madama

Chiavi da cerimonia della Città di Torino. XVII secolo, bronzo dorato.

 

“Il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società che effettua ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio materiale e immateriale. Aperti al pubblico, accessivi e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità. Operano e comunicano eticamente e professionalmente e con la partecipazione della comunità, offrendo esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze”. (Definizione di Museo approvata a Praga il 4 agosto 2022 dall’Assemblea Generale Straordinaria di ICOM – International Council of Museums).

La dicitura dell’ICOM (cioè la definizione ufficiale di che cos’è un Museo), accoglie i visitatori anticipando il contenuto delle sale espositive.  Dalla dicitura, infatti, sono state estratte sei parole chiave (“ESPORRE”, “PIACERE”, “RICERCARE”, “COLLEZIONARE”, “EDUCARE” e “CONSERVARE”, ma una sorpresa vi aspetta, alla fine di questo articolo) e, per ognuna di esse, è stato allestito uno spazio che ne restituisse una lettura specifica. In poche parole: ogni sala sviluppa un tema.

Come e perché è nata questa mostra.

La mostra “Le Chiavi della Città nei capolavori di Palazzo Madama” nasce per due importanti motivi: da un lato, per raccontare il ruolo di Palazzo Madama - il quale occupa ben 2000 anni di Storia – e, dall’altro, per fornire le Chiavi della Città ai cittadini; in senso fisico, ma anche simbolico, donando ai torinesi e a tutti i visitatori una “chiave di lettura” del Museo Civico d’Arte Antica.  Lo scopo principale, dunque, è spiegare che cos’è la città di Torino e che cosa è stata nella  Storia, attraverso la narrazione della sua stessa storia. La mostra comincia, quindi, con l’esposizione delle Chiavi (fisiche) e della mazza di Torino, cioè quello che veniva presentato agli ospiti e che, in qualche modo, identifica il nostro ruolo di cittadini rispetto ai grandi ospiti. Siamo abituati a vedere  molto, oggi, ma poco a guardare, cioè a concentrarci su ciò che guardiamo. Ed ecco che è nata la necessità di esibire il Museo Civico mettendo in mostra pezzi molto particolari, reperti da osservare con attenzione perché hanno molto da dire.

A sx: le Chiavi della Città di Torino; a dx: la mazza cerimoniale della Città di Torino.

 

 

Le secentesche chiavi in bronzo dorato che la Città di Torino presentava ai Sovrani al loro ingresso nella Città risalgono all’epoca di Cristina, prima Madama Reale; la mazza cerimoniale della Città di Torino è stata invece realizzata nel 1814 da Luigi Dughet, su disegno di Giovanni Battista Boucheron, fondendo l’argento di “cucchiaini n. 28, cucchiai n. 21, forchette n. 22, cucchiaroni n. 1. Totale once 126.7 e ½.


Luigi Dughet su disegno di Giovanni Battista Boucheron (mazza) e Carlo Balbino (corona). Mazza cerimoniale della Città di Torino. 1814 (mazza); 1849 circa (corona). Argento fuso, sbalzato e cesellato.

 Una mazza dal profondo significato allegorico, poiché sancisce l’autorità del governo civico: nelle funzioni pubbliche era portata dall’usciere municipale, che precedeva il corpo dei decurioni, i cittadini scelti per svolgere insieme al Sindaco le funzioni principali dell’amministrazione comunale.

Sono i simboli che la Città di Torino consegna a perpetua memoria al suo Museo Civico.

 

 “Chi poco vede, poco pensa”.

(Lettera di Filippo Juvarra al Marchese d’Ormea, Roma, 1732)

 “Di uno che molto sa e molto ha visto, sa del presente e intuisce il futuro”.

(Vincenzo Consolo, Il sorriso dell’ignoto marinaio, Einaudi, Torino, 1976)

 

Nella sala intitolata “ESPORRE” figurano grandi tesori tardo-antichi che raccontano però molto bene anche che cos’è il Piemonte, vale a dire un luogo permeato di tante culture. La sala in questione narra di un matrimonio tra un nobiluomo romano e una nobildonna ostrogota che misero insieme il loro patrimonio. Ci accorgiamo così che l’arte degli Ostrogoti – i quali, nell’immaginario collettivo, sono sempre stati dipinti come barbari anche nel modo di fare – è, in realtà, ben lontana dall’essere barbara nel senso spregiativo del termine...

 

Coppia di fibule a staffa. Fine del V - inizio del VI secolo. Regno ostrogoto d'Italia. Oro, argento, ferro; granati almandini, vetri verdi.

Nel 1938 Palazzo Madama acquisisce il Tesoro di Desana, scoperto in un campo a Desana, nei pressi di Vercelli: uno dei più straordinari complessi di gioielli e argenterie da mensa di età tardoantica. Un tesoro preziosissimo anche nel testimoniare il matrimonio di cui sopra: quello tra Stefani(us) e Valatru(da), i cui nomi appaiono sulla vera nuziale presente in una delle teche. E i 51 oggetti componenti il Tesoro sono testimonianza di questo incontro tra culture diverse, latina e ostrogota:

A sx: capsella a forma di bulla. Metà - terzo quarto del V secolo. Carpazi  o penisola balcanica. Oro; ametiste. In alto: bracciale a nastro traforato. IV secolo. Impero romano. Oro lavorato a traforo. A dx: bracciale a verga. Metà - terzo quarto del V secolo. Carpazi o penisola balcanica. Oro, graniti almandini, vetri verdi.

 dai 9 cucchiai in argento – di Arte tardoromana, ma recanti l’iscrizione Gundila, nome di origine gota -, alle fibule a staffa prodotte in area germanica e portate in dote da Valatruda, per arrivare infine ai preziosi del Regno di Teodorico.

Collana: fine del V - inizio del VI secolo, Regno ostrogoto d'Italia. Oro; ametista (lavorata in epoca romano-imperiale); granati almandini, smeraldo. Bracciale a elementi snodati: fine del III secolo. Impero romano, Siria o Africa proconsolare. Oro; ametiste, smeraldi.

 Opere cui si mescolano complementi di vestiario e gioielli maschili e femminili in un insieme unico. Unico anche nella sua scoperta: l’intero patrimonio di questa importante famiglia sepolto tra il 538 e il 539, nel periodo della guerra tra Bisanzio e gli Ostrogoti, venne riportato alla luce dopo 1400 anni di oblio e finalmente esposto per la pubblica amministrazione.

Cochlearia  con disco pieno ornato di croci e monogrammi, inzio VI secolo. Regno ostrogoto d'Italia. Argento.
Cochlearia con disco pieno ornato di croci e monogrammi. Inizio VI secolo. Regno ostrogoto d'Italia. Argento.

E, a proposito del guardare e dell’osservare di cui dicevamo prima, nella sala “PIACERE” non potrete far altro che sentirvi osservati e – a vostra volta – provare il bisogno di concentrare lo sguardo sui tanti occhi esposti. Si tratta di riproduzioni molto ingrandite delle opere di Antonello da Messina.

Riproduzioni ingrandite di opere di Antonello da Messina.

Riproduzioni ingrandite di opere di Antonello da Messina.

Non eccedere, ridurre al minimo il decoro delle vesti, concentrare massimamente l’attenzione nello sguardo e nell’espressione. Lavorare sull’ambiguità di un sorriso lievemente ironico. Sono le caratteristiche e le novità della ritrattistica di Antonello da Messina, capace di costruire una sintesi psicologica, di restituire la personalità di uomini che divengono effigi assolute, in un’abilità che farà del siciliano uno dei più grandi ritrattisti di ogni tempo. Tutto questo è evidente nel “Ritratto d’uomo” (anche detto “Ritratto Trivulzio”) realizzato nel 1476 con olio su tavola di pioppo. Si tratta di una tavola di singolare, potente e individualizzata perspicacia fisionomica. Un’immagine indimenticabile, un riassunto dell’uomo del Quattrocento italiano, compiuto trent’anni prima – almeno – di un iconico sorriso cui infiniti commentatori l’accostano: quello, ovviamente, della Gioconda di Leonardo.

Antonello da Messina, "Ritratto d'uomo" (o Ritratto Trivulzio"), 1476. Olio su tavola di pioppo.

C’è, poi, la sala “RICERCARE”, dedicata a  Filippo Juvarra, grande architetto della Città moderna in cui sono esposti i suoi disegni a dimostrazione di  come da un disegno possano nascere grandi cose, come palazzi e parchi. 

Alcuni disegni di Filippo Juvarra, tra cui anche il progetto della facciata di Palazzo Madama (1718).

A Stupinigi ne abbiamo una prova evidente grazie alla Palazzina di caccia di cui, nella stessa sala, è possibile ammirare uno splendido plastico. E, a proposito dei disegni, voglio invitarvi a non perderveli in quanto essendo estremamente fotosensibili non potranno essere esposti a lungo…

Modello della palazzina di caccia di Stupinigi e dei giardini come si presentavano alla fine del XVIII secolo. Gianfranco Gritella, 2013. Legni di faggio, acero, resine poliuretaniche, nylon, colori acrilici. Scala 1 : 500. Collezione Gritella.

  Poi c’è la sala del “COLLEZIONARE”, sala in cui capiamo sia come nasce la grande stagione del  collezionismo piemontese sia cosa Emanuele d’Azeglio (Vittorio Emanuele Taparelli d’Azeglio, Torino 1816 - Roma 1890)  portò e cosa portarono le grandi culture extraeuropee.

Nel 1876 entra a far parte delle collezioni del Museo Civico un formidabile insieme proveniente dagli stati messicani del Veracruz e del Tabasco, culla nel periodo pre-classico della ‘cultura-madre’ di tutta la Mesoamerica, capace con la sua arte di influenzare tutte le successive civiltà dell’area.

È la raffinata cultura degli Olmechi che, fiorita a principiare  dal IX secolo a.C., inciderà poi sul mondo di Teotihuacan e nelle culture Zapoteca, Maya, Tolteca e Mixteca-Puebla e di cui si presentano opere del tutto eccezionali, quali lo squisito ornamento labiale in oro a forma di testa d’aquila.

Ornamento labiale, tentetl. Messico, cultura mixteco-azteca, 1200-1521 d.C. Oro. Ornamento portato sporgente sul mento, passante attraverso un foro nel labbro inferiore, da guerrieri e dignitari d'alto rango. I tentetl in oro erano usati  dai governanti in combattimento. Dono Zaverio Calpini 1876, direttore Bartolomeo Castaldi.

Un nucleo costituito dagli acquisti compiuti, nel corso di una lunga permanenza a Città del Messico, da Zaverio Calpini, che nella capitale aveva fondato la Casa Industriale Calpini per il commercio di strumenti ottici. Dell’insieme fanno parte statuette di idoli, urne, vasi e ornamenti preziosi che appaiono un esempio paradigmatico dei fondi provenienti dal collezionismo piemontese dedicato alle civiltà extraeuropee e sintomatico del passaggio dalla seconda metà dell’Ottocento ai primi decenni del Novecento.

Ancora pochi passi e si trova la sala intitolata “EDUCARE”, dedicata all’ebanisteria piemontese del Settecento, in particolare alle opere del torinese Pietro Piffetti. Tavoli finemente intarsiati  troneggiano e incuriosiscono per le immagini che vi sono impresse, allusive all’educazione del giovane Principe: il libro con la Géographie des enfants di Nicolas Lenglet Du Fresnoy; l’incisione tratta dalle massime morali di Orazio illustrate da Otto Van Venius (Emblemata Horatiana, 1607), lo spartito di un brano del compositore parmense Alessandro Besozzi, primo oboe della Cappella Reale di Torino; un rosario, un compasso, un coltello, alcune stelle a otto punte e persino…delle carte da gioco!

Pietro Piffetti, tavolino da studio realizzato per l'educazione del giovane Principe.

 

 C’è, infine, lo spazio dedicato al “CONSERVARE”, a dimostrazione del fatto che anche durante la guerra c’erano personalità coraggiose e lungimiranti (come Vittorio Viale, uno tra i massimi direttori museali del Novecento) che si ponevano il problema e si incaricavano di tutelare un grande patrimonio; come quello del ferro, ad esempio, pochi sanno, infatti, che la lavorazione del ferro  è stata una grande tradizione piemontese. Troviamo, pertanto, le serrature, i chiavistelli, i picchiotti, le chiavi e… le ringhiere. Capolavori dalla bellezza particolare, le ringhiere possono essere molto semplici, certo, ma anche avere degli elementi decorativi complessi e meravigliosi che rappresentano la grande storia sei-settecentesca. È persino possibile ammirare una ringhiera - ritrovata sotto cumuli di altro ferro - che nasconde nelle sue pieghe un monogramma, quello di Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours, la seconda Madama Reale, colei che commissionò a Juvarra la scalinata di Palazzo Madama. 

In realtà, la sorpresa annunciata all'inizio consiste nel fatto che c'è ancora una sala, intititolata "CONDIVIDERE". Una parola lasciata per ultima, ma che riveste un ruolo cruciale quanto le altre poiché è anche e soprattutto sulle donazioni che si fonda il Museo Civico. Lascio a voi la scoperta di cosa è esposto in quest'ultimo tratto di percorso...

 

 Quindi il simbolo e l’allegoria che incontrano la concretezza e la fisicità…

Nella mostra “Le Chiavi della Città” sono esposti oggetti straordinari che appartengono all’anima del Museo (il deposito) e che noi non siamo abituati a percepire, sebbene siano oggetti dotati di una eccezionale singolarità. L’intento di  questa mostra è proprio quello di raccontare che cos’è realmente il Museo e che cos’ha di tanto speciale, al suo interno.

Anche il rifacimento della facciata di Palazzo Madama ha a che vedere con questo bisogno di riportare l’Arte ai torinesi e i torinesi all’Arte…

Palazzo Madama è il Museo Civico di Torino e, come tale, va restituito ai torinesi… perché prendano coscienza del fatto che questo luogo è la memoria di ciascuno di loro; è  la loro identità, la loro Storia, oltre che – naturalmente - la Storia del Piemonte degli ultimi 2000 anni. Perché qui c’è proprio tutta dato che, come abbiamo già detto, raccoglie anche elementi provenienti da altre parti del mondo…

E, proprio per ridestare la memoria e/o per imprimerla nelle giovani menti che non hanno vissuto in quel passato troppo lontano da loro, è stato allestito anche uno spazio  che mostra  la panoramica di ciò che si poteva vedere il 14 agosto 1943 affacciandosi da Palazzo Madama: piazza Castello distrutta. Una gigantografia in bianco e nero si staglia sullo sfondo, mentre ai suoi piedi si possono ammirare cataste e grovigli di ringhiere di ferro.

Ringhiere di balconi, frammenti di roste. Piemonte, XVII-XIX secolo. Ferro battuto. Acquisizione 1943(?), direttore Vittorio Viale.

 Grazie a questa sala ricordiamo che, nonostante le vicissitudini negative, Palazzo Madama è sopravvissuto, è riuscito a salvarsi e a rappresentarci per secoli. Dopo ben 80 anni, finalmente, Torino sta provvedendo a mettere in sicurezza l’edificio e a restituirgli l’antica bellezza. Un percorso di rinnovamento che però parte dalle proprie radici.

 

 Quindi questa sarà una delle tappe del percorso per restituire il Museo nella sua interezza alla città di Torino e ai suoi cittadini…

La prima tappa è stata la mostra su Pompei, per raccontare gli albori della nostra Storia (nati come Porta Romana, per andare dal primo al secondo piano di Palazzo Madama si sale infatti attraverso la scala romana). Questo ha fatto sì che all’interno del museo ci siano tante opere derivate dalla cultura romana. La mostra su Pompei voleva lanciare un messaggio chiaro, ossia: “questa è la radice, la pietra angolare da cui tutto parte, e tante cose che vedete in questa mostra le potrete poi vedere rielaborate in epoca  medievale, rinascimentale, barocca, ma – comunque sia – tutto parte da qui”. Successivamente c’è stata la mostra su Margherita di Savoia, mostra che riguardava un po’ più la contemporaneità… Passo dopo passo, verranno toccate tutte le tappe e approfondite tutte le fasi necessarie a  raccontare i 2000 anni di storia di Palazzo Madama e delle sue collezioni.

Un viaggio che non potete perdervi, sia che siate di Torino sia che veniate da fuori, ne vale la pena.

P.S.: la mostra sarà visitabile fino al 10 aprile 2023.

venerdì 17 febbraio 2023

Michael Snow

Ingresso Videoteca GAM di Torino. L'installazione su Michael Snow sarà visitabile fino al 16.04.23

 

Michael Snow, recentemente venuto a mancare, può essere considerato un caposaldo del cinema strutturalista.  La prova è alla GAM di Torino, dove è stata inaugurata una nuova esposizione (a cura di Elena Volpato), in cui si è  raggiunto l’obiettivo di far dialogare due opere - appartenenti a due generi artistici diversi – come in una specie di rispecchiamento o simmetria. Le opere in questione – “Wavelength” e “Cover to Cover”, entrambe di Michael Snow, sono infatti rispettivamente un film e un libro. Dal coniugio è nata una “composizione”, dimostrazione della complessa stratificazione del pensiero e dei lavori di Snow. Aiutandomi con le parole della stessa curatrice, ho cercato di restituirvi il messaggio artistico di Michael Snow.

Quando, nel ’67, Snow creò “Wavelength” si rovesciò la situazione del cinema Underground newyorkese, perché l’unico che aveva provato a fare qualcosa di vagamente simile, prima, era lo stesso  Andy Warhol. Ma  Warhol aveva assunto l’obiettivo della macchina da presa come fosse una sostituzione dell’occhio creativo dell’artista. Aveva creato il cosiddetto solid time (la ripresa del real time come se fosse una porzione di tempo reale immagazzinata attraverso il mezzo cinematografico e riconsegnata al pubblico nella sua interezza di realtà). Ma i filmati di Warhol (che potevano durare anche 8 o 9 ore) erano come dei wallpaper all’interno della sua factory. Ogni spettatore avrebbe potuto gestire il proprio tempo e concentrare la propria attenzione sul filmato anche solo per pochi secondi, distrarsi e poi tornare a osservare. L’intento di Snow, invece, è ben diverso: attraversare (e far così attraversare allo spettatore) uno spazio di 80 piedi (che è lo spazio del loft industriale di New York in cui è stato girato il video), grazie a 45 minuti di zoomata continua (senza spostare la cinepresa, senza spostare il regista, quindi), per andare verso una parete con 4 grandi finestre. 

Le opere di Michael Snow alla GAM di Torino.

In mezzo alla vetrata c’è una piccola fotografia, incollata con del nastro adesivo, di una superficie marina. Questa passeggiata dell’arte verso la finestra,  verso il mare, per Snow, che è stato anche un pittore, era una passeggiata verso il concetto razionale della rappresentazione artistica, perché quelle finestre sono quelle di Leon Battista Alberti; e oltre quelle finestre ci sono le insegne, c’è la strada newyorkese, c’è tutta la storia della Pop Art americana. Le finestre diventano una griglia, che è la griglia della pittura Modernista, che nel ‘67 era al suo apogeo, grazie ad artisti del calibro di Frank Stella. Snow usa il cinema come se fosse una trasposizione della sua coscienza, del suo stato di consapevolezza, anche di quello neuronale e cerebrale. E studia questo movimento verso la finestra scoprendo che la linearità che lui aveva messo in scena nei suoi 45 minuti di filmato non corrispondeva alla consapevolezza e alla complessità effettiva dell’esperienza reale. Quando noi passeggiamo da qui a lì, infatti, in realtà non pensiamo teleologicamente, ma stiamo ricordando il passo che abbiamo fatto prima e stiamo già prefigurando i passi che faremo dopo. Per cui l’artista ha sezionato in tre parti il film del ‘67, le ha sovrapposte e ne ha estratto 15 minuti: 15 minuti in cui abbiamo contemporaneamente e costantemente l’esperienza del passato, del presente e del futuro come una declinazione temporale del nostro muoverci nel mondo.

Le opere di Michael Snow alla GAM di Torino.

 A questo tipo di elaborazione molto stratificata è stato  affiancato un libro – “Cover to Cover”  – analizzato (e strutturato) come se fosse una rappresentazione del nostro modo di pensare. Questa “fratellanza” tra generi artistici così differenti  è nata grazie a un punto di contatto tra loro: sia il video sia il libro sono prodotti che hanno una dimensione temporale data dalla sequenza di immagini. Solo che, mentre nel video abbiamo i fotogrammi che vanno a formare una sequenza, nel libro è presente una legge fondamentale, una legge spaziale, quasi scultorea, cioè il fatto che questa successione di immagini avviene per pagine, dove ogni pagina è uno strato sottilissimo, reale, ben presente nel nostro mondo, ma composto da due facce: un fronte e un retro; perciò Snow, da buon artista concettuale, ci ha raccontato la realtà fotografandone e rappresentandone contemporaneamente il lato  A e il lato B, il sopra e il sotto, il davanti e il retro, il lato destro e il lato sinistro… Stando così le cose, è chiaro che anche la composizione del libro debba rispettare questa bidimensionalità dello sguardo, questa polarizzazione visuale; proprio per questo motivo, ad un certo punto, sfogliando il libro, ci si accorgerà che le immagini ruotano di 180 gradi… E per sottolineare il cambiamento, Elena Volpato – con l’aiuto della graphic designer Chiara Costa -  ha inserito un  segno che suggerisca di ruotare il libro stesso. Capovolgendo il volume si capovolge il mondo e, una volta arrivati alla quarta di copertina,  si è spinti a rifare l’esperienza di “lettura”, sfogliando il libro al contrario…

Da sx: Riccardo Passoni, Elena Volpato, Luisa Papotti e Massimo Broccio.

A tutto questo, però, devo aggiungere un’informazione: il filmato non è privo di sonoro. Lo zoom della macchina da presa è infatti sottolineato da un suono elettronico “sinusoidale” che va in crescendo e che funge da sfondo (pur essendo tutt’altro che marginale) di un avvicendarsi di figure umane in trasparenza. Sembrano ombre sullo schermo, ma sono ugualmente in grado di catturare l’attenzione e la curiosità dello spettatore.

Se siete arrivati fin qui, ma volete saperne di più, posso raccontarvi ancora qualcosa sulle opere di Michael Snow…

Prima di andare a visitare una mostra ho l’abitudine di informarmi e di studiare l’artista (o gli artisti), le sue (o le loro) opere e i contesti di riferimento (storico, sociale, culturale, ecc.)  in cui quell’artista o quegli artisti si inseriscono. Ho adottato questa “strategia” anche per andare a vedere l’operato di Snow e ho trovato molto materiale su cui lavorare. Proprio a partire da un video in cui viene sfogliata una copia di “Cover to Cover” del ’75 ho avuto l’impressione che il soggetto diventasse oggetto e viceversa; e poi, che l’obiettivo stesso diventasse soggetto e che il soggetto si facesse obiettivo; e ancora, che lo spettatore – ad un certo punto – assumesse il ruolo di obiettivo. L’osservatore che diventa l’osservato e viceversa, insomma. Chi entra e chi esce sono la stessa persona, la quale è immortalata nello stesso istante in cui entra e in cui esce. Come in un “corto circuito temporale”. Spazio e tempo sembrano essere “tutto e sempre”, cioè contemporaneamente e ovunque. Punti di vista diversi si fondono nello stesso fotogramma (o sulla stessa pagina), così da unire tutti i “quando” e tutti i “dove”.

 Ho riscontrato una “sineddoche visiva” attraverso il dettaglio che diventa il tutto (la mano con l’anello che diventa l’uomo con l’anello).

Guardando “La Région Centrale”…

 La rotazione dell’inquadratura, il suo capovolgimento, mi ha inizialmente disorientata, ma poi è sopraggiunta una strana intuizione che mi ha portata a pensare la “visione circolare” come la possibile rappresentazione della ciclicità della vita e della Natura. Ero ferma eppure mi muovevo ruotando su un perno fisso mi conferiva la capacità di esplorare spazio e tempo in un modo nuovo.

Ascoltando “Falling Starts Beginning”…

Come ne “La Région Centrale” anche qui c’è una sorta di “circolarità”, resa però attraverso i suoni anziché attraverso le immagini. Un crescendo di note anche qui, come nel filmato esposto alla GAM, mi hanno dato l’impressione di muovermi, di salire, in questo caso. Poi c’è un fruscio che sembra pioggia e che mi ha ricordato il termine “orizzontalità”, il quale mi suggeriva il contrasto con la “verticalità” delle note di tonalità crescente suonate al pianoforte.

Con le sue opere sperimentali, Michael Snow è riuscito senza dubbio a proiettare su schermo e su carta la complessità del pensiero umano, rendendo giustizia al funzionamento “multifocale” del nostro cervello. Ogni fotogramma è un mondo intero di informazioni, un dialogo tra neuroni, un sodalizio di sensi. In poche parole, Snow è riuscito a creare una sorta di manifesto dell’Arte Concettuale. Sono stupita, ecco tutto.