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LA BELLEZZA

LA STORIA INFINITA (1-16)

CIAO A TUTTI! HO CREATO QUESTA PAGINA PER DARE VITA AD UNA DELLE MIE PIU' GRANDI PASSIONI: L'INTERPRETAZIONE. COME AVRETE DEDOTTO DAL TITOLO, LA MIA INTENZIONE E' QUELLA DI CIMENTARMI - CAPITOLO PER CAPITOLO - NELL'INTERPRETAZIONE DI UNO DEI LIBRI PIU' NOTI DI MICHAEL ENDE, OVVERO "LA STORIA INFINITA". HO LETTO QUESTO CAPOLAVORO VERSO LA FINE DI SETTEMBRE (2017), MA PENSO CHE SIA UN GIOIELLO SENZA TEMPO E SENZA ETA' ...
 LA MIA SARA' UNA CHIAVE DI LETTURA DEL TUTTO SOGGETTIVA - CI TENGO A PRECISARLO - MA NON PER QUESTO IMPROBABILE O POCO PLAUSIBILE.

VI LASCIO ALL'INTRODUZIONE...





OTAIRAUQITNA
ILODNAIROC ODARROC OLRAC ERALOTIT
Emblematico fin dall’inizio, il libro de “La Storia Infinita” ha il suo principio in uno specchio che riflette le parole impresse sulla porta a vetri di una botteguccia:
ANTIQUARIATO
TITOLARE CARLO CORRADO CORIANDOLI
D’improvviso quella porta si apre facendo comparire sulla scena un bambino di forse dieci, undici anni. Quel che il ragazzino si trova davanti è una immensa distesa di libri, oltre la quale si leva di tanto in tanto un anello di fumo; a produrlo è il proprietario della bottega, il Sig. Coriandoli, per l’appunto. Carlo Corrado Coriandoli è un uomo brusco, scostante, che lascia subito intendere al lettore di non apprezzare i bambini:
“Si meravigli dentro o fuori, ma chiuda la porta. C’è corrente. […] Io non posso soffrire i bambini”.
Il Sig. Coriandoli accusa i più piccoli di non curarsi del mondo degli adulti; non tiene libri per bambini nel suo negozio ed esclude a priori la possibilità di vendere al cucciolo d’uomo giunto fino a lui uno qualsiasi dei suoi volumi.  Il bambino non sa che – entrando nella bottega del Sig. Coriandoli – ha dato il via alla propria Iniziazione e che sarà proprio quell’uomo tanto burbero e scostante a permetterla. A dire il vero, tutto comincia un po’ prima e più precisamente nel momento in cui – per l’ennesima volta nella sua breve carriera scolastica – il bambino si trova inseguito  da alcuni bulli, suoi compagni di scuola. Ma torniamo all’interno della botteguccia. Il piccolo protagonista delle vicende si difende dall’atteggiamento del suo burbero iniziatore che continua a incalzarlo a suon di accuse. Una, in particolare, fa breccia nell’orgoglio del ragazzino:
“E in quanto a buone maniere, […] non ne hai neppure per cinque lire. Altrimenti ti saresti per lo meno presentato.”
“Mi chiamo Bastiano […] Baldassarre Bucci”
“Nome piuttosto curioso […] con quelle tre B. Ma già, questa dopotutto non è colpa tua, il nome non te lo sei dato da te.”
Curioso. Bastiano Baldassarre Bucci. Tre B. Quasi a sottolineare il fatto di essere destinato a vivere come eterno secondo.
Curiose anche le tre C di Carlo Corrado Coriandoli. E sì, perché va detto che le lettere – i capilettera, in particolare – hanno una funzione importantissima all’interno de “La Storia Infinita”: ogni capitolo inizia, infatti, con una lettera diversa, a partire dalla A, in progressione alfabetica, fino ad arrivare alla Z. Questo particolare ordine sottolinea la progressione del percorso di crescita e formazione di Bastiano. Bastiano ha in sé il forte desiderio di crescere distinguendosi da quelli che lui stesso chiama “gli altri”, ovvero i suoi compagni di scuola. Ma non sa ancora chi sia il suo vero “IO”. Fino ad ora ha sempre avuto l’”IO” che gli è stato scolpito addosso da quando è nato, un IO identificato da un nome che non ha scelto in autonomia. Bastiano è un ragazzino goffo e goffi sono stati anche i suoi tentativi di distinguersi dagli altri ragazzini. E’ codardo e anche scarso nei voti. Un disastro su tutta la linea, insomma. Matto,  svitato, minchione, fanfarone, imbroglione sono solo alcuni degli epiteti con cui viene apostrofato e con cui non può far altro che identificarsi. MATTO è l’appellativo più interessante, però. Matto perché  racconta delle storie, inventa nomi e parole che non esistono; matto perché queste storie, Bastiano, le racconta a sé stesso dato che nessun altro a parte sé stesso è interessato ad ascoltarle. Nessun altro. Nemmeno suo padre, unico genitore rimasto a Bastiano, il quale ha perso la mamma.
In maniera a dir poco Provvidenziale proprio in quell’istante in cui Bastiano sta confidando queste informazioni al Sig. Coriandoli, squilla il telefono del negozio. Il vecchio burbero è costretto ad allontanarsi ed è allora che Bastiano viene folgorato dall’impulso irrefrenabile di rubare il libro che – fin dal suo ingresso nel negozietto – ha attirato la sua attenzione.
“Bastiano si rese conto d’un tratto che in tutto quel tempo aveva tenuto lo sguardo continuamente fisso sul libro che il signor Coriandoli aveva avuto in mano prima, quando sedeva in poltrona. Non riusciva a staccarne gli occhi. Era come se da quel libro emanasse qualche straordinaria forza magnetica che lo attirava irresistibilmente.
Si avvicinò alla poltrona, allungò lentamente la mano, toccò il libro, e in quello stesso istante dentro di lui qualcosa fece “CLIC!” come se una trappola si fosse serrata. Bastiano ebbe l’oscura sensazione che con quel breve contatto avesse avuto inizio qualcosa di irrevocabile, che ora avrebbe proseguito il suo corso.
Sollevò il libro e lo osservò da tutte le parti. La copertina era di seta color rubino cupo e luccicava mentre la rigirava di qua e di là. Sfogliandolo fuggevolmente vide che i fogli erano stampati in due colori diversi. Illustrazioni pareva non ce ne fossero, ma in compenso vi erano meravigliosi capilettera figurati.
Quando tornò a osservare la copertina, ci scoprì sopra due serpenti, uno scuro e l’altro chiaro, che si mordevano la coda, formando così un ovale. E in questo ovale c’era il titolo, in strani caratteri:
LA STORIA INFINITA”.
Quella che Bastiano ha provato non era una semplice sensazione che qualcosa fosse scattato e avesse dato inizio ad una reazione a catena inarrestabile, ma la pura e semplice realtà dei fatti: Bastiano ha provato attrazione nei confronti del libro perché un ricordo ancestrale gli ha suggerito il significato di quei simboli impressi sulla copertina e tra le pagine.
LA COPERTINA ROSSO RUBINO: notoriamente il colore legato al Primo Chakra, il rosso rappresenta la natura istintuale, le pulsioni naturali e incontrollabili dell’uomo.
I DUE SERPENTI INTRECCIATI: due serpenti e numerose interpretazioni non tanto distanti l’una dall’altra. La prima interpretazione è sicuramente collegata alla Genesi: come nella Bibbia anche qui c’è un divieto; e anche qui c’è  un serpente (anzi, due) a tentare il protagonista affinché dia il via alla propria Iniziazione. Il frutto proibito è, naturalmente, il libro, che porterà l’iniziato alla conoscenza. Di cosa? Lo vedremo in seguito, così come vedremo in seguito anche il significato de:
I DUE COLORI in cui è stampato il libro: “La Storia Infinita”  (le prime edizioni) è stato stampato in rosso e in verde. In rosso sono scritte tutte le parti che riguardano Bastiano e in verde tutte le parti che riguardano Fantasia, ovvero l’altra faccia della medaglia.
La seconda interpretazione è ovviamente legata al simbolo che insieme formano i due serpenti: l’uroboro ovvero il serpente che si morde la coda è l’emblema dell’infinito, ma è anche l’immagine  assunta dalla psicologia analitica come simbolo archetipico della condizione indistinta che precede lo sviluppo della personalità.
Ma i due serpenti sono anche Ida e Pingala che si avvolgono intorno a Sushumna, si inerpicano su per la colonna vertebrale, partendo proprio dal Primo Chakra per arrivare al Settimo.
Ida è adibita al controllo dei processi mentali. Scorre nella parte sinistra del corpo. Inizia nella parte destra e termina nella sinistra. Il suo simbolo è la luna. Diminuisce la nostra predisposizione a identificarci con l’Ego. Rappresenta la creatività e il suo fluire.
Ida è l’energia femminile, fredda, negativa e lunare. Il metallo collegato è – infatti - l’argento.
Pingala, invece, è adibita al controllo dei processi vitali. Parte dal lato sinistro e termina in quello destro. Incoraggia l’Ego.
Pingala agisce a livello fisico ed è energia maschile, calda, positiva e solare. Il metallo collegato è – infatti - l’oro.
I due serpenti del libro sono, rispettivamente, uno chiaro e uno scuro, per indicare Yin e Yang, l’unione dei due opposti in equilibrio perfetto.
I CAPILETTERA: vedi sopra.



Rubando il libro – dicevamo - Bastiano ha dato vita alla propria Iniziazione, ovvero quel meccanismo che permette ad un individuo di intraprendere un percorso di crescita personale. “La Storia Infinita” è – infatti – un percorso nel senso letterale del termine: è un viaggio negli antri della mente ed è un viaggio fatto – naturalmente – di tappe, tante quante sono le lettere dell’alfabeto. Lo scopo del viaggio è quello di andare alla ricerca del proprio IO, del proprio potenziale e – per estensione – della felicità personale.
La ricerca della felicità è la ricerca del proprio IO. Chi trova il proprio IO trova la propria volontà, la propria strada e – seguendola/perseguendola – trova, alla fine, la vera felicità quella autentica. Alcuni fanno finta di averla trovata e vivono in un’illusione che loro stessi si sono creati. Altri, frustrati dalla ricerca di cose materiali, si smarriscono in tali cose e buttano via la loro vita.
Bastiano parte per il suo viaggio con un’idea sbagliata, completamente distorta della propria personalità.  Bastiano è/si vede come lo vedono gli altri: un colossale fallito. Ne è convinto. Pertanto il viaggio lo aiuterà innanzitutto a perdere quelle pesanti zavorre che sono le certezze:
“Aveva rubato. Era un ladro! […] Il papà non doveva venire a sapere che suo figlio era diventato un ladro”.
Ma è proprio vero che le nostre azioni ci identificano?
E’ proprio vero che se penso di essere un ladro, allora lo sono?
“COGITO, ERGO SUM”?
Il mondo comincia a stargli stretto:
“[…] a casa adesso naturalmente non poteva più tornare”.
“Senza accorgersene aveva preso la strada di tutti i giorni. Ora però questa gli parve addirittura deserta, […] per uno che arriva con troppo ritardo, il mondo intorno alla scuola sembra sempre come morto”.
La scuola, vista “come una PRIGIONE, […] una penitenza che doveva semplicemente subire, muto e rassegnato”.
“Allora gli fu chiaro che d’ora in poi anche qui non c’era più posto per lui. Doveva andar via. […] All’improvviso gli venne in mente il posto giusto”.
“La soffitta era grande e buia. Odorava di polvere e di naftalina”.
Bastiano si rifugia in un luogo antico, ancestrale: d’altronde per trovare sé stessi bisogna andare alle origini di tutto e quindi quale luogo migliore di una soffitta? E’ sbagliato – però – considerare la soffitta unicamente come luogo fisico, perché essa è prima di ogni altra cosa un luogo della mente!
“Conosceva quella soffitta. […] Da allora non ci aveva più pensato. Ma adesso gli era tornato alla mente giusto in tempo”.
E’ chiaro che conosce quella soffitta: è una parte di sé!
E poi il tempo: altro concetto da rivalutare se si vuole intraprendere un percorso come quello di Bastiano. L’Iniziazione può richiedere tempi molto lunghi, ma è tutto relativo al concetto di tempo lineare che l’uomo stesso ha creato. Un tempo in cui ci sono il passato, il presente e il futuro. Il passato è irrimediabile, il presente è inafferrabile e il futuro è inconoscibile. Questo è il concetto di tempo a cui tutti noi sottostiamo e che ci limita grandemente. Abbandonare questa certezza è uno dei passi fondamentali da compiere per entrare in sé stessi.
“Dopotutto qui sarebbe dovuto rimanere per molto tempo. Quanto? A questo per il momento non aveva ancora pensato e neppure al fatto che ben presto avrebbe avuto fame o sete”.
Certo, perché la cercare non significa soltanto abbandonare le certezze, ma anche iniziare a porsi domande e interrogativi, sviluppare nuovi bisogni, nuove necessità (ivi rappresentati come fame e sete).
“Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto”. (Gesù, dal vangelo di Matteo 7:7).
“La Storia Infinita” è il libro di tutti i libri: una storia senza fine. Una storia diversa per ognuno di noi, ma in cui tutti possiamo, anzi dobbiamo, rispecchiarci. La storia dell’essere umano e – contemporaneamente – quella di ogni singolo individuo. Ma qual è – dunque – la storia dell’essere umano? La ricerca dell’IO attraverso le domande, le passioni, i desideri. E che cosa hanno in comune l’umanità intera e il singolo individuo? La stessa ricerca, solo – però – attraverso domande diverse. Il singolo, infatti, cercherà la propria identità attraverso le proprie domande, le proprie passioni e i propri desideri. Tutto questo servirà a risvegliare le coscienze, una dopo l’altra.
La passione. Altro tema fondamentale nel libro di Ende. Le passioni e i desideri sono le forze motrici del cambiamento: danno il via alle vicende e le portano avanti fino alla completa evoluzione del protagonista. Ma anche questa volta Bastiano è ognuno di noi. Gli manca – da accanito lettore qual è – una storia che non abbia fine. La sua è una mancanza che l’autore stesso definisce passione. Ogni cosa che ci manchi e che desideriamo fortemente scatena in noi una passione - infatti - quanti al mondo possono vantare di svolgere il lavoro dei loro sogni?
“Bastiano non si era mai dato pena di pensare se suo padre facesse davvero volentieri il suo lavoro”.
“Tentò di immaginare suo padre […] perché suo padre faceva l’odontotecnico”.
Quando siamo piccoli vediamo i nostri genitori o – più in generale – gli adulti intorno a noi come inarrivabili, incomprensibili creature. Non vediamo gli esseri umani, ma il loro ruolo: il ruolo di padre (nel caso di Bastiano). Pensiamo attraverso di loro perché IMPARIAMO a pensare attraverso di loro: loro ci vedono stupidi? Noi ci convinciamo di essere stupidi e allo specchio non faremo altro che vedere la nostra stupidità. Staccarsi dal mondo così come lo conosciamo significa anche staccarsi da questo tipo di pensiero, di mentalità filtrata attraverso l’opinione altrui. Lo specchio (tema che viene ripreso continuamente nel libro) non ci mostra esattamente la realtà, ma una sua stortura, la visione di noi attraverso qualcos’altro. Lo specchio è un mezzo potente, ma anche altamente ingannevole e se daremo retta SOLO a quello ci perderemo di sicuro buona parte di quello che siamo.
“Mi piacerebbe sapere”, mormorò fra sé, “che diavolo c’è in un libro fintanto che è chiuso. Naturalmente ci sono dentro soltanto le lettere stampate sulla carta, però qualche cosa ci deve pur essere dentro, perché nel momento in cui si comincia a sfogliarlo, subito c’è lì di colpo una storia tutta intera. Ci sono personaggi che io non conosco ancora e ci sono tutte le possibili avventure e gesta e battaglie, e qualche volta ci sono delle tempeste di mare oppure si arriva in paesi e città lontani. Tutte queste cose in qualche modo sono già nel libro. Per viverle bisogna leggerlo, questo è chiaro. Ma dentro ci sono fin da prima. Vorrei proprio sapere come”.
Chiarissimo – qui – il riferimento al Destino. Quando veniamo al mondo, abbiamo un’infinità di prospettive, di opportunità, di strade che si aprono davanti a noi, ma spetta a noi scegliere – di volta in volta – quale strada seguire. Tutto è scritto, ma in una infinità di versioni, perciò gli artefici della nostra storia siamo noi coi nostri desideri; noi, guidati dalle nostre passioni, dal nostro intuito, dalla nostra creatività e dalla nostra immaginazione. I sensi ci aiutano a definire ciò che ci piace e ciò che non ci piace; il cervello ci aiuta ad elaborare le informazioni, ma ciò che davvero ci fa da guida è il desiderio, anzi, I DESIDERI.




CAPITOLO 1:  “FANTÀSIA IN PERICOLO”

“E all’improvviso si sentì avvolgere da un’atmosfera  quasi solenne. Si sistemò comodamente, afferrò il libro, aprì la prima pagina e cominciò a leggere”.
E’ mezzanotte – a Fantàsia – un “must”, quasi come a dire “Nel mezzo del cammin di nostra vita/ Mi ritrovai per una selva oscura/ Ché la diritta via era smarrita”, la tempesta infuria  e rumoreggia con forza e le creature del bosco sono smarrite. Persino il Fuoco Fatuo ha perduto la strada. Il Fuoco Fatuo è un messaggero, ma non è da solo… Infatti nel bosco, proprio lì a pochi passi da lui, ci sono altri tre messaggeri: un gigante della specie dei Mordipietra, un Incubino e un Minuscolino. Ognuno con la propria cavalcatura a fianco. Per il Mordipietra una bicicletta interamente in pietra, per l’Incubino un pipistrello e per il Minuscolino nientemeno che una lumaca da corsa. Tutti straordinariamente in pace e – cosa ancor più importante – con lo stesso scopo: portare all’Infanta Imperatrice un terribile messaggio… Qualcosa sta distruggendo, anzi ANNIENTANDO, le loro terre! Questo “qualcosa” è IL NULLA, ma è difficile – per le creature di Fantàsia – spiegare cosa sia il Nulla. Non è un buco (perché “un buco è già qualcosa”), non si presenta e non c’è una parola per definirlo perché “quando si guarda in quel punto è come se si fosse ciechi”. Il Nulla è il vuoto, ma anche il vuoto è qualcosa, qualcosa che… non c’è. Dunque – il Nulla – è o non è? I più audaci potrebbero ipotizzare che il Nulla sia una condizione, uno stato mentale, ma è meglio non affrettare le congetture e andare per gradi.
Di sicuro Fantàsia e tutte le creature che la popolano sono in grandissimo pericolo. “La Storia Infinita” è – dunque – il libro adatto a Bastiano e a chi – come lui – ama IMMAGINARE.
“Perché questo lui lo sapeva fare molto bene; forse era l’unica cosa che sapeva fare davvero molto bene: immaginare le cose con tanta chiarezza che quasi le vedeva e le sentiva. Quando si raccontava da solo le sue storie, talvolta succedeva che dimenticava tutto ciò che aveva intorno e alla fine si risvegliava come da un sogno”.
Il viaggio degli ambasciatori dura una settimana. Al termine dei 7 giorni (vedremo in seguito il significato di questo numero simbolico) – finalmente – compare la Torre d’Avorio, cuore del Reame di Fantàsia e dimora dell’Infanta Imperatrice.
“Il termine «torre» potrebbe, per chi non ha mai visto questi luoghi, trarre forse in inganno, facendo erroneamente pensare alla torre di un castello, o di un campanile. Niente di tutto questo. La Torre d’Avorio era grande quanto un’intera città”.
Torre come punto più alto della nostra psiche, come ritorno alle origini, alla purezza di quando eravamo bambini. D’avorio come simbolo del candore e dell’innocenza infantile.
Fauna, flora e creature d’ogni sorta popolano Fantàsia e la “città” della Torre d’Avorio. Ende ci ha messo davvero di tutto: grifoni, cavalli alati, fenici, nani, folletti, fate, troll, fauni, donnegatto, vampiri, fantasmi e molto, molto altro ancora così da ricordarci quanto – nella nostra mente – sia contenuto.
A ribadire il concetto di Purezza e dignità c’è il trono dell’Imperatrice: un padiglione dalla forma di un bocciolo di magnolia.
All’arrivo dei nostri quattro messaggeri la Torre d’Avorio e i suoi dintorni sono più affollati del solito: sono, infatti, ivi riuniti gli ambasciatori di tutti i territori di Fantàsia e tutti portano lo stesso messaggio che già conosciamo. Ciò che, però, scoprono è spaventoso: l’Infanta Imperatrice è malata, molto malata, ma nessuno ha ancora capito quale sia la malattia che la affligge, né – di conseguenza – la cura per guarirla. Per di più, resta da  appurare se la malattia dell’Imperatrice stia causando l’avanzamento del Nulla o se – al contrario – sia il Nulla a causare il pessimo stato di salute della Sovrana…




CAPITOLO 2: “LA CHIAMATA DI ATREIU”

Dicevamo – dunque – che l’Imperatrice è gravemente malata. Ben 500 medici sono stati mandati a chiamare perché si possa venire a capo della questione. 499 – numero che simboleggia l’incompiuto, l’inarrivabile, l’incompleto – hanno già visitato la Sovrana senza essere riusciti a formulare una diagnosi, pertanto attendono con ansia e speranza il responso del cinquecentesimo medico. La vita dell’Imperatrice è estremamente importante per il Regno di Fantàsia perché ella “era molto più di una sovrana, o per meglio dire era qualcosa di completamente diverso.
Non governava, non aveva mai fatto uso di violenza e neppure del proprio potere, non dava mai ordini e non giudicava nessuno e non doveva mai difendersi da alcun aggressore, perché a nessuno sarebbe mai venuto in mente di levare la mano contro di lei o, peggio ancora, di farle qualcosa di male. Davanti a lei tutti i suoi sudditi erano uguali.
Lei era semplicemente lì, ma lo era in una maniera del tutto speciale: era il punto focale, il centro di tutta la  vita nel Regno di Fantàsia.
E ogni creatura, buona o cattiva, bella o brutta, seria o allegra, sciocca o saggia, tutti, tutti esistevano solo in grazia della sua esistenza. Senza di lei nulla poteva esistere, così come un corpo non può vivere se non ha il cuore. Nessuno era in grado di comprendere completamente il suo segreto, ma tutti sapevano che era così. E così appunto essa era in ugual misura rispettata da tutte le creature del Regno, e tutti allo stesso modo si preoccupavano della sua salute e della sua vita. Perché la sua morte sarebbe stata contemporaneamente la morte di tutti, il declino, la fine dell’incommensurabile Regno di Fantàsia”.
Chi è – dunque – l’Imperatrice Bambina? Quando si parla di “punto focale”, di “centro di tutta la vita” s’intende soltanto equilibrio di tutte le cose (Male/Bene, Nero/Bianco, Yin/Yang, ecc.) o ci si può spingere a dire che la Sovrana rappresenta il nostro “IO PIU’ GRANDE”, tutto ciò che c’è dentro di noi, tutto ciò che non c’è, tutto ciò che potrebbe esserci e così via? L’Imperatrice è il punto più alto della nostra coscienza e – non a caso – è situata nel punto più alto del cuore di Fantàsia.
“IO più grande”, “punto più alto della coscienza”… vale la pena di soffermarsi ad affrontare queste definizioni. Quanti “IO” abbiamo? Innumerevoli! Basti pensare al fatto che ci comportiamo in maniera differente a seconda delle persone con cui ci rapportiamo, a seconda dei ruoli che dobbiamo svolgere, a seconda delle sensazioni, delle emozioni e dei sentimenti che proviamo, a seconda delle esperienze che facciamo ogni giorno… Insomma, “IO” è “IO”, ma in tanti modi diversi. La teoria pirandelliana delle maschere  si adatta particolarmente bene a questo concetto. Ogni individuo possiede un numero elevatissimo di “maschere” che “indossa” al variare delle situazioni.
IMPERATRICE : CORPO ETEREO = CUORE : CORPO FISICO
E – per dirla tutta – il cuore non è solo un organo, ma anche la sede dei sentimenti, dei ricordi, delle passioni; il cuore è il quarto chakra, ovvero la centrale tra le sette sedi energetiche.
L’Imperatrice è la “scintilla divina” presente in ognuno di noi, quella stessa scintilla che dà origine alla creatività, è la sede dei desideri, è – per definirla come la definirebbe Dante Alighieri – “L’amor che muove il  sole e l’altre stelle”.
Dopo aver letto le parole sopra riportate, Bastiano inizia improvvisamente a pensare al proprio rapporto con il padre, rapporto che è profondamente mutato dalla morte della madre.
“Bastiano aveva tutto ciò che poteva desiderare. […] Ma in fondo, di tutto questo non se ne faceva niente”.
Certo! Notate l’uso del verbo POTERE. Potere – qui – è inteso come limitazione, come DOVERE, paradossalmente. Bastiano si è accontentato, fino ad ora, ma è giunto il momento, per lui, di accorgersi dei suoi veri desideri. E così, nel libro, anche l’Infanta Imperatrice sta per spegnersi senza avere alcuna malattia, in senso medico.
I molti “IO”, ovvero le creature di Fantàsia, sono turbate e spaventate, rischiano di scatenare sterili litigi tra loro. Perché  va detto che “nel Regno di Fantàsia quasi tutte le creature viventi, anche gli animali, padroneggiavano alla perfezione almeno due lingue: la propria, di cui si servivano con i loro simili e che nessun estraneo poteva capire, e una seconda, di uso generale, che si chiamava Altofantàsica o anche, più comunemente, la Grande Lingua. Quasi tutti la conoscevano, anche se qualcuno ne faceva un uso piuttosto singolare”.
Sono sempre andati tutti d’accordo, si sono tollerati, ma è chiaro che – al venir meno  delle solide certezze – inizi a farsi largo una sorta d’impazienza, di fastidio generale.
Ma finalmente ecco Cairone, il cinquecentesimo medico, un Centauro Nero che però – purtroppo – non reca con sé buone notizie…
“[…] al collo aveva, appeso a una catena, un grande amuleto d’oro sul quale si vedevano due serpenti, uno chiaro e l’altro scuro, che si mordevano la coda a vicenda formando così un ovale”.
“Nel Regno di Fantàsia chiunque conosceva il significato di quel medaglione: era il segno distintivo di colui che agiva per incarico dell’Infanta Imperatrice e che era autorizzato a trattare in suo nome, come se lei stessa fosse presente.
Si diceva che esso conferisse a colui che lo portava forze misteriose, sebbene nessuno sapesse esattamente quali. Tutti conoscevano il suo nome: AURYN.
Ma molti non osavano nemmeno pronunciare quel nome, lo chiamavano il Pantakel o semplicemente il Gioiello o, ancor più semplicemente, lo Splendore”.
L’inizio che incontra la fine e origina l’infinito, l’equilibrio di tutte le cose, la creazione perpetua, la crescita continua, l’evoluzione.
Cairone ha ricevuto dall’Infanta Imperatrice il compito di portare e consegnare lo Splendore alla sola persona che possa salvarla: un eroe dal nome Atreiu.
“[…] questo eroe si chiama Atreiu e abita nel Mare Erboso, dietro le Montagne d’Argento; a lui io porterò AURYN e lo spedirò alla Grande Ricerca[1]”.
Per Grande Ricerca si intende – naturalmente – la Ricerca dell’”IO più grande”, dell’”IO più autentico”.
E’ emblematico che il nome con cui molti abitanti di Fantàsia sono soliti chiamare l’AURYN sia proprio "lo Splendore": quella dello SPLENDORE (nella Qabbalah) è – infatti – l’ottava Sephira (HOD) delle 10 Sephirot presenti nell’Albero della Vita. Ma ci saranno modo e tempo di approfondire la questione, anche perché – a parere mio – la Qabbalah è uno dei pilastri su cui si regge tutto il libro. Avrete, inoltre, notato quanto la parola AURYN ricordi il termine latino AURUM (= ORO).
Nel frattempo Bastiano prosegue la lettura e viene a trovarsi come al di fuori del tempo lineare:
“Il campanile batté le dieci. Bastiano si meravigliò di come il tempo fosse passato in fretta. Quando era a lezione, ogni ora di solito gli pareva durare un’eternità”.
Veniamo, ora, ad Atreiu: ha la stessa età di Bastiano, ma è il suo esatto opposto, il suo Alter Ego – se vogliamo – o, ancora, l’altra faccia della medaglia. Atreiu è coraggioso, intrepido, magnanime e orgoglioso. La contrapposizione perfetta a Bastiano, così vile, ridicolo, sempre impacciato e inadatto. Atreiu fa parte della tribù dei Pelleverde, grandi veneratori/cacciatori dei Bufali di Porpora (ecco che ritornano i due colori in cui è scritto il libro). Anche Atreiu – come il suo Alter Ego, Bastiano – deve affrontare la propria Iniziazione, ma non nella maniera canonica prevista dalla sua tribù (ossia con la caccia e l’uccisione del Grande Bufalo), bensì con lo svolgimento della missione per salvare l’Infanta Imperatrice e, con lei, il Regno di Fantàsia.
“Portare a compimento il suo incarico sarebbe probabilmente un’impresa impossibile anche per il più grande e più esperto degli eroi, ma per te… Lei ti manda nell’ignoto alla ricerca di qualcosa che nessuno conosce. Nessuno ti deve aiutare né consigliare, nessuno può prevedere ciò che ti troverai ad affrontare. E tu devi decidere immediatamente, sì, in questo istante, se accetti l’incarico oppure no. Non c’è più un minuto da perdere”.
“[…] non c’è bisogno che tu accetti l’incarico. L’Infanta Imperatrice lascia a te di decidere. Non ti ordina nulla. Le spiegherò io come stanno le cose e lei ne troverà un altro. Non può aver saputo che sei ancora un bambino. Ti ha certamente scambiato per un altro, questa è la sola spiegazione”.
“In che cosa consiste l’incarico?” domandò Atreiu.
“Trovare la medicina per l’Infanta Imperatrice”, rispose il vecchio centauro, “e salvare Fantàsia”.
“Eppure l’Infanta Imperatrice mi ha fatto proprio il tuo nome. ‘Va’ e cerca Atreiu!’ mi ha detto. ‘Ripongo in lui tutta la mia fiducia’, ha detto ancora. ‘Domandagli se vuole assumersi l’incarico di iniziare la Grande Ricerca, per me e per Fantàsia’. Così ha detto. Io non so proprio come mai la sua scelta sia caduta su di te. Forse solo un bambino come te può portare a termine questo impossibile compito. Io non lo so e non ti posso consigliare”.
Coraggiosamente, Atreiu accetta la missione che gli è stata affidata e Cairone non può far altro che consegnargli l’AURYN:
“AURYN ti dà il grande potere”, esclamò in tono solenne, “ma tu non lo devi usare. Perché anche l’Infanta Imperatrice non fa mai uso del suo potere. AURYN ti proteggerà e ti guiderà, ma tu non dovrai mai attaccare, qualunque cosa tu debba vedere, poiché da questo momento la tua opinione non conta più. Perciò devi partire senza armi. Devi lasciare che accada tutto ciò che deve accadere. Tutto deve essere uguale per te, il Bene e il Male, il Bello e il Brutto, la Stupidità e la Saggezza, così come è per l’Infanta Imperatrice. Tu devi soltanto cercare e domandare, ma mai sentenziare secondo il tuo giudizio”.
“Nessuno sa quanto a lungo potrà durare la tua Grande Ricerca. Può darsi che ne vada di ogni ora che passa! Vai a dire addio ai tuoi genitori e ai tuoi fratelli!”.
“Non ne ho”, replicò Atreiu. “I miei genitori furono entrambi uccisi dal bufalo, poco dopo che io ero venuto al mondo”.
“Chi ti ha allevato?”
“Tutti gli uomini e le donne insieme. Per questo mi hanno dato il nome  di Atreiu, che tradotto nella Grande Lingua significa: ‘Figlio di tutti’”.
Certo. Atreiu è figlio di nessuno, quindi è figlio di tutti e per questo motivo la sua esperienza di Ricerca, di crescita e di maturazione può essere quella di ciascuno di noi. A questo punto Ende ci pone davanti al parallelismo tra Atreiu e Bastiano (notare, tra l’altro,  le lettere iniziali dei due nomi, A e B): mentre Atreiu si sente figlio di tutti, Bastiano si sente figlio di nessuno.
“Ciò nonostante però Bastiano fu contento di poter avere in questo modo qualcosa in comune con Atreiu, perché per il resto non aveva con lui nessuna somiglianza purtroppo; non aveva il suo coraggio, la sua decisione e non gli somigliava neppure nel fisico. Eppure anche lui, Bastiano, anche lui era alla Grande Ricerca, e non sapeva dove lo avrebbe portato e come sarebbe andata a finire”.
“Da dove devo cominciare?”
“Ovunque e da nessuna parte”, gli rispose Cairone. “Da questo momento tu sei solo e nessuno ti può consigliare. E così sarà fino alla fine della Grande Ricerca, comunque essa possa finire”.
Atreiu non può portare con sé le proprie armi, perché se vuole partire per CERCARE, deve abbandonare tutte le certezze: se restasse ancorato ad esse non troverebbe alcunché e non potrebbe in alcun modo progredire. Con sé può portare soltanto il suo cavallo, Artax, una creatura col dono della parola che lo accompagnerà nel suo cammino. E nello stesso istante in cui Atreiu parte alla Grande Ricerca, anche un’altra creatura comincia a correre…
“A lunghi salti silenziosi la creatura d’ombra prese ad avanzare a precipizio nella notte senza stelle”.
Un altro pilastro portante della narrazione è proprio l’OMBRA. Per adesso diremo soltanto che l’ombra rappresenta l’OSTACOLO, quell’impedimento presente in tutte le fiabe.
Il capitolo 2 termina con un altro parallelismo tra Atreiu e Bastiano, parallelismo in cui quest’ultimo cerca – ancora una volta – di identificarsi in quello che  ormai, a tutti gli effetti,  è diventato il suo beniamino, ovvero Atreiu.


[1] “Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto”. (Matteo7:7)




CAPITOLO 3: “LA VECCHISSIMA MORLA”

Atreiu si mette in cammino con Artax e – in prima battuta – attraversa le Montagne d’Argento. Bastiano segue le vicende continuando a leggere e imitando – nel suo piccolo – i gesti di Atreiu. Nel frattempo i minuti passano e – con essi – le preoccupazioni di Bastiano per la perdita delle lezioni scolastiche. Una piccola divagazione – a questo punto – è necessaria. Grazie ai pensieri di Bastiano sulla scuola e sui suoi insegnanti, Ende ci illustra la banalità e la superficialità del mondo dell’istruzione.
“Giù in cortile la ricreazione era finita. Bastiano pensò un momento quale lezione sarebbe cominciata ora. Ah, sì, giusto, geografia con la signora Magrini. Con lei bisognava saper recitare a tiritera nomi di fiumi e affluenti, città e numero di abitanti, ricchezze del sottosuolo e industrie. Bastiano fece un’alzatina di spalle e riprese a leggere”.
Cit. tratta dal capitolo 2: “Ora giù in classe c’era la lezione di storia, con il professor Rombi, un uomo magro e patito, quasi sempre di cattivo umore, che in particolare si divertiva a rendere ridicolo Bastiano di fronte a tutta la classe perché non riusciva tenere a mente le date delle battaglie, le date di nascita e gli anni di regno di qualche personaggio storico”.
La scuola bombarda  i suoi studenti con nomi, dati, date e cifre, ma non si preoccupa di preparare i bambini a vivere. Nessuno ti insegna le cose essenziali, ovvero l’importanza della ricerca della tua identità; nessuno ti sprona a coltivare le passioni; nessuno ti lascerà mai libero di immaginare, di sognare, di galoppare con la fantasia. I sognatori sono liberi e – come tali – estremamente pericolosi per la società e per la civiltà le quali ci vogliono obbedienti e rigorosi. Anziché accendere, la scuola spegne le menti per garantire allo Stato, alle Istituzioni e ai Grandi Organismi, sudditi che non abbiano le capacità e nemmeno la voglia di pensare.
“Nel sonno Atreiu sognò i Bufali di Porpora. Li vedeva in lontananza correre attraverso il Mare Erboso e cercava di avvicinarsi a loro con il suo cavallino. Ma era inutile. Per quanto lui spronasse il suo bravo Artax, i bufali restavano sempre alla stessa distanza”.
“Il secondo giorno attraversarono la terra degli Alberi Cantanti. […] la ragione per cui il paese portava quel nome era che si poteva udire la crescita della vegetazione come una musica leggera che risuonava da lontano e da vicino, raccogliendosi in un tutto tanto possente, che in quanto a bellezza non la si poteva confrontare con nessun’altra cosa in tutta Fantàsia”.
Quando ci si lascia alle spalle ogni certezza e si percorre un sentiero di ricerca, si torna a “vedere”, a “sentire”, a percepire e a scoprire; si torna a meravigliarsi di tutto. E’ come risvegliare i sensi da un torpore potente! L’importante è non fermarsi, non accontentarsi, ma proseguire il cammino. Si dice che “chi si ferma è perduto” – beh – io aggiungerei: “Chi si accontenta muore!”
“Il terzo giorno vide le Torri di Vetro di Eribo […]”
“Nella notte che seguì, Atreiu tornò a sognare che il grande branco dei Bufali di porpora gli passava davanti. Vide chiaramente che uno degli animali, un toro particolarmente grosso e poderoso, si staccava dal gruppo e si dirigeva verso di lui, lentamente, senz’ombra di paura o di collera. Come tutti gli autentici cacciatori, Atreiu aveva il dono di individuare immediatamente in ogni animale il punto vulnerabile, dove bisognava colpire per ucciderlo. Anzi, gli sembrava che il toro si mettesse addirittura nella posizione giusta per offrirsi come bersaglio. Atreiu inserì rapido la freccia e tese l’arco con tutte le sue forze, ma non riuscì a scoccare la freccia. Pareva che le dita gli si fossero legate intorno alla corda dell’arco.
E press’ a poco lo stesso gli accadde in tutti i sogni che fece nelle notti seguenti. Arrivava sempre più vicino al Bufalo di Porpora (e si trattava proprio dell’animale che avrebbe voluto uccidere durante la sua caccia, riconoscibile dalla macchia bianca sulla fronte), ma per una ragione o per l’altra non riusciva mai a far partire la freccia mortale”.
Qualcosa blocca Atreiu, come un sesto senso, una premonizione che verrà svelata poche pagine dopo. Un impedimento, quello del non riuscire a scoccare la freccia, che si rivelerà ancora una volta Provvidenziale.
Le parole del Centauro Nero iniziano a rivelarsi esatte: ovunque vada, Atreiu, ottiene il rispetto che gli è dovuto, ma nessuna indicazione, consiglio o suggerimento.
Atreiu oltrepassa le strade fiammeggianti di Brux, l’altopiano dei Sassafrani, “che nascono vecchissimi e muoiono quando sono diventati poppanti[1]. Arriva al tempio di Muamat e parla coi monaci, ma “anche di lì dovette ripartire senza aver ricevuto alcuna indicazione[2].
Al settimo giorno di cammino, però, qualcosa accade “e nella notte che seguì accaddero due fatti, completamente distinti fra loro, che mutarono totalmente la sua situazione interiore e anche esteriore”.
Compare, qui come in molti altri punti de “La Storia Infinita” il numero 7. Questo numero possiede molteplici significati tra cui l’intuizione, la capacità di fondere realtà e magia e quella di rendere reale quella stessa magia. Per i Pitagorici rappresentava la perfezione del cerchio e – per estensione – della ciclicità. Assolutamente in linea, quindi, con il concetto di infinito che permea tutto il libro. Ancora una volta, però, è doveroso citare la Qabbalah, in cui la settima lettera (Zain) è associata alla capacità discriminativa della nostra mente, ovvero la facoltà di discernere il Bene dal Male e di allontanare – di conseguenza – tutto ciò che ci impedisce di crescere spiritualmente. Non a caso, la forma della lettera è simile a quella di un pugnale, di un’arma da taglio con la quale combattere per la nostra sopravvivenza. “Zain” significa, letteralmente, “strumento di guerra” ed è appunto lo strumento con il quale possiamo lottare sia per vivere, sia per progredire. Il numero 7, pertanto, rappresenta la perfezione data dall’equilibrio degli opposti.
Ecco, dunque, che si spiega ulteriormente anche il numero 8 dell’ottava Sfera di cui parlavamo nell’analisi del secondo capitolo. L’8 non è altro che la trascendenza del numero 7, il momento in cui Atreiu e  Bastiano entrano in una dimensione che va oltre il tempo perché il numero in questione rappresenta l’ingresso del finito nell’infinito…
Atreiu si trova nel Bosco Frusciante, luogo in cui vivono i Trolli di Corteccia, ovvero enormi creature dall’aspetto di tronchi nodosi. Tre Trolli menomati dal passaggio del Nulla si avvicinano al ragazzino, per avvertirlo:
“Non devi assolutamente proseguire per questa strada, altrimenti sei perduto”.
“La distruzione si va estendendo, […] il Nulla cresce. Tutti gli altri sono fuggiti per tempo dal Bosco Frusciante, ma noi non volevamo abbandonare la nostra terra. E così ci ha colti nel sonno[3] e ha fatto di noi ciò che ora tu hai davanti agli occhi”.
“Fa molto male?” domandò Atreiu.
“No. […] E’ soltanto che ti manca un pezzo. E una volta che si è colpiti, ogni giorno ti manca qualcosa di più. Presto non esisteremo più del tutto”.
“Qual è il punto del bosco dove è cominciato?” volle sapere Atreiu.
“Lo vuoi vedere? […] Ti porteremo fino a un punto da cui potrai vedere, ma, da parte tua, devi promettere di non andare un passo più in là. Altrimenti ne sarai attratto irresistibilmente. […] Arrampicati più in alto che puoi […] e guarda dalla parte da cui sorge il sole. Là lo vedrai, o meglio NON lo vedrai.”
Chi non è disposto a staccarsi dalle proprie convinzioni e ha quella presunzione o soffre di quella sorta di accidia che lo ancora al passato, alle comode - ma vincolanti – certezze, ha già iniziato a morire. Una morte psichica, mentale, che – però – lentamente porta anche alla morte del fisico, alla morte materiale. E’ difficile resistere all’annichilimento, all’attrazione che il Nulla esercita sulle nostre menti, ma “non c’è occhio che possa sopportare di fissarsi nel Nulla assoluto”.
“E fu in quella notte che lo aspettava il secondo evento che doveva dare una nuova direzione alla sua Grande Ricerca.
Sognò cioè, e ancor più chiaramente di quanto avesse mai fatto fino ad allora, il grande Bufalo di Porpora che avrebbe voluto uccidere durante la sua caccia. Questa volta gli stava davanti senza arco né freccia. Si sentiva piccolo piccolo e la testa dell’animale lo sovrastava colmando tutto il cielo. Allora udì il bufalo che gli parlava. Non poteva afferrare ogni parola, ma ciò che il bufalo disse era press’ a poco questo: «Se tu mi avessi ucciso, ora saresti un cacciatore. Ma tu hai rinunciato, così io ora ti posso aiutare, Atreiu. Ascolta! C’è in Fantàsia una creatura vecchissima, la più vecchia di tutte quelle vi abitano. Lontano, lontano di qui, nel nord del Regno, si trovano le Paludi della Tristezza. Nel mezzo di queste paludi si alza la Montagna di Corno, là abita la vecchissima Morla. Vai a cercare la vecchissima Morla!»
A quelle parole Atreiu si svegliò”.
Atreiu ha preferito andare alla ricerca della propria identità anziché percorrere la strada di un destino già segnato che lo avrebbe visto cacciatore come tutti i membri della tribù dei Pelleverde. Ha preferito l’”IO” al “NOI” e ora questa scelta lo ripaga del sacrificio fatto staccandosi dalla comunità, da un ambiente annichilente.
Seguito dall’ammirazione di Bastiano, Atreiu si dirige verso nord e “quanto più si spingeva verso nord, tanto più si faceva buio”, fino a che “dall’alto di una collina egli vide finalmente le Paludi della Tristezza”.
Artax comincia ad esprimere la propria preoccupazione al padrone:
[…] penso che dovremmo tornare indietro. Non ha senso andare avanti. Stiamo inseguendo qualcosa che hai soltanto sognato. Ma non troveremo niente. E forse è anche già troppo tardi. Forse l’Infanta Imperatrice è già morta e tutto quel che facciamo non ha più alcun senso. Torniamo indietro, padrone, dammi retta, torniamo indietro.”
Il cavallo ha, ormai, perso la speranza; la tristezza cresce nel suo cuore e il suo corpo, appesantito, inizia a sprofondare nella palude. Atreiu, invece, porta lo Splendore, pertanto è protetto dallo sconforto, mentre Artax muore, inghiottito dal fango.
“In una maniera che gli restava del tutto incomprensibile, il segno inviatogli dall’Infanta Imperatrice lo guidava sulla giusta via”.
Infatti, dopo aver a lungo vagato, il nostro giovane eroe trova la Montagna di Corno. Essa non è altro che una enorme tartaruga d’acqua: la vecchissima Morla. La Morla ha un modo assai bizzarro di parlare: usa il plurale maiestatis, anche con sé stessa.  E’ una creatura scostante, la vecchiaia l’ha resa insensibile alle questioni più importanti e persino alla morte.
“Sta’ a sentire”, gorgogliò la Morla, “noi siamo vecchi, piccolo, troppo vecchi. Abbiamo vissuto abbastanza. Abbiamo visto anche troppo. Per chi sa tante cose come ne sappiamo noi non c’è più nulla d’importante. Tutto si ripete in eterno, il giorno e la notte, l’estate e l’inverno, il mondo è vuoto e senza senso. Tutto gira soltanto in tondo. Ciò che comincia deve finire, ciò che prende vita deve poi morire. Tutto si compensa, il Bene e il Male, il Bello e il Brutto, la Stupidità e la Saggezza. Tutto è vuoto. Niente è reale. Niente è importante”.
“Atreiu non sapeva che cosa rispindere. Quel gigantesco, mostruoso sguardo vuoto e buio della vecchissima Morla paralizzava tutti i suoi pensieri. Dopo un po’ sentì che lei riprendeva a parlare:
“Tu sei ancora giovane, piccolo. Noi siamo vecchi. Se tu fossi vecchio come noi, sapresti che non c’è altro che la tristezza. Guarda un po’. Perché non dovremmo morire, tu, noi, l’Infanta Imperatrice, tutti, tutti quanti?Tutto è solo apparenza, solo un gioco nel Nulla. Tutto è indifferente. Lasciaci in pace, piccolo, vai via”.
Atreiu dovette chiamare a raccolta tutta la sua volontà per opporsi alla paralisi che gli veniva da quello sguardo vuoto”.
Nonostante la riluttanza e l’ostentazione della propria indifferenza alla sorte dell’Imperatrice, a quella di Fantàsia a quella di Atreiu e – come ho già detto – alla propria, la Morla rivela un’informazione essenziale ad Atreiu: l’origine della malattia che affligge la Sovrana.
“Lei non vive nel tempo, ma nei nomi. Ogni tanto ha bisogno di un nome nuovo. Sicuro, ha sempre bisogno di nomi nuovi. Sai il suo nome, piccolo?”
“No”, ammise Atreiu, “non l’ho mai sentito”.
“E neppure potresti averlo sentito”, rispose la Morla, “neppure noi ce ne ricordiamo. E sì che di nomi lei ne ha avuti tanti. Ma sono stati tutti dimenticati. E’ tutto passato, finito per sempre. Guarda un po’. Ma senza nome lei non può vivere. Ha soltanto bisogno di un nome nuovo, l’Infanta Imperatrice, e subito tornerà a star bene”.
Il potere delle parole… Molti non ci fanno caso, ma le parole sono una forma di magia in quanto hanno il potere di far esistere le cose. Le parole danno corpo ai pensieri, alle idee, ai sogni, ai desideri.
Atreiu, però, ha bisogno di un’altra informazione, ovvero:
“Chi le può dare un nome?”
Anche a questo, la Morla, si troverà costretta a rispondere, data l’insistenza di Atreiu:
“Nessuna creatura di Fantàsia può darle un nome nuovo”.
Forse – stando alle informazioni della Morla – Uyulala dell’Oracolo Meridionale sa chi può farlo, ma la sede di questo Oracolo è lontana 10.000 giorni di viaggio…
A quest’ultima informazione la Morla si ritira e Atreiu si congeda da lei.
Da quanto è stato detto possiamo intuire che la Morla rappresenta “lo stato delle cose”, il passato, ma possiamo anche avventurarci audacemente in un territorio più filosofico e ipotizzare che questa creatura tanto vecchia sia l’INCONSCIO COLLETTIVO di cui parlava Jung.
“In quella stessa ora la creatura d’ombra, che si era formata con l’oscurità della brughiera notturna, trovò le tracce di Atreiu e si mise in cammino, diretta alle Paludi della Tristezza. Nulla e nessuno in Fantàsia avrebbe potuto distoglierla da quella traccia”.
Bastiano – che, nel frattempo, segue le vicende attraverso la lettura del libro – si rammarica di non poter fornire - lui stesso - un nuovo nome all’Imperatrice e – contemporaneamente – prova angoscia per Atreiu.


[1] Ricorda molto “Il curioso caso di Benjamin Button”, film del 2008 diretto da David Fincher, basato su un racconto breve del 1922 di Francis Scott Fitzgerald.
[2] Ricorda, per certi versi, “Siddharta” di Hermann Hesse.
[3] Ricorda molto vagamente alcune delle circostanze e delle caratteristiche della distruzione di Sodoma.





CAPITOLO 4: “IGRAMUL, LE MOLTE”


Atreiu è finalmente riuscito a lasciare dietro di sé le Paludi della Tristezza, ma ha perduto l’orientamento e si è smarrito nel Paese delle Montagne Morte. In questo paese si trova Ygramul, Le Molte – orrore leggendario… Atreiu vorrebbe mollare tutto e aspettare che la morte lo colga, ma sente di dover continuare, per l’Infanta Imperatrice e per Fantàsia.
Intanto, nel mondo di Bastiano, l’orologio batte l’una, orario che segna la fine delle lezioni. Una volta usciti tutti i ragazzini dalla scuola, Bastiano si trova completamente solo e avvolto da un silenzio assordante.
Né Atreiu né Bastiano hanno cibo a disposizione; entrambi hanno freddo e provano un senso di scoramento. La tentazione di abbandonare la loro impresa è forte, ma – d’un tratto – Bastiano si mette nei panni di Atreiu e si trova a pensare che il suo beniamino non commetterebbe mai un così grave atto di vigliaccheria, pertanto decide di proseguire la lettura. Nata come emulazione, quella di Bastiano si sta velocemente trasformando in identificazione.
“Ma intanto era venuto il momento in cui Atreiu davvero non poteva più proseguire. Davanti a lui si spalancava il Profondo Abisso. […] Allora fece l’unica cosa che gli rimaneva da fare: cominciò a camminare  lungo il margine del Profondo Abisso”.
E’ un percorso pericoloso ed estremamente accidentato. Atreiu non sa di essere inseguito e questo è – di sicuro – un bene, per il momento, dato il pericolo che sta correndo. Qualsiasi distrazione potrebbe costargli cara. Ma è proprio mentre sta camminando sul bordo del precipizio che “la vide: sopra l’oscurità del Profondo Abisso, tesa fra le due sponde della voragine, si allungava una mostruosa ragnatela. E nelle maglie di quella stranissima rete, fatta di fili spessi come grosse funi, si dibatteva un enorme, candido Drago della Fortuna, che agitava scompostamente la coda e le zampe, e in tal modo non faceva che ingarbugliarsi sempre più strettamente nella rete, senza speranza di uscirne.
I Draghi della Fortuna sono fra gli animali più rari di Fantàsia. […] sono creature dell’aria e del calore, creature di irresistibile gioia e felicità e – nonostante le loro ponderose dimensioni, sono lievi e leggeri come nuvole d’estate. Per questo non hanno alcun bisogno di ali per volare. Nuotano nelle brezze del cielo come i pesci nell’acqua del mare. Visti dalla terra assomigliano a dei lampi che guizzino più lentamente del solito. Ma la loro caratteristica più meravigliosa è il canto. La loro voce è come il rintocco di una grande campana d’oro, e quando parlano piano è come se si udisse la campana in lontananza”.
Ma il drago in questione è gravemente ferito e il suo corpo coperto di squame color della madreperla, scintillando di riflessi bianchi e rosati è nettamente in contrasto con la creatura nera e muta-forma che continua a scagliarglisi contro. Tale creatura – muta-forma perché in grado si assumere, di volta in volta, le forme più disparate – è Ygramul (chiamata, per  questo, “Le Molte”). Atreiu comincia a correre sulla ragnatela per far sospendere la lotta ai due, ma lo sguardo di Ygramul è talmente terrificante che Bastiano emette un grido soffocato di spavento. Un grido che – incredibilmente – viene udito anche nel libro, da Ygramul stessa…
Atreiu cerca di strappare il Drago della Fortuna dalle grinfie del mostro, portando a giustificazione il fatto di essere in missione per l’Imperatrice e di aver bisogno di un “mezzo di trasporto” per raggiungere l’Oracolo Meridionale. La risposta di Ygramul è agghiacciante: “Non sulla durata della tua vita, bipede Atreiu, devi misurare la tua Ricerca, ma su quella della sua”.
“Libererete il drago, se vi prego di farlo in nome dell’Infanta Imperatrice?”
«No. […] Non hai il diritto di fare una simile richiesta, anche se porti indosso AURYN, lo Splendore. L’Infanta Imperatrice lascia a tutte le sue creature la libertà di essere ciò che sono. Per questo anche Ygramul si inchina davanti alle sue insegne. E tu lo sai benissimo».
“Atreiu se ne stava lì ancora a testa china. Ciò che Ygramul diceva era la verità. Quindi lui non era in grado di salvare il bianco Drago della Fortuna. I suoi personali desideri non contavano nulla”.
LIBERO ARBITRIO E DESIDERI…DI QUESTE DUE COSE AVREMO MODO DI PARLARE PIU’ APPROFONDITAMENTE AL TERMINE DELL’ANALISI CAPITOLO-PER-CAPITOLO.
Ygramul attacca – dunque – Atreiu, ferendolo ad un braccio e il ragazzino fa in tempo a pensare soltanto all’Oracolo Meridionale, prima di perdere i sensi.
Poco dopo l’attacco, un lupo nero giunge alla tela di Ygramul, ma non trova altro se non la tela vuota.
Intanto Bastiano, leggendo, sta vivendo ogni cosa come se stesse accadendo a lui, personalmente…
Il DRAGO della FORTUNA: testa leonina, occhi come rubini, squame del colore della madreperla dai riflessi bianchi e rosati, lunghi barbigli, sontuosa criniera e ciuffi di pelo candido sulla coda e sul corpo. Il drago di cui si parla in questo libro non è un comune drago, di quelli mostruosi e orripilanti cui siamo abituati che abitano nelle profondità della terra, ma una creatura del fuoco e dell’aria, proprio come il drago della Qabbalah. La Fortuna è – se ci pensiamo bene – quasi un essere vivente: è fulminea, brillante ed è un piacere poterla percepire, quando passa. La si può “sentire” come fosse un canto di felicità… Avete mai notato che, quando chiediamo un aiuto e ci capita il cosiddetto “colpo di fortuna”, il nostro sguardo è rivolto al cielo? Non penso sia un caso neanche il detto - “Sentire le campane” – quando siamo particolarmente felici…
Vi sarete sicuramente chiesti: “Come hanno fatto, Atreiu e il Drago della Fortuna, a sparire?”
Va detto che il veleno di Ygramul ha un duplice potere: il primo è quello di dare la morte entro un’ora a chi viene colpito e il secondo è quello di trasportare il malcapitato ovunque desideri, all’interno di Fantàsia, immediatamente. Ed è proprio per questo che – pensando all’Oracolo del Sud- Atreiu e il Drago riescono a sottrarsi alle grinfie di Ygramul.
YGRAMUL: detta anche “Le Molte” perché composta da uno sciame enorme di minuscoli insetti color azzurro acciaio che possono assumere, via via, molteplici forme differenti. E’ una creatura orribile, feroce. Parla utilizzando la terza persona singolare. E’ indubbiamente un personaggio crudele, ma è anche vero che senza di Lei Atreiu non potrebbe mai continuare la propria missione!





    CAPITOLO 5: “I BISOLITARI”


Quando Atreiu si sveglia si accorge di essere in un posto diverso dal Profondo Abisso e vede che non è il solo ad essere sfuggito a Ygramul: anche il Drago – udito  del duplice potere del mostro  - ha sfruttato la cosa a proprio vantaggio… Grazie alla sua grande capacità di porre le domande giuste e alla sua profonda intelligenza, Atreiu ha salvato se stesso e – seppur indirettamente – il Drago della Fortuna che, per questo motivo, decide di offrire il proprio aiuto al ragazzo. Ma il veleno di Ygramul è in circolo nel sangue di entrambi…
A provvedere alla salute di Atreiu e di Fùcur (questo il nome del drago) è una figurina assai bizzarra dalla faccetta grinzosa grande quanto un pugno, color marroncino, con una cuffietta di foglie secche come copricapo.
Nel frattempo vengono narrate anche le vicissitudini di Bastiano e su un episodio, in particolare, mi vorrei soffermare:
“Una volta, quando era ancora molto più piccolo, durante la lezione di religione, aveva persino domandato se il Signore Gesù non avesse dovuto anche lui correre al gabinetto come una persona qualunque. Tutta la classe era esplosa in una gran risata rumorosa e l’insegnante di religione gli aveva scritto una nota di biasimo sul registro di classe, per «contegno sconveniente». Ma una risposta Bastiano non l’aveva avuta. Eppure non aveva davvero avuto intenzione di comportarsi in maniera sconveniente. «Probabilmente», si disse ora Bastiano, «queste cose sono troppo poco importanti perché se ne parli nelle storie».
Sebbene per lui qualche volta potessero diventare di disperata importanza, tanto da vergognarsene”.
Spesso i bambini pongono domande interessanti, innocenti, legate alla grande sete di conoscenza che li pervade. Sono curiosi, ma di una curiosità che agli adulti appare banale, superflua e di cattivo gusto, come in questo caso. In realtà, redarguendo i bambini, gli adulti si mettono al riparo da interrogativi scomodi a cui – spesso – non sanno rispondere. Così facendo seminano imbarazzo e tabù nella mente dei più piccoli; li fanno crescere tarpando loro le ali e inoculando nelle loro viscere una sorta di vergogna o – addirittura – di senso di colpa frustrante e castrante. Nel caso in questione Bastiano ha sollevato un dubbio costruttivo, ma l’insegnante ha trovato “sconveniente”  il bisogno del suo piccolo allievo di voler avvicinare la figura di Gesù a noi, comuni mortali, riconoscendo in essa la parte umana, non priva di esigenze corporali.
Ma torniamo ad Atreiu.
Si sveglia e trova accanto a sé Fùcur, che però dorme ancora. Le loro ferite sono state fasciate con filamenti di erbe e di piante curative. Si alza e si dirige cauto verso l’apertura della grotta  situata a pochi passi da lui. All’interno trova quello che ha tutta l’aria di essere il laboratorio di un alchimista, in miniatura. Vicino al camino, un omino piccino piccino, con la faccetta grinzosa, intento a leggere un grosso libro: l’omino è il marito della figurina che ha curato le ferite di Atreiu e Fùcur. Entrambi sono gnomi, piuttosto inconsueti – certo – ma comunque gnomi. I loro nomi sono Urgula (lei) ed Enghivuc (lui). Stanno litigando tra di loro perché entrambi desiderano prendersi cura del ragazzo, ognuno a proprio modo: lei desidera curare il corpo di Atreiu, lui la mente. In realtà è una “lotta” ad armi pari, in quanto corpo e mente vanno sempre curate insieme, se si vuole ottenere una completa guarigione.
Enghivuc studia da moltissimi anni il “funzionamento” dell’Oracolo Meridionale che si trova non molto distante dalla grotta. Ha montato un cannocchiale che punta proprio sull’Oracolo e, mantenendosi  sempre a debita distanza, osserva cosa accade a coloro che tentano di oltrepassare la sua soglia. Nonostante tutti gli sforzi fatti, lo gnomo non è – però – riuscito a comprenderne il meccanismo.
L’omino accompagna Atreiu al cannocchiale:
“Il cannocchiale era puntato  sulla grande porta di pietra e precisamente in modo da inquadrare alla perfezione la parte inferiore del pilastro di destra. E fu allora che Atreiu vide che accanto a quel pilastro c’era una Sfinge possente, seduta ritta e immobile nel chiaro di luna. Le zampe anteriori su cui poggiava erano artigli di leone, la parte posteriore del corpo era invece quella di un toro, sulla schiena portava enormi ali d’aquila e il volto invece aveva le sembianze di un essere umano, ma solo per i lineamenti, perché in quanto all’espressione, quella no, non era davvero umana. Era molto difficile distinguere se quel volto sorridesse o riflettesse un’immensa, incommensurabile tristezza, oppure, ancora, la più perfetta indifferenza. Dopo che Atreiu l’ebbe osservata per un bel po’, finì per vederla colma di un’infinita crudeltà e malvagità, ma subito dopo dovette correggere la sua impressione, e alla fine non ci trovò che pura allegria”.
Ma le due Guardiane che Atreiu ha visto col cannocchiale di Enghivuc non sono semplici statue, bensì “autentiche Sfingi viventi”…
Gli GNOMI: [gnòmo s. m. [dal lat. uman. gnomus, nome coniato dal medico e filosofo svizz. Paracelso (1493-1541), che lo trasse forse dal gr. γνώμη «giudizio, intelligenza»]. –  Essere favoloso che la mitologia e le tradizioni dei popoli antichi e moderni rappresentano piccolo e con aspetto di vecchio barbuto, abitante di boschi e grotte, custode di tesori nascosti, generalmente al servizio di un re].[1]

Tutto torna. Lo gnomo di Paracelso rappresenta il giudizio, l’intelligenza, e quelli di Ende sono di sicuro molto intelligenti: Urgula sa adoperare perfettamente le erbe per curare e guarire; Enghivuc – dal canto suo – è un alchimista [l’alchimia ci tornerà utile nel prossimo capitolo…], un grande studioso di misteri. Abitano in una grotta e il tesoro che nascondono e custodiscono con tanta cura non è di certo rappresentato da oro o da pietre preziose, bensì da una straordinaria forma di sapienza. Rappresentano l’importanza della salute e dell’equilibrio di corpo e mente. La loro può essere considerata saggezza antica.
Seppur indirettamente sono entrambi al servizio dell’Infanta Imperatrice perché con le loro conoscenze sono in grado di aiutare Atreiu che – a sua volta – potrà proseguire il cammino per salvare Fantàsia.





        CAPITOLO 6: “LE TRE PORTE MAGICHE”


Mentre Fùcur dorme ancora profondamente, Atreiu si rifocilla con le pietanze preparate da Urgula, dopodiché intrattiene una proficua conversazione con Enghivuc a proposito dell’Oracolo Meridionale. Atreiu pone allo gnomo interrogativi molto diretti e precisi:
A: “Quel grande portale con le Sfingi che mi hai mostrato, è quello l’ingresso?”
E: “Il portale è l’ingresso, ma dopo di esso ne vengono altri due, e solo oltre la terza porta abita Uyulala, se mai di lei si possa dire che abiti…”
A: “E che  cosa hanno di speciale queste tre porte?”
E: “Dunque, la prima si chiama Porta del Grande Enigma. La seconda, Porta dello Specchio Magico. E la terza è la Porta senza Chiave…”
A: “Per quel che posso vedere dietro la prima porta non si vede altro che una pianura deserta. Dove sono le altre porte?”
E: “Le cose stanno così: la seconda porta c’è solo quando hai varcato la prima. E la terza, quando hai oltrepassato la seconda. E Uyulala c’è soltanto quando si è arrivati oltre la terza. Prima non esiste nulla di tutto questo. Non c’è, semplicemente non esiste, capito?”
Enghivuc cerca, a questo punto, di fornire più dettagli ad Atreiu circa la prima porta, ovvero la Porta del Grande Enigma:
-         E’ sempre aperta.
-         Nessuno può varcarla a meno che le Sfingi non chiudano gli occhi.
-         Molti, avventurandosi tra gli sguardi delle due Sfingi, rimangono come pietrificati fino a che non saranno riusciti a risolvere tutti gli enigmi del mondo. Va da sé che un numero estremamente ristretto di individui riesce a oltrepassare la soglia presidiata dalle due creature.
Le Sfingi sono, in un certo senso, cieche: non vedono il mondo così come lo vediamo noi che, con il nostro sguardo, vediamo sempre qualcosa; esse non vedono nulla, eppure i loro occhi sono in grado di emanare qualcosa, ovvero tutti gli enigmi del mondo. E’ proprio per questo motivo che le due Sfingi si guardano in faccia: “perché solo una Sfinge può sostenere lo sguardo di una Sfinge”. Il problema è che nessuno sa con quale criterio le due Guardiane scelgano coloro che possono passare e coloro che devono restare “pietrificati”. Essere intelligenti non è una garanzia di poter passare così come essere stupidi non è una condizione che preveda necessariamente l’essere “immobilizzati”. Non conta neppure che Atreiu abbia al collo AURYN: in primo luogo perché – come abbiamo detto – le Sfingi non vedono e in secondo luogo perché nessuno sa se esse obbediscano alla figura dell’Infanta Imperatrice o non siano – piuttosto – più grandi di lei.
A: “E allora, che cosa mi consigli di fare?”
E: “Dovrai fare quello che fanno tutti. Aspettare che decidano loro, senza sapere il perché”.
Intanto, nel mondo di Bastiano, sono le tre. Il ragazzino comincia a pensare a suo padre e, per liberarsi dall’inquietudine che lo sta cogliendo, inizia a gettare lo sguardo in giro per la soffitta. Si accorge, così, dell’enorme quantità di cose che gli stanno attorno; la maggior parte non ha nulla a che vedere con l’ambito scolastico… C’è un vecchio grammofono, vecchi quadri con elaborate cornici, un candeliere a sette bracci tutto arrugginito (con relativi mozziconi di candele)  e, infine, uno specchio, quasi cieco, che riflette solo vagamente la sua immagine. Alla vista del proprio riflesso Bastiano si spaventa: osservandosi attentamente si vede – infatti - brutto e grassoccio.
Oltre il numero sette (a cui ho già accennato alcune pagine sopra) ricompare la soffitta. Un rifugio della mente in cui stipiamo sogni mai realizzati, talenti straordinari, ricordi dolorosi e pensieri spaventosi, pensando che siano cianfrusaglie inutili o – addirittura – dannose per la nostra crescita. Bastiano trova in soffitta molte cose, ma la cosa più importante è lo specchio: esso riflette l’immagine che il ragazzino ha di sé, l’aspetto esteriore.
Torniamo ad Atreiu.
Enghivuc comincia a parlare della seconda porta, ossia la Porta dello Specchio Magico:
-         Nessuno sa di quale materiale sia fatta. Si sa solo che non è né di vetro né di metallo.
-         Quando ci si sta davanti non ci si vede riflessi come in un comune specchio: quello che si vede è il proprio “IO” interiore, come è in realtà.
-         Chi vuole oltrepassare questa soglia deve entrare, quindi, in se stesso.
-         Ogni singola persona vede qualcosa di diverso.
Le conclusioni che si possono trarre da queste informazioni sono chiare e, allo stesso tempo, spaventose: nessuno di noi conosce realmente la propria natura, perciò vedere il proprio vero “IO” può rappresentare una scoperta piacevole o – al contrario – una rivelazione terrificante! Sicuramente, guardare in questo specchio costa uno sforzo immane e ci si può spaventare a tal punto che non si è in grado di proseguire il percorso per arrivare alla terza porta. Coloro che, invece,  riescono a superare questo sforzo, si trovano di fronte alla Porta Senza Chiave, la quale:
-         E’ chiusa e non c’è maniglia, né pomello, né serratura. Niente.
-         E’ probabilmente forgiata in un materiale che si chiama selenio fantàsico, sostanza assolutamente indistruttibile, ma in grado di reagire alla nostra volontà.
-         La nostra volontà è il fattore che rende questa porta tanto rigida: tanto più uno vuole oltrepassarla, tanto più essa si chiude. “Ma se uno riesce a dimenticare ogni intenzione di passare e a non volere più nulla, allora la porta gli si apre davanti da sola, per incanto”.
Questo terzo ostacolo è sicuramente il più difficile da superare, proprio perché dipende dalla nostra volontà o – come in questo caso – dalla volontà di Atreiu.
Interessante il parallelismo tra lo specchio di Bastiano e quello di Atreiu: il primo riflette il corpo fisico, quello materiale, mentre il secondo riflette l’”IO”, il corpo spirituale. Ben consapevole del fatto che “corpo spirituale” è un accostamento da ossimoro, è la miglior definizione che – al momento – mi sento di fornire.
Tanti hanno parlato di specchi: in ambito filosofico, Carl Gustav Jung ha dato grande importanza a questi che sono tutto fuorché semplici oggetti.
“Tutto ciò che non vogliamo sapere di noi stessi, finisce sempre per giungerci dall’esterno e assumere la forma di Destino”.[2]
Questa frase tanto criptica può essere più semplicemente interpretata così:
il nostro “IO” interiore (chi siamo veramente) è molto più grande di quanto possiamo immaginare o vogliamo ammettere; così, quando non riusciamo a vederlo – perché non possiamo o, peggio, non vogliamo – una strada si presenta ai nostri occhi. Questa strada è ciò che chiamiamo Destino. Per trovare o – quantomeno – intraprendere una ricerca del nostro vero “IO”, basta imboccarla e seguirla.
Per chi ama pensare che ognuno di noi sia l’artefice del proprio Destino e che nulla sia scritto, ma tutto sia in continua evoluzione, in costante divenire (concetto – questo – che permea tutto il libro de “La Storia Infinita”) la cosa migliore da fare è pensare che possiamo creare la nostra strada lastricandola di desideri. I desideri – naturalmente – dovranno andare di pari passo con la volontà perché non rimangano solo desideri, ma si realizzino concretamente. [Abbiate pazienza e vedrete che arriveremo ad approfondire anche questo concetto, troppo importante per essere abbandonato così].
Per tornare agli specchi: gli Esseni ne hanno identificati addirittura sette tipi, equivalenti ad altrettanti modelli di comportamento che sperimentiamo nel corso della nostra vita. Per intenderci: ciò che siamo viene rispecchiato nel tipo di azioni che svolgiamo, nel tipo di scelte che compiamo, dalle persone di cui ci circondiamo, dalle parole che pronunciamo e così via.
Lo specchio – in questo libro – è quindi visto non solo come uno strumento in grado di riflettere, ma anche come un modo per proiettare al di fuori ciò che c’è dentro. Se proviamo a metterci in quest’ottica, ci accorgiamo subito del fatto che anche coloro che ci circondano possono diventare uno specchio per noi e noi per loro. Guardando gli altri, non vediamo che noi stessi o parti di noi sotto la forma di pregi o difetti.
Ancora più interessanti sono – poi – le figure delle due Sfingi: le Guardiane descritte in questo libro sono tratte dalla mitologia greca, secondo la quale queste creature possedevano testa e petto di donna, ali d’uccello, corpo e piedi di leone. Anche la posizione è quella tipica della famosa Sfinge greca perché entrambe stanno sedute sulle zampe posteriori, hanno il busto eretto e – come risulta ben visibile nella pellicola cinematografica[3] - le mammelle sporgenti.
 Molti ricordano questa creatura per una sua peculiarità: la Sfinge era, infatti, solita porre complicati ENIGMI[4] agli uomini che incrociavano  la sua strada. Coloro che non sapevano rispondere venivano divorati.
Sono creature crudeli, le due Guardiane della prima soglia; sembra che non agiscano secondo un criterio logico o – meglio – secondo un criterio che comuni esseri umani siano in grado di comprendere. Sono – seppur in un modo terrificante – custodi della Sapienza e dell’Intelligenza (ovvero della capacità di sfruttare la Sapienza) e il solo modo per oltrepassarle sembrerebbe essere quello di possedere dentro di sé queste virtù, ma tra poco scopriremo che non è sufficiente: bisogna, infatti, mettersi anche nell’ottica dell’accettazione. E’ necessario, cioè, accettare a priori tutte le possibili conseguenze del tentativo di passaggio.
Non guardano verso l’infinito (come, invece, fa la Sfinge egizia), ma una guarda l’altra, quasi a chiudere un cerchio composto da finito e infinito. D’altronde è già stato detto che “solo una Sfinge può sostenere lo sguardo di una Sfinge”…
Ormai la Grande Ricerca ha avuto inizio e Atreiu non può far altro che accingersi ad affrontare la Prima Porta.
“Durante la sua Grande Ricerca Atreiu aveva ormai fatto parecchie esperienze, aveva visto cose meravigliose e orribili, ma fino a quel momento non sapeva che entrambe queste cose, la bellezza suprema e l’orrore, potessero raccogliersi in una cosa sola e cioè che la bellezza potesse essere orribile”.
Ancora una volta troviamo l’unione degli opposti, solo che in  questo caso sono due opposti molto particolari: bellezza e orrore.
Che la bellezza possa far paura è una idea molto sottovalutata dai più, ma – a pensarci bene – quando ci sorprendiamo ad osservare qualcosa di straordinariamente bello, proviamo un senso di smarrimento e di sgomento che ci atterrisce e ci fa distogliere lo sguardo. La paura che Atreiu prova nell’osservare lo sguardo delle Sfingi va al di là della sua persona: è la paura dell’ignoto, dell’incomprensibile, della grandezza oltre ogni misura, sconfinata, e della potenza soverchiante. Accettando che accada ciò che deve accadere, Atreiu sente – però – svanire questa paura e ha la sensazione che  – una volta affrontata e superata – mai più la proverà.
Con questi pensieri e queste sensazioni, si lascia alle spalle la prima porta e giunge di fronte alla seconda, ma ciò che vede lo lascia perplesso: nello specchio magico è riflesso Bastiano!
E’ inutile che vi racconti la sorpresa di Bastiano nell’apprendere di far parte di un libro. La scoperta che le vicende narrate all’interno del volume non si piegano al concetto di tempo, come noi lo conosciamo, suscita incredulità in Bastiano, ma – in cuor suo – il ragazzino comincia a nutrire la speranza di poter far parte di qualcosa di meraviglioso.
Atreiu – dal canto suo – sfoggia solo un sorriso di sorpresa mentre entra nell’immagine dello specchio, “ma non ha alcuna intuizione di ciò che in realtà  gli sta accadendo”.
Quando passa dall’altra parte della seconda porta, perde del tutto ogni ricordo di sé, della sua vita passata, della sua meta e delle sue intenzioni. “Non sapeva più nulla della Grande Ricerca che lo aveva condotto fin lì e non conosceva più neppure il suo stesso nome. Era come un bambino appena nato”.
Per semplificare questo concetto oserei dire che per trovarsi bisogna perdersi.
Non avendo più alcuna memoria,  Atreiu è come una tabula rasa, una tela bianca,  e prova una sensazione di leggerezza, di contentezza e di gioia pura e semplice. Ed è con queste sensazioni che giunge di fronte alla terza ed ultima porta il cui battente è chiuso, ma non presenta alcuna maniglia o pomello, così come gli aveva spiegato Enghivuc. Sembra fatta di un materiale luccicante di un bel color rosso rubino, sia davanti sia dietro.
Il colore è importantissimo perché si aggancia fortemente alla terza ed ultima  fase alchemica della Grande Opera (che ricorda tanto la Grande Ricerca), ovvero di quella serie  di trasmutazioni chimiche che culminano con la realizzazione della Pietra Filosofale. La fase in questione è detta Rubedo (termine latino traducibile con “rossore”) e si manifesta in seguito alle prime due fasi alchemiche dette Nigredo e Albedo. Queste tre fasi indicano, rispettivamente, i colori NERO, BIANCO e ROSSO. La prima porta che Atreiu deve attraversare può essere – dunque – associata alla fase di Nigredo; la seconda, alla fase di Albedo (tabula rasa, tela bianca); e la terza – come ho detto – alla Rubedo. La Rubedo è particolarmente importante perché rappresenta il ricongiungimento degli opposti, la chiusura del cerchio. Vi ricorda qualcosa? Alcuni autori medievali sostituivano all’Albedo (detta anche “Opera al Bianco), la VIRIDITAS[5] (o fase dell’”Opera al Verde”). Tanto è vero che persino Jung vedeva in questa fase una rappresentazione del nostro “Sé” (o Anima), avente la funzione di liberare l’”IO” rinchiuso nella Nigredo (o “Opera al Nero) e di armonizzarlo con il resto del mondo (Rubedo o “Opera al Rosso"). Non a caso, Santa Ildegarda di Bingen[6] associava la Viriditas alla forza vitale che permea tutte le creature. L’etimologia della parola, infatti, riporta sia al termine latino Vis, Roboris (forza), sia al colore verde, ovvero il colore della natura. Ma il verde – ricordiamolo – è anche il colore del quarto Chakra, quello del cuore. E’ il punto energetico centrale, quindi anche sinonimo di equilibrio fisico e spirituale.
Dopo aver osservato con attenzione la Porta senza Chiave, Atreiu l’accarezza e la scopre calda, quasi vivente. Al suo tocco si apre una fessura e, guardandoci dentro, Atreiu riesce a oltrepassarla.
Intanto, nel mondo di Bastiano, sono già le quattro…



[1] Definizione tratta da: http://www.treccani.it/vocabolario/gnomo/
[2] Citazione tratta dal sito: www.alkemica.net
[3] La storia infinita (Die unendliche Geschichte) è un film del 1984 diretto da Wolfgang Petersen.
Ispirato al romanzo omonimo di Michael Ende, è interpretato da Noah Hathaway, Barret Oliver e Tami Stronach  nella sua prima apparizione cinematografica. Il suo budget di 25 milioni di dollari ne fece il più costoso film di produzione tedesca.
Il film ha avuto due seguiti, La storia infinita 2 (1990) e La storia infinita 3  (1994).
https://it.wikipedia.org/wiki/La_storia_infinita_(film)

[4] Enigma. L’enigma per cui la Sfinge viene ricordata, recitava così: “Qual è l’animale che ha quattro zampe al mattino, due al pomeriggio e tre alla sera?”  La risposta – naturalmente – è:  L’UOMO.
[5]  Informazioni reperite sul sito www.viriditas.it (Associazione Ildegardiana).
[6] ILDEGARDA di BINGEN: in tedesco Hildegard von Bingen; Bermesheim vor der Hӧhe, 1098 – Bingen am Rhein, 17 settembre 1179. E’ stata una religiosa e naturalista tedesca.
Nella sua vita fu, inoltre, scrittrice, drammaturga, poetessa, musicista  e compositrice, filosofa, linguista, cosmologa, guaritrice, naturalista, consigliera politica e profetessa.
Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Ildegarda_di_Bingen#Biografia




CAPITOLO 7: “La Voce del Silenzio”

Atreiu ha oltrepassato la terza ed ultima porta. Non ha più alcun tipo di ricordo, ma è felice, colmo di stupore e privo di qualsiasi pena. Mentre cammina ode una voce bellissima, pura e sottile, ma infinitamente triste. Pian piano inizia a percepirne le parole: è un canto in rima. Alla domanda di Areiu -  “Chi sei?” – la voce risponde come un’ eco e rimanda il ragazzo la sua stessa domanda. Naturalmente Atreiu non sa rispondere, avendo perso la memoria, così afferma:
 “Non lo saprei dire. Ho l’impressione di averlo saputo, un tempo lontano; chissà quando. Ma è davvero importante?”
A queste parole, “la voce cantante” chiede ad Atreiu di esprimersi in rime e strofe se ha intenzione di ottenere udienza, pertanto – seppur con grande sforzo – egli inizia a porre una serie di domande. Dalla conversazione tra i due emerge che la “voce cantante”, il “silenzioso suono” , è Uyulala.
Uyulala è impossibile da vedere: non ha un corpo fisico, perciò è la sua voce a farle da confine. Fornisce le risposte soltanto a chi sa chiedere, ma svela ad Atreiu di avere, ormai, poco da “vivere” perché il Nulla sta inghiottendo Fantàsia e presto inghiottirà anche lei. Anche Uyulala sostiene che l’Infanta Imperatrice abbia bisogno di un nuovo nome, perché possa essere salvata. Prega il ragazzo di serbare ogni parola della loro conversazione, perché – anche se ora non è in grado di comprenderne il significato – sarà di vitale importanza. Avvalendosi di una meravigliosa poesia in rime, Uyulala confida ad Atreiu che il solo in grado di fornire il nome alla Sovrana è un terrestre. Dai versi in questione emerge a chiare lettere l’esistenza distinta di due “mondi”: quello di Fantàsia e quello al di fuori di Fantàsia. Questi due mondi sono – ovviamente – quello della realtà e quello della fantasia. Gli abitanti del primo sono chiamati – non a caso – “Figli d’Adamo” e “Figlie d’Eva” (“veri fratelli al solo Verbo vero”), mentre gli abitanti del secondo sono i personaggi scaturiti dalla mente e dalla “facoltà creatrice” degli umani. Un tempo gli umani (i terrestri) sconfinavano spesso nel Regno della fantasia (Fantàsia) fornendo – ogni volta – nomi nuovi all’Imperatrice e garantendole l’esistenza, ma quel tempo sta volgendo al termine. Gli uomini non si avvalgono più di quella magnifica capacità che è l’immaginazione; non sognano più, hanno smesso di creare mondi e realtà con la loro fantasia.
L’invito, anzi l’APPELLO, di Ende è palese: è necessario che l’uomo torni a praticare Fantàsia!
Udite le parole di Uyulala, Atreiu cerca di comprenderne il significato e, così facendo, si assopisce. Come accade in ogni rito di iniziazione che si rispetti. Quando si ridesta si accorge di ricordare non solo tutto il passato, tutto ciò che gli è accaduto, ma anche lo scopo della sua Grande Ricerca. Ora sa cosa deve fare per salvare Fantàsia: trovare un terrestre e portarlo all’Imperatrice affinché le dia un nuovo nome.
Come abbiamo già detto, infatti, il potere che le parole hanno è enorme: esse sono in grado di far esistere le cose, pertanto  un nome nuovo darà alla Sovrana e al suo Regno nuova vita. Inoltre sarà una buona occasione per riavvicinare i confini dei due Mondi e spronare gli uomini ad usare il loro grande potere creativo. Se è vero che in ogni essere umano c’è una scintilla divina, la creatività è di sicuro la massima espressione di questa scintilla.
Bastiano vorrebbe poter intervenire: inventare un nome bellissimo, raggiungere Atreiu e aiutarlo a compiere la sua missione.
Intanto Atreiu cerca una via per tornare indietro e, nel farlo, si accorge che le Sfingi sono svanite… In compenso ritrova Fùcur, che lo aggiorna: Atreiu scopre, così, di essere stato via ben sette giorni e sette notti!
“Laggiù tempo e spazio devono essere diversi dai nostri”.
 Fùcur riporta Atreiu dagli gnomi, ansiosi di potersi occupare nuovamente di lui.
Enghivuc conferma i sospetti di Atreiu e di ogni lettore: il Nulla ha cancellato la Porta del Grande Enigma e – con essa – anche le altre due porte. Al loro posto ci sono soltanto rovine e muschio, come se le Sfingi non fossero mai esistite! Atreiu, dal canto suo, racconta allo gnomo tutto ciò che gli è successo durante i sette giorni e le sette notti appena trascorsi. Enghivuc è disperato: ora che ha finalmente avuto accesso all’ultimo tassello della sua ricerca, la ricerca stessa non ha più alcun valore; tutto è perduto e il Nulla continua ad avanzare costringendolo alla fuga insieme alla moglie Urgula.
Nel mondo di Bastiano, invece, sono ormai passate le cinque e il mondo dietro i vetri della soffitta appare buio. Bastiano ha fame, ma si impone di resistere perché sta crescendo sempre più forte dentro di lui il desiderio di contribuire attivamente a risollevare le sorti di Fantàsia.




CAPITOLO 8: “Il Paese della Mala Genìa”

Atreiu parte immediatamente alla ricerca del terrestre che darà il nome all’Imperatrice. In groppa al Drago della Fortuna viaggia per giorni e notti. Dorme poco e male e lo stato di veglia si confonde sempre più con il sogno, per cui nulla ha ormai contorni precisi. Fantàsia sembra quasi non avere confini e non è facile percepire gli orizzonti più lontani. Sotto di loro scorrono paesaggi di ogni tipo e spesso si imbattono nei luoghi in cui il Nulla è passato; guardando verso quei luoghi hanno l’impressione di essere diventati ciechi. Il Nulla è orripilante, “Ma è un fatto provato, per quanto molto strano, che anche la cosa più orribile perde parte del suo orrore quando si ripete continuamente”.

L’indifferenza è uno dei peggiori mali del nostro secolo. L’indifferenza nasce dall’abitudine e – per quanto sembri strano e atroce – l’uomo è in grado di abituarsi a tutto. Perfino all’orrore. Scene di violenza in televisione, macabre visioni, morte e distruzione ci sconvolgono fino a un certo punto, ma poi subentra qualcos’altro. C’è quasi la ricerca morbosa del dettaglio raccapricciante in ogni sordida vicenda…

Fùcur comincia a manifestare i primi dubbi. Ritiene che sarebbe meglio tornassero alla Torre d’Avorio per riferire le informazioni raccolte all’Infanta Imperatrice: forse lei conosce un modo più rapido ed efficace per chiamare a sé un umano capace di darle un nuovo nome. Atreiu, naturalmente, non è dello stesso avviso. Alla fine, di comune accordo, decidono di proseguire ancora per un’ora. Così fanno, ma quell’ora risulta essere un’ora di troppo. I due viaggiatori arrivano a trovarsi proprio nel bel mezzo di un accalorato litigio tra i quattro Giganti del Vento. Pur ravvisando l’enorme pericolo, Atreiu decide di discorrere coi quattro, con la speranza di avere da ro indicazioni sulla posizione dei confini di Fantàsia. E’ bene ricordare che dal momento in cui ha oltrepassato la Porta delle Sfingi Atreiu ha abbandonato tutte le sue paure. Alla vista di AURYN e all’appello di Atreiu i quattro Giganti tacciono di colpo e si trovano costretti a rispondere alla domanda del ragazzo su dove siano ubicati i confini del Regno di Fantàsia, ma tutti e quattro i Venti rispondono che Fantàsia NON HA CONFINI!

Atreiu è stupito: al fatto che Fantàsia potesse non avere confini, proprio non aveva pensato! E mentre pensa che tutta la fatica fatta è stata inutile, i Venti riprendono a litigare e scaraventano lui e il drago di qua e di là, tanto che Atreiu viene sbalzato via dalla schiena di Fùcur e precipita nel vuoto.

Eppure è così: Fantàsia – ovvero la fantasia – non ha confini, ma è ugualmente possibile raggiungerla o – al contrario – uscirne. Perché? Perché Fantàsia è situata nella nostra mente e la nostra mente non ha confini se non quelli che ci siamo imposti o – peggio – auto-imposti. Non ce ne accorgiamo, ma ci auto-limitiamo ogni giorno alimentando costantemente la convinzione che possiamo usare soltanto il 10% delle nostre facoltà mentali…

Quando riprende conoscenza, Atreiu si trova su una spiaggia completamente deserta. Come se ciò non bastasse, ha perso sia il drago sia lo Splendore.

Da Bastiano sono le sei. Avvertendo strani scricchiolii, viene colto da una crescente paura che, però, cerca di allontanare:

“I fantasmi non esistono. Lo dicono tutti che non esistono”.

 Ma allora perché c’erano tante storie che parlavano proprio di fantasmi?

Forse tutti quelli che dicevano che i fantasmi non esistevano, avevano soltanto paura di ammetterlo.

Già. Spesso lo facciamo; lo abbiamo fatto quasi tutti, se non tutti: negare l’esistenza di qualcosa soltanto perché ne avevamo paura. Questo accade perché ammettere che qualcosa esista, fa in modo che quel qualcosa esista davvero. Nella nostra mente, almeno. Lo stesso vale per l’azione contraria: negare che qualcosa esista, impedisce – almeno nella nostra mente – che quel qualcosa si manifesti. Molte convinzioni sono frutto di un antico retaggio, di cose sentite dire da altri che le hanno – a loro volta – sentite dire da altri e così via. Perché limitarsi a scegliere se credere o non credere invece di verificare personalmente attuando quella cosa bellissima che si chiama RICERCA? Ognuno ha il PROPRIO mondo, ma ritiene che quello sia IL  mondo. Beh, anche questa è una credenza limitante! Tale assunto mi porta a pensare che ognuno veda una realtà diversa e abbia una propria concezione delle cose. Se così è, non può esistere nulla di assoluto, nemmeno realtà o – men che meno – verità assolute, ma soltanto relative!

Atreiu inizia a camminare senza meta finché non sente in lontananza un rumore sordo, molto strano. Il rumore pian piano si avvicina e Atreiu si nasconde per osservare ciò che sta accadendo senza correre il rischio di essere visto. Il rumore proviene da una specie di processione di creature che si comportano come in preda alla follia. La maggior parte di queste creature è composta da Incubini, Geliuri, Fantasmi, Vampiri e Streghe: è il Paese delle creature delle Tenebre. Atreiu lascia passare la processione, dopodiché esce allo scoperto e inizia a meditare se seguirla o meno. Non sa cosa fare e sente forte la mancanza dell’amuleto. Oltre all’incertezza si acuisce anche lo sconforto per aver appreso che a Fantàsia non ci sono confini.

“Se non esisteva la possibilità di uscire dal Regno di Fantàsia, era anche impossibile chiamare in aiuto un figlio dell’uomo, che stava oltre questi confini inesistenti. Proprio perché Fantàsia era senza fine, la sua fine era segnata”.

Fantàsia è vicina al mondo degli umani, ma il problema è che gli uomini hanno dimenticato  la strada che porta a Fantàsia!

Bastiano, però, ha “sentito” l’antico richiamo, grazie al libro nelle sue mani, e vorrebbe andare da nel mondo di Atreiu, ma nemmeno lui conosce la strada.
Atreiu si accorge finalmente di cosa ha  attratto il corteo composto dalle creature delle Tenebre: a pochissima distanza da lui c’è il Nulla ed esse lo stanno fissando, orrendamente affascinate.
“Atreiu vide che le figure dei fantasmi disseminate davanti a lui sullo spiazzo cominciavano a sussultare, le loro membra si torcevano come colte da un crampo. Le bocche erano spalancate, come volessero ridere o gridare, e invece regnava il più mortale silenzio. E poi, come foglie secche sollevate da un colpo di vento, tutte quelle figure si gettarono contemporaneamente incontro al Nulla e vi precipitarono dentro”.
Anche Atreiu si sente irresistibilmente attratto dalla forza annientatrice del Nulla e deve fare appello a tutta la sua volontà per sottrarsi all’impulso di gettarvisi all’interno. Si volta a fatica e inizia ad allontanarsi lentamente da quella visione. Man mano che se ne discosta i suoi passi diventano sempre più veloci, fino a che il lento trascinarsi si trasforma in una corsa forsennata alla ricerca di un rifugio. Rifugio che Atreiu trova dietro la porta del muro di una città…
Molti – oggigiorno – si gettano tra le attraenti e confortevoli braccia del Nulla; molti si fanno assorbire dalla disperazione fino a venirne completamente inghiottiti. Il Nulla è la routine, la mancanza di aspirazioni, di desideri, di speranza. Il Nulla è l’accettazione di tutto: delle cose belle come delle brutte. Il Nulla è molte cose, ma c’è un modo per sottrarvisi e quel modo è rappresentato dalla Forza di Volontà. La Volontà è più potente del Nulla, se sappiamo darle ascolto.




CAPITOLO 9: “La città dei fantasmi”
Fùcur sta cercando disperatamente Atreiu. Dall’alto e dal basso. Atreiu, nel frattempo, sta vagando per le strade deserte e silenziose di una città abbandonata. Tutto ciò che ha intorno sembra rispecchiare perfettamente il suo stato d’animo che è quello di chi, ormai, ha perso ogni speranza. Sfinito dalla fame, si riduce a cibarsi di cose che un tempo dovevano essere stati zuppa e pane. Anche Bastiano è “divorato” (passatemi il termine) dalla fame, ma - per contrasto – pensa a una certa signorina Anna, sempre sorridente e spensierata e alle sue impareggiabili torte di mele. Questa donna ha una figlia bellissima, di nome Lucia, a cui Bastiano era solito raccontare ogni sorta di storia, per ore ed ore, prima che la madre la mettesse in collegio.
Nel mondo di Bastiano sono le sette.
Nel suo peregrinare, Atreiu ode un lamento straziante in cui sembrano “raccogliersi tutto l’abbandono, la dannazione senza speranza, la condanna delle creature delle tenebre; era un suono che non finiva mai e che le mura delle case rimandavano come un’eco senza fine e che da ultimo suonò come l’ululato di un immenso branco di giganteschi lupi sperduti”. Il lamento arriva proprio da un Lupo Mannaro[1], legato ad una catena, in un cortile umido e sporco. Il Lupo è sdraiato e scheletrico, mezzo morto di fame, anche lui. Il Lupo Mannaro è Mork e quello che Atreiu ha appena udito è il suo lamento di morte. Il luogo in cui si trovano Mork e Atreiu è la Città dei Fantasmi, nel Paese della Mala Genìa. Atreiu è appena venuto a conoscenza del nome del lupo e ora è il lupo a domandare il nome al ragazzo. Astutamente, Atreiu risponde: “Io sono Nessuno”. A questo punto Mork dice con voce roca: “Se le cose stanno così, Nessuno mi ha udito, Nessuno è venuto a cercarmi e Nessuno parla con me nella mia ultima ora”. Sicuramente vi sarà venuto in mente un altro personaggio, famosissimo, che – interrogato sul proprio nome – ha risposto di chiamarsi Nessuno: ULISSE (o Odisseo, se preferite), intrappolato dal Ciclope Polifemo, nell’Odissea.
Atreiu vorrebbe liberare Mork dalla sua catena, ma non è ciò che desidera anche il lupo, il quale dichiara di voler morire prima che arrivi il Nulla a portarlo via. Per di più, la catena che lo tiene legato, è magica e praticamente impossibile da spezzare. E’ stata la Principessa delle Tenebre – Maya[2] – a mettergliela, per poi gettarsi poco dopo nel Nulla, esattamente come tutti gli altri. Perché? “Non avevano più speranza. E il non aver speranza rende molto più deboli le creature […]. Il Nulla ha una terribile forza d’attrazione e nessuno […] riuscirà ancora per molto a opporgli resistenza”.
E’ estremamente interessante il discorso che il Lupo Mannaro fa ad Atreiu circa i vari mondi che esistono al di fuori di Fantàsia:
“Tu conosci solo il Regno di Fantàsia, […] ma ci sono anche altri mondi. Per esempio quello dei figli dell’uomo. E poi ci sono anche altre creature, che non hanno un loro mondo proprio, al quale appartenere. In compenso possono entrare e uscire impunemente dai diversi mondi degli altri. Io sono di queste. Nel Regno degli Uomini ho l’aspetto di un essere umano, ma non lo sono. E in Fantàsia assumo la figura di una creatura fantàsica, ma non sono uno di voi”.


Anche Atreiu è, in un certo senso, come Mork perché è una creatura di Fantàsia e, come tale, se mettesse piede nel Mondo degli Uomini, sarebbe una “menzogna”. O almeno questo è ciò che spiega Mork al ragazzino. Tutti i personaggi di Fantàsia, dopotutto, sono personaggi di fantasia! E – a sentire Mork – quando un abitante di Fantàsia si getta nel Nulla, diventa per gli uomini come una malattia contagiosa che li rende ciechi e impossibilitati a distinguere l’apparenza dalla realtà. Un abitante di Fantàsia è reale solo nel Regno di Fantàsia, ma una volta che ha attraversato il Nulla diventa irriconoscibile  sia a se stesso sia all’uomo, per il quale diventa mania, idea fissa, immagine d’angoscia o di disperazione; desiderio di cose che poi lo faranno ammalare. Per questa ragione (secondo  il pensiero e la spiegazione di Mork) gli uomini temono e odiano Fantàsia e i suoi abitanti. Ed è essenziale che gli uomini si convincano che Fantàsia non esiste - stando alle parole del lupo – perché solo così si può esercitare il potere su di loro.
“Perché gli uomini, figliolo, vivono di idee. E quelle si possono guidare come si vuole”.
E, saltando nel Nulla, si diventa creature senza volontà irriconoscibili, servi di quello stesso potere che induce gli uomini “a comperare cose di cui non hanno bisogno, o a odiare cose che non conoscono, o a credere cose che li rendono ubbidienti, o a dubitare di cose che li potrebbero salvare. […] nel mondo degli uomini si fanno i più grossi affari, si scatenano guerre, si fondano imperi… […] Là ci sono anche una quantità di poveri sciocchi (che naturalmente si considerano molto intelligenti e credono di servire la verità), zelantissimi nel convincere i bambini a non credere all’esistenza di Fantàsia”.
Il discorso di Mork è terrificante, ma – pensateci bene – è forse così lontano dalla verità? Io non credo…
E così: “Quanto più la distruzione dilagava in Fantàsia, tanto più imponente diventava il flusso delle menzogne nel mondo degli uomini, e proprio in tal modo, a ogni minuto che passava, svaniva sempre più la possibilità che un figlio dell’uomo venisse. Era un diabolico circolo vizioso, dal quale non c’era via d’uscita”.
Ora sia Atreiu sia Bastiano sono a conoscenza di questo terribile segreto, ma Bastiano ha una consapevolezza in più; inizia, infatti, a rendersi conto che la vera menzogna è quando tutti ti ripetono frasi come: “Rassegnati! Così è la vita. Non ci puoi fare nulla”. La vita non è  veramente così grigia e indifferente! E il dolore di aver in qualche modo contribuito alla distruzione di chissà quali figure di Fantàsia comincia a tormentarlo… Perciò vuole a tutti i costi trovare la strada per raggiungere Atreiu e aiutarlo. Intanto, nel suo mondo, sono le otto.
Ora Atreiu sa come arrivare al mondo degli uomini, ma – ovviamente – non lo desidera più: non vuole diventare una bugia! Pertanto, la conversazione tra lui e Mork prosegue. Atreiu chiede al Lupo Mannaro perché non si sia ancora gettato nel Nulla e la risposta è: “Io avevo un compito”. Il compito consisteva nel trovare e uccidere l’eroe inviato dall’Infanta Imperatrice per impedire la distruzione di Fantàsia.  Per un po’ il lupo aveva seguito le tracce di questo fantomatico eroe, ma poi le aveva perdute. Arrivato alla Città dei Fantasmi, aveva incontrato la Principessa delle Tenebre, la quale aveva finto di stare dalla sua parte. Ingenuamente, il lupo le aveva raccontato della propria missione e Maya lo aveva incatenato per impedirgli di portarla a termine. Dopodiché si era gettata nel Nulla.
“Hai dimenticato, Mork, che sono anch’io una creatura di Fantàsia. E se tu combatti contro Fantàsia, combatti anche contro di me. Quindi sei mio nemico, e perciò io ti ho vinto con l’astuzia. Questa catena la potrò sciogliere io soltanto. Ma ora io vado con tutta la mia corte, con i miei servi e le mie ancelle, a gettarmi nel Nulla e non tornerò mai più”.
A questo punto il lupo è perduto, ma anche Atreiu sembra esserlo: il primo ha dato retta per troppo tempo alla Principessa delle Tenebre, mentre il secondo ha dato ascolto per troppo tempo al Lupo Mannaro e il Nulla – ormai – circonda tutta la città come un anello. Il loro destino è quello di morire insieme, ma in modi assai differenti: Mork morirà prima che il Nulla sia arrivato a toccarlo; Atreiu, invece, è destinato a morire inghiottito dal Nulla. E questo fa una grande differenza perché quello che muore prima ha concluso la sua storia, mentre quello che ne viene inghiottito continuerà a vivere come una bugia e la sua storia non avrà mai fine!
Allora, sapendo di avere il destino segnato, Atreiu svela al lupo di essere l’eroe di cui era andato in cerca fino a quel momento. Alla notizia, Mork inizia a ridere e – così facendo – muore. Pensando sia diventato assolutamente innocuo, Atreiu si avvicina al corpo del lupo e lo accarezza, ma anche dopo la morte Mork è pervaso dal Male e le sue zanne si serrano intorno a una gamba del ragazzo. Pur tentando con tutte le sue forze di liberarsi da quella stretta, Atreiu non riesce ad aprirgli la bocca. Sentendo di essere spacciato, si accascia accanto al cadavere del lupo e attende l’arrivo del Nulla.


Mork – ovvero l’ombra che ha seguito Atreiu nel suo lungo e pericoloso viaggio – è un Lupo Mannaro. Niente è a caso in questo libro e neppure la scelta del Lupo Mannaro lo è. Esso è una creatura che può muoversi agevolmente tra i mondi perché è per metà umano e per metà animale. E’ una creatura fantastica, nel senso che scaturisce dalla fantasia degli uomini; è in grado di terrorizzare i suoi stessi creatori perché è essa stessa paura e terrore. Ma Atreiu non ha paura, da quando ha oltrepassato le Tre Porte, tanto che vorrebbe persino liberarlo dalla catena che lo imprigiona. Una catena magica, frutto dell’astuzia di Maya, la Principessa delle Tenebre. Chi è Maya? Maya è molte cose. Abbiamo visto che in origine era associata alla parola “creazione”, quindi al potere creativo, ma in seguito il suo significato è stato rivalutato in “illusione”. Se ci pensate, da “creazione” a “illusione” il passo è breve: un’illusione rappresenta, a suo modo, una creazione della mente… La mente è in grado di creare (e, successivamente, di vivificare) ogni sorta di illusione e - quindi - di “velo”. Che sia un velo per nascondere il nostro vero “IO” (un’illusione, questa, dall’accezione negativa) o un velo per coprire la realtà che ci circonda, mistificandola (anche questo, di sicuro, un utilizzo negativo del potere creativo) o una potenzialità usata per dare sfogo alla fantasia (questa è di sicuro la funzione più bella), Maya resta comunque una creatura ambigua, almeno all’interno del romanzo. Una volta scoperti i piani di Mork (al servizio di non meglio identificati “padroni”), incatena quest’ultimo, ma poi va a gettarsi anch’essa nel Nulla. Ecco che, da potenza creativa, la Principessa delle Tenebre si trasforma in illusione, condannando gli uomini a vivere nella paura e nell’incapacità di discernimento tra ciò che è reale e ciò che non lo è, tra ciò che può giovargli e ciò che può distruggerlo.


[1] Licantropo

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera: https://it.wikipedia.org/wiki/Licantropo

Il lupo mannaro, detto anche uomo lupo o licantropo (anche se è un termine leggermente diverso), è una delle creature mostruose della mitologia e del folclore poi divenute tipiche della letteratura dell'orrore e successivamente del cinema dell'orrore.
Secondo la leggenda, il lupo mannaro sarebbe un essere umano condannato da una maledizione (o secondo alcuni lo sono già dalla nascita) a trasformarsi in una bestia feroce ad ogni plenilunio: la forma di cui si racconta più spesso è quella del lupo, ma in determinate culture prevalgono l'orso, il bue (Erchitu) o il gatto selvatico (si veda in seguito). Nella narrativa e nella cinematografia dell'orrore sono stati aggiunti altri elementi che invece mancavano nella tradizione popolare, quali il fatto che lo si possa uccidere solo con un'arma d'argento, oppure che il licantropo trasmetta la propria condizione ad un altro essere umano dopo averlo morso. Alcuni credevano che uccidendo il lupo prima della prima trasformazione la maledizione venisse infranta.
È importante notare inoltre che lupo mannaro e licantropo non sempre sono sinonimi: infatti nelle leggende popolari il lupo mannaro è talvolta semplicemente un grosso lupo con abitudini antropofaghe, a cui può essere associata o no una natura mostruosa. Inoltre, nel caso del lupo mannaro come mutaforma, si può distinguere tra il lupo mannaro, che si trasforma contro la propria volontà, e il licantropo, che si può trasformare ogni volta che lo desidera e senza perdere la ragione (la componente umana).
Nella letteratura medica e psichiatrica con licantropia è stata descritta una sindrome isterica che avrebbe colpito le persone, facendo sì che assumessero atteggiamenti da lupo durante particolari condizioni (come le notti di luna piena). In modo analogo un licantropo era semplicemente una persona affetta da questo disturbo ed è con questo unico significato che la voce è riportata su alcuni importanti dizionari della lingua italiana.[1][2] In tempi recenti, l'esistenza di tale disturbo è stata considerata rarissima[3] o addirittura messa in discussione dalla psichiatria stessa.

[2] Māyā

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera: https://it.wikipedia.org/wiki/M%C4%81y%C4%81

Arthur Bowen Davies, Maya, lo specchio delle illusioni (1910)
Con il sostantivo femminile sanscrito māyā (in devanāgarī माया) si indicano in quella lingua diverse dottrine filosofiche e religiose originarie dell'India nonché, come nome proprio, la madre di Gautama Buddha o uno dei nomi della dea Lakṣmī.
Il significato originario di māyā è quello di "creazione", ma ha successivamente acquisito il significato di "illusione".

Origine del termine e suoi significati

Māyā possiede come significato originario quello di "creazione" indicando anche il relativo potere straordinario. Tale termine deriva dal verbo[1] sanscrito nell'accezione di "misurare", "distribuire", "foggiare", "ordinare", "costruire".
Nei Veda con il termine māyā si indica il potere da cui ha origine il mondo materiale. Questo potere è proprio dei deva e degli asura che lo utilizzano per trasformare una propria ideazione in una forma concreta, attenta ed efficiente come suggerisce il termine italiano "arte"[2].
Nel Ṛgveda (XV/X secolo a.C.), mediante māyā Varuṇa misura e distribuisce la terra ordinando il mondo fisico.
Il Buddhismo Mahāyāna, propugnatore fin dai primi Prajñāpāramitāsūtra (I secolo a.C./I secolo d.C.) della dottrina dello śūnyatā ovvero della "vacuità" di proprietà inerente dei fenomeni (nulla esiste di per sé in quanto tutto è impermanente e correlato agli altri fenomeni), intende la māyā come illusione del mondo fenomenico ovvero come realtà convenzionale (vyāvahārika) che nasconde la realtà assoluta (pāramārtika).

Il velo di Maya


Arthur Schopenhauer
Con l'espressione Velo di Maya, coniata da Arthur Schopenhauer nel suo Il mondo come volontà e rappresentazione, si intendono diversi concetti metafisici e gnoseologici propri della religione e della cultura induista e ripresi successivamente anche da vari filosofi moderni. Arthur Schopenhauer nella propria filosofia sostiene che la vita è sogno sebbene questo "sognare" sia innato (quindi la nostra unica "realtà") e obbedisca a precise regole, valide per tutti e insite nei nostri schemi conoscitivi.
Questo «velo», di natura metafisica e illusoria, separando gli esseri individuali dalla conoscenza/percezione della realtà (se non sfocata e alterata), impedisce loro di ottenere moksha (cioè la liberazione spirituale) tenendoli così imprigionati nel saṃsāra, ovvero il continuo ciclo delle morti e delle rinascite. Similmente alla metafora della caverna di Platone, l'uomo (e quindi l'intera umanità) è presentato come un individuo i cui occhi sono coperti dalla nascita da un velo; quando se ne libererà, la sua anima si risveglierà dal letargo conoscitivo (o avidyã, ignoranza metafisica) e potrà contemplare finalmente la vera essenza della realtà.
Le numerose ed eterogenee correnti induiste attribuiscono significati e funzioni differenti a questo concetto: le correnti dualistiche (come ad esempio gli Hare Krishna) la interpretano come il «velo» che separa l'essere individuale dal riscoprire la propria relazione con Dio, che essi identificano con Krishna; mentre presso le scuole moniste (come, ad esempio, l'Advaita Vedānta) questo «velo» è rappresentato dall'identificazione con il corpo, con la mente, con l'intelletto e con la propria stessa individualità, il senso dell'io (ahamkara), ovvero tutto ciò che ricopre e riveste l'Ātman (unica entità eterna ed immortale), impedendo di riconoscere la propria identificazione con esso ed illudendo così l'anima individuale di essere un individuo distinto dal tutto



CAPITOLO 10: “Il volo verso la Torre d’Avorio”

Mentre è intento a cercare Atreiu, Fùcur trova AURYN, lo Splendore, impigliato ad un ramo di corallo nelle profondità marine. Nonostante le difficoltà per recuperarlo (perché – ricordiamolo – i Draghi della Fortuna sono creature dell’aria e del fuoco), il Drago color della madreperla riesce a uscire indenne dall’impresa. Con il gioiello al collo, la sua velocità e le sue forze aumentano a dismisura. Il medaglione lo conduce da Atreiu, ancora intrappolato dai denti del Lupo Mannaro. Fortunatamente, ancora intrappolato… Perché? Perché se Mork non lo avesse immobilizzato, Fùcur sarebbe arrivato troppo tardi! Grazie alla fortuna portata dal drago e all’azione di AURYN, Atreiu riesce a sottrarsi alla morsa del lupo, appena in tempo…

Viaggiano insieme, Atreiu e Fùcur, in una notte che sembra interminabile fino a quando scorgono, in lontananza, la Torre d’Avorio. Il tempo e lo spazio sono distorti all’interno di Fantàsia, perché tutto è soggettivo. Concetti come “vicino” e “lontano” diventano relativi  perché dipendenti dallo stato d’animo e dalla volontà di chi sta compiendo il viaggio.

“Poiché Fantàsia non ha confini, il suo centro può essere ovunque, o, per meglio dire, è ugualmente lontano e ugualmente vicino da qualunque punto. Dipende esclusivamente da colui che vuole arrivare a questo centro. E questo centro del centro di Fantàsia è precisamente la Torre d’Avorio”.

E poiché sono arrivati a trovarsi troppo vicini al Nulla, sia Atreiu sia il drago, hanno assunto una colorazione grigiastra che conferisce loro un aspetto irreale.

Fùcur cerca di spiegare al giovane Atreiu come rivolgersi alla Sovrana quando si troverà al suo cospetto. I nomi con cui tutti la chiamano sono: Infanta Imperatrice, Occhi d’Oro e Sovrana dei Desideri. Il drago gli fornisce anche un’approssimativa descrizione fisica dell’Imperatrice:

“Sembra una bambina. Ma è molto, molto più vecchia della più vecchia creatura di Fantàsia. Per essere più precisi, dovrei dire: è senza età”.

Un po’ come il Dio Eros, dunque, anche l’imperatrice di Fantàsia è una bambina, ma è talmente antica da non avere età. Inoltre ricordiamo che è la Sovrana in un mondo (e in una storia) senza inizio e senza fine, prerogativa del cerchio.

Fùcur prosegue dicendo:

“AURYN ha potere su tutte le creature di Fantàsia, sia quelle della luce, sia quelle delle tenebre. […] Eppure l’Infanta Imperatrice non esercita mai il potere. E’ come se lei non ci fosse, eppure è in tutte le cose”. Ma non è una “creatura come noi”. […] Lei non è quello che siamo noi. Lei non è una creatura di Fantàsia. Noi esistiamo tutti in grazia della sua esistenza. Ma lei è di natura diversa”. E non è neppure “qualcosa di simile a un figlio dell’uomo” perché “lei non è quello che sono gli esseri umani. […] Nessuno in tutta Fantàsia” sa CHI sia e “nessuno lo può sapere. Questo è il mistero più impenetrabile del nostro mondo. Una volta ho sentito un saggio affermare che chi lo capisse spegnerebbe con ciò la propria esistenza”.

Fùcur esprime dei concetti fondamentali, parlando con Atreiu: le sue parole rimettono in gioco il Libero Arbitrio di cui tutte le creature sono dotate, ma – soprattutto -  sottintende che l’Imperatrice  non intervenga contro la malvagità perché è necessario che ci sia il male affinché ci sia il bene. Ogni cosa esiste grazie e in funzione del proprio contrario o del proprio opposto. La Sovrana è una bambina perché solo i bambini sono dotati di una grande purezza di spirito, ma non è una creatura DI Fantàsia pur vivendo IN Fantàsia. Nessuno sa CHI sia perché è l’”IO” di ognuno di noi e chi arrivasse a conoscere interamente il proprio “IO”, interromperebbe la Grande Ricerca e “spegnerebbe con ciò la propria esistenza”. La nostra essenza è in continuo mutamento e – pur volendo – sarebbe assai riduttivo, nonché artificioso, relegare l’”IO”  a qualcosa di ben definito o definibile.

Per arrivare all’Imperatrice Atreiu è costretto a inerpicarsi lungo scale con numerosi gradini, e porte (tre, per l’esattezza) sempre più piccole. L’ultimo tratto, quello per arrivare in cima alla Torre, si può percorrere solo tramite un dono, una grazia. Atreiu varca la soglia che conduce all’interno del padiglione e, finalmente, si trova di fronte alla Sovrana. Non riporterò qui la descrizione che Ende ci fornisce dell’Imperatrice: è meravigliosa e vorrei che la leggeste direttamente dal libro…

Accade, a questo punto, una cosa molto strana: Bastiano vede – letteralmente – l’Infanta Imperatrice. Non con la mente, ma con gli occhi! E nello stesso istante apprende persino il suo nome: FIORDILUNA. E Fiordiluna guarda negli occhi Bastiano, il quale – abbagliato da tale visione – ha un solo desiderio: continuare a leggere per poterla rivedere ed essere di nuovo con lei. Ecco perché, dopo un comprensibile momento di smarrimento per la stranezza dell’evento, Bastiano riprende la lettura del libro, non intuendo che – così facendo – si sta abbandonando “irrevocabilmente alla più inconsueta ma anche alla più pericolosa delle avventure”.

Intanto, il campanile batte le dieci.



CAPITOLO 11: “L’infanta Imperatrice”
Nel mondo di Bastiano sono le dieci… La decima è l’ultima Sephira della Qabbalah, quella che porta al Mondo degli esseri umani…
Atreiu è arrivato al cospetto dell’Imperatrice completamente cambiato, ingrigito dalla testa ai piedi, sfinito e angosciato per il fatto di dover comunicare alla Sovrana l’esito infausto della missione. Ma la Sovrana è di tutt’altro avviso: assicura ad Atreiu che il suo aspetto fisico tornerà “com’era e ancor più bello” e si congratula col ragazzino perché ha assolto il compito che gli aveva dato. Atreiu è sgomento finché Lei non lo mette al corrente di aver portato con sé il Salvatore di Fantàsia. Pervaso da un senso di incredulità, Atreiu inizia a guardarsi attorno, sperando di vedere questo fantomatico Salvatore, ma non vede nessuno.
“Oh, sono ancora molte le cose che ti restano invisibili, […] ma mi puoi credere. Egli non è ancora da noi. Ma i nostri mondi sono già così vicini che abbiamo potuto vederci; per la durata di un lampo la sottile parete che ancora ci separa si è fatta trasparente. Presto sarà del tutto con noi e mi chiamerà con il mio nuovo nome, quello che solo lui può darmi. Allora io sarò guarita e Fantàsia con me”.
A queste parole, Atreiu comprende che Lei sapeva già TUTTO e la sua reazione lascia trasparire la collera, ma – ancora una volta – l’Imperatrice gli spiega ogni cosa. Era necessario che partisse alla Grande Ricerca perché solo in questo modo il figlio dell’uomo poteva seguirlo:
“e per questo ti ha seguito, perché si è visto coi tuoi stessi occhi. […] E ora forse comprende che tutte le grandi fatiche che tu, Atreiu, hai dovuto assumerti erano per lui, e che tutta Fantàsia lo chiama”.
L’Imperatrice si dichiara in debito con Atreiu per le sue gesta, ma gli spiega che portare con sé lo Splendore  equivale ad avere con sé l’Imperatrice stessa, quindi il momento più pericoloso da lui vissuto si è verificato quando ha perso AURYN… In quel momento ha incontrato Mork e si è trovato terribilmente vicino al Nulla. Solo e senza aiuti. La Sovrana si fa, quindi, raccontare cosa gli ha detto il lupo e la spiegazione che Lei ne dà – di rimando – ad Atreiu è davvero agghiacciante:
“Sì, è vero. […] Tutte le menzogne erano un tempo creature di Fantàsia. Sono della stessa sostanza[1], però sono diventate irriconoscibili e hanno perduto la loro vera natura. Ma ciò che Mork ti ha detto era solo  una mezza verità, come altro non ci si può aspettare da una creatura che è una mezza creatura. Ci sono due modi per varcare i confini fra Fantàsia e il mondo degli uomini, un modo giusto e uno sbagliato. Quando le creature di Fantàsia vengono trascinate nell’altro mondo in quella terribile maniera, quello è il modo sbagliato. Ma quando è un figlio dell’uomo a  venire da noi, questo è il modo giusto. Tutti i figli dell’uomo che sono venuti fra noi hanno appreso qualcosa  che solo qui potevano apprendere e che li ha fatti tornare nel loro mondo profondamente mutati. Erano diventati dei veggenti, perché ci avevano visto nella nostra vera natura[2]. Per questo potevano ora guardare anche il loro stesso mondo e il loro prossimo con occhi diversi. Là dove prima non vedevano che banali cose quotidiane, scoprivano d’improvviso miracoli e misteri. Per questo venivano volentieri da noi in Fantàsia. E quanto più ricco e fiorente il nostro mondo diventava grazie a loro, tanto meno erano le menzogne nel loro mondo, e tanto più perfetto esso diventava. Così come i due mondi possono distruggersi a vicenda, allo stesso modo possono vicendevolmente risanarsi. […] La disgrazia che è caduta su entrambi i mondi […] ha anch’essa una doppia origine. Adesso ogni cosa è mutata nel suo contrario[3]: ciò che può render veggenti acceca; ciò che può creare il nuovo diventa distruzione. La salvezza si trova nei figli degli uomini. Uno, uno solo deve venire a darmi un nome nuovo. E verrà”.
La soluzione è un nome nuovo perché “solo il nome giusto dà a tutte le creature e a tutte le cose la loro realtà. […] Il nome sbagliato rende tutto irreale. Questo è ciò che fa la menzogna”.
L’Iniziazione è proprio questo: un “viaggio” dentro noi stessi, in cui ritrovare ciò che eravamo, le facoltà che abbiamo perduto (tra cui quella di stupirci di ogni cosa, quella di ricominciare a vedere la bellezza attorno a noi e – in essa – i miracoli della vita e del mondo, quella di meravigliarci  accorgendoci di ciò che ci circonda e così via). Intraprendendo questo viaggio e percorrendo la strada fino alla fine ci scopriremo persone nuove, torneremo ad essere come quando eravamo bambini[4], in cui ogni cosa era possibile perché sapevamo come si fa a sognare, a desiderare e non avevamo barriere di alcun genere o limitazioni di sorta. Crescendo –infatti – subiamo una serie inimmaginabile di condizionamenti: da parte dei nostri genitori, da parte degli insegnanti, da parte della società  e della civiltà in cui siamo inseriti. E se prima avevamo la capacità di “vedere” le cose nella loro essenza, poi – diventando adulti – limitiamo il nostro “campo visivo”, iniziando a ragionare come ci costringono a ragionare, a comprare le cose che ci dicono di comprare, a guardare i programmi televisivi che ci propinano… Arriviamo così, lentamente, a “spegnere” tutti i nostri veri desideri accontentandoci di ciò che c’è già e adattandoci a ciò che ci viene concesso. Pian piano diventiamo noi stessi macchine o ingranaggi di quel meccanismo che ci ha portati ad essere schiavi di un Sistema; e da vittime che eravamo, ci trasformiamo in carnefici. Menzogne a nostra volta, realtà “velate”, bugie.  
Ende, attraverso le parole dell’Imperatrice, ci fornisce anche la soluzione per farci aprire le “gabbie” in cui scontiamo la nostra prigionia: tornare ad integrare i due mondi. Come? Ricominciando a sognare, innanzitutto, e – cosa altrettanto importante – attribuendo alle cose il giusto nome e il corretto significato. Le parole hanno un enorme potere, che – però – può diventare estremamente pericoloso se usato nella maniera scorretta: il potere di far esistere le cose può – infatti – diventare fonte di fraintendimenti e malintesi. Quando con la stessa parola intendiamo più cose, ad esempio, i malintesi sono assicurati; succede spesso con la parola “amore”, molto usata, ma anche molto abusata… Così accade che ciò che potrebbe aiutarci, ci crea soltanto confusione portandoci a quel concetto di contrappasso già presente in Seneca e in Dante (vedi nota 15).
Ma Bastiano non sa come fare ad attraversare quel confine, diventato ormai tanto vicino quanto irraggiungibile. La paura lo blocca. Paura di cosa? Di cosa potrebbe accadere se davvero arrivasse a Fantàsia, di cosa significhi “subire una trasformazione”, di incontrare creature mostruose, di non essere all’altezza… Ci siamo: qui viene il bello! Bastiano è convinto che la Sovrana, Atreiu e tutta Fantàsia si aspettino di veder comparire al loro cospetto un eroe, ma lui non si sente affatto tale! E a tal pensiero l’espressione dell’Infanta Imperatrice muta, diventando in tutto e per tutto simile a quella delle Sfingi. E’ costretta a fare qualcosa che – da sola – è impossibilitata a fare, infatti per farlo deve recarsi dal Vecchio della Montagna Vagante. Atreiu è perplesso:
“Nei nostri accampamenti i vecchi raccontano di lui ai bambini molto piccoli, quando fanno i cattivi o non vogliono ubbidire. Dicono che scriva nel suo libro tutto quello che uno fa o non fa, sì, addirittura quello che uno pensa e prova e che poi tutto quello che lui ha scritto resti lì segnato per sempre, come una storia bella o brutta, a seconda. Quando ero piccino ci credevo anch’io, ma più tardi ho pensato che fosse soltanto una fiaba per i bambini piccoli, per spaventarli e farli star buoni”.
Ma è difficile dire cosa c’è di vero nelle fiabe per bambini piccoli, secondo l’opinione della Sovrana, la quale prosegue affermando che il “Vecchio della Montagna Vagante non lo si può cercare. Si può soltanto trovarlo. […] Se esiste, lo troverò. […] E’ come me […] perché è in ogni cosa il mio contrario”.
Atreiu propone all’Imperatrice di accompagnarla nell’impresa, insieme al Drago della Fortuna, ma lei rifiuta l’offerta spiegando che il Vecchio della Montagna Vagante lo si può trovare soltanto da soli. Inoltre Fùcur non è più dove Atreiu l’ha lasciato, ma in un luogo in cui potrà guarire e riprendersi dalle fatiche affrontate; un luogo in cui, presto, anche Atreiu giungerà, attraverso il sonno. L’Imperatrice, dal canto suo, ha sette Poteri (invisibili ad Atreiu) di cui tre rimarranno proprio con Atreiu e il drago, a proteggerli e gli altri quattro accompagneranno lei nel suo viaggio.
E mentre Atreiu sprofonda in un sonno sereno, l’Imperatrice parte coi suoi quattro invisibili Poteri. La direzione per trovare il Vecchio della Montagna Vagante? Una qualsiasi, purché si vada sempre avanti.
Interessante il parallelismo tra l’Infanta Imperatrice e il Vecchio della Montagna Vagante, infatti se la prima può essere associata a una divinità buona (o alla parte luminosa presente in ognuno di noi), il secondo sembra quasi l’Uomo Nero, una sorta di diavolo, di divinità oscura e malvagia. E’ come l’Imperatrice, perché è in ogni cosa il suo contrario, perciò – nello stesso tempo – è il suo opposto, la parte oscura che c’è in noi.





CAPITOLO 12: “Il Vecchio della Montagna Vagante”
La portantina dell’Infanta Imperatrice si sta inerpicando su per le Montagne del Destino, le quali hanno una caratteristica molto particolare: possono essere conquistate da uno scalatore soltanto quando colui che lo ha preceduto nell’impresa è stato completamente dimenticato. Il paesaggio è interamente coperto di ghiaccio ed è difficile distinguere la Sovrana dei Desideri, nelle sue vesti bianche, coi suoi capelli color della neve e sulla sua portantina di vetro che, quindi, si confonde facilmente col ghiaccio. “L’Infanta Imperatrice non faceva differenza fra ciò che le era facile sopportare e ciò che poteva non esserlo, così come prima, nel suo Regno, aveva lasciato piena libertà all’Oscurità come alla Luce, al Bello come al Brutto. Era pronta e disposta a esporsi a tutto, perché il Vecchio della Montagna Vagante poteva essere ovunque e in nessun luogo”. I quattro  Poteri ne trasportano il corpo, all’apparenza inerte, lungo il sentiero in ripida salita tra le pareti di roccia. Poi, quasi inaspettatamente, le pareti di roccia si aprono, consentendo allo sguardo di spaziare su un’immensa superficie di scintillante candore. La Sovrana e i suoi quattro Poteri si trovano sul punto più alto delle Montagne del Destino, al centro di uno spiazzo in cui si leva in maniera assai singolare, uno stranissimo cono, alto e sottile, somigliante alla Torre d’Avorio, ma di un intenso color azzurro. A metà di questo cono si trova un uovo enorme, dotato di un’apertura, da cui si sporge un volto. A quello sguardo, l’Imperatrice si desta. Deve percorrere l’ultimo tratto a piedi, da sola, ma la scala a pioli sulla quale è costretta a salire è composta da lettere dell’alfabeto che si uniscono a formare delle frasi, in versi e in rima. Frasi che predicono un grande pericolo: IL PRINCIPIO NON DEVE ANDARE IN CERCA DELLA FINE! Ma – in realtà – è il divieto stesso che porta la Sovrana a salire, perché soltanto continuando a salire si può proseguire la lettura del divieto… Bel paradosso, eh?
E’ come se il DIVENIRE (di cui parlava anche Eraclito con la sua teoria in cui “tutto scorre”, meglio nota con la formula greca “panta rei”) incontrasse l’ESSERE: tutto si arresterebbe. Curiosamente, il divenire[5] ha numerosi simboli, tra cui:
-         il TAO (la filosofia taoista ha molti punti di convergenza con quella di Eraclito);
-         la danza di Shiva, la divinità induista della trasformazione;
-         la svastica, che prima di diventare emblema del nazismo era un simbolo del perenne mutamento;
-         il triscele, un simbolo numismatico;
-         IL DRAGO, che nell’alchimia rappresenta la metamorfosi degli elementi.
Ecco, dunque, che molti dei simboli de “La Storia Infinita” svelano i loro significati nascosti; pian piano, facendoci meravigliare ad ogni pagina…
Quando la Sovrana giunge finalmente all’ingresso dell’uovo è ridotta in un pessimo stato: le sue vesti sono lacerate da pioli, spuntoni e spine. “Be, che le lettere dell’alfabeto non le fossero amiche, non era cosa nuova per lei. L’antipatia del resto era reciproca”.
“La sua voce [dell’Infanta Imperatrice] riecheggiò come se avesse parlato in una grande sala deserta. Oppure era una voce più bassa che le aveva risposto con le sue stesse parole?”
In mezzo al buio galleggia un bagliore rossastro emanato da un libro aperto, sospeso a mezz’aria: è lo stesso libro che Bastiano sta leggendo al momento!
“Ma come poteva questo libro comparire come oggetto nella storia che esso stesso narrava?”
Dalle pagine del libro si sprigiona una luce verde-azzurrognola – data dal colore delle lettere – che illumina il volto di un uomo vecchissimo, segnato dalle rughe e incorniciato da una lunga barba bianca. Vestito con una tonaca da monaco, di colore blu, il Vecchio della Montagna tiene in mano uno stilo con cui scrive sul libro. Scrive tutto ciò che accade e accade tutto ciò che scrive. Il libro è tutta Fantàsia e l’Imperatrice e il Vecchio; ed è come un libro contenuto in un libro, come uno specchio che riflette uno specchio… Il Vecchio è tutta la memoria di Fantàsia e conosce tutto ciò che è accaduto fino al presente, ma non può sfogliare il libro per conoscere il futuro, perché vedrebbe solo pagine bianche! Egli può guardare solo indietro, a ciò che è avvenuto nel passato. “Lo leggevo nell’istante in cui lo scrivevo. E lo so perché l’ho letto. E l’ho scritto perché è accaduto. Così la storia infinita si scrive da sola per mezzo della mia mano. […] Con me tutto diventa immutabile e definitivo”. Quindi “questa è la fine della storia infinita”.
L’Infanta Imperatrice non è turbata dalle parole del Vecchio, anzi dice: “Tu e io non abbiamo più il potere di iniziare. Ma un altro lo può”.
Certo. Solo un figlio dell’uomo può creare un nuovo inizio. In questo specifico caso si parla, ovviamente, di Bastiano che ormai fa parte irrevocabilmente della Storia Infinita, perché è la sua stessa storia.
L’Imperatrice ordina al Vecchio di raccontarle dall’inizio, parola per parola, la storia e così il Vecchio le risponde: “Se lo faccio, devo poi riscrivere tutto daccapo. E ciò che scrivo dovrà nuovamente accadere”.
Il Vecchio scrive e dice:
“Se la Storia Infinita
dentro se stessa sta,
allora tutto il mondo
nel libro finirà”.
E l’Infanta Imperatrice risponde:
“Ma se l’eroe adesso
a noi vien da se stesso,
può nuova vita germogliare.
Ora non deve più tardare!”
Per tale motivo, il Vecchio risponde: “Davvero sei terribile, questo significa la Fine Infinita. Entreremo nel cerchio dell’eterno ritorno. E di lì non c’è più via d’uscita”.
E l’Infanta Imperatrice, ancora una volta, si trova a controbattere: “Per noi no, ma nemmeno per lui, a meno che non ci salvi tutti”.
Ella è disposta a mettere tutto il destino di Fantàsia nelle mani di un figlio dell’uomo… E così il Vecchio inizia a leggere – e, contemporaneamente - a scrivere la Storia Infinita dal principio. Bastiano ode ogni cosa nello stesso istante in cui la legge e compie delle scoperte straordinarie tra cui questa:
“[…] si può essere perfettamente convinti di desiderare una cosa, magari per anni interi, fintanto che si sa che il desiderio non è realizzabile. Ma nel momento stesso in cui, all’improvviso, ci si trova di fronte alla possibilità ch’esso si trasformi in realtà, allora non si ha più che un solo desiderio: non averlo desiderato mai”.
Proprio così. E’ una delle condizioni che spesso impediscono ai nostri desideri di realizzarsi. Quando desideriamo qualcosa, anche se ardentemente, può capitare di non vederla realizzarsi e le cause possono essere molteplici:
-         la sensazione  di non essere degni o – addirittura – all’altezza;
-         la paura (come in questo caso) di non sapere come gestire il desiderio una volta ottenuta la sua realizzazione;
-         il fatto di non volerlo davvero;
-         l’errata formulazione;
-         l’aver desiderato cose o – addirittura – desideri che appartengono ad altri e che non sentiamo del tutto “nostri”.
Bastiano ha desiderato una storia che non avesse fine e ora – attanagliato dalla paura – vorrebbe non aver mai desiderato una cosa del genere!
E intanto che il Vecchio rilegge e ripete parola per parola tutte le gesta di Atreiu, Bastiano comprende che “così sarebbe andato avanti per l’eternità, perché evidentemente era del tutto impossibile che qualcosa potesse mutare il corso delle vicende. E doveva farlo, se non voleva restare lui stesso rinchiuso in quel cerchio senza uscita. […] Il cerchio dell’eterno ritorno era la Fine Infinita!”
Bastiano inizia a piangere e all’improvviso grida:
“Fiordiluna! Vengo!”
In quello stesso istante accadono contemporaneamente molte cose: una forza violentissima spezza il guscio dell’uovo e un vento di tempesta inizia a scaturire dalle pagine del libro di Bastiano. Le fiammelle delle candele si piegano spaventosamente finché un secondo turbine di vento le spegne ed entra nel libro.  Il buio avvolge ogni cosa. E’ mezzanotte.
Nelle due figure protagoniste di questo capitolo (l’Infanta Imperatrice e il Vecchio della Montagna Vagante) io ho visto rispettivamente Elohim e Jahvè (JHWH). Il Futuro, il Divenire che incontra il Passato e tutto ciò che c’è e c’è stato.
Enormi responsabilità gravano su Bastiano (il figlio dell’uomo) che ha il compito di creare un nuovo inizio spezzando il “loop” della Fine Infinita e dando origine ad una Storia Infinita completamente nuova.
Bastiano rappresenta ognuno di noi, e il suo potenziale è anche il nostro. Abbiamo tutti la sua stessa responsabilità e – allo stesso tempo – la sua stessa libertà di mettere fine alla realtà che non ci piace, tornare all’inizio (Iniziazione) e creare una nuova realtà. Un mondo nuovo, anzi, tanti piccoli grandi mondi nuovi e meravigliosi aspettano di essere generati, plasmati e modellati dai nostri Desideri, dai nostri Pensieri, dalla nostra Volontà, dalla nostra Creatività, dalla nostra Immaginazione, dalla nostra Fantasia e dalle nostre Azioni.
Diamoci da fare, dunque!


CAPITOLO 13: “Perelun, il Bosco Notturno”
Bastiano è finalmente “asceso” ad un livello di coscienza superiore: non ha più paura, ma – al contrario – è lieto e leggero, talmente leggero che galleggia a mezz’aria, senza il peso del proprio corpo a trattenerlo. Come in un bellissimo Viaggio Astrale, in una dimensione fuori dallo spazio e dal tempo. Il senso di libertà che prova è senza confini… E’ giunto fino all’Imperatrice – che ora, per sua stessa assegnazione, porta il nome di Fiordiluna – in un luogo avvolto da un’oscurità vellutata. Una morte rituale tipica di ogni Iniziazione (come quella di Biancaneve, o quella di Cappuccetto Rosso, per intenderci). Lui è con lei e lei è con lui ed entrambi sono “al principio”. Non c’è null’altro in questo principio perché “Fantàsia rinascerà dai tuoi desideri, Bastiano mio. E grazie a me, essi si muteranno in realtà”.
E – come il Genio de “La lampada di Aladino” – l’Imperatrice prosegue dicendo: “Tu lo sai bene che mi chiamano la Sovrana dei Desideri. Che cosa desideri?”
Ecco che sorge il primo problema, che di solito tutti si trovano a dover affrontare quando hanno l’opportunità di esprimere dei desideri:
«Quanti desideri ho a disposizione?»
«Quanti ne vuoi. Quanti più sono, tanto meglio è, Bastiano mio. Tanto più ricca e multiforme diventerà Fantàsia».
“Bastiano si sentì sopraffatto dalla sorpresa. Ma proprio perché d’improvviso si trovava di fronte a una simile illimitatezza di possibilità, non gli veniva in mente nulla di preciso da desiderare”.
Questo è male, ovviamente, ma Bastiano è turbato dalla sconfinata libertà concessagli e dal buio che lo avvolge. Non sa che “il principio è sempre buio”. Finalmente – però – riesce  ad esprimere il suo primo desiderio: vuole rivedere il volto di Fiordiluna. Così, la Sovrana gli regala un granello di sabbia, unica cosa rimasta di tutta Fantàsia. Quel granello si trasforma – per potere di Bastiano – in un seme, che inizia a germogliare e a produrre luce sufficiente a illuminare i loro volti, entrambi chini sul miracolo. Il germoglio cresce molto rapidamente e dà vita a innumerevoli nuove piante, coloratissime e variegate; è uno spettacolo straordinario che Bastiano e Fiordiluna osservano con occhi pieni di meraviglia. La luce aumenta al crescere e al moltiplicarsi della flora. Fiordiluna informa Bastiano che il passo successivo consiste nel fornire un nome al bosco che si sta infittendo, pertanto il ragazzino decide di chiamarlo “Perelun, il Bosco Notturno”.
L’Imperatrice è completamente guarita e Bastiano vorrebbe che tutto restasse in eterno come si trova in quel momento. A questo pensiero, la Sovrana dei Desideri afferma:
“Il momento è eterno”.
La sua risposta è bellissima e, anche se Bastiano non riesce a comprenderla, per noi lettori è interpretabile con: “Il tempo non esiste”.
I due protagonisti dialogano e Bastiano spiega alla Sovrana il motivo per il quale non si è presentato subito al suo cospetto. Noi lettori lo sappiamo già: si vergognava, non si sentiva all’altezza e provava una gran paura. Pensava che l’Imperatrice si aspettasse un tipo coraggioso, forte e bello come un principe… A queste parole, Fiordiluna non può far a meno di ridere; si avvicina al volto di Bastiano e lo spinge a guardarla negli occhi:
“E ora, nello specchio d’oro delle sue pupille, dapprima ancora piccina, come a una grande lontananza, poi via via più vicina, vide una figura che ingrandiva e si avvicinava, facendosi sempre più chiara. Era un ragazzo, press’a poco della sua stessa età, ma snello e di straordinaria bellezza. […]
 Incantato e pieno di ammirazione, Bastiano fissava l’immagine. Non poteva saziarsi di guardarla. Voleva giusto chiedere chi fosse quel bellissimo figlio di re quando, come il bagliore di un lampo, lo trapassò la consapevolezza di essere lui.
 Quella era la sua immagine riflessa negli occhi d’oro di Fiordiluna.
("[...]per che 'l mio viso in lei tutto era messo". Dante Alighieri La Divina Commedia Canto XXXIII del Paradiso)
Ciò che avvenne in quel momento in lui è assai difficile da descrivere a parole. Fu un rapimento, un’estasi che lo trasportò fuori da se stesso, portandolo lontano, come se avesse perso conoscenza, e quando ebbe fine ed egli fu tornato in sé si ritrovò esattamente quel bellissimo fanciullo di cui aveva visto l’immagine. […]
Si volse verso Fiordiluna.
Lei non c’era più!”
In compenso Bastiano si trova tra le mani AURYN, il Gioiello, lo Splendore. Lo osserva a lungo e nota, voltandolo, che sul retro ha incisa la scritta:
“Fa’ ciò che vuoi”
A questo punto dobbiamo fermarci un attimo e analizzare tutti i dati che Ende ci ha messo di fronte…
Partirei col prendere in esame ciò che Bastiano vede riflesso negli occhi della Sovrana: un se stesso completamente diverso da ciò che è. Ma è davvero così? Bastiano è davvero un’altra persona oppure quel bel giovane negli occhi di Fiordiluna è il “vero” IO di Bastiano? Tutte e due le cose. Gli occhi della Sovrana sono come uno specchio divino che riflette la vera natura di ogni essere umano. E Bastiano ne viene come rapito, perde conoscenza, e quando si riprende è diventato realmente quell’immagine. Perché non si può vedere il volto di Dio e rimanere uguali a come si era prima di vederlo, pertanto possiamo dedurre che non si può vedere il proprio vero IO e pretendere di rimanere invariati. Per Bastiano è stato come uscire da se stesso e guardarsi dall’esterno, ma con gli occhi del Divenire.  
A questo proposito, è emblematico il Canto XXXIII del Paradiso (“Divina Commedia” – Dante Alighieri), in cui Dante stesso racconta, seppur con le limitate parole umane che ha a disposizione, cosa si veda e cosa si provi a trovarsi al cospetto di Dio.
Quando Bastiano si “sveglia” dall’estasi che lo ha colto, ha per le mani AURYN (che – non a caso – ricorda la parola “ORO”, fine ultimo dei procedimenti alchemici), ma sul retro c’è una scritta, mai menzionata prima: “Fa’ ciò che vuoi”. Ancora una volta, capiamo che spetta a noi ogni decisione, perché siamo dotati di Libero Arbitrio e facoltà creative. Uno splendido dono divino che raramente ricordiamo di possedere…
Intanto il Bosco Notturno cresce e Bastiano gioisce del fatto di essere bello. Non gli importa che non ci sia nessuno ad ammirarlo. E questo pensiero ci può far riflettere sull’importanza che molti di noi attribuiscono all’approvazione altrui.
A poco a poco la sensazione di gioia e la consapevolezza di essere bello si trasforma in naturalezza, come se la sua bellezza fosse una cosa ovvia. Non è, per questo, meno felice, ma ha l’impressione di non essersi mai conosciuto diverso da come è ora. Questo è il segno che lascia il vero cambiamento: non ci si ricorda più di come si era prima di esso o non si sanno più addurre spiegazioni o giustificazioni ai comportamenti del passato.
“E proprio in tal modo veniva esaudito il suo desiderio di essere bello, perché uno che lo è sempre stato non pensa neppure lontanamente a desiderarlo.
Aveva appena ottenuto questo, che già provava quasi un senso di insoddisfazione, e in lui si risvegliò un nuovo desiderio. Dopotutto essere soltanto bello non era un gran pregio. Voleva anche essere forte, più forte di chiunque altro. Il più forte in assoluto!”
In queste parole ritrovo chiaro come il sole il pensiero del filosofo Arthur Schopenhauer, il quale sosteneva che:
 La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente tra dolore e noia, passando attraverso l'intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia”.
Quando desideriamo qualcosa significa che quel “qualcosa” ci manca, pertanto ci tormentiamo dolorosamente con quel desiderio finché non riusciamo ad ottenerne la realizzazione. Proviamo un breve attimo di gioia, ma a quel punto decade il piacere della ricerca e piombiamo nella noia fino al momento in cui sentiremo il bisogno di qualcos’altro, lo desidereremo e perpetueremo il cerchio infinito della vita.
Bastiano sta ancora percorrendo la strada dell’Iniziazione, ma – mentre prima lo aveva fatto attraverso il suo “alter ego” Atreiu – ora lo sta facendo personalmente. Ha già scoperto la Bellezza (Sesta Sephira della Qabbalah) e ora sta proseguendo nel suo desiderare di possedere altre Virtù. E si comporta come Adamo nell’Eden: assaggia i frutti, si fa largo tra la vegetazione, poi si ferma a contemplarla e, per contemplarla meglio, si arrampica senza il minimo sforzo su una liana. E’ forte, Bastiano, non fa fatica e vuole arrivare in alto, molto in alto. Non sa come fare, ma gli basta desiderare di arrivare più in alto e il suo desiderio viene esaudito.
“E Bastiano stava lì e si beava di quello spettacolo. Quello era il suo regno. Lui lo aveva creato! Lui era il signore di Perelun”.





[1]Siamo fatti della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita”. Da “La tempesta” di William Shakespeare.

[2]La tua visione diventa nitida soltanto quando guardi all'interno del tuo cuore. Chi guarda fuori, sogna. Chi guarda dentro, si sveglia”. Carl Gustav Jung  http://www.shakespeareinitaly.it/sonno.html


[3] CONTRAPPASSO:  https://it.wikipedia.org/wiki/Contrappasso

 Il contrappasso in Seneca

Lo scrittore e filosofo latino Seneca fa uso della legge del contrappasso nella sua satira Apokolokyntosis, allorché l'imperatore romano Claudio nell'oltretomba viene affidato a uno dei suoi liberti. Il contrappasso, in questo caso, risiede nel fatto che Claudio aveva fama di esser vissuto in mano dei suoi potenti liberti. Si evidenzia il fatto della ritorsione su se stessi e sui proprio punti deboli effetti da malinconie. Il contrappasso risiede anche nel fatto che Claudio viene condannato a giocare a dadi, contenuti in un bussolotto forato: Claudio amava, infatti, il gioco dei dadi e, poiché era l'imperatore e barava in certi casi, vinceva sempre. Ora viene condannato a perdere per l'eternità.

Il contrappasso in Dante

Il contrappasso può essere per analogia[1] o per contrasto:
  • per contrasto, la pena è l'opposto del peccato: per esempio, gli ignavi, coloro che non si sono mai schierati e che quindi non sono mai stati sollecitati a prendere una decisione, sono costretti a una sollecitudine inutile e costante da parte di insetti quali vespe e mosche oppure da vermi, che fanno riferimento alla bassezza morale degli ignavi stessi.
Nel De Contemptu Mundi (sive De Miseria humane conditionis) di papa Innocenzo III, al secolo Lotario dei Conti Segni, questi spiega la pena del contrappasso così, riferendosi alla fine di Sodoma.



[4] MATTEO Capitolo 18, versetti dall’1 al 5: In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù, dicendo: «Chi è dunque il più grande nel regno dei cieli?» Ed egli, chiamato a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità vi dico: se non cambiate e non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Chi pertanto si farà piccolo come questo bambino, sarà lui il più grande nel regno dei cieli. E chiunque riceve un bambino come questo nel nome mio, riceve me».
[5] DIVENIRE: “FILOSOFIA. Storia delle idee dalle origini a oggi” di Ubaldo Nicola. Giunti Editore. Pagine 56 e 57.



ANCORA UNA CONSIDERAZIONE SUL CAPITOLO 12,  PRIMA DI PASSARE AL 14 (anche se alla fine dell’ultimo capitolo cercherò di spiegare meglio ogni macro-concetto. Per farlo è necessario – infatti – che prima vi dia il “quadro generale” di tutto il libro):
[L’alfabeto esprime, attraverso le lettere da cui è composto, i principi primi (o archetipi) che costituiscono l’Universo. La Tradizione esoterica afferma che è esistito un alfabeto primordiale i cui segni e suoni erano la diretta manifestazione del Potere della Parola di Dio; gli alfabeti moderni ne sono la derivazione, alcuni – però – mantengono maggiormente le potenti vibrazioni originarie (e sono i cosiddetti alfabeti sacri o magici), mentre altri le hanno in gran parte perse. Anche la cultura indù attribuisce a ciascuna lettera alfabetica una parte del corpo di Saraswati, la manifestazione femminile – Shakti – di Brahma, il Creatore dell’Universo][1].
Ad un certo punto, nel capitolo 12 de “La Storia Infinita”, l’Imperatrice dice:
“Be, che le lettere dell’alfabeto non le fossero amiche, non era cosa nuova per lei. L’antipatia del resto era reciproca”.
Questa frase è interpretabile così: le lettere formano le parole e il Vecchio scrive quelle parole (e le frasi da esse formate) sul Libro e noi sappiamo che – come dicevano i latini – “SCRIPTA MANENT”, pertanto tutto ciò che è scritto non può essere cambiato, appartiene al passato… Il Dio del Futuro, di Ciò che Sarà, non può amare molto ciò che c’è già ed è immutabile!
Ed è curioso che Ende faccia partecipare anche l’uomo alla Creazione, ma è ancora più curioso che l’uomo non sia solo chiamato in causa come parte attiva, ma sia responsabile della fine o – al contrario – della sopravvivenza/rinascita del Mondo.
Il Vecchio scrive tutto ciò che accade e accade tutto ciò che scrive, quindi – a Suo modo – crea, ma l’uomo rimane comunque la chiave di ciò che va scritto!





 




CAPITOLO 14: “Goab, il Deserto Colorato”

Bastiano, colto dal sonno, si addormenta profondamente. Al suo risveglio sente una grande energia in sé perché, ancora una volta senza che se ne sia accorto, si è verificato in lui un cambiamento.
“Il suo desiderio di essere forte era stato esaudito. […] Ora era bello e forte, ma in un certo senso non gli bastava. Anzi, proprio per questo gli pareva quasi il segno di una certa mollezza. Essere bello e forte aveva valore solo se si era al tempo stesso anche temprati, duri, tenaci, spartani. Come Atreiu. Ma lì, sotto quella selva di fiori meravigliosi, […] c’erano ben poche possibilità di esercitarsi in spartana durezza. […] Cosa ben diversa sarebbe stata per esempio traversare un deserto, il più grande deserto di Fantàsia! Sì, quella sarebbe stata un’impresa di cui andar fiero!”
Questo passaggio mi ricorda moltissimo una scena del film “Un’impresa da Dio[1]” (seguito di “Una settimana da Dio”), in cui Dio, (interpretato da Morgan Freeman) nei panni di un cameriere, parla con la moglie di quello che è un Noè dei giorni nostri e le spiega che quando chiedi a Dio di avere un’abilità o una virtù, Dio non ti fornisce quell’abilità o quella virtù. Non direttamente, no. Leggete questo dialogo tratto dal film in questione e capirete:
“A chi – pregando - chiede pazienza, crede che Dio dia pazienza o dia invece l’opportunità di essere paziente?
A chi chiede coraggio, Dio lo concede o dà l’opportunità di essere coraggioso?
A chi chiede la gioia di una famiglia più unita, crede che Dio regali sentimenti rassicuranti o l’opportunità di dimostrare amore?”
E proprio di opportunità si parla anche in questo libro: opportunità di avere ciò che desideri avere e opportunità di essere ciò che vuoi diventare. Ecco perché, ad un certo punto, tutto quel paradiso comincia a scomparire rapidamente al sorgere del sole, fin quando non rimane quasi più nulla se non l’altissimo fiore su cui è seduto Bastiano. Al ragazzino non resta che scendere il più in fretta possibile, ma mantenendo sangue freddo e nervi saldi. “Non doveva permettere che il pericolo lo inducesse a commettere qualche imprudenza”.
Sceso dal fiore, lo spettacolo che si offre ai suoi occhi è quello di un deserto formato da innumerevoli colline colorate; deserto che Bastiano battezza immediatamente come “Goab, il Deserto Colorato”. Il clima diventa via via sempre più rovente e per mettersi in cammino Bastiano si lascia guidare dall’amuleto dell’Infanta Imperatrice. Colline su colline si stagliano di fronte a lui, solo i colori mutano continuamente nel paesaggio sempre uguale.
“Le meravigliose forze che gli erano state da poco donate non servivano più, poiché le immensità di un deserto non sono tali da essere vinte con la sola forza fisica. […] Non badava al tormento della sete: in lui era maturata una volontà di così ferrea forza, che né la stanchezza né le privazioni avrebbero mai potuto vincere. In quel momento gli tornò in mente con quanta rapidità nella vita precedente si era lasciato scoraggiare”.
Allo scopo di lasciare un messaggio a chi avrebbe letto un giorno il libro de “La Storia Infinita”, Bastiano disegna sulla sabbia le iniziali del proprio nome: tre enormi “B” di sabbia rossa si stagliano sullo sfondo azzurro.
“Soddisfatto contemplò la sua opera. […] E di nuovo si era spento in lui un altro pezzetto di ricordo del Bastiano nel mondo degli uomini”.
Ed ecco che in lui inizia a sorgere un nuovo desiderio:
“Ciò che mi manca è un autentico coraggio. […] Vorrei che mi capitasse una vera avventura, di quelle che richiedono un grandissimo coraggio”.
Bastiano chiede quindi di incontrare una creatura:
“Dovrebbe essere la creatura più bella e al tempo stesso la più pericolosa di tutta Fantàsia!”
E quella creatura compare…  Bastiano ha paura, inizia a correre, ma poco dopo si vergogna di tale sentimento, allora afferra AURYN  e tutto il coraggio che aveva tanto desiderato comincia a fluirgli nel cuore, colmandolo completamente.
La creatura è un leone e si presenta a Bastiano come Graogramàn, padrone del Deserto colorato, chiamato anche la Morte Multicolore. I due si fissano intensamente e Bastiano avverte il potere mortale che emana da quegli occhi. Quel che accade pochi istanti dopo è molto strano e molto bello al tempo stesso: il leone si prostra ai piedi di Bastiano e si dichiara suo servo, in attesa di ordini.
Bastiano vuole uscire dal deserto e chiede a Graogramàn di condurlo fuori di lì, ma il leone non può esaudire questa richiesta perché, spiega, “il deserto lo porto con me”.
E non c’è altra creatura che possa assolvere questo compito in quanto, spiega ancora il leone, “là dove io sono, non può esserci in lungo e in largo altra creatura vivente”. Bastiano è in grado di resistere alla potenza distruttrice di Graogramàn soltanto perché porta lo Splendore…
“Credo, mio signore, che noi abbiamo parecchie cose da dirci. Forse io ti posso svelare misteri che tu non conosci. E forse tu puoi svelare a me l’enigma della mia esistenza, che mi è ignoto”.
Detto questo, Bastiano monta in groppa al leone e insieme si recano alla dimora di Graogramàn. Il suo palazzo che egli definisce anche la sua stessa tomba, è molto distante e per raggiungerlo i due cavalcano fino a che la sera inizia a gettare le prime ombre. La sera è anche il momento in cui il leone termina il proprio ciclo vitale e “muore”.
“La mia ora è vicina, signore. […] Non ci resterà più il tempo per il nostro dialogo. Ma non temere e aspetta che nasca il giorno. Ciò che è sempre accaduto, accadrà anche questa volta. E forse tu mi saprai dire perché. […] Entra per quella porta, mio signore, e là troverai tutto ciò che ti occorre. Quella stanza ti attende da tempo immemorabile. […] Può darsi che tu debba udire suoni che ti spaventeranno. Ma non temere! A te non può accadere nulla fintanto che porti l’amuleto”.
Bastiano mangia e beve a sazietà. Si lava e si asciuga e si riveste, ma ad un certo punto, ode un suono che lo fa rabbrividire. Al suono in questione segue un silenzio ancora più spaventoso e Bastiano vuole conoscere l’origine di entrambi. Esce dalla stanza e va a cercare il leone. Graogramàn è pietrificato e Bastiano non sa come aiutarlo, allora esce dal palazzo e fuori vede, con sua grande sorpresa, che il deserto è sparito e che Perelun, il Bosco Notturno, ha ricominciato a crescere! Disperato, Bastiano torna all’interno del palazzo e abbraccia in lacrime il leone di pietra. In tal modo, si addormenta.
Il deserto, così come il vuoto, è un aspetto della personalità e della vita di Bastiano, ma è anche un’opportunità. Naturalmente qui Bastiano affronta un deserto fisico, materiale, concreto e tangibile, ma nella realtà dei fatti, quel deserto è dentro di lui. In quel vuoto immenso egli ha l’opportunità di sperimentare tutto ciò che vuole: nel momento stesso in cui si accorge di quel che gli manca, Bastiano può desiderarlo. Il fatto di dare un nome ad ogni cosa da lui creata equivale a riconoscerla e ad affrontarla.  Dare “un volto” e un nome alle nostre paure, ad esempio, ci aiuta a vederle meglio, a dominarle e, infine, a sconfiggerle.
Allo scadere del giorno il Deserto Colorato scompare e al suo posto subentra nuovamente il Bosco Notturno. Questo avviene per sottolineare, ancora una volta,  l’importanza fondamentale del contrasto. E’ il contrasto che determina l’equilibrio in tutte le cose e persino in noi stessi. Ma allora cosa simboleggia il leone? Ricordate cosa si dice di una persona coraggiosa? Che ha un “cuor di leone”…  Ora, ripensate a quale è stato l’ultimo grande desiderio di Bastiano in questo capitolo. Ha chiesto di avere “autentico coraggio”. La creatura che gli si è manifestata presenta due caratteristiche fondamentali: è bellissima e al tempo stesso estremamente pericolosa. Bastiano ne ha avuto paura, inizialmente, ma quando l’ha guardata in faccia e i due si son presentati coi rispettivi nomi e ruoli (Bastiano con il ruolo di creatore del Deserto e Graogramàn con il ruolo del portatore di morte), il giovane ha “sottomesso” la paura (in questo caso del deserto e – per estensione – della morte) al proprio volere.
“E i colori?” – chiederete voi. I colori, perennemente cangianti, in costante mutamento, simboleggiano le nostre sensazioni e i nostri sentimenti. Il colore della nostra aura non varia, forse, al variare dei nostri stati d’animo?




CAPITOLO 15: “Graogramàn la Morte Multicolore”
 
Al nascere del nuovo giorno, Graogramàn riprende vita, con grande sollievo di Bastiano convinto che il leone dovesse rimanere di pietra per sempre. Come aveva già fatto l’Imperatrice anche la Morte Multicolore fornisce a Bastiano una risposta che ha a che fare col tempo:  “Ma ogni volta è per sempre”.
Bastiano è l’unico che ha dormito accucciato fra le zampe della Morte e l’unico che ha pianto la sua fine. E alla domanda della Morte Multicolore sul perché debba sempre morire al cadere della notte, Bastiano risponde saggiamente: “Perché nel Deserto Colorato possa crescere Perelun, il Bosco Notturno. […] E tutto questo può esistere soltanto fintanto che tu sei pietrificato. Ma Perelun divorerebbe ogni cosa e alla fine soffocherebbe anche se stesso, se non dovesse esso pure morire e ridursi in polvere ogni volta che tu ti svegli. Tu, Graogramàn, e Perelun siete una cosa sola”.
Bellissima la risposta del leone: “Ora capisco che la mia morte è portatrice di vita e la mia vita è portatrice di morte e che entrambe le cose sono giuste”. Detto questo, Graogramàn va a prendere un oggetto e lo porge a Bastiano. E’ una spada infilata in un fodero di ferro e nel momento in cui il ragazzo le dà il nome (Sikanda), essa sguscia fuori dal fodero. La lama è a doppio taglio ed è  fatta di luce splendente, leggera quanto una piuma.
“Questa spada è destinata a te da sempre. […] Ma soltanto perché hai saputo darle il nome giusto, essa ora ti appartiene. […] Non ti è permesso di farle violenza, mai! Soltanto quando da sola ti salta in pugno, come ha fatto  in questo momento, puoi farne uso, qualunque cosa ti minacci. Essa guiderà la tua mano e di sua iniziativa farà ciò che in quel momento va fatto. Ma se tu la dovessi sguainare di tua volontà […] farai ricadere su te stesso e su tutta Fantàsia la più grande disgrazia”.
Bastiano e il leone si addentrano nel deserto e cavalcano fino a mezzogiorno. Graogramàn riporta il ragazzo nel punto in cui il giorno prima lo aveva trovato. Pur essendo mutata ogni cosa la creatura sa riconoscere il posto esatto perché lo sente come sente ogni parte del suo corpo. Il deserto è una parte di Graogramàn ed entrambi esistono DA SEMPRE.
“Tutto comincia a esistere solo dopo che l’ho desiderato? Oppure c’è già e io l’ho soltanto evocato?”: questo il dubbio che attanaglia Bastiano. Dubbio a cui il leone risponde: “Entrambe le cose”.  Fantàsia è il regno delle Storie e “una storia può essere nuova eppure raccontare di tempi immemorabili. Il passato nasce con lei”. Nel momento in cui si dà il nome a una cosa, è come se quella cosa fosse esistita da sempre. Questo, però, non vuol dire che sia stato Bastiano a creare la tal cosa. Quello della creazione è un concetto che riguarda anche l’Imperatrice, poiché è da lei che Bastiano ha ricevuto ogni cosa.
Il giovane è felice insieme al leone e trascorre con lui dei bellissimi momenti, ma non può e non deve assolutamente rimanere perché significherebbe rimanere intrappolato per sempre in un ciclo di Vita e Morte (Perelun e Goab). Nessuna storia, nessun tipo di evoluzione è contemplata in questo ciclo.
“Ma non posso andar via. […] Il deserto è troppo grande perché qualcuno riesca mai ad uscirne. E tu non puoi portarmi fuori, poiché rechi il deserto con te”.
Bastiano deve fare, ancora una volta, appello ai propri desideri.
“Le strade di Fantàsia le puoi trovare solo grazie ai tuoi desideri. E ogni volta puoi procedere soltanto da un desiderio al successivo. Quello che non desideri  ti rimane inaccessibile. Questo è ciò che qui significano le parole ‘vicino’ e ‘lontano’. E non basta volere soltanto andar via da un luogo. Devi desiderarne un altro. Devi lasciarti guidare dai tuoi desideri”.
In Fantàsia c’è un luogo che conduce ovunque e al quale si può giungere da ogni parte. Tale posto è chiamato Tempio delle Mille Porte. Non ha un esterno, ma solo un interno, composto da un labirinto fatto di porte.  Ogni porta in tutta Fantàsia può rappresentare l’accesso al Tempio, ma solo in un determinato istante. Nessuno può passare per più di una volta dalla stessa porta e nessuna delle mille porte riconduce là da dove si è venuti. In pratica, “non esiste ritorno”. “Attraverso il labirinto delle Mille Porte ti può guidare un solo vero desiderio. Chi non lo ha è costretto a continuare a vagarci dentro fino a quando sa esattamente cosa desidera”.
La porta d’ingresso si trova soltanto desiderando di trovarla.
“E’ strano che non si possa semplicemente desiderare quello che si vuole. Ma, per la verità, da dove ci vengono i desideri? E che cos’è un desiderio?”
Ecco che torna in gioco la scritta dietro il medaglione: “FA’ CIO’ CHE VUOI”. Il leone spiega a Bastiano che non significa che può fare tutto ciò che gli pare, ma che deve fare quella che è la sua vera volontà. Nulla è più difficile. La volontà è la più pericolosa di tutte le strade perché richiede la massima sincerità e attenzione se non si vuole rischiare di perdersi definitivamente.
Dopo aver trascorso un certo periodo di tempo insieme a Graogramàn, in Bastiano inizia a manifestarsi un altro cambiamento. Ha ricevuto tanti doni, tra cui il coraggio, ma ogni volta che un dono gli è stato elargito gli è stato anche tolto qualcosa. In questo caso gli è stato portato via il ricordo della sua pusillanimità di un tempo.
Una voce interiore comincia a chiamarlo da lontano e Bastiano si mette ad aspettare. “Non avrebbe saputo dire che cosa aspettava, ma sapeva che quella notte non doveva dormire”. Infatti d’un tratto la porta che conduce alla camera da letto si apre e una luce rossastra invade il buio della grotta. Così come si è aperta, con la stessa velocità la porta inizia a richiudersi, ma prima che sia definitivamente chiusa Bastiano saluta e ringrazia la statua di pietra di Graogramàn. Solo dopo  s’inoltra nella luce.
Un capitolo molto denso che, ancora una volta, verte sui desideri. Essi possono guidarci nella vita, ma non tutti sono buoni. Perché lo siano bisogna che rappresentino la nostra vera volontà, bisogna che appartengano veramente a noi. Ogni desiderio va espresso con chiarezza e precisione, altrimenti rischiamo di non vederlo realizzarsi. Si può procedere soltanto di desiderio in desiderio: questo implica il fatto che non possiamo passare ad uno stadio evolutivo più alto prima di aver completato quello precedente. Eh sì, perché i desideri sono proprio questo: EVOLUZIONE!
Un altro dato importantissimo che emerge da questo capitolo è rappresentato dal fatto che, quando esprimiamo un desiderio, dobbiamo poi permetterci di accoglierne la realizzazione nelle nostre vite. E ancora una volta i latini ci vengono in aiuto col detto: “CARPE DIEM”. Cogliere l’attimo esatto in cui ciò che abbiamo desiderato ci sta raggiungendo e afferrarlo prontamente per impedire che l’attimo passi e il desiderio ci sfugga di mano. Non è così scontato, tutto questo. Molti non sanno cosa desiderare e altrettanti “non si permettono” di ricevere ciò che vogliono. Come Bastiano, hanno paura, si vergognano oppure non si sentono degni di ciò che spetta loro.
Avrete colto sicuramente anche voi il riferimento a “La spada nella roccia”. Come Artù, anche Bastiano estrae la spada dal fodero, senza difficoltà. Perché? Andiamo per gradi. Innanzitutto è necessario capire cosa è la spada. La spada è un mezzo molto importante chiamato INTUITO. Un mezzo che grazie al suo scintillante bagliore ci può guidare nei momenti più bui della nostra esistenza. [Essa guiderà la tua mano e di sua iniziativa farà ciò che in quel momento va fatto.] Quando è all’interno del fodero, appare come un oggetto di poco conto, vecchio e logoro, ma al riconoscimento del suo grande valore intrinseco (riconoscimento che avviene quando la si chiama col suo nome), la spada può essere utilizzata per compiere cose giuste e meravigliose. E’ come la lampada di Aladino che, quando viene strofinata, rivela tutte le cose fantastiche contenute al suo interno.  La lama, così come la lampada strofinata,  è talmente lucida che può facilmente essere paragonata ad uno specchio. Uno specchio speciale che riflette il POTENZIALE della persona che l’ha “invocata”. In questo senso intuizione e desideri vanno di pari passo. Entrambi richiedono l’uso di una cosa molto importante chiamata ATTENZIONE e, se ci fate caso, nessuna delle due cose (né l’intuizione né il desiderio) può portare a risultati positivi se forzata: non si può forzare l’intuizione e non si può forzare il desiderio; entrambi scaturiscono da noi quando siamo sicuri di ciò che vogliamo e siamo puri di cuore (vale a dire che non ci poniamo dei limiti alla ricezione di ciò che ci spetta ed è, quindi, nostro di diritto). Non a caso la lama di Sikanda è a doppio taglio: se usata nel modo corretto farà del bene, ma se usata nel modo sbagliato rappresenterà la rovina del suo utilizzatore e di tutto il suo mondo.

Una considerazione importante: alcuni (moltissimi, in verità) desiderano quel che devono desiderare o, meglio, quel che sentono di dover desiderare, cioè quel che pensano di essere autorizzati a desiderare. Sono desideri che gli altri approvano o approverebbero. Chi sono questi altri? La famiglia, i colleghi, le Istituzioni, la Società cosiddetta “civile”… Perciò voglio darvi un consiglio, amici lettori: DESIDERATE CIO’ CHE SENTITE  DI DESIDERARE VERAMENTE, NELLE PROFONDITA’ DI VOI STESSI E NON CIO’ CHE CHI VI CIRCONDA APPROVEREBBE! E – COSA UGUALMENTE IMPORTANTE – DESIDERATE PER CONTO VOSTRO, COSE CHE RIGUARDINO VOI E VOI SOLTANTO E NON COSE CHE COINVOLGANO ALTRE PERSONE. LASCIAMO A TUTTI LA FACOLTA’ DI ESERCITARE IL LIBERO ARBITRIO!





CAPITOLO 16: “Amarganta la città d’argento”

Bastiano comincia a scegliere – una per volta – le porte da aprire. Sono tutte differenti e ognuna conduce in una stanza diversa.
“Mentre proseguiva così, da una porta all’altra, cominciò a riflettere sull’inutilità del suo modo di agire. Il suo desiderio era infatti bastato a condurlo nel labirinto, ma evidentemente non era sufficiente a fargli trovare anche la strada per uscirne. Aveva desiderato di trovarsi in compagnia, ma solo ora si rendeva conto che il suo desiderio era vago; in realtà non aveva desiderato nulla di preciso. E questo fatto non lo aiutava a decidere nella scelta delle porte. Fino allora aveva fatto le sue scelte senza un preciso criterio e ogni volta la porta scelta avrebbe potuto benissimo essere anche l’altra. Ma affidandosi al caso non sarebbe mai riuscito a venire fuori di lì”.
Arrivato di fronte all’ennesima porta, Bastiano si rende conto di ciò che alberga in cuor suo: desidera incontrare Atreiu. Da questo momento inizia  a scegliere le porte da varcare seguendo un criterio logico. Ne sceglie una che gli ricorda il Drago della Fortuna e – varcata questa – la scelta successiva cade su una porta che gli ricorda Atreiu. Compiute tali scelte, si trova di fronte ad altre due porte. Dopo un iniziale momento di smarrimento, Bastiano comincia a ragionare attentamente, fino a quando opta per una porta verde oliva. Varcatala, si ritrova all’aperto. in un bellissimo bosco primaverile. Voltandosi indietro nota di essere uscito da una chiesetta campestre e capisce di aver superato il Tempio delle Mille Porte.
Si mette in cammino senza una meta perché non dubita che prima o poi incontrerà Atreiu. Dopo aver percorso un po’ di strada vede un gruppo di persone composto da quattro uomini e una donna. Bastiano nasconde AURYN sotto gli abiti perché vuole fare la loro conoscenza “in incognito”. Quando si avvicina al gruppo, viene accolto come una sorta di principe d’Oriente per via del suo aspetto regale e maestoso.
 I quattro sono: Inrico l’Eroe, la principessa Oglamàr (figlia del re di Lunn), Icrione, Isbaldo e Idorno.  Bastiano non svela il proprio nome e neppure soddisfa la curiosità della principessa che vuol sapere se è davvero un principe. Nonostante ciò, viene accolto ugualmente alla tavola dei cinque personaggi appena conosciuti.
“Dalla conversazione fra la principessa e i quattro cavalieri, venne a sapere che nelle immediate vicinanze sorgeva la splendida città di Amarganta, e che lì doveva svolgersi una specie di torneo”.
Grandi eroi e ogni genere di personaggi arrivano per questo evento da vicino e da lontano.
“Solo i tre migliori, i più valorosi che avessero battuto tutti gli altri nelle varie contese, avrebbero avuto l’onore di prender parte a una specie di spedizione, che in realtà era un viaggio di ricerca, e che sarebbe potuto diventare, con tutta probabilità, un’impresa assai lunga e avventurosa”.
Scopo dell’impresa? Trovare colui che è conosciuto in tutta Fantàsia solo con l’appellativo “Il Salvatore”.
A scegliere fra i contendenti sarà un giovane selvaggio di nome Atreiu.
Bastiano ha ben compreso che “il Salvatore” di cui tutti parlano, ma di cui nessuno conosce il vero nome, non è altri che lui stesso.
Inrico è interessato a conquistare il cuore della principessa Oglamar più che alla spedizione, ma lei gli ha fatto intendere che il suo amore andrà al più grande degli eroi, ovvero a colui che sarà in grado di vincere tutti gli altri. Durante la conversazione, Inrico afferma anche, molto chiaramente, di non apprezzare granché la figura del fantomatico salvatore, anche se ha salvato Fantàsia.
Finito il pranzo sull’erba, il gruppo si rimette in viaggio; ogni membro sul proprio cavallo: la principessa monta il suo cavallo bianco e Inrico il suo cavallo nero; gli altri tre valorosi sulle rispettive cavalcature e Bastiano su una vecchia mula di nome Iaia. Iaia, però, è speciale: ha capito chi è realmente Bastiano, ma si accorda con quest’ultimo per mantenere il segreto sulla sua identità.
La compagnia raggiunge la riva del lago su cui sorge Amarganta. Tutto è in puro argento perché l’argento è l’unico materiale in grado di resistere all’enorme potere corrosivo che l’acqua del lago  Muru (o Lago delle Lacrime) possiede. Gli Amarganti (ovvero gli abitanti di Amarganta) indossano vestiti in tessuto d’argento e possiedono persino i capelli dello stesso materiale.
Finalmente Bastiano riesce a scorgere Atreiu e Fùcur; entrambi sono tornati perfettamente in salute e hanno riacquistato i loro colori originari.
Il torneo va avanti tutto il pomeriggio e alla fine Icrione viene dichiarato il più possente tra i forti, Isbaldo il più svelto tra i veloci e Idorno il più perseverante tra i tenaci. Quando Atreiu si alza per parlare, fa il suo ingresso in campo Inrico. Poiché per accompagnare Atreiu nella spedizione sono previsti solo tre cavalieri, al momento c’è un elemento di troppo, pertanto uno dovrebbe ritirarsi. Ma Inrico vuole battersi con tutti e tre contemporaneamente  per dimostrare il proprio valore. Così fa, ed effettivamente riesce a sbaragliarli tutti.
A questo punto è Bastiano a volersi battere con Inrico. Poiché entrambi danno prova di grande abilità, Bastiano sfida Inrico a raggiungere a nuoto la riva. Bastiano non ha paura, anzi dichiara: “ho traversato il Deserto Colorato e ho mangiato e bevuto il fuoco della Morte Multicolore e in esso mi sono bagnato. Non ho paura di queste acque”.
L’eroe Inrico è paonazzo dall’ira e controbatte: “Tu menti! Nessuno in Fantàsia può sopravvivere alla Morte Multicolore, questo lo sa anche un bambino!”
A queste parole, Bastiano dice: “Eroe Inrico, invece di accusarmi di menzogna, fareste meglio ad ammettere di avere paura”.
Inrico si lancia indignato contro Bastiano, ma Sikanda salta fuori dal suo fodero arrugginito e inizia a guidare la mano del giovane. Inrico si difende con la forza della disperazione, ma nulla può contro la spada incantata e così è costretto ad arrendersi.
E finalmente Atreiu e Bastiano possono incontrarsi.
Atreiu riconosce Bastiano nonostante questi abbia un aspetto diverso da quando lo ha visto riflesso nello specchio dell’Oracolo Meridionale. L’aspetto è – sì – diverso, ma lo sguardo nei suoi occhi è rimasto lo stesso.
“Se ancora avessi bisogno di un compagno per andare alla ricerca del Salvatore di Fantàsia, allora mi vorrei contentare di questo, che vale più di cento altri messi insieme. Ma non ho più bisogno di nessuno che mi accompagni, perché la spedizione non avrà più luogo. […] Tu hai promesso di dire ora il tuo nome, che all’infuori di Occhi d’Oro, Sovrana dei Desideri, nessuno in tutta Fantàsia ancora conosce. Vuoi farlo adesso?”
“Mi chiamo Bastiano Baldassarre Bucci”.
“Atreiu tese ridendo la mano a Bastiano, questi la prese e, mano nella mano, i due entrarono nel palazzo, varcando la soglia dove li aspettavano Querquobad, il Vegliardo d’Argento, e Fùcur, il Drago della Fortuna. Quella sera la città di Amarganta celebrò la festa più bella di tutta la sua storia”.
Il sedicesimo è in prevalenza un capitolo di collegamento, ma ribadisce o rafforza comunque molti concetti importantissimi. Vediamo quali.
Ancora una volta si parla di desideri e di quanto sia importante che vengano formulati il più chiaramente possibile.
Si parla di scelte e di come operarle al meglio sfruttando l’attenzione e il ragionamento.
Si parla di attesa e di come – a volte – sia bene aspettare il momento opportuno per compiere determinate azioni.
Si parla di torneo e che cosa è un torneo se non una rappresentazione delle nostre moderne contese? Sgomitiamo giorno dopo giorno nella vuota speranza di mostrarci agli occhi degli altri. Molti si considerano superiori e vogliono essere considerati superiori per semplice vanagloria o per raggiungere obiettivi personali e, spesso, egoistici.
Si parla di coraggio e di come – in certi casi – per “innalzare” noi stessi “abbassiamo” coloro a cui vorremmo somigliare. Abbiamo tutti bisogno di rifarci ad un eroe nella vita, di aspirare ad un’elevazione della nostra personalità e ad un potenziamento delle nostre capacità, ma questo non significa dover mettere in gioco cose come l’ira, la superbia o altri “peccati capitali”. In questo senso, “La Storia Infinita” ha anche il compito di aiutarci a capire il significato dei vizi, dei peccati e mostrarci come si possono affrontare e superare.
Questo libro ci mostra che non è la fama a fare il vero valore di un individuo. Non è il suo nome a descriverlo perché il nome serve a distinguerlo dagli altri, ma è sbagliato identificare una persona solo col nome. Questo è più che mai un periodo in cui vantarsi di essere “qualcuno” non serve assolutamente a niente perché quello che conta è  dimostrare  con le azioni e coi fatti chi e quanto si è. E conta dimostrarlo a noi stessi prima che agli altri. Conta dare l’esempio con la pratica e non millantare pregi, virtù o qualità. Ecco perché Bastiano non svela la propria identità fino alla fine del torneo. Per di più, battendosi contro Inrico (il quale, a sua volta, si è battuto – e ha vinto – contro gli altri eroi), Bastiano – in pratica – arriva ad incarnare “i poteri” di tutti e quattro e molto di più.
E cosa significa il fatto che Bastiano sfida Inrico ad attraversare il lago a nuoto?
L’attraversamento del lago rappresenta il superamento delle convenzioni e delle convinzioni. Le proprie e quelle sociali.
In questo capitolo si parla, inoltre, di bellezza interiore e di come questa emani dagli occhi delle persone e dal loro sguardo.


Ancora una piccola curiosità. Vi sarete sicuramente accorti che i nomi dei quattro eroi iniziano tutti con la lettera “I” e il nome della principessa inizia con la lettera “O”. Non è una coincidenza: i quattro (concentrati, successivamente, nella figura del solo Inrico) rappresentano le potenzialità e le caratteristiche della parte maschile che è dentro ognuno di noi (cavallo nero); la principessa incarna la parte femminile che alberga in noi tutti (cavallo bianco). Mettendo insieme le due metà otteniamo un individuo completo, un “IO” a tutti gli effetti. Sono consapevole che la lingua originale de “La Storia Infinita” è il tedesco, ma ciò non toglie che il concetto sia – ancora una volta – quello dell’unione degli opposti.


[1] Un'impresa da Dio (Evan Almighty) è un film del 2007 diretto da Tom Shadyac, spin-off di Una settimana da Dio del 2003.
Morgan Freeman torna a interpretare Dio, mentre il ruolo del protagonista è affidato a Steve Carell, già tra gli interpreti secondari di Una settimana da Dio (dove Evan Baxter stesso, il personaggio di Carell, era l'antagonista del protagonista Bruce Nolan, interpretato da Jim Carrey). Compare brevemente in un cameo Susan Ortega (interpretata da Catherine Bell) già presente nel precedente capitolo. "Sono felice, vincente, bello e potente", Evan Baxter.





PER NON APPESANTIRE TROPPO QUESTA PAGINA, NE HO CREATA UNA SECONDA IN CUI TROVERETE L'ANALISI DEI RESTANTI 10 CAPITOLI.

ECCO IL LINK:

http://manumelaracconti.blogspot.it/p/blog-page_7.html




 
 

 
 

7 commenti:

  1. veramente bello un analisi del testo visto da un altro punto di vista complimenti

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    1. Grazie Marco! Effettivamente è un libro che si presta all'interpretazione: possiede numerosissimi riferimenti a grandi testi del passato, alla Qabbalah, all'Antica Grecia e non solo! Quel che stupisce, poi, è una caratteristica - in particolare - ovvero il suo essere "sempreverde". L'uomo è costantemente in cerca del proprio "IO", di un modo per "crescere" interiormente e trovare mondi meravigliosi dentro di sè. Come mi piace affermare spesso: è uno di quesi libri che aiuta a "crescere" facendo ritornare bambini.

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  2. Trovando questo interessante commento al libro, non trovandolo nella mia libreria ,mi hai indotto a ricomprarlo e a rivedere il film in un'interessante parallelo. Ti ringrazio per avermi fatto rivivere la magia della sua lettura che ebbi diversi anni fa. Domenico Capone.

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    1. Ciao Domenico! Sono lieta che la mia analisi abbia suscitato in te questo effetto: la ricerca, sotto qualunque forma, è sempre come una scarica di adrenalina e, nell'attimo stesso in cui si comincia a cercare, si mette in moto un bellissimo meccanismo per il quale è difficile fermarsi! Porre e porsi domande, cercare, non accontentarsi mai, desiderare sempre: questi sono i cardini sui quali dovrebbe poggiarsi la nostra vita. Scardinare ogni giorno le certezze limitanti, per potersi migliorare... Penso che Ende abbia voluto invitare i suoi lettori a fare proprio questo!
      Grazie di cuore per il tuo commento e buon proseguimento.
      Mela

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  3. Un'interpretazione filosofica e letteraria davvero molto approfondita e dettagliata. "La storia infinita" è uno dei miei libri preferiti in assoluto e leggere il tuo articolo è stato un vero piacere.
    Sul mio blog ne parlo spesso anche io, passa a trovarmi se ti va.
    Ciao e ancora tanti complimenti.

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    1. Ciao The log lady! Innanzitutto vorrei scusarmi per il ritardo nella risposta, ma ho visto soltanto oggi il tuo bellissimo commento. E poi voglio ringraziarti per il tuo apprezzamento , perché mi riempie di grande gioia. Proprio in questi giorni, tra l'altro, sto scrivendo un nuovo approfondimento sul libro di Ende e spero di pubblicarlo presto. Grazie ancora, di tutto cuore, passerò volentieri a dare un'occhiata al tuo blog. Alla prossima, Mela.

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  4. mi potresti dire chi può dare la medicina all'infanta imperatrice per favore?

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