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LA BELLEZZA

lunedì 11 marzo 2024

Amélie Nothomb, "Le Catilinarie"

 

Amélie Nothomb, "Le Catilinarie", Voland. Traduzione di Biancamaria Bruno.

“Non sappiamo niente di noi. Ci crediamo abituati a essere noi stessi. È il contrario. Più gli anni passano e meno capiamo chi sia la persona nel nome della quale agiamo e parliamo. Non costituisce un problema. Che c’è di male a vivere la vita di uno sconosciuto? Forse è meglio: conosci te stesso e ti prenderai in antipatia”.

Un incipit folgorante, un’introduzione che ci porta dritti al cuore di uno dei temi più indagati nella storia della Letteratura: l’Io. Ma non tanto la faccia che mostriamo al mondo quanto quella più nascosta e più oscura, quella da cui cerchiamo di fuggire rifugiandoci nella solitudine e nel silenzio. La nostra Ombra, insomma.

Che differenza c’è tra mutismo e silenzio?

E tra silenzio e assenza?

E tra agire e reagire?

Quanto influisce la presenza degli altri sulla nostra felicità?

Quando la compagnia sfocia nella molestia?

Che cos’è il vuoto?

Quand’è che una vita si può definire tale?

Dove si trova il confine tra saggezza e follia?

E dove quello tra compassione e delitto, tra favore e crimine?

In fondo siamo tutti una miscellanea indefinibile di Dottor Jekyll e Mr. Hyde e chi ci circonda è ignaro di rappresentare l’innesco che fa emergere l’uno o l’altro, a seconda delle occasioni. Eppure…

“[…] tutti si portano dentro un grosso mucchio immobile, basta lasciarsi andare e quello spunta fuori. Nessuno è vittima di nessuno, se non di sé stesso”.

“Il vantaggio delle rotture di scatole è che mettono gli individui con le spalle al muro”.

Il modo in cui reagiamo agli altri dice molto di più su chi siamo noi che su chi siano loro.

“Il signor Bernardin non era il male, era un grande otre vuoto in cui sonnecchiava il gas malefico. […] Si avvelenava la vita avvelenando la mia”.

Amélie Nothomb esplora il terreno minato del suicidio, il tabù della morte – comprendendo anche il decesso per mano altrui, ovvero l’omicidio – e sviscera in tal modo i concetti estremi chiamati Felicità, Dignità, Disperazione, Vita, Coscienza e quella cosa chiamata Realtà, che a volte è un sogno, mentre altre volte è un incubo.

E così, senza condannare né tantomeno assolvere, Nothomb – attraverso i suoi personaggi - si fa portavoce dei drammi e delle spaccature che ogni individuo infligge e/o subisce; si muove con destrezza, intelligenza e tuttavia cautela sul confine che, in realtà, non separa vittima e carnefice; si sposta fra grazia e abominio, tra pietà e crudeltà.

La verità è che non sappiamo chi siamo, e dire “Io sono” è relativo, parziale e impreciso – e anche riduttivo - almeno quanto lo è dire “Io non sono”. Ma è proprio questo il bello: la relatività ci permette di essere chiunque e qualunque cosa.

“Descrivere un essere cominciando da ciò che non è ha qualcosa di vertiginoso. Cosa succederebbe se tentassimo di dire tutto ciò che non siamo?”

Un po’ come Ulisse, che – dichiarandosi Nessuno di fronte a Polifemo – fu tutto e niente, tutti e… nessuno. E si salvò.

 

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