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LA BELLEZZA

giovedì 22 giugno 2023

Michele Tocca, Repoussoir

 

Michele Tocca, alla GAM di Torino, presenta "Repoussoir".

 

Repoussoir[1]. Per chi non conoscesse questa parola (come non la conoscevo io prima di questa mostra), ne illustrerò il significato avvalendomi di un’immagine che mi è venuta in mente ascoltando le parole dell’artista - Michele Tocca – e della Curatrice – Elena Volpato. Repoussoir è il dito davanti alla fotocamera, quella macchia che copre  un angolino dell’immagine, quell’elemento di disturbo che in ambito fotografico è solo un fastidioso incidente, mentre in pittura è una specie di freccia, quel qualcosa che cattura l’attenzione e la dirige dove è bene che vada.

Repoussoir è una mostra che suscita lo “stupore della pittura”, come ha detto il Direttore della GAM Riccardo Passoni. Di questi tempi non ci si aspetta più molto da questa forma d’arte che sembra aver dato tutto ciò che poteva dare e che sembra sia stata declinata in tutti i modi possibili e immaginabili, invece… Invece Michele Tocca ha dato un contributo incredibile all’arte pittorica, rinnovando – e, in un certo senso, rovesciando - il concetto di Repoussoir, mettendo in primo piano l’ostacolo.

“Michele Tocca (Subiaco, 1983) è un pittore capace di porsi all’osservazione del mondo con l’immediatezza di una interiore first-timeness: con il candore di uno sguardo che sa vedere tutto come fosse la prima volta, eppure coltiva una profonda conoscenza dei meccanismi della visione, delle strutture di pensiero e delle eredità che l’arte ci tramanda”.

 E l’allestimento della Wunderkammer per ospitare le opere di questo giovane artista gioca un ruolo fondamentale: lo spazio murale è tagliato in due da un gioco di colori che vede nella parte di parete colorata i lavori di Tocca e in alto, nella fascia bianca, sei quadri[2] Ottocenteschi[3],

 

Massimo Taparelli D'Azeglio, "Lo studio del pittore a Napoli", 1827 ca., olio su tela.

 posizionati come fossero punteggiatura, accenti della contemporaneità. Un modo originale e d’effetto per “innestare” nuove opere all’interno delle collezioni della GAM e farle dialogare tra loro attraverso le caratteristiche che hanno in comune. Nel caso specifico, i colori, i soggetti e le atmosfere sono i punti di contatto, i temi in comune tra i sei quadri “di casa” e i nuovi arrivati. Ed ecco che la freschezza di visione e la dirompente attualità di Michele Tocca si sono unite alla profonda consapevolezza storica emanata dalle opere di D’Azeglio, Carpanetto, Fontanesi e De Gubernatis. Ma la suddivisione cromatica delle pareti non è l’unica caratteristica che salta all’occhio: sono assenti, infatti, le didascalie (opportunamente contenute in un dépliant fornito all’ingresso), così da non distrarre l’occhio del visitatore che voglia godere della magia sprigionata dai quadri.

Chi sono i protagonisti delle opere di Michele Tocca?

I paesaggi, indubbiamente, ma anche il mutamento, la trasformazione materica nel tempo e del tempo.

“Tutto si trasforma, e anche tu sei in continua trasformazione e, in un certo senso, in continua dissoluzione. E così pure l’universo intero. Uva acerba, uva matura, uva passa. Tutto è trasformazione, non verso il non essere, ma verso ciò che non è ancora”.

Marco Aurelio

E per cogliere al meglio tali cambiamenti, Michele Tocca dipinge dal vivo, all’aperto, senza cavalletto, spesso in condizioni climatiche sfavorevoli che lo costringono a indossare una giacca per ripararsi dalla pioggia (quasi perenne a Subiaco, il paese da cui proviene). Tanto è vero che la giacca in questione è stata da lui ritratta ed esposta alla GAM tra le altre sue opere.

Quando una persona guarda un’opera e riesce a “sentirla”, in realtà, oltre che l’opera in sé sta percependo l’artista che l’ha prodotta. Così, guardando “La giacca da pioggia del pittore”, si può percepire sia una sorta di autoritratto di Tocca, sia l’immagine di un paesaggio. Stando addosso al pittore nei giorni di pioggia, infatti, la giacca si impregna dell’essenza di chi la indossa, si impregna di paesaggio, di colori, di acqua... E una giacca diventa molto più che un semplice indumento…

“Il paesaggio mi spiega come devo dipingerlo”. Mi è piaciuta molto quest’affermazione di Michele Tocca che ha subito approfondito la questione svelando la grande differenza che intercorre tra pittura e fotografia: “Alla pittura puoi chiedere di diventare vapore o chicco di grandine, alla fotografia no”. Ma Tocca non si limita a guardare un paesaggio: per dipingerlo vi si immerge, ne diventa parte. Sarà per questo che anche noi, guardando i suoi dipinti fatti di nebbia, di vapore, di nuvole percepiamo quelle sostanze impalpabili non solo davanti ai nostri occhi, ma tutt’attorno, e in quelle atmosfere fumose sappiamo che troveremo anche ciò che esse nascondono (ad esempio le montagne), compreso l’artista che ha trasposto la visione sulla tela.

Nel vivo delle opere…

La giacca dell’artista dialoga con altri due ritratti-autoritratti, ossia un paio di guanti (usati da Tocca per proteggersi dalla pittura)

Michele Tocca, "Pelle fiore", 2022, olio su lino.

 

 

 

 

 

 

e un paio di occhiali da sole attraverso i quali si scorge un paesaggio montano.

Michele Tocca, "Alba", 2022, olio su lino.

Poi c’è una serie composta da cinque dipinti che io ho interpretato come una rivisitazione del Time-Lapse, dato che ogni quadro rappresenta lo stesso soggetto immortalato, però, in cinque giorni diversi.

Ci sono Mura Aureliane, c’è grandine e persino un quadro che non doveva rappresentare la grandine ma per cause di forza maggiore (una grandinata improvvisa) lo ha fatto ugualmente; c’è fango (il “dialogo” con Carpanetto è molto azzeccato), 

 

Giovanni Battista Carpanetto, "Cascinali", 1886, olio su tavola.

 

 

ci sono piumini (e in questo caso il Repoussoir è anche fisico, per l’artista, in quanto - pur essendo un soggetto allergico - ha dipinto il quadro in questione immerso nella causa della sua allergia, sfidandone i fastidi tipici, quali ad esempio il naso chiuso e il bruciore agli occhi)

Michele Tocca, "Poussin's Fluff", 2018, olio su lino.

 e, come dicevo poco fa, ci sono nuvole…

Ma non ci sono figure. Né umane né animali. Nemmeno a scopo decorativo, come invece prevedeva lo Staffage[4] nei tempi antichi. C’è invece la natura, c’è il paesaggio, c’è il Repoussoir... sebbene alla rovescia. Per Richard Wilson[5] dipingere un Repoussoir avrebbe significato inserire un piccolo tronco di legno in un angolo in primo piano che avrebbe richiamato il nostro sguardo in profondità. Per Michele Tocca, invece, è il piccolo tronco che diventa paesaggio.

Michele Tocca, "Repoussoir (Muffa)", 2016, olio su lino.

Da dove arriva l’ispirazione?

Michele Tocca è cresciuto immerso nel mondo dell’Arte, tra stampe del Settecento-Ottocento; e il fatto che il nonno lavorasse in una cartiera ha contribuito certamente a creare le circostanze adatte a una sperimentazione artistica.

Ma l’ispirazione gli arriva anche dal settore letterario, in particolare dalla poesia. Francis Ponge[6] fra tutti, poiché asserì che la natura è fatta apposta per essere descritta. Un’affermazione simile ma riferita all’arte la fece il pittore Thomas Jones[7]: per lui, infatti, la natura è fatta apposta per essere dipinta.

“La natura non è mai inferiore all’arte, perché le singole arti imitano i fatti naturali. Se dunque è così, la natura, che è assolutamente perfetta in ogni singolo fatto e tutti li comprende, non può essere superata da nessuna abilità tecnica. Inoltre ogni singola arte crea ciò che è inferiore nell’interesse di ciò che è più elevato; lo stesso fa quindi la natura universale”.

Marco Aurelio

La mostra di Michele Tocca, impreziosita dai riferimenti Ottocenteschi, mi ha ricordato molto “Natura e Verità”, un’altra mostra (curata da Virginia Bertone) allestita alla GAM nel 2021, per temi[8],  colori e  periodo storico richiamato. Tra l’altro, avendo potuto fare il confronto diretto tra i dipinti di Tocca e il paesaggio di Subiaco (attraverso le foto che l’artista mi ha mostrato), ho potuto constatare la somiglianza impressionante tra i due prodotti (i dipinti e le foto). Il panorama che Tocca vede dalla casa dei suoi genitori è assai suggestivo, così “fumoso”, con una nebbia che rimane in mezzo alla visuale lasciando scoperte le cime dei monti…

Se volete scoprire quanto la pittura possa essere magica e meravigliosa, questa è la mostra che fa per voi...

 

 



[1] Nuova mostra alla GAM (Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea) di Torino: dal 22.06.23 al 05.11.23

Progetto vincitore del PAC2021 – Piano per l’Arte Contemporanea, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura.

[2] Giovanni Battista De Gubernatis, “Tondo con cielo e effetto di bufera tra nubi plumbee e rosate”, 1822, acquerello su carta; Antonio Fontanesi, “Bufera”, 1874 ca, olio su carta applicata su cartone; Massimo Taparelli D’Azeglio, “Lo studio del pittore a Napoli”, 1827 ca, olio su tela; Giovanni Battista Carpanetto, “Cascinali”, 1886, olio su tavola; Massimo Taparelli D’Azeglio, “Studio per l’antico sepolcro de’ monaci”, 1828-1829, olio su tela trasportata su masonite; Massimo Taparelli D’Azeglio, “Rudere di torrione presso la Sacra di S. Michele”, 1828-1829, olio su tela.

[3] Ambito Curatoriale di competenza di Virginia Bertone.

[4] In pittura, lo Staffage è un termine utilizzato per descrivere le figure umane e animali inserite in un contesto paesaggistico. Tali figure, di solito, sono di dimensioni ridotte in quanto non rappresentano l’argomento principale dell’opera. Servono, perlopiù, a dare un’idea della scala del dipinto e ad aumentare l’interesse visivo della composizione. Prima dell’adozione del termine in ambito artistico, tra il XVIII e il XIX secolo, Staffage (in tedesco, ma con la pronuncia alla francese) poteva significare “accessori” o “decorazione”. Poteva cioè indicare figure di corredo, inserite nell’opera per ragioni puramente compositive o decorative ma che rafforzavano il paesaggio, aggiungendo profondità alla scena rappresentata. Alcuni pittori specialisti del paesaggio, soprattutto in area fiamminga o olandese, erano soliti commissionare la creazione di Staffage ad altri pittori, perché decorassero le loro opere.

[5] Richard Wilson (01/08/1714, Penegoes, Regno Unito – 15/05/1782, Llanberis, Regno Unito). Fu un pittore (paesaggista) gallese e uno dei membri fondatori della Royal Academy nel 1768. Periodo/Corrente di appartenenza: Romanticismo.

[6] Francis Ponge, poeta francese del Novecento.

[7] Thomas Jones (26/09/1742, Cefnllys Castle – 29/04/1803). Fu un pittore britannico famoso per i suoi dipinti paesaggistici del Galles e dell’Italia. Fu, inoltre, allievo di Richard Wilson.

[8] Se i temi trattati in questa mostra vi incuriosiscono, alla GAM potrete trovare un libro - curato dalla grafica Chiara Costa - in cui sono contenuti dei saggi di Michele Tocca. Il libro in questione non descrive propriamente la mostra, ma la rispecchia, un po’ come farebbe un film tratto da un libro.

venerdì 16 giugno 2023

Metalli Sovrani

 

Cosa ci fa un’opera di Yves Klein al MAO, all’interno di una mostra che racconta il Medioevo Islamico? 

Yves Klein,"Monochrome bleu", 1959, pittura su carta, 21,5 x 18 cm, collezione privata.

È un punto di contatto tra l’Arte Antica e quella Moderna, è una fonte di dialogo tra le opere esposte il cui linguaggio è il colore blu. Attenzione, però, non si tratta di un blu qualsiasi… Lo spiega molto bene la Curatrice, Veronica Prestini, 

Davide Quadrio (Direttore del MAO) e Veronica Prestini (Curatrice della mostra "Metalli Sovrani").

ne “Il blu oltre(il)metallo”:

“La sperimentazione artistica di Yves Klein, che ha trasformato il colore in arte esaltando la luminosità e l’intensità del blu oltremare, è stata in qualche modo il compiersi di una ricerca che ha origini antichissime. Il blu oltremare può senza dubbio essere considerato come il più importante dei colori naturali già conosciuto e usato in pittura dagli Egizi e dagli Assiri.

Allora ottenuto dal lapislazzuli polverizzato, leggermente arroventato, poi trattato con acqua e aceto (poi ancora polverizzato e levigato in acqua) si trovava nei ricchi giacimenti del Badakhshan in Afghanistan e dell’Iran. Da lì proveniva la preziosissima materia prima usata nell’arte da incomparabili talenti. Essa giungeva in Europa dai porti del Vicino Oriente, controllati soprattutto dai veneziani, passando dai loro possedimenti d’Oltremare.

La ricerca stilistica del colore ha coinvolto in maniera assoluta anche i miniaturisti islamici dediti all’illustrazione dei manoscritti. Il blu oltremare domina infatti nelle pregiatissime miniature ed è spesso sapientemente accompagnato dalla foglia oro.

In quest’ottica “Monochrome bleu” permette di apprezzare l’evolversi della sapienza tecnica, artigianale e artistica, in continua tensione espressiva, divenuta un modello filosofico nell’interpretazione di Klein e di poter godere a pieno della profondità dirompente del suo colore.

Nell’allestimento della mostra, che ha come protagonisti metalli e miniature illuminate, si è scelto il colore brevettato da Yves Klein, l’”International Klein Blue” (“IKB”), perché in grado di esaltare la lucentezza del metallo e capace di restituire un ulteriore aspetto sensoriale grazie alla resa vellutata e corposa del colore”.

Cos’è, dunque, “Metalli Sovrani”?

Come già detto, è un modo per mettere in relazione le opere antiche con quelle moderne, per rileggere e ridare lustro alle une attraverso le altre. Ma non si tratta solo di questo.

Pannello e frammento di pannello provenienti dalla Siria.

 “Metalli Sovrani” si prefigge anche lo scopo di “complicare” la nostra lettura/rilettura delle opere. Quando salirete al quarto piano del MAO e accederete alla sezione islamica vi accorgerete che l’ambiente non è “affollato”, non ci sono – cioè – molti oggetti esposti. È stato fatto volutamente, così da permettere una sorta di rieducazione all’osservazione. Avere un numero limitato di opere da osservare, infatti, ci consente di focalizzare meglio la nostra attenzione su ognuna di esse, senza dispersioni. “Complicare” inteso nel senso di bandire la lettura superficiale dei manufatti a favore di una osservazione più attenta e un approfondimento culturale maggiore. Ma per integrare le collezioni già presenti nel Museo con altre collezioni e raccontare nuove storie non basta scegliere accuratamente cosa esporre… Per raggiungere una vera complementarietà e donare ai visitatori esperienze immersive, emozionanti e di approfondimento culturale è necessario un altro fattore: la collaborazione. Figure come quella di Veronica Prestini, in grado di donare sguardi freschi e innovativi alle collezioni, figure come quelle degli scienziati e degli studiosi specializzati in ogni settore (e qui entra in gioco la collaborazione con “The Aron Collection”[1]) sono indispensabili per “complicare” la lettura di ogni opera, cioè raggiungere i dettagli nascosti nelle “pieghe” e darne così una conoscenza profonda.

Entrando nello specifico…

I grandi temi della mostra sono quelli rappresentati dagli oggetti esposti e dalle incisioni su di essi: la scrittura, la poesia, il misticismo (in particolare, la mistica sufica), il firmamento (astronomia e astrologia[2]), il convivio/banchetto[3], la caccia, il profumo, gli auguri, la salute, la festa, i rituali, la luce, gli animali (soprattutto cavalli, ghepardi, cani, lepri e pesci) 

Coppa. Siria o Egitto, metà XIV sec. Ottone inciso e ageminato in argento. Museo d'Arte Orientale, Torino.

Vaso a forma di cavallo con cavaliere. Iran, XII-XIII sec. Ceramica "fritta", decorazione in blu cobalto sotto invetriatura turchese. MAO, Torino.

e i vegetali (come peonie e fiori di loto). I reperti con la targhetta blu, in particolare, possono essere letti su due livelli: quello estetico (le scritte[4] e l’apparato iconografico sono bellissimi) e quello poetico/beneaugurale. È un po’ come per le parole, che sono composte da significante e significato, o come il simbolo, che ha una parte “fisica” e una “spirituale”, eterea, inafferrabile…

Le opere provengono da aree geografiche diverse (tra cui l’Iran, la Siria, l’Iraq, l’Egitto e la Turchia) e da un lasso di tempo compreso tra l’XI e il XVII secolo. Ci sono portapenne,

Portapenne. Iraq, Mossul, XIII secolo. Lamina di ottone battuto e inciso e incrostato in oro e in argento. The Aron Collection.

 ciotole, candelieri e porta-torce (Mash'al), 

Candeliere. Egitto o Siria, XIV sec. Ottone battuto e inciso e incrostato in argento. The Aron Collection.

bruciaprofumi

A sinistra: bruciaprofumi. Jazira o Siria. Metà XIII sec. Bronzo inciso e incrostato con argento. The Aron Collection. A destra: bottiglia spargi-profumi. Iran, Khorasan, XII-XIII sec. Bronzo fuso, inciso e incrostato in argento. The Aron Collection.

e spargi-profumi, coppe da vino,
Coppa con pesci. Iran, XII-XIII sec. Ceramica "fritta", decorazione in nero sotto invetriatura turchese. MAO, Torino.

 
 ma anche coppe magico-terapeutiche e magico-rituali, 
Coppa magico-rituale (interno). Iran, XVII sec. Ottone inciso. MAO, Torino.

Coppa magico-rituale (esterno). Iran, XVII sec. Ottone inciso. MAO, Torino.

 
vassoi
Vassoio con iscrizione laudatoria. Egitto o Siria, XIII sec. Ottone battuto, inciso originariamente incrostato in argento. The Aron Collection.

 e manoscritti. 
Corano. Copista: Muhammad ibn Mirak. Afghanistan, Herat. Fine XIII sec. MAO, Torino.

 
Anche le contaminazioni linguistiche e iconografiche  sono numerose e provano la grande circolazione culturale nel Mediterraneo. E, a proposito di mescolanze, ho da comunicarvi un’informazione preziosa: avendo ottenuto l’assegnazione del PNRR per l’accessibilità (della durata di tre anni), il MAO ha potuto fregiarsi di inserire  tra le lingue-guida il LIS (Lingua Italiana dei Segni), oltre – naturalmente – all’Italiano, all’Inglese e all’Arabo.

Dal grado di complessità delle incisioni – che, a guardarli bene, somigliano a dei ricami – e dal loro significato evinciamo che gli autori di questi manufatti non erano semplici artigiani, bensì dei veri e propri artisti, per di più molto colti…

Bacile (dettaglio). Iran, Fars, XIV sec. Lamina di ottone battuto, inciso e incrostato in argento. Diametro 43 cm. Altezza 7,5 cm. The Aron Collection.

“Metalli Sovrani”[5] è una mostra complessa, stratificata, ma vi aprirà delle porte nella conoscenza  e vi donerà un bagaglio di bellezza e curiosità dal valore inestimabile.

 



[1] “La Aron Collection è il frutto della straordinaria stagione del collezionismo di arte islamica in Europa che maturò nella seconda metà del secolo scorso. Negli anni ’70 raffinati intenditori e studiosi dotati di particolare talento e sensibilità promossero una sorta di circolo virtuoso: gli studi univano i musei dove si cominciavano a valorizzare esemplari noti e meno noti, se non sconosciuti, e i collezionisti che mettevano a disposizione quanto avevano raccolto con passione e preparazione”.

[2] L’astrologia era considerata dagli arabi al pari di una disciplina scientifica ed era strettamente legata all’astronomia, la scienza delle sfere celesti.

[3] C’era persino un genere letterario chiamato “banchetto e battaglia” che stava a indicare come i fasti della pace si contrapponessero in maniera ciclica all’ardore della battaglia. Il banchetto era anche la celebrazione di un’antica festa persiana dell’equinozio di primavera, ovvero il capodanno solare.

[4] Il rigore delle arti calligrafiche era, tra l’altro, espressione di innumerevoli titolature regali e dei dettami del Corano e testimoniava la ricerca di un equilibrio tra le prerogative regie e gli ineluttabili dettami del divino.

[5] “Metalli Sovrani – La festa, la caccia e il firmamento nell’Islam medievale”. Dal 16.06.23 al 17.09.23, al MAO di Torino.