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LA BELLEZZA

sabato 30 ottobre 2021

IL LIBRO DELLE SORTI E DEI MUTAMENTI - Fernando Sinaga

 

Dal 30 ottobre 2021 al 6 marzo 2022.

 

Ci sono cose che l’uomo, dall’alba dei tempi, sta tentando di fare e, nei confronti delle quali, ancora oggi, non accenna a darsi per vinto: viaggiare nel tempo, beffare la morte, sfidare Dio e anticipare il futuro sono alcune delle più eclatanti missioni che l’essere umano si è dato e si dà pena di compiere. Oggi mi soffermerò in particolare sull’ultima. Il futuro è, come tutti ben sappiamo, una notevole incognita, praticamente impossibile da prevedere o da decifrare. Nei secoli si è tentato di tutto: dalle viscere degli animali al volo degli uccelli, dai fondi di caffè a quelli del tè, dai tarocchi alla lettura della mano, i mezzi usati per gettare lo sguardo un po’più in là suscitano orrore e fascino, credulità e scetticismo, allo stesso tempo.


 Meno famoso dei tarocchi, ma antico, misterioso e certamente meritevole di un posto d’onore nella cerchia dei metodi di divinazione è l’I Ching, anche noto come Libro dei Mutamenti. Al MAO ( Museo d’Arte Orientale) si apre oggi una mostra suggestiva e misteriosa quanto ciò a cui si ispira. “Il Libro delle Sorti e dei Mutamenti” – questo il titolo della mostra di Fernando Sinaga, a cura di Begoña Martínez e Pedro Medina – affronta, infatti, con originalità e spessore il tema della previsione del futuro.

A partire da sx: Marco Guglielminotti (Direttore del MAO), Pedro Medina (curatore), Begoña Martínez (curatrice), Fernando Sinaga (artista), Federica (interprete).

 

 Con le sue opere l’artista sembra aver provato a riscattare un passato lontano in cui, a causa dei divieti inquisitoriali, i testi di divinazione e i giochi d’azzardo erano severamente proibiti poiché solamente a Dio era concessa la facoltà di predire il futuro. I meriti di Sinaga, però, non terminano qui: l’artista spagnolo ha, infatti, saputo coniugare Oriente e Occidente ed è riuscito a dare nuovo lustro alla concezione antica di Mutamento. Cos’è il cambiamento se non – paradossalmente – una delle poche costanti sulle quali possiamo fare affidamento? D’altronde lo abbiamo potuto constatare con maggior potenza proprio in questi ultimi anni, periodo in cui siamo stati costretti a fare i conti con – passatemi il gioco di parole – la certezza dell’incertezza. 


La Natura è così, da una parte l’effimera solidità del passato e all’altra l’assoluta incostanza del presente insieme alla costante imprevedibilità del futuro. Per tornare a ciò che dovrete aspettarvi dalla mostra, posso anticiparvi (e no, non è divinazione la mia) che assisterete a un “dialogo” delle opere/installazioni di Sinaga con due importanti volumi: una copia a stampa del classico cinese “Il Libro dei Mutamenti” (I Ching / Yijing) di metà Ottocento, proveniente dalla Biblioteca dell’Università La Sapienza di Roma, e un facsimile del “Libro delle Sorti”
Facsimile del "Libro delle Sorti"

 proveniente dalla Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia. Quest’ultima, in particolare, è una pregevole riproduzione dell’opera omonima scritta da Lorenzo Spirito nel 1482. Ed ecco spiegato il connubio tra Oriente e Occidente… Se tutto questo vi ricorda Eraclito e il suo celeberrimo “panta rei” (“tutto scorre”), siete sulla buona strada per percepire nel profondo l’intento dell’artista: sottolineare che il nostro essere è in continuo divenire così come in divenire è anche la nostra sorte. Si tratta di un equilibrio basato sull’instabilità, per dirla in maniera concisa. Ed è proprio vero, come fa notare Pedro Medina, che forse non ci è possibile bagnarci nello stesso fiume, ma di sicuro torniamo sempre alla stessa riva: nella vita abbiamo sempre cercato dei punti fissi, dei riferimenti, ma arriva un momento in cui il cambiamento stesso diventa – paradossalmente – punto di riferimento. Il cambiamento, dunque, finisce per essere una costante universale, anche se – ultimamente, per via della Pandemia – ha ripreso una piega più vicina all’incertezza. E davanti all’incertezza – spiega ancora Medina – possiamo reagire in vari modi: con la paura (che ci spinge ancor più a cercare punti saldi), oppure con la speranza. Come reagiamo davanti al futuro? Quali paure scopriamo di nutrire? Quali desideri coviamo? Quali preoccupazioni ci affliggono?


 In questa mostra, dunque, si è tentato di rendere visibile l’invisibile e di spiegare l’inspiegabile. 

Ma perché il MAO è proprio il luogo ideale per proporre una tale esposizione? Beh, per tanti motivi, stando alle parole dello stesso Sinaga: innanzitutto perché già di per sé è un Museo che ha fatto degli incroci di culture il proprio pane, poi perché –all’ingresso – ci si trova immediatamente catapultati in mezzo a due grandi forze ( da un lato la stabilità del mondo minerale

Entrando, sulla sinistra.

 e dall’altro la mutevolezza del mondo vegetale);

 

 

 

 

 

 

Entrando, sulla destra.

 a coronare il tutto e 

 

 

 

 

 

a fare da paciere, al centro, c’è una bellissima statua di Buddha. 

Di fronte all'ingresso del MAO.

C’è ancora una ragione, però: il MAO si trova a Torino, la quale è – per eccellenza – la città in cui confluiscono magia, forze e misteri.

 Interessante, poi, è il modo in cui Sinaga è riuscito a rendere in maniera convincente l’imprevedibilità che caratterizza il Mutamento: ogni carta oracolare appesa alle pareti possiede uno schizzo, uno spruzzo di stagno e argento unico e irripetibile, proprio in quanto dettato dall’impossibilità di prevederne il disegno finale. Una sorta di calcolo combinatorio del Caso, insomma, che ci ricorda quanto sia illusoria la nostra presunzione di ciò che avverrà. In passato, per leggere l’avvenire, si usava far cadere nell’acqua una piccola quantità di metallo fuso e Sinaga ha voluto riprendere questa tecnica facendo per uso del marmo come superficie di raffreddamento. Altra curiosità: ogni carta rispecchia due elementi, uno occidentale e uno orientale, ad esempio la “S”, sul fronte delle carte, sta per “Sinaga”, mentre sul retro compare un esagramma dell’I Ching. La ceralacca, invece, ha la funzione di “sigillare” il segreto nascosto nello strumento oracolare. In una delle installazioni è anche presente un riferimento a Nishida (filosofo giapponese) che costruì la propria filosofia attorno al concetto di vuoto e a quello di morte vista non come elemento avulso dalla realtà bensìcome perno attorno al quale si crea e si sviluppa la vita.


 Comunque sia, al di là di tutte le congetture, le spiegazioni e le interpretazioni che si vogliono e si vorranno dare di questa mostra e del contesto fisico in cui essa si trova, c’è un intento che è quello di condensare il tempo e di provocare uno stato mentale, una percezione di noi stessi e del mistero che ci circonda...

 

 

 

 


 

NOTE:

·        La mostra sarà visitabile dal 30 ottobre 2021 al 6 marzo 2022.

·        La mostra è realizzata con l’appoggio di Acción Cultural Española (AC/E) grazie al Programma di Internazionalizzazione della Cultura Spagnola (PICE).

·        Se hai dubbi o vuoi semplicemente approfondire i concetti espressi nella mostra, puoi richiedere il catalogo al Museo.

giovedì 14 ottobre 2021

FATTORI – Capolavori e aperture sul ‘900

 

Fotogramma tratto dal filmato su Giovanni Fattori

 

Ieri ho provato un’emozione stranissima e molto rara: avete presente quando state chini sui testi scolastici, a studiare Storia dell’Arte, accontentandovi di vedere le opere dei grandi artisti immortalate in piccole foto che – purtroppo - mal rendono la bellezza e la magnificenza delle opere stesse? Di rado, nella mia vita, ho potuto ritrovare dal vivo quelle opere e oggi è stata una di quelle occasioni. Sono stata invitata alla GAM di Torino - luogo che ultimamente frequento spesso – per assistere all’inaugurazione di una nuova mostra che ha per protagonista Giovanni Fattori[1] (Livorno 1825 – Firenze 1908), così ho avuto il piacere di ritrovarmi davanti agli occhi opere che avevo potuto fino ad ora vedere solamente sulla carta. È un’esperienza che potete fare anche voi se, come me, avete studiato questo e altri artisti (tra cui Amedeo Modigliani), ma i libri di scuola non vi sono bastati. Adesso, se avrete la pazienza di seguirmi, vi racconterò le cose che ho visto, sperando di riuscire a evocarne la meraviglia, attraverso le parole.

La mostra si apre con un autoritratto, un olio su tela realizzato nel 1854, che raffigura un Fattori molto giovane e che nulla ha da invidiare ai moderni selfie.

Giovanni Fattori, "Autoritratto", 1854, Olio su tela, Gallerie degli Uffizi - Galleria d'Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze.

 Il mezzobusto, leggermente di profilo, regge una tavolozza con la mano sinistra e ha l’aria pensierosa, meditabonda. Va ricordato che l’artista era un uomo assai modesto, semplice, umile; egli stesso dichiarò, infatti: “I critici d’arte mi hanno onorato della loro stima, e molto benevolmente mi hanno criticato, e lodato – ma per fortuna il mio carattere indipendente non si è curato né delle lodi, né delle critiche: ho camminato per la mia strada, e sempre camminerò finché vivo. Il mio ideale è stato i soggetti militari […] però minuto osservatore mi è piaciuto illustrare anche la vita sociale nelle sue manifestazioni più tristi. Ciò ha fruttato che i miei quadri non sono mai andati a genio né ai negozianti, né agli amatori i quali amano soggetti sensuali e volgari”. [1904]

Per che cosa, dunque, è stato riconosciuto e – allo stesso tempo - “snobbato” Giovanni Fattori? Scopriamolo subito.

Dopo aver partecipato - con candore fanciullesco - ai moti rivoluzionari del ’48, Fattori cercò – allo stesso modo – di approcciarsi (invano)  al chiuso ambiente artistico fiorentino. Già dai primi anni Cinquanta, però, cominciò a frequentare il Caffè Michelangelo, dove ebbe modo di entrare in contatto con “una classe di giovani [artisti], i quali erano divenuti nemici dei professori accademici: guerra all’arte classica!” L’adesione di Fattori alla macchia[2] si palesa proprio allora. Quel qualcosa che, fin dagli anni dell’Accademia, lo aveva reso insofferente nei confronti della pittura storico-celebrativa, aveva finalmente un nome: “puro verismo”. Lo scopo dell’artista è quello di indagare la realtà, gli animali, il paesaggio nel tentativo “di mettere  sulla tela tutte le sofferenze fisiche e morali di tutto quello che disgraziatamente accade”. D’altronde, prosegue Fattori “Quando all’arte si leva il verismo che resta? Il verismo porta lo studio accurato della Società presente, il verismo mostra le piaghe da cui è afflitta, il verismo manderà alla posterità i nostri costumi e le nostre abitudini[3]”. Proprio per tali motivi i soggetti/temi prediletti dall’artista sono la vita militare e il lavoro dell’uomo. Fino ad allora le grandi battaglie storiche erano state rappresentate al fine di sottolineare patriottismo, coraggio, valor militare, con Fattori – invece – le opere rappresentano scene di vita quotidiana, meno appariscenti o meno  degne di nota, ma proprio per questo più reali. I soldati non sono eroi, bensì uomini. E i paesaggi, gli animali così come il lavoro agricolo, la fatica e la sofferenza diventano i veri protagonisti delle tele di Fattori. Verso questo meticoloso e attento (e rivoluzionario) studio del vero (e dal vero), Fattori fu inizialmente indirizzato dal pittore romano Nino Costa che, trasferitosi a Firenze nel 1859, s’accorse immediatamente delle straordinarie doti pittoriche dell’artista livornese, tanto che incoraggiò Fattori a partecipare al concorso bandito da Bettino Ricasoli (“allora reggente il governo della Toscana”) nel 1859. I temi di tale concorso erano quattro grandi battaglie risorgimentali: Curtatone, Palestro, San Martino e Magenta. A cavallo tra il 1861 e il 1862 Fattori vinse il concorso presentando una delle proprie tele intitolata “Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta”.

Giovanni Fattori, "Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta" (versione ridotta), 1862, Olio su tela, Collezione privata.

 Quest’ultimo è – insieme all’autoritratto di cui sopra – uno dei dipinti di apertura della mostra allestita alla GAM. Particolari sono i soggetti di questo quadro: non soldati schierati e maestosi, bensì sparpagliati e feriti. In primo piano persino un’”ambulanza” dell’epoca. La scena conserva, tuttavia, grande dignità e fascino. L’opera non può ancora definirsi macchiaiola,  in quanto rispondente a molti dei canoni della tradizione accademica, ma i temi sono già quelli tipicamente fattoriani. Se però desiderate vedere opere di stampo maggiormente macchiaiolo, la mostra ne è ricca: uno dei dipinti che più spesso si trovano sui testi scolastici è “In vedetta”

Giovanni Fattori, "In vedetta" ("Il muro bianco"), 1872, Olio su tela - Fondazione Progetto Marzotto, Trissino.

 e non vi dico la mia aria meravigliata e, oserei dire, stupefatta quando mi ci sono trovata davanti! Il contrasto tra le figure dei soldati – scuri su sfondo chiaro – è emblematico della Corrente macchiaiola. Ma ancor più attinente è “Soldati francesi del ‘59”,

Giovanni Fattori, "Soldati francesi del '59", c.ca 1859, Olio su tavola - Istituto Matteucci, Viareggio.

 

 dove i soldati – soggetti del dipinto – sembrano effettivamente ‘macchie’ sullo sfondo: sono disposti in ordine sparso, poco dettagliati, ma in netto contrasto col colore chiaro dello sfondo. Non per questo, comunque, bisogna pensare che le rappresentazioni manchino di realismo, infatti – nonostante la povertà di dettagli – l’osservatore è perfettamente in grado di riconoscere le figure, di distinguerle e di ‘perdersi’ nella ‘verità’ della scena.

Come già accennato, la mostra abbonda di opere (oltre 60) che sono suddivise in 9 sezioni. Il periodo preso in esame è quello che va dal 1854 al 1894. Ci sono i ritratti delle due consorti di Giovanni Fattori,

Giovanni Fattori, "Ritratto della prima moglie Settimia Vannucci", 1865, Olio su tela - Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea, Roma.


 
Giovanni Fattori, "Ritratto della seconda moglie", 1889, Olio su tela - Gallerie degli Uffizi - Galleria d'Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze.

 ci sono acqueforti, ci sono dipinti i cui soggetti sembra quasi possano uscire dalla tela per il loro realismo e ci sono dipinti più aderenti alla Corrente dei Macchiaioli, quindi meno dettagliati ma pur sempre evocativi. E poi, dulcis in fundo, c’è un filmato: è la vita dell’artista, raccontata con le sue parole, col suo accento fiorentino; una vita modesta, ma dedita all’arte in tutto e per tutto; una vita che denota grande sensibilità eppure grande passione. Giovanni Fattori era solito portare con sé un album da disegno su cui ‘prendeva appunti’, cioè faceva schizzi, bozzetti e ‘annotava’ ciò che vedeva. Se non è passione, questa… Tra le varie opere esposte compaiono anche quelle di Plinio Nomellini (col suo “Mare di Genova”), Carlo Carrà (con “Capanni sul mare”), Amedeo Modigliani (con “La ragazza rossa”),

Amedeo Modigliani, "La ragazza rossa" ("Testa di donna dai capelli rossi"), 1915, Olio su tela - GAM Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea, Torino.

Giorgio Morandi (con “Paesaggio”),Oscar Ghiglia (con “La toilette”) e dovrebbe arrivare a giorni anche un’opera di Lorenzo Viani. Inoltre, va detto che la GAM è particolarmente fiera di poter esporre “Gotine rosse[4]”,

Giovanni Fattori, "Gotine rosse", c.ca 1882, Olio su tavola - GAM Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea, Torino.

 

 opera assicurata alla Galleria da Vittorio Viale. Perché ho detto che sono opere evocative? Semplice: perché spesso dai dipinti trapela la calura estiva o la desolazione o la quiete o l’odore dei campi, della fatica, del sudore, del bestiame o quello del mare…

È stata un’impresa non da poco riunire sotto lo stesso tetto della GAM di Torino così tante opere di Giovanni Fattori, perciò mi sono sentita veramente onorata per aver potuto donare ai miei occhi la gioia di visitare l’esposizione. Ed è per questo che vi esorto a prendervi del tempo per bearvi di tale e tanta bellezza; l’occasione è unica e succulenta!

 

 

 



[1] La mostra “FATTORI – Capolavori e aperture sul ‘900” è a cura di Virginia Bertone e Silvestra Bietoletti, le quali sono state affiancate dal Comitato Scientifico composto da Cristina Acidini, Giuliano Matteucci e Fernando Mazzocca; è organizzata e promossa da GAM Torino – Fondazione Torino Musei e da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE in collaborazione con l’Istituto Matteucci e il Museo Civico Giovanni Fattori di Livorno. e sarà visitabile dal 14.10.2021 al 20.03.2022 alla GAM (Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, sita in Via Magenta, 31).

 

[2] «I Macchiaioli sono un gruppo di pittori italiani che si riuniscono, dal 1855 al 1867, al Caffè Michelangelo di Firenze e che traggono ispirazione dalla realtà, rifiutando i soggetti storici, mitologici e religiosi del Neoclassicismo e del Romanticismo.

Così Diego Martelli, critico d’arte amico dei Macchiaioli, spiega il significato della loro ricerca pittorica: “Il contorno e la forma precisa non esistono in natura e poiché alla luce tutto risulta per colori e per chiaroscuro i Macchiaioli ottennero gli effetti del vero solo con il contrasto fra toni scuri e toni chiari”.

Alla prima impressione le forme ci appaiono come macchie di colore, usate per sintetizzare la natura lavorando in modo rapido e immediato.

Fattori, Lega, Signorini, Sernesi, Abbati sono i principali esponenti del gruppo. Sono repubblicani e anarchici; partecipano anche alle guerre d’indipendenza, dipinte con vivace realismo da Fattori.

Gli artisti lavorano in piccoli gruppi, fra cui spiccano la Scuola Piagentina (Lega, Signorini) e la Scuola di Castiglioncello (Fattori, Abbati, Sernesi). La crisi dei Macchiaioli inizia dal 1880 con l’affermazione del Simbolismo, i cui obiettivi sono del tutto diversi da quelli del Realismo, che i Macchiaioli propagandano». [“Leggere l’immagine – La Storia dell’Arte”, Paola Bersi e Carlo Ricci, Zanichelli.]

[3] “Itinerario nell’Arte” Volume 3, Dall’Età dei Lumi ai giorni nostri – Giorgio Cricco e Francesco P Di Teodoro, Zanichelli.

[4] [Il dipinto è appartenuto alle collezioni fiorentine di Giovanni Malesci e poi di Mario Galli].