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LA BELLEZZA

mercoledì 22 novembre 2023

I POTERI DEGLI SPECCHI

 

 


“Interrogato se Narciso sarebbe giunto a vedere una lunga, tarda vecchiaia, l’indovino aveva risposto: «Se non conoscerà se stesso[1]»”.

Potrebbe sembrare una profezia in netto contrasto con la massima incisa nel Tempio di Apollo, a Delfi, che recitava: «Conosci te stesso», invece non lo è, anzi, le due affermazioni possono essere considerate l’una il completamento dell’altra. «Conosci te stesso» è una esortazione a cercare la propria vera natura, a non bastarsi mai, a crescere sempre. Perché arrivare a conoscersi definitivamente è tutt’altra cosa: si tratta di credere di essersi trovati, illudersi di non aver più bisogno di niente e di nessuno e precludersi, così, la possibilità di scoprire le altre innumerevoli caratteristiche che ci contraddistinguono. Quelle caratteristiche rappresentano il nostro essere in tutti i modi e in tutti i tempi. Narciso ha ceduto a una sorta di avarizia che lo ha fatto implodere; una brutta fine, la sua, avvenuta proprio perché ha conosciuto se stesso o, meglio, si è convinto di essersi trovato e, in un impeto di folle autostima, si è impedito di lasciar andare se stesso. In altre parole, ha impedito a se stesso di crescere e – per estensione – di vivere.

Siamo creature straordinarie ed è bene imparare ad amare noi stessi, è bene indagare su ciò che si cela nelle profondità della nostra mente e del nostro cuore, ma non dobbiamo dimenticare che, a volte, per capire chi siamo, chi siamo stati e chi vogliamo essere, abbiamo bisogno di staccarci dalle nostre certezze. Gli altri possono diventare i nostri specchi e noi possiamo esserlo per loro, come l’acqua lo è stata per Narciso. Per non incorrere nel suo stesso errore basterà non fossilizzarci sulle “immagini” che vedremo riflesse, ma farne tesoro per potere aggiungere – di volta in volta – un tassello all’immenso puzzle che ognuno di noi è. Luigi Pirandello lo aveva capito molto bene quando scrisse “Uno, nessuno e centomila”, romanzo nel quale il povero Vitangelo Moscarda si lascia condizionare da un commento della moglie a proposito del suo naso.

“«L’uomo più felice della terra riuscirebbe a usare lo Specchio delle Emarb come un normale specchio, vale a dire che, guardandoci dentro, vedrebbe se stesso esattamente com’è. Cominci a capire?»

Harry ci pensò su. Poi disse: «Ci vediamo dentro quel che desideriamo… le cose che vogliamo!»

«Sì e no» disse Silente tranquillo. «Ci mostra né più né meno quello che bramiamo più profondamente e più disperatamente nel nostro cuore. […] E tuttavia questo Specchio non ci dà né la conoscenza né la verità. Ci sono uomini che si sono smarriti a forza di guardarsi, rapiti da quel che avevano visto; e uomini che hanno perso il senno perché non sapevano se quello che mostrava fosse reale o anche solo possibile. […] Ricorda: non serve a niente rifugiarsi nei sogni e dimenticarsi di vivere[2]»”.

I sogni ci tengono in vita, i desideri ci fanno crescere, ma né gli uni né gli altri possono svolgere il loro compito se non li applichiamo nella quotidianità. Guardarsi dentro è fondamentale per capire cosa si vuole, ma solo se poi si trova il coraggio di realizzarlo. Sognare la vita per poi viverla come nel sogno.

Gli specchi sono potenti ma anche pericolosi, dunque, e bisogna prestare la massima attenzione quando vi si osservano le immagini riflesse e, ancor di più, quando li si attraversa. Lewis Carroll, per esempio, fa vivere grandi avventure ad Alice quando le fa attraversare lo Specchio, ma sono avventure non prive di vertigini e stordimenti. Innanzitutto le viene prospettata la possibilità di perdere il suo nome. Il nome è l’identità e perdere l’identità sicuramente non è piacevole, ma lo scopo di ogni viaggio non è forse uscire dalla routine quotidiana e scoprire cose nuove? Non si viaggia, forse, per trovare e per trovarsi? E se ci si trascina una zavorra, una certezza tanto pesante quanto lo è il nome, è ugualmente possibile godersi l’avventura della ricerca?

Poi c’è la questione della memoria.. Vivere a rovescio presenta uno strano vantaggio: “la memoria lavora in entrambi i sensi”. È possibile ricordare le cose prima che siano accadute? In realtà, se ci pensiamo bene, è una cosa che più o meno tutti, prima o poi, sperimentiamo. Nel mondo onirico coi sogni premonitori, da svegli con déjà vu e precognizioni, nello spazio sconfinato della nostra psiche con l’immaginazione siamo perfettamente in grado di sovvertire l’ordine del Tempo a cui siamo abituati, solo che di solito archiviamo quegli episodi di libertà mentale come inspiegabili follie momentanee e cerchiamo di ritornare in fretta alla “normalità”.

“Gli specchi hanno qualcosa di mostruoso”- secondo ciò che scrisse Jorge Luis Borges in “Finzioni” – e possono rappresentare un pericolo se vi si indulge in modo sconsiderato, ma – a saperli sfruttare in modo corretto – ci si guadagna sempre almeno un cambiamento di prospettiva, un punto di vista differente, ovvero meravigliose prove di rivoluzione esteriore e interiore.

“Mi chiamo Hor.

Ma chi è questo: IO-Hor? Sono soltanto una persona? Oppure sono due persone contemporaneamente e possiedo le esperienze della seconda? Sono molte persone contemporaneamente? […] Qualcosa di mio arriva fino a voi là fuori, a quell’uno o a quei molti che siete tutt’uno con me come le api con la loro regina? Mi sentite, membra del mio corpo sparso? Sentite le mie impercettibili parole, ora o fuori del tempo? Per caso cerchi me, oh mio altro io? Cerchi Hor, che sei tu stesso? Cerchi il tuo ricordo che è presso di me? Forse che, come stelle, ci avviciniamo l’uno all’altro attraverso spazi infiniti, passo dopo passo, immagine dopo immagine?

E arriveremo mai a incontrarci, un giorno o fuori del tempo? E che cosa saremo allora? O non saremo più? Ci annulleremo a vicenda come il sì e il no?”

“O forse non facciamo altro che sognarci tutti a vicenda? Un intreccio di sogni, un groviglio senza confini, senza fondo? Siamo tutti un unico sogno che nessuno sta sognando?[3]

Siamo uno, ma in realtà siamo anche tanti e – forse – i tanti che siamo sono in collegamento con i tanti degli altri… E, quando sogniamo, chi è il sognatore e chi il sognato? E siamo più svegli nel sonno o nella veglia? E se la realtà fosse capovolta o rovesciata, da quale parte sarebbe la verità? Oppure la verità varia a seconda del punto di vista dell’osservatore? Se fosse così, non potrebbe esistere una verità assoluta, perciò tutti avremmo ragione, ma anche torto.

“Ho creato in me varie personalità. Creo costantemente personalità. Ogni mio sogno, appena lo comincio a sognare, è incarnato in un’altra persona che inizia a sognarlo, e non sono io. Per creare, mi sono distrutto; mi sono così esteriorizzato dentro di me che dentro di me non esisto se non esteriormente. Sono la scena viva sulla quale passano svariati attori che recitano svariati drammi[4]”.

 I sogni, come si può notare, sono molto simili agli specchi perché ci mostrano la realtà, ma ci possono anche ingannare; ci fanno entrare in un'altra dimensione che è vicina quanto lontana dal mondo reale, una dimensione in cui il Tempo non esiste e non distinguiamo le ombre da chi le proietta. Come nel Mito della Caverna di Platone, narrato nel Libro VII de “La Repubblica”. Il Mito racconta la storia di uomini incatenati da tutta la vita all’interno di una caverna e costretti a vedere solo le ombre proiettate dalla realtà; per quegli uomini le ombre sono la realtà. Il loro è un mondo a due dimensioni, proprio come le immagini che vediamo riflesse negli specchi. Le ombre e i riflessi hanno in comune il fatto di essere proiezioni di un altro mondo, ma – allargando il concetto – potremmo dire che rappresentano entrambe dei “portali” per realtà alternative. E, quando immaginiamo altri mondi, siamo spinti a “riconsiderare la nostra posizione nel contesto del nostro stesso mondo. […] In pratica è proprio dalla percezione del sé che nasce la consapevolezza di tutto ciò che non è sé […]: quando immaginiamo il mondo che non abbracciamo con la nostra esperienza, stiamo scavando nelle profondità della nostra stessa psiche[5]”.

Specchi e caverne ci aiutano a tenere vivi dubbi atavici: è davvero tutto qui oppure esistono altre dimensioni? Qual è la realtà e qual è la proiezione? I mondi che creiamo con  l’immaginazione possono essere reali quanto quello in cui viviamo? Ammesso che quello in cui viviamo sia reale…

“L’immaginazione umana può creare interi universi, nei quali possiamo viaggiare servendoci degli abissi della disperazione o delle vette dell’estasi. […] Abbiamo tutti quanti un estremo bisogno di scoprire nuove realtà, di accedere a quanto è situato appena al di là della nostra capacità di percezione. […] Ciò non implica necessariamente che ogni aspetto di quei mondi che non sono accessibili alla nostra esperienza diretta sia pura immaginazione[6]”.

“Nel sogno dell’uomo che sognava, colui che era sognato si svegliò”. Borges scrisse questa frase in un racconto intitolato “Le rovine circolari”. Già di per sé si tratta di un’affermazione inquietante, ma ancor più inquietanti sono le parole con le quali il racconto si chiude, ovvero: “Con sollievo, con umiliazione, con terrore, comprese che anche lui era un’apparenza, che un altro lo stava sognando”.

E se la vita che viviamo (e di cui crediamo di avere le redini) fosse il sogno di qualcun altro? E se i nostri sogni fossero, in realtà, sogni nei sogni? Una specie di “Inception”, tanto per intenderci…

Nel libro più famoso di Michael Ende – “La Storia Infinita” – compaiono diversi specchi. La storia inizia, infatti, con una scritta al contrario. È un avvertimento, un’espediente usato per richiamare l’attenzione di Bastiano e dell’altro protagonista coinvolto nella narrazione, ovvero il lettore stesso. È un modo per dirci che stiamo per entrare in un altro mondo non meno reale di quello in cui viviamo. Ed è da lì che dovremo passare per trovare il “verso giusto” della vita.

C’è uno specchio nella soffitta in cui Bastiano si rifugia per leggere. È uno specchio tradizionale che riflette il corpo, l’esteriorità di Bastiano (e di ciascuno di noi), ed essendo un normalissimo specchio ci rimanda un’immagine satura di condizionamenti: ci dice solo quello che pensiamo di noi stessi. È un’immagine realistica, ma non per questo veritiera.

E poi c’è la Porta dello Specchio Magico…

Nessuno sa di quale materiale sia fatta; quando vi si sta davanti, non ci si vede riflessi come in un normale specchio, perché quello che si vede è il proprio Io interiore, quello vero, quello autentico. Chi ha intenzione di oltrepassare questa porta dovrà quindi entrare in se stesso e va da sé che ogni individuo vedrà qualcosa di diverso.

Nessuno di noi conosce realmente la propria natura, perciò vedere il proprio Io può rappresentare una magnifica scoperta o, al contrario, una rivelazione terrificante! È però necessario rammentare che, poiché abbiamo tante sfumature dentro di noi, sarebbe un grave errore identificarci con una di esse in via definitiva. Carl Gustav Jung, Robert Louis Stevenson e molti altri hanno raccontato i pericoli dell’immedesimazione assoluta.

Comunque sia, la porta/specchio di cui parla Ende non è solo uno strumento in grado di riflettere, ma anche un modo per proiettare al di fuori ciò che abbiamo dentro perché possiamo accorgerci delle nostre potenzialità. Non disponendo di Porte Magiche nei nostri salotti non ci resta che affidarci ai ritratti parziali che ci rimandano le persone intorno a noi. Guardando gli altri, infatti, non vediamo che noi stessi o, meglio, parti di noi. I pregi e i difetti che riscontriamo in coloro che ci circondano non sono altro che le nostre aspirazioni e le nostre paure; le cose che ci infastidiscono negli altri ci dicono più cose di noi che di quegli altri. Gli Specchi Esseni si basano proprio sul principio appena enunciato. Ma come si supera questa porta? Atreiu (che potremmo considerare come l’alter ego di Bastiano) si avvicina allo specchio con l’ingenuità tipica di ogni bambino, mosso da una curiosità sincera e privo di aspettative, paure, orgoglio, illusioni, certezze o preconcetti e ciò che vede lo sorprende e lo lascia perplesso. Con questa sensazione di meraviglia riuscirà a oltrepassare il secondo ostacolo e arrivare al successivo. In pratica, essere neutrali in partenza ci porta a meravigliarci all’arrivo.

“Gesù disse: «Colui che cerca non desista dal cercare fino a quando non avrà trovato; quando avrà trovato si stupirà. Quando si sarà stupito, si turberà e dominerà su tutto[7]»”.

Ma anche quando si “arriva” non ci si deve mai considerare arrivati del tutto.. «Conosci te stesso» - lo abbiamo detto – non significa pensare di conoscersi fino in fondo. È un buon modo per tendere sempre al miglioramento, per avere, in noi, qualcosa da cercare, come un talento, un potere, un mistero.

Guardarsi allo specchio è un po’ come vedersi da fuori: mentre tu guardi i tuoi occhi nello specchio, l’immagine nello specchio sembra fissare i tuoi occhi. L’effetto è amplificato se pensiamo che gli occhi stessi sono come specchi. Praticamente siamo specchi negli specchi, novelli Dante Alighieri in Paradiso riflessi negli occhi di un Dio che vediamo riflesso nei nostri.

Eppure siamo esseri fragili, rosi dalla paura del giudizio altrui, vittime delle incertezze, schiavi delle apparenze, come la matrigna di Biancaneve che domandava continuamente al suo specchio chi fosse la più bella del Regno. “E lo specchio rispondeva” che lei era la più bella. “Ed ella era contenta, perché sapeva che lo specchio diceva la verità[8]. Scoprire di avere una “rivale” che la superava in bellezza fu per la Regina un duro colpo, l’invidia prese il sopravvento su di lei e la indusse a compiere azioni terribili che, alla fine, le si ritorsero contro, come se avesse lanciato una maledizione… allo specchio. Ci sono varie spiegazioni all’ossessione della Regina per il proprio aspetto fisico, ma ritengo ce ne siano tre che calzano a pennello: la prima mi induce a pensare che la donna godesse inizialmente di una grande autostima (supportata dalle parole “lo specchio diceva la verità”) che, però – a un certo punto – rivela la propria fragilità; la seconda, invece, mi suggerisce che lo specchio potesse rappresentare il giudizio degli altri, talmente importante  per la Regina, da indurla a fidarsi di lui; la terza ipotesi, infine, mi porta a credere che l’invidia della matrigna nei confronti della figliastra fosse una paura che alcune madri provano e che le fa sentire più o meno inconsciamente in competizione con le figlie. È come se certe donne non accettassero l’idea di invecchiare e di lasciare lo scettro alla prole.

“In fondo al corridoio c’era lo specchio. Coraline poteva vedere se stessa camminare verso di esso, e il suo riflesso le sembrava un po’ più coraggioso di quanto lei non si sentisse. Nello specchio non c’era altro. Solo una bambina in corridoio[9]”.

Coraline è una moderna Alice nel Paese delle Meraviglie. Anche lei, come Alice, ha attraversato uno specchio e ha trovato un altro mondo, un mondo bello – all’apparenza – che però si scopre essere una realtà oscura e terrificante, se solo si ha il coraggio di indagare più a fondo.

Ma allora lo specchio non dice la verità? Sì e no. Lo specchio ci fornisce la nostra verità, quella a cui scegliamo di credere e che non è certamente la verità assoluta. L’immagine allo specchio, se vista in questi termini, è come una fotografia: è parziale, è bidimensionale e può ingannarci, se glielo permettiamo. “Degli specchi non bisogna mai fidarsi”, direbbe Coraline. Io, invece, direi: “Gli specchi non forniscono certezze assolute”, ma dobbiamo rassegnarci al fatto che sono ovunque. “Sicut in caelo et in terra”; tutto è una questione di rispecchiamento. Ci piace pensare di essere stati creati a immagine e somiglianza di Dio; molti genitori amano cercare i tratti in comune coi propri figli perché li percepiscono come estensioni delle loro vite, ma non comprendono che le radici forniscono sì un’identità, ma a volte defraudano del futuro; molti figli cercano di rifuggire le somiglianze coi loro genitori perché in quelle similitudini vedono degli obblighi e in quelle radici  dei lacci che li legano al passato. Ancora una volta, dunque, gli specchi hanno una doppia valenza: possono dare e possono togliere, possono confortare e possono terrorizzare, possono farci trovare ma possono anche farci perdere… Hanno tanti poteri, ma ogni potere dipende sempre da cosa noi – di volta in volta - decidiamo di farne.

 



[1] Ovidio, “Metamorfosi”, Libro III, Fabbri Centauria

[2] J.K.Rowling, “Harry Potter e la Pietra Filosofale”, Salani Editore

[3] Michael Ende, “Lo specchio nello specchio – Un labirinto”, Longanesi

[4] Fernando Pessoa, “Il libro dell’inquietudine di Bernardo Soares”, Feltrinelli

[5] Lawrence M. Krauss, “Dietro lo specchio”, Codice Edizioni

[6] Lawrence M. Krauss, “Dietro lo specchio”, Codice Edizioni

[7] Vangelo di Tomaso

[8] Jacob e Wilhelm Grimm, “Biancaneve”

[9] Neil Gaiman, “Coraline” Oscar Mondadori

domenica 29 ottobre 2023

GIANNI CARAVAGGIO, Per analogiam

 


Andando spesso alla GAM ho capito che ogni esposizione non va mai considerata soltanto singolarmente, ma va anche inserita in un contesto più ampio. E la nuova mostra – che ha come protagoniste le opere di Gianni Caravaggio – non fa eccezione: va infatti considerata sia la mostra in sé sia il ciclo in cui è inserita, anzi, amalgamata. Un ciclo iniziato con “Sul Principio di Contraddizione”[1] (2021) e proseguito con “Hic sunt dracones” (2022).

“Contraddizione, metamorfosi e analogia sono tre territori dell’indefinito che la filosofia, sin dalla sua nascita, ha cercato di espungere come forme aberranti contrarie alla logica, alla razionalità e al pensiero scientifico deduttivo. Le ha relegate allo spazio del mito, dell’immaginazione simbolica e prescientifica. Rappresentano però, non solo alcuni dei processi più naturali con cui la mente umana dà senso all’esperienza del mondo, ma sono il terreno stesso di nascita dell’espressione poetica e artistica”.                   Elena Volpato

Se durante la prima mostra ci si è trovati alle prese con il tema della contraddizione e durante la seconda è stata esplorata la metamorfosi, in questa terza esposizione si avrà a che fare con l’analogia. Non a caso il titolo di questa esperienza artistico-poetica è “Per analogiam”[2].

Come è in cielo, così è in terra; ciò che si può vedere nel grande, si può riscontrare anche nel piccolo; ciò che sembra tanto lontano da noi, è – in realtà – dentro di noi. Su questo principio di corresponsione tra gli elementi che compongono l’universo si regge la mostra. Mostra in cui nulla è lasciato al caso: dalle forme scelte per le opere

Gianni Caravaggio, "Giovane Universo"

 

 

ai materiali che le compongono, dal luogo in cui sono collocate al modo in cui sono state posizionate. Mostra che rientra nell’ambito dell’arte performativa, ma nello stesso tempo ne crea un’espansione, trasformando l’osservatore – che può essere anche l’artista stesso – nel soggetto che compie la performance.

Gianni Caravaggio, "Via dalla luce mia (la verità)"

 

Nel silenzio quasi sacrale delle sale immerse in una cornice atemporale e a-spaziale (ottenuta grazie all’accostamento di tonalità cromatiche neutre che sfumano dal bianco al grigio) il visitatore dà inizio al proprio viaggio tra le opere. Sarà un viaggio strano, il suo, perché si troverà a camminare sul confine tra i mondi, contemporaneamente presente in un macrocosmo che lo inizia ai misteri dell’Universo e in un microcosmo che è quello del suo stesso Io.

“Come una risonanza interiore e un mistero che attraversa il tutto e svela la corresponsione del dettaglio con l’assoluto. Quella risonanza è l’analogia, […]”.

E le opere rivelano allo spettatore le loro infinite sfaccettature, i loro punti luminosi e le loro ombre – che mutano al mutare della posizione o dell’angolazione dello sguardo – e le innumerevoli interpretazioni a cui sanno prestarsi. Ma non è semplice arte concettuale, è – piuttosto – arte universale, dove scopriamo che l’infinità – dell’universo, per l’appunto – corrisponde all’infinità della mente; dove le stelle che dimorano in cielo possono stare tranquillamente anche su uno scampolo di stoffa adagiato qui, sulla Terra, per terra.

Gianni Caravaggio, "La coperta dell'eremita"

 È una mostra in cui il ragionamento, tipica modalità di pensiero dell’essere umano, lascia finalmente il campo all’intuizione, cioè a quel guizzo che ci illumina e che in quel lampo, tanto breve quanto intenso, ci svela ogni cosa. Ci svela l’immensità contenuta in un piccolo seme, ci svela il passato, il presente e il futuro riunendoli nella sola dimensione del “sempre”.

“Lo stupore è nuovo ogni giorno”, questo ci dice Caravaggio variando un frammento di Eraclito che recita: “Il sole è nuovo ogni giorno”. Con questo assunto, l’artista “evoca la forza creativa di ogni moto di stupore in cui contemplazione, formazione e rispecchiamento si fondono in un unico impulso: l’indefinito riaccadere dell’incipit nel permanente divenire che è continua nascita del tutto”.

Questa continua rinascita è particolarmente evidente in una delle opere di Caravaggio in cui l’artista ha ricostruito il cielo della propria nascita su una lastra metallica forata in corrispondenza della posizione delle stelle e sollevata da terra in modo tale da rispecchiare se stessa sul pavimento. Ne risulta così una molteplice corresponsione; tra la nascita dell’artista e il cielo inclinato sul pavimento; tra il cielo inclinato e il suo riflesso; tra lo spettatore e la propria nascita.

Gianni Caravaggio, "Lo stupore è nuovo ogni giorno"

Nascita e rinascita, luce e ombra, contrazione ed espansione, creazione e distruzione, materia densa e sostanza effimera… Lo spazio e il tempo sarebbero invisibili se non ci fosse il cambiamento a tradirli! Noi percepiamo questi due grandi concetti proprio quando le cose cambiano: la rotazione della Terra dà vita alle stagioni, al giorno e alla notte, alla luce e al buio, al caldo e al freddo… Anche la Creazione si dice sia avvenuta perché Dio è cambiato, perché ha contratto se stesso per far spazio al mondo. Nella cultura ebraica questo fenomeno prende il nome di Tzimtzum e, col nostro movimento (cioè attraverso il cambiamento di posizione) attorno alle opere, anche noi possiamo creare e ricreare, ma anche modificare o persino distruggere la nostra percezione delle cose e l’interpretazione ad essa abbinata.

Ogni oggetto proietta un’ombra diversa a seconda della posizione della luce che lo colpisce: noi, con la nostra sola presenza, possiamo influire su quelle proiezioni.

Gianni Caravaggio, "Testimoni di uno spazio invisibile", dettagli.

Ogni oggetto, se guardato da un punto di vista diverso, rivela facce, dettagli, caratteristiche differenti: noi, col nostro movimento, siamo in grado di vedere l’ “oltre” guardando oltre. E  non è solo un gioco di parole, è il frutto di una sensazione che mi ha portata a un’intuizione, e viceversa.

Gianni Caravaggio, "L'ignoto"

“Né il soggetto che conosce né l’oggetto conosciuto ma il conoscere: è tale relazione miracolosa come puro divenire, pura sensibilità, che la forma è in grado di testimoniare. Tale relazione, quando accade, si manifesta in noi con una sensazione emotiva e al contempo con una sensazione di incertezza, che in sostanza definiscono la circostanza psichica dell’apertura poetica. È per via di questa ‘fragilità’ che l’apertura poetica va difesa”.

 È capitato tutto in un “Attimo”[3],

Gianni Caravaggio, "Attimo"

 

 

 

nell’istante esatto in cui mi sono trovata (o ritrovata?) di fronte a una delle opere di Caravaggio, una foto appesa a un filo da pesca, 

Gianni Caravaggio,"Melancolia"

che proiettava la propria ombra sul pavimento. Non era un effetto voluto o cercato dall’artista (gliel’ho chiesto), ma in quell’ombra involontariamente ottenuta c’è – a mio parere – tutta l’essenza della mostra. L’immagine si specchia sul pavimento proiettandosi nei panni di un’ombra,

L'ombra proiettata da "Melancolia" di Gianni Caravaggio

 come un negativo fotografico, come l’altra faccia della medaglia, come il lato oscuro e impenetrabile di ognuno di noi che scaturisce da quello in luce, come un’anima che si rapporta al corpo… E non è un caso, probabilmente, che una sia in alto e l’altra in basso, anzi, in questa dislocazione contrapposta c’è la grande simbologia dell’intero universo. 

In alto: "Melancolia" di Gianni Caravaggio. A dx: "Attimo" di Gianni Caravaggio. In basso: l'ombra proiettata da "Melancolia".

 

Attraverso le opere-simbolo di Gianni Caravaggio ci rendiamo conto che ognuno di noi vede le cose a modo proprio, si accorge di determinate cose e non di altre e si sofferma su determinate cose e non su altre. E scopriamo che le cose, spesso, si rendono manifeste solo attraverso le loro conseguenze. E poi intuiamo che c’è un filo (visibile) che lega le sostanze e uno (invisibile) che, invece, collega le essenze.

Gianni Caravaggio, "Agire come la falce di Cronos".

Dire “Per analogiam”[4] è come dire “per corrispondenza”, ed è così, per corrispondenza, che una foglia può divenire l’immagine di se stessa perché l’immagine di una foglia non è che la foglia stessa. Ed è così che il passato di quella foglia si intreccia al suo futuro dando vita a una proiezione del suo presente, in forma d’ombra, perché il presente – essendo un continuo ed eterno divenire – è etereo ed effimero. Foglie che somigliano a mani con le dita intrecciate perché, in fondo, siamo tutti specchi gli uni degli altri…

Gianni Caravaggio, "Il tempo mi scorre tra le dita"

L’artista è come un poeta e la sua opera d’arte diventa poesia, cioè quella formula magica che ci mette in connessione con il mondo delle sensazioni e delle intuizioni. Perché la poesia è quella forma letteraria che nasconde l’infinito dietro alla finitezza delle parole, le quali – probabilmente non a caso – vengono anche chiamate “termini”. Perché dietro un illusorio confine fatto di lettere o corpi o materia, si spalanca l’indicibile, l’inafferrabile, l’imponderabile.

 Se andrete a vedere la mostra, vi suggerisco di portarvi a casa anche il libro (che è veramente bellissimo!) perché possiate confrontare le vostre impressioni con i messaggi che l’artista ha voluto lanciare. Sappiate, infatti, che l’esposizione non ha didascalie sui muri, per non distrarre il visitatore durante le sue epifanie. 

Gianni Caravaggio, "Orione prima di Giza"

Ma non preoccupatevi, perché è disponibile una mappa orientativa che vi darà le indicazioni necessarie! Tra l’altro – non a caso, di nuovo – ho usato la parola “mappa”: l’artista ha voluto giocare con il suo pubblico “sfidandolo” anche a una caccia al tesoro, dove il “tesoro” – un’opera che si rispecchia  nella “gemella” presente in Galleria – è collocata in giardino.

 Ve lo avevo detto: i performers siete voi!



[1] Trovate il mio articolo qui, sul blog.

[2] Gianni Caravaggio, “Per analogiam”, 1 novembre 2023 – 17 marzo 2024.

[3] “Attimo” è il titolo dell’opera di Gianni Caravaggio posta dietro alla fotografia di cui parlo poco dopo. I titoli stessi sintetizzano concetti complessi, tanto è vero che Caravaggio usa il termine "proposizione" al posto di "titolo".

[4] Dal Lat.: ănălŏgĭa, ae, f., analogia, conformità, VARR.; term. gramm. analogia, regolarità (contr. anomalia), VARR. e a. [gr.].