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LA BELLEZZA

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mercoledì 22 novembre 2023

I POTERI DEGLI SPECCHI

 

 


“Interrogato se Narciso sarebbe giunto a vedere una lunga, tarda vecchiaia, l’indovino aveva risposto: «Se non conoscerà se stesso[1]»”.

Potrebbe sembrare una profezia in netto contrasto con la massima incisa nel Tempio di Apollo, a Delfi, che recitava: «Conosci te stesso», invece non lo è, anzi, le due affermazioni possono essere considerate l’una il completamento dell’altra. «Conosci te stesso» è una esortazione a cercare la propria vera natura, a non bastarsi mai, a crescere sempre. Perché arrivare a conoscersi definitivamente è tutt’altra cosa: si tratta di credere di essersi trovati, illudersi di non aver più bisogno di niente e di nessuno e precludersi, così, la possibilità di scoprire le altre innumerevoli caratteristiche che ci contraddistinguono. Quelle caratteristiche rappresentano il nostro essere in tutti i modi e in tutti i tempi. Narciso ha ceduto a una sorta di avarizia che lo ha fatto implodere; una brutta fine, la sua, avvenuta proprio perché ha conosciuto se stesso o, meglio, si è convinto di essersi trovato e, in un impeto di folle autostima, si è impedito di lasciar andare se stesso. In altre parole, ha impedito a se stesso di crescere e – per estensione – di vivere.

Siamo creature straordinarie ed è bene imparare ad amare noi stessi, è bene indagare su ciò che si cela nelle profondità della nostra mente e del nostro cuore, ma non dobbiamo dimenticare che, a volte, per capire chi siamo, chi siamo stati e chi vogliamo essere, abbiamo bisogno di staccarci dalle nostre certezze. Gli altri possono diventare i nostri specchi e noi possiamo esserlo per loro, come l’acqua lo è stata per Narciso. Per non incorrere nel suo stesso errore basterà non fossilizzarci sulle “immagini” che vedremo riflesse, ma farne tesoro per potere aggiungere – di volta in volta – un tassello all’immenso puzzle che ognuno di noi è. Luigi Pirandello lo aveva capito molto bene quando scrisse “Uno, nessuno e centomila”, romanzo nel quale il povero Vitangelo Moscarda si lascia condizionare da un commento della moglie a proposito del suo naso.

“«L’uomo più felice della terra riuscirebbe a usare lo Specchio delle Emarb come un normale specchio, vale a dire che, guardandoci dentro, vedrebbe se stesso esattamente com’è. Cominci a capire?»

Harry ci pensò su. Poi disse: «Ci vediamo dentro quel che desideriamo… le cose che vogliamo!»

«Sì e no» disse Silente tranquillo. «Ci mostra né più né meno quello che bramiamo più profondamente e più disperatamente nel nostro cuore. […] E tuttavia questo Specchio non ci dà né la conoscenza né la verità. Ci sono uomini che si sono smarriti a forza di guardarsi, rapiti da quel che avevano visto; e uomini che hanno perso il senno perché non sapevano se quello che mostrava fosse reale o anche solo possibile. […] Ricorda: non serve a niente rifugiarsi nei sogni e dimenticarsi di vivere[2]»”.

I sogni ci tengono in vita, i desideri ci fanno crescere, ma né gli uni né gli altri possono svolgere il loro compito se non li applichiamo nella quotidianità. Guardarsi dentro è fondamentale per capire cosa si vuole, ma solo se poi si trova il coraggio di realizzarlo. Sognare la vita per poi viverla come nel sogno.

Gli specchi sono potenti ma anche pericolosi, dunque, e bisogna prestare la massima attenzione quando vi si osservano le immagini riflesse e, ancor di più, quando li si attraversa. Lewis Carroll, per esempio, fa vivere grandi avventure ad Alice quando le fa attraversare lo Specchio, ma sono avventure non prive di vertigini e stordimenti. Innanzitutto le viene prospettata la possibilità di perdere il suo nome. Il nome è l’identità e perdere l’identità sicuramente non è piacevole, ma lo scopo di ogni viaggio non è forse uscire dalla routine quotidiana e scoprire cose nuove? Non si viaggia, forse, per trovare e per trovarsi? E se ci si trascina una zavorra, una certezza tanto pesante quanto lo è il nome, è ugualmente possibile godersi l’avventura della ricerca?

Poi c’è la questione della memoria.. Vivere a rovescio presenta uno strano vantaggio: “la memoria lavora in entrambi i sensi”. È possibile ricordare le cose prima che siano accadute? In realtà, se ci pensiamo bene, è una cosa che più o meno tutti, prima o poi, sperimentiamo. Nel mondo onirico coi sogni premonitori, da svegli con déjà vu e precognizioni, nello spazio sconfinato della nostra psiche con l’immaginazione siamo perfettamente in grado di sovvertire l’ordine del Tempo a cui siamo abituati, solo che di solito archiviamo quegli episodi di libertà mentale come inspiegabili follie momentanee e cerchiamo di ritornare in fretta alla “normalità”.

“Gli specchi hanno qualcosa di mostruoso”- secondo ciò che scrisse Jorge Luis Borges in “Finzioni” – e possono rappresentare un pericolo se vi si indulge in modo sconsiderato, ma – a saperli sfruttare in modo corretto – ci si guadagna sempre almeno un cambiamento di prospettiva, un punto di vista differente, ovvero meravigliose prove di rivoluzione esteriore e interiore.

“Mi chiamo Hor.

Ma chi è questo: IO-Hor? Sono soltanto una persona? Oppure sono due persone contemporaneamente e possiedo le esperienze della seconda? Sono molte persone contemporaneamente? […] Qualcosa di mio arriva fino a voi là fuori, a quell’uno o a quei molti che siete tutt’uno con me come le api con la loro regina? Mi sentite, membra del mio corpo sparso? Sentite le mie impercettibili parole, ora o fuori del tempo? Per caso cerchi me, oh mio altro io? Cerchi Hor, che sei tu stesso? Cerchi il tuo ricordo che è presso di me? Forse che, come stelle, ci avviciniamo l’uno all’altro attraverso spazi infiniti, passo dopo passo, immagine dopo immagine?

E arriveremo mai a incontrarci, un giorno o fuori del tempo? E che cosa saremo allora? O non saremo più? Ci annulleremo a vicenda come il sì e il no?”

“O forse non facciamo altro che sognarci tutti a vicenda? Un intreccio di sogni, un groviglio senza confini, senza fondo? Siamo tutti un unico sogno che nessuno sta sognando?[3]

Siamo uno, ma in realtà siamo anche tanti e – forse – i tanti che siamo sono in collegamento con i tanti degli altri… E, quando sogniamo, chi è il sognatore e chi il sognato? E siamo più svegli nel sonno o nella veglia? E se la realtà fosse capovolta o rovesciata, da quale parte sarebbe la verità? Oppure la verità varia a seconda del punto di vista dell’osservatore? Se fosse così, non potrebbe esistere una verità assoluta, perciò tutti avremmo ragione, ma anche torto.

“Ho creato in me varie personalità. Creo costantemente personalità. Ogni mio sogno, appena lo comincio a sognare, è incarnato in un’altra persona che inizia a sognarlo, e non sono io. Per creare, mi sono distrutto; mi sono così esteriorizzato dentro di me che dentro di me non esisto se non esteriormente. Sono la scena viva sulla quale passano svariati attori che recitano svariati drammi[4]”.

 I sogni, come si può notare, sono molto simili agli specchi perché ci mostrano la realtà, ma ci possono anche ingannare; ci fanno entrare in un'altra dimensione che è vicina quanto lontana dal mondo reale, una dimensione in cui il Tempo non esiste e non distinguiamo le ombre da chi le proietta. Come nel Mito della Caverna di Platone, narrato nel Libro VII de “La Repubblica”. Il Mito racconta la storia di uomini incatenati da tutta la vita all’interno di una caverna e costretti a vedere solo le ombre proiettate dalla realtà; per quegli uomini le ombre sono la realtà. Il loro è un mondo a due dimensioni, proprio come le immagini che vediamo riflesse negli specchi. Le ombre e i riflessi hanno in comune il fatto di essere proiezioni di un altro mondo, ma – allargando il concetto – potremmo dire che rappresentano entrambe dei “portali” per realtà alternative. E, quando immaginiamo altri mondi, siamo spinti a “riconsiderare la nostra posizione nel contesto del nostro stesso mondo. […] In pratica è proprio dalla percezione del sé che nasce la consapevolezza di tutto ciò che non è sé […]: quando immaginiamo il mondo che non abbracciamo con la nostra esperienza, stiamo scavando nelle profondità della nostra stessa psiche[5]”.

Specchi e caverne ci aiutano a tenere vivi dubbi atavici: è davvero tutto qui oppure esistono altre dimensioni? Qual è la realtà e qual è la proiezione? I mondi che creiamo con  l’immaginazione possono essere reali quanto quello in cui viviamo? Ammesso che quello in cui viviamo sia reale…

“L’immaginazione umana può creare interi universi, nei quali possiamo viaggiare servendoci degli abissi della disperazione o delle vette dell’estasi. […] Abbiamo tutti quanti un estremo bisogno di scoprire nuove realtà, di accedere a quanto è situato appena al di là della nostra capacità di percezione. […] Ciò non implica necessariamente che ogni aspetto di quei mondi che non sono accessibili alla nostra esperienza diretta sia pura immaginazione[6]”.

“Nel sogno dell’uomo che sognava, colui che era sognato si svegliò”. Borges scrisse questa frase in un racconto intitolato “Le rovine circolari”. Già di per sé si tratta di un’affermazione inquietante, ma ancor più inquietanti sono le parole con le quali il racconto si chiude, ovvero: “Con sollievo, con umiliazione, con terrore, comprese che anche lui era un’apparenza, che un altro lo stava sognando”.

E se la vita che viviamo (e di cui crediamo di avere le redini) fosse il sogno di qualcun altro? E se i nostri sogni fossero, in realtà, sogni nei sogni? Una specie di “Inception”, tanto per intenderci…

Nel libro più famoso di Michael Ende – “La Storia Infinita” – compaiono diversi specchi. La storia inizia, infatti, con una scritta al contrario. È un avvertimento, un’espediente usato per richiamare l’attenzione di Bastiano e dell’altro protagonista coinvolto nella narrazione, ovvero il lettore stesso. È un modo per dirci che stiamo per entrare in un altro mondo non meno reale di quello in cui viviamo. Ed è da lì che dovremo passare per trovare il “verso giusto” della vita.

C’è uno specchio nella soffitta in cui Bastiano si rifugia per leggere. È uno specchio tradizionale che riflette il corpo, l’esteriorità di Bastiano (e di ciascuno di noi), ed essendo un normalissimo specchio ci rimanda un’immagine satura di condizionamenti: ci dice solo quello che pensiamo di noi stessi. È un’immagine realistica, ma non per questo veritiera.

E poi c’è la Porta dello Specchio Magico…

Nessuno sa di quale materiale sia fatta; quando vi si sta davanti, non ci si vede riflessi come in un normale specchio, perché quello che si vede è il proprio Io interiore, quello vero, quello autentico. Chi ha intenzione di oltrepassare questa porta dovrà quindi entrare in se stesso e va da sé che ogni individuo vedrà qualcosa di diverso.

Nessuno di noi conosce realmente la propria natura, perciò vedere il proprio Io può rappresentare una magnifica scoperta o, al contrario, una rivelazione terrificante! È però necessario rammentare che, poiché abbiamo tante sfumature dentro di noi, sarebbe un grave errore identificarci con una di esse in via definitiva. Carl Gustav Jung, Robert Louis Stevenson e molti altri hanno raccontato i pericoli dell’immedesimazione assoluta.

Comunque sia, la porta/specchio di cui parla Ende non è solo uno strumento in grado di riflettere, ma anche un modo per proiettare al di fuori ciò che abbiamo dentro perché possiamo accorgerci delle nostre potenzialità. Non disponendo di Porte Magiche nei nostri salotti non ci resta che affidarci ai ritratti parziali che ci rimandano le persone intorno a noi. Guardando gli altri, infatti, non vediamo che noi stessi o, meglio, parti di noi. I pregi e i difetti che riscontriamo in coloro che ci circondano non sono altro che le nostre aspirazioni e le nostre paure; le cose che ci infastidiscono negli altri ci dicono più cose di noi che di quegli altri. Gli Specchi Esseni si basano proprio sul principio appena enunciato. Ma come si supera questa porta? Atreiu (che potremmo considerare come l’alter ego di Bastiano) si avvicina allo specchio con l’ingenuità tipica di ogni bambino, mosso da una curiosità sincera e privo di aspettative, paure, orgoglio, illusioni, certezze o preconcetti e ciò che vede lo sorprende e lo lascia perplesso. Con questa sensazione di meraviglia riuscirà a oltrepassare il secondo ostacolo e arrivare al successivo. In pratica, essere neutrali in partenza ci porta a meravigliarci all’arrivo.

“Gesù disse: «Colui che cerca non desista dal cercare fino a quando non avrà trovato; quando avrà trovato si stupirà. Quando si sarà stupito, si turberà e dominerà su tutto[7]»”.

Ma anche quando si “arriva” non ci si deve mai considerare arrivati del tutto.. «Conosci te stesso» - lo abbiamo detto – non significa pensare di conoscersi fino in fondo. È un buon modo per tendere sempre al miglioramento, per avere, in noi, qualcosa da cercare, come un talento, un potere, un mistero.

Guardarsi allo specchio è un po’ come vedersi da fuori: mentre tu guardi i tuoi occhi nello specchio, l’immagine nello specchio sembra fissare i tuoi occhi. L’effetto è amplificato se pensiamo che gli occhi stessi sono come specchi. Praticamente siamo specchi negli specchi, novelli Dante Alighieri in Paradiso riflessi negli occhi di un Dio che vediamo riflesso nei nostri.

Eppure siamo esseri fragili, rosi dalla paura del giudizio altrui, vittime delle incertezze, schiavi delle apparenze, come la matrigna di Biancaneve che domandava continuamente al suo specchio chi fosse la più bella del Regno. “E lo specchio rispondeva” che lei era la più bella. “Ed ella era contenta, perché sapeva che lo specchio diceva la verità[8]. Scoprire di avere una “rivale” che la superava in bellezza fu per la Regina un duro colpo, l’invidia prese il sopravvento su di lei e la indusse a compiere azioni terribili che, alla fine, le si ritorsero contro, come se avesse lanciato una maledizione… allo specchio. Ci sono varie spiegazioni all’ossessione della Regina per il proprio aspetto fisico, ma ritengo ce ne siano tre che calzano a pennello: la prima mi induce a pensare che la donna godesse inizialmente di una grande autostima (supportata dalle parole “lo specchio diceva la verità”) che, però – a un certo punto – rivela la propria fragilità; la seconda, invece, mi suggerisce che lo specchio potesse rappresentare il giudizio degli altri, talmente importante  per la Regina, da indurla a fidarsi di lui; la terza ipotesi, infine, mi porta a credere che l’invidia della matrigna nei confronti della figliastra fosse una paura che alcune madri provano e che le fa sentire più o meno inconsciamente in competizione con le figlie. È come se certe donne non accettassero l’idea di invecchiare e di lasciare lo scettro alla prole.

“In fondo al corridoio c’era lo specchio. Coraline poteva vedere se stessa camminare verso di esso, e il suo riflesso le sembrava un po’ più coraggioso di quanto lei non si sentisse. Nello specchio non c’era altro. Solo una bambina in corridoio[9]”.

Coraline è una moderna Alice nel Paese delle Meraviglie. Anche lei, come Alice, ha attraversato uno specchio e ha trovato un altro mondo, un mondo bello – all’apparenza – che però si scopre essere una realtà oscura e terrificante, se solo si ha il coraggio di indagare più a fondo.

Ma allora lo specchio non dice la verità? Sì e no. Lo specchio ci fornisce la nostra verità, quella a cui scegliamo di credere e che non è certamente la verità assoluta. L’immagine allo specchio, se vista in questi termini, è come una fotografia: è parziale, è bidimensionale e può ingannarci, se glielo permettiamo. “Degli specchi non bisogna mai fidarsi”, direbbe Coraline. Io, invece, direi: “Gli specchi non forniscono certezze assolute”, ma dobbiamo rassegnarci al fatto che sono ovunque. “Sicut in caelo et in terra”; tutto è una questione di rispecchiamento. Ci piace pensare di essere stati creati a immagine e somiglianza di Dio; molti genitori amano cercare i tratti in comune coi propri figli perché li percepiscono come estensioni delle loro vite, ma non comprendono che le radici forniscono sì un’identità, ma a volte defraudano del futuro; molti figli cercano di rifuggire le somiglianze coi loro genitori perché in quelle similitudini vedono degli obblighi e in quelle radici  dei lacci che li legano al passato. Ancora una volta, dunque, gli specchi hanno una doppia valenza: possono dare e possono togliere, possono confortare e possono terrorizzare, possono farci trovare ma possono anche farci perdere… Hanno tanti poteri, ma ogni potere dipende sempre da cosa noi – di volta in volta - decidiamo di farne.

 



[1] Ovidio, “Metamorfosi”, Libro III, Fabbri Centauria

[2] J.K.Rowling, “Harry Potter e la Pietra Filosofale”, Salani Editore

[3] Michael Ende, “Lo specchio nello specchio – Un labirinto”, Longanesi

[4] Fernando Pessoa, “Il libro dell’inquietudine di Bernardo Soares”, Feltrinelli

[5] Lawrence M. Krauss, “Dietro lo specchio”, Codice Edizioni

[6] Lawrence M. Krauss, “Dietro lo specchio”, Codice Edizioni

[7] Vangelo di Tomaso

[8] Jacob e Wilhelm Grimm, “Biancaneve”

[9] Neil Gaiman, “Coraline” Oscar Mondadori

mercoledì 31 maggio 2023

Alice al Salone del Libro

Lewis Carroll, "Alice nel Paese delle Meraviglie" e "Attraverso lo specchio" in edizione Bur Deluxe (con le illustrazioni di John Tenniel) ed Einaudi (con le illustrazioni dell'autore).

 

“D’aspetto Carroll era gradevole e asimmetrico: due cose che possono aver contribuito al suo interesse per i riflessi speculari. Aveva una spalla più alta dell’altra, un sorriso un pochino fuori squadra, e gli occhi azzurri non esattamente alla stessa altezza. Era sottile, non alto, di portamento eretto, rigido, e camminava in modo singolare, a scossoni. Non ci sentiva da un orecchio e balbettava tanto che gli tremava il labbro superiore. Benché ordinato diacono (dal vescovo Wilberforce), predicava di rado per via del suo difetto di pronuncia, e non passò mai ai successivi ordini sacri. Non ci sono dubbi sulla profondità e sulla sincerità del suo anglicanesimo. Era ortodosso in tutto tranne che nella sua incapacità di credere alla dannazione eterna. […] Era talmente timido che poteva prender parte a una riunione sociale senza dare il minimo contributo alla conversazione, ma la sua timidezza e il balbettio «svanivano dolcemente e improvvisamente» quando si trovava a tu per tu con una bambina”.[1]

Alice nel Paese delle Meraviglie nacque nel 1862, durante una gita in barca a cui parteciparono il Rettore del Christ Church (Henry George Liddell), le sue tre figlie (tra le quali c’era anche Alice) e il Reverendo Charles Lutwidge Dogson, cioè Lewis Carroll. Dogson/Carroll era noto per le sue doti[2] di intrattenitore e di matematico che lo portavano spesso a inventare rompicapo, giochi linguistici e indovinelli, e quel giorno in barca sfruttò tali capacità per divertire le tre bambine. Per l’occasione inventò infatti una storia fantastica chiamando la protagonista proprio come una delle figlie del Rettore. Ad Alice la storia piacque così tanto che chiese a Carroll di metterla per iscritto, cosa che lui fece molto diligentemente. Tempo dopo, infatti, Alice ricevette in dono un manoscritto interamente realizzato a mano da Carroll il quale non si limitò soltanto a scriverlo con grande cura e attenzione, ma lo illustrò e lo rilegò personalmente in maniera impeccabile. Il volume – oggi esposto all’interno della British Library – si intitolava Alice’s Adventures Under Ground (Le avventure di Alice sottoterra) e piacque così tanto alla piccola che Dogson lo sottopose a un editore per farlo stampare in più copie e distribuirlo ai bambini e alle bambine dell’epoca. Dopo le diverse revisioni, il libro fu intitolato Alice’s Adventures in Wonderland (Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie) e – su richiesta  dello stesso Carroll – fu illustrato da John Tenniel. I due non trovarono subito un accordo sui disegni, ma – una volta raggiunto il compromesso ideale – ne venne fuori un capolavoro che ebbe un immediato e strepitoso successo sia tra i bambini che tra gli adulti, tanto che persino la Regina Vittoria lo apprezzò. Da allora, Alice nel Paese delle Meraviglie è stato tradotto molte volte e in molte lingue; ha ispirato un sacco di grandi autori, tra cui Oscar Wilde e Vladimir Nabokov; è stato illustrato da grandi nomi  (Salvador Dalì e Max Ernst, tra i tanti) ed è approdato persino al cinema.

21/05/23 in Sala Granata con Enrico Remmert.

“Nessun altro libro scritto per i bambini ha più bisogno di spiegazione di quelli di Alice. Gran parte del loro umorismo è intessuto di fatti e abitudini vittoriani poco familiari agli americani di oggi, e agli stessi lettori in Inghilterra. Molti scherzi nei due libri potevano essere capiti solo da residenti di Oxford, e altri erano scherzi privati intesi solo per Alice”.[3]

Le numerose traduzioni e i tanti rimaneggiamenti sono dovuti non soltanto al grande successo delle opere di Carroll, ma anche e soprattutto alle difficoltà di rendere in maniera comprensibile tutti i giochi linguistici e i riferimenti al luogo e al tempo in cui Carroll visse.

Ma perché, nonostante oggi sia di difficile comprensione – per gli adulti e ancora di più per i bambini – Alice (nel Paese delle Meraviglie e al di là dello Specchio) continua a cavalcare l’onda del successo? A questa domanda si possono dare tante risposte, ma quelle più verosimili sono le seguenti:

-          Perché è ambientato in un mondo parallelo.

-          Perché racconta una storia avventurosa.

-          Perché esplora l’ambiente onirico e – con esso – la psiche umana con la stessa profondità di Jung e Freud, ma tenendo svegli i lettori (passatemi il gioco di parole).

-          Perché i rompicapi sono come misteri: affascinanti e snervanti allo stesso tempo.

-          Perché non vuole impartire una lezione o inculcare una morale pia, anzi, proprio l’opposto. “L’ultimo livello della metafora dei libri di Alice è questo: la vita, vista razionalmente e senza illusioni, appare come una storia di nonsenso raccontata da un matematico idiota”.[4] E qui, gli adulti non hanno nulla da  insegnare.

-          Perché – coraggiosamente – parla di grandi tabù: morte, identità e politica, tanto per dirne alcuni.

-          Perché Alice incarna quel valore oggi tanto ricercato, ovvero la resilienza, la capacità di assorbire gli urti senza rompersi.

-          Perché – soprattutto in Alice al di là dello Specchio – ogni regola è sovvertita: la memoria riguarda il futuro anziché il passato, il rapporto causa – effetto è invertito, e tutto è un paradosso, una verità rovesciata forse ancor più vero della realtà che crediamo essere vera.

-          Perché è un testo che non dà risposte (ovvero imprigiona la mente in stanze senza porte), bensì lancia domande. Siamo veri o siamo solo delle cose nel sogno di qualcuno?

-          Perché pare che contenga moltissimi simboli, i quali si prestano a numerose interpretazioni, ma – nello stesso tempo – pare che vada letto e goduto senza prenderlo troppo sul serio…

21/05/23, in Sala Gialla con Masolino D'Amico e Laura Tosi.

  In qualunque modo la vediate, voglio concludere questo articolo con uno stralcio dell’introduzione (vedi nota 1):

“Il riso, dichiara Reinhold Niebhur in uno dei suoi sermoni più belli, è una sorta di terra di nessuno fra la fede e la disperazione. Ridendo delle assurdità superficiali della vita, noi conserviamo la sanità di mente; ma il riso diventa amarezza e derisione se rivolto alle più profonde irrazionalità del male e della morte. «Ecco perché», conclude il Niebhur, «c’è il riso nel vestibolo del tempio, l’eco del riso nel tempio stesso, ma solo fede e preghiera, e niente riso, nel sancta sanctoum.»

Ecco come Lord Dunsany disse la stessa cosa in The Gods of Pagana. Chi parla è Limpang-atung, il dio dell’allegria e dei menestrelli melodiosi:

«Manderò scherzi nel mondo e un po’ di allegria. E finché la Morte ti sembrerà lontana come l’orlo purpureo dei colli, o il dolore lontano come la pioggia nei giorni azzurri d’estate, prega Limpang-Tung. Ma quando diventi vecchio, o prima di morire, non pregare Limpang-Tung, poiché del dolore egli dice: “Può darsi che sia una gran trovata degli dèi, ma lui non la capisce”».

Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie e Attraverso lo Specchio sono due scherzi incomparabili che il reverendo C.L Dogson in vacanza mentale dai lavori di Christ Church offrì una volta a Limpang-Tung”.



[1] Lewis Carroll, “Alice nel Paese delle Meraviglie”, Bur Deluxe, edizione annotata a cura di Martin Grardner, traduzione di Masolino D’Amico, illustrazioni di Sir John Tenniel.

[2] Gli piacevano tutti i giochi, specialmente gli scacchi; inventò moltissimi rompicapo, giochi, alfabeti cifrati, nonché un sistema per imparare i numeri a memoria. Inventò persino un attrezzo per scrivere al buio!

[3] Ibidem (nota 1)

[4] Ibidem (nota 1)