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LA BELLEZZA

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lunedì 27 gennaio 2025

GIRO DI POSTA

 

GIRO DI POSTA, dettaglio della macchina per scrivere.

Al fondo de I sommersi e i salvati è riportata la selezione di un carteggio avvenuto tra Primo Levi e le lettrici e i lettori tedeschi di Se questo è un uomo. Pubblicato per la prima volta nel 1947, in 2500 copie – di cui ne furono vendute meno di 2000 – Se questo è un uomo cadde in una sorta di limbo letterario per poi tornare alla vita  nel 1957, grazie all’editore Einaudi. La falsa partenza – fortunatamente riscattata dal “ripescaggio” di Einaudi – innescò un interesse verso l’opera in questione anche in Germania, tanto è vero che la casa editrice tedesca – la Fischer Bücherei – acquisì i diritti per la traduzione. Era il lontano 1959 e a Primo Levi parve di “aver vinto una battaglia”.[1]

“Ecco, avevo scritto quelle pagine senza pensare ad un destinatario specifico; per me, quelle erano cose che avevo dentro, che mi invadevano e che dovevo mettere fuori: dirle, anzi, gridarle sui tetti; ma chi grida sui tetti si indirizza a tutti e a nessuno, chiama nel deserto. All’annuncio di quel contratto, tutto era cambiato e mi era diventato chiaro: il libro lo avevo scritto sì in italiano, per gli italiani, per i figli, per chi non sapeva, per chi non voleva sapere, per chi non era ancora nato, per chi, volentieri o no, aveva acconsentito all’offesa; ma i suoi destinatari veri, quelli contro cui il libro si puntava come un’arma, erano loro, i tedeschi. Ora l’arma era carica”.[2]

L’intento di Levi non contemplava la vendetta, bensì il “colloquio”.

GIRO DI POSTA, dettaglio di un pannello sul linguaggio.
“Era venuta l’ora di fare i conti, di abbassare le carte sul tavolo. […] A me spettava capire, capirli. Non il manipolo dei grandi colpevoli, ma loro, il popolo, quelli che avevo visti da vicino, quelli tra cui erano stati reclutati i militi delle SS, ed anche quegli altri, quelli che avevano taciuto, che non avevano avuto il gracile coraggio di guardarci negli occhi, di gettarci un pezzo di pane, di mormorare una parola umana”.[3]

Non c’era pregiudizio né collera nella mente, nel cuore e nelle parole di Levi – anche perché non tutti erano stati sordi, ciechi, muti e vili di fronte alla condizione disumana dei campi di annientamento – ma un forte desiderio di mettere i tedeschi, “quei” tedeschi che invece erano stati sordi, ciechi, muti e vili, di fronte all’immagine della loro stessa cecità.

“Si ricordi, da Auschwitz erano passati solo quindici anni: i tedeschi che mi avrebbero letto erano «quelli», non i loro eredi. Da soverchiatori, o da spettatori indifferenti, sarebbero diventati lettori: li avrei costretti, legati davanti ad uno specchio”.[4]

Da tutto questo, però, sorse un timore…

“Non mi fidavo dell’editore tedesco. Gli scrissi una lettera quasi insolente: lo diffidavo dal togliere o cambiare una sola parola del testo, e lo impegnavo a mandarmi il manoscritto della traduzione a fascicoli, capitolo per capitolo, a mano a mano che il lavoro procedeva; volevo controllarne la fedeltà, non solo lessicale ma intima. Insieme col primo capitolo, che trovai tradotto assai bene, mi giunse uno scritto del traduttore, in italiano perfetto. L’editore gli aveva mostrato la mia lettera: non avevo niente da temere, né dall’editore né tanto meno da lui. […] Anche lui era un tedesco anomalo. […] Tradurre Se questo è un uomo  lo entusiasmava: il libro gli era consono, confermava, sostanziava per contrasto il suo amore per la libertà e la giustizia; tradurlo era un modo per continuare la sua lotta temeraria e solitaria contro il suo paese traviato. A quel tempo eravamo tutti e due troppo occupati per viaggiare, e nacque fra noi uno scambio di lettere frenetico”.[5]

Bandito dunque il timore – rivelatosi infondato – di vedere contraffatta e snaturata la propria opera, Levi cominciò a soffrire per un nuovo – e non meno inquietante – timore:  quello della resa comunicativa.


 

“[…] il tedesco di cui il mio testo aveva bisogno soprattutto nei dialoghi e nelle citazioni, era molto più rozzo del suo. Lui, uomo di lettere e di raffinata educazione, conosceva bensì il tedesco delle caserme […], ma ignorava forzatamente il gergo degradato, spesso satanicamente ironico, dei campi di concentramento”.[6]

GIRO DI POSTA, dettaglio di un pannello sul linguaggio.

 

Alla fine, i due arrivarono a un valido compromesso, che è poi – in un certo senso – un sinonimo di traduzione.

“[…] a quel tempo io ero premuto da uno scrupolo di superrealismo; volevo che in quel libro, ed in specie proprio nella sua veste tedesca, niente andasse perduto di quelle asprezze, di quelle violenze fatte al linguaggio, che del resto mi ero sforzato del mio meglio di riprodurre nell’originale italiano. […] Doveva essere, più che un libro, un nastro di magnetofono”.[7]

Sorse poi un’altra questione, ovvero: la prefazione.

L’editore Fischer chiese a Levi stesso di scriverne una, ma lui rifiutò perché non voleva tramutarsi da testimone dei fatti a giudice. Propose, invece, di inserire in veste di prefazione, una lettera che, nel maggio del 1960, alla fine della collaborazione tra lui e il traduttore, aveva scritto a quest’ultimo per ringraziarlo della sua opera. Tale lettera diventò quindi parte integrante della versione tedesca di Se questo è un uomo.

GIRO DI POSTA, un pannello.

Ve la trascrivo qui di seguito:

“… E così abbiamo finito: ne sono contento, e soddisfatto del risultato, e grato a Lei, ed insieme un po’ triste. Capisce, è il solo libro che io abbia scritto, e adesso che abbiamo finito di trapiantarlo in tedesco mi sento come un padre il cui figlio sia diventato maggiorenne, e se ne va, e non si può più occuparsi di lui.

Ma non è solo questo. Lei forse si sarà accorto che per me il Lager, e l’avere scritto del Lager, è stato una importante avventura, che mi ha modificato profondamente, mi ha dato maturità ed una ragione di vita. Forse è presunzione: ma ecco, oggi io, il prigioniero numero 174 517, per mezzo Suo posso parlare ai tedeschi, rammentare loro quello che hanno fatto, e dire loro «sono vivo, e vorrei capirvi per giudicarvi».

Io non credo che la vita dell’uomo abbia necessariamente uno scopo definito; ma se penso alla mia vita, ed agli scopi che finora mi sono prefissi, uno solo ne riconosco ben preciso e cosciente, ed è proprio questo, di portare testimonianza, di fare udire la mia voce al popolo tedesco, di «rispondere» al Kapo che si è pulito la mano sulla mia spalla, al dottor Pannwitz, a quelli che impiccarono l’Ultimo, ed ai loro eredi.

Sono sicuro che Lei non mi ha frainteso. Non ho mai nutrito odio nei riguardi del popolo tedesco, e se ne avessi nutrito ne sarei guarito ora, dopo aver conosciuto Lei. Non comprendo, non sopporto che si giudichi un uomo non per quello che è ma per il gruppo a cui gli accade di appartenere […].

Ma non posso dire di capire i tedeschi: ora, qualcosa che non si può capire costituisce un vuoto doloroso, una puntura, uno stimolo permanente che chiede di essere soddisfatto. Spero che questo libro avrà qualche eco in Germania: non solo per ambizione, ma anche perché la natura di questa eco mi permetterà forse di capire meglio i tedeschi, di placare questo stimolo”.[8]

Ho scritto questa lunga premessa perché la mostra “Giro di posta”[9] è costituita da una rete di incroci tematici assai fitta in cui – riprendendo lo stile di Primo Levi – si incontrano molte domande e una nutrita schiera di nomi, tra i quali spiccano quello di Bianca Guidetti Serra e quello del traduttore di Se questo è un uomo e Storie naturali, il «tedesco anomalo» Heinz Riedt[10].

GIRO DI POSTA, un pannello.

 

L’esposizione a Palazzo Madama di quella che è soltanto una piccola parte della corrispondenza di Primo Levi è infatti suddivisa – ma anche collegata, grazie a dei nastri di tre colori diversi che fendono l’aria sopra le teste dei visitatori – in cinque sezioni tematiche (e altrettante domande).

GIRO DI POSTA, i nastri colorati che collegano le sezioni.

Le sezioni:

1.     Primo Levi. Un precoce sguardo europeo.

2.     Herman Langbein. Un uomo formidabile.

3.     Heinz Riedt. Un tedesco anomalo.

4.     Giro di posta.

5.     Le lettrici e i lettori.

 

 

GIRO DI POSTA, le domande.

 Le domande:

·        Che fare dell’esperienza di Auschwitz?

·        Come cercare la verità e la giustizia su Auschwitz?

·        È possibile capire i tedeschi?

·        Come parlare con chi stava dall’altra parte?

·        In che lingua parlare di Auschwitz ai tedeschi?

Ma perché allestire una mostra su Primo Levi proprio a Palazzo Madama?

Nel 1955 Palazzo Madama ospitò la prima grande mostra dedicata alla Resistenza e Levi la recensì in tono amareggiato in quanto quell’esposizione non affrontava il tema della deportazione. Oggi, a 80 anni dalla liberazione di Auschwitz[11],  Palazzo Madama è la sede ideale per risanare quella lacuna del ’55.

GIRO DI POSTA, dettaglio.

È poi grazie a uomini come Primo Levi se abbiamo una Carta dei diritti. Il 18 ottobre del 1961, infatti, proprio a Palazzo Madama, venne firmata la Carta Sociale Europea…

Infine, c’è da dire che Primo Levi non è nuovo ai saloni di Palazzo Madama in quanto nel 2015 ci fu un’altra mostra su di lui… Vero è, però, che “Giro di posta” è la prima basata sulla sua corrispondenza. E, alla fine del 2026, la futura Biblioteca Civica di Torino aprirà al pubblico con una sezione specifica dedicata proprio a Primo levi.

Che cos’è LeviNeT?

Questa mostra è anche un trampolino di lancio (e una sorta di ulteriore vetrina)  per il sito www.levinet.eu

Il sito è un progetto – finanziato dall’Unione Europea – sul quale Martina Mengoni e il gruppo di ricerca da lei capitanato hanno inserito tutta la corrispondenza tedesca e germanofona (oltre 400 lettere in italiano e in inglese) di Primo Levi, con relative note e informazioni aggiuntive. Per tutta la sua vita, infatti – da quando venne pubblicato Se questo è un uomo in Germania – Levi intrattenne rapporti epistolari con intellettuali, lettrici e lettori tedeschi. Il contenuto di tali lettere è tanto importante perché non è di natura privata, bensì storica. La domanda più pressante è: cosa fare dell’esperienza vissuta ad Auschwitz? Questa particolare connotazione ha trasformato la corrispondenza in un dibattito dalla portata gigantesca che non solo può far riflettere tutti i popoli e tutte le nazioni, ma ci restituisce anche un ritratto poco conosciuto o addirittura inedito di un uomo che è riuscito a fare la differenza all’interno del panorama storico mondiale. Ed è ancor più notevole se pensiamo che Levi sceglieva di volta in volta – e a seconda dell’interlocutore – in quale lingua esprimersi, tra un repertorio che contava ben quattro idiomi: francese, tedesco, spagnolo e italiano.

Dettagli non trascurabili di “Giro di posta”

Dalla mostra su PRIMO LEVI allestita a Palazzo Madama (Torino) e intitolata GIRO DI POSTA.

 

L’allestimento è semplice, ma allo stesso tempo efficiente ed efficace. Non è stato facile creare una composizione che illustrasse in maniera chiara e comprensibile dei contenuti scritti, ma alla fine il risultato è davvero sorprendente. C’è persino una doppia chiave di lettura che caratterizza la mostra: una è ad altezza occhi ed è composta da semplici pannelli incernierati (e quindi facilmente trasportabili e adattabili ad altri ambienti), mentre l’altra è sospesa a mezz’aria ed è composta da quei nastri colorati di cui vi parlavo qualche riga fa. Ogni colore evidenzia una direzione: c’è il colore delle lettere partite da Primo Levi, quello per le risposte a lui arrivate e quello che contrassegna l’ampliamento della corrispondenza grazie all’inserimento di altri interlocutori.

GIRO DI POSTA, dettaglio.

Questa mostra ha ricevuto la Medaglia del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Mentre la precedente mostra su Levi – quella del 2015, per intenderci – ha girato l’Italia ed è arrivata fino al Quirinale. Tutto questo fa capire quale sia la portata di tali eventi espositivi.

GIRO DI POSTA, locandina della mostra.

Inoltre, c’è un’attenzione davvero lodevole al pubblico e, in modo particolare, ai giovani. Un’attenzione manifestata sfruttando quello che a prima vista si potrebbe considerare uno svantaggio – cioè il fatto che le lettere siano tutte scritte a macchina - e  trasformandolo in un punto d’incontro con i ragazzi e le ragazze che andranno a vedere la mostra. I nostri giovani, infatti, vivono in un’epoca che non fa più uso da molti anni delle macchine per scrivere ed è per questo che il pannello che apre la mostra reca il titolo: “Così scrivevano”.

“Giro di posta” è davvero una mostra per tutti e per tutte - anche per un pubblico con disabilità visive - grazie alle mappe e ai QR-code tattili, tramite i quali è possibile accedere dal proprio dispositivo mobile a contenuti audio per ciascuna sezione.

GIRO DI POSTA, pannello per non vedenti.

Ma è soprattutto un’occasione per ricordare e per raccontare alle nuove generazioni ciò che è accaduto un tempo e che non dovrà mai più accadere.



[1] P. 138 de “I sommersi e i salvati” di Primo Levi, ed. Einaudi

[2] P. 138 de “I sommersi e i salvati” di Primo Levi, ed. Einaudi

[3] P. 138 de “I sommersi e i salvati” di Primo Levi, ed. Einaudi

[4] P. 138 de “I sommersi e i salvati” di Primo Levi, ed. Einaudi

[5] Pp. 139-140 de “I sommersi e i salvati” di Primo Levi, ed. Einaudi

[6] P. 141 de “I sommersi e i salvati” di Primo Levi, ed. Einaudi

[7] P. 142 de “I sommersi e i salvati” di Primo Levi, ed. Einaudi

[8] Pp. 142-3 de “I sommersi e i salvati” di Primo Levi, ed. Einaudi.

[9] “Giro di posta. Primo Levi, le Germanie, l’Europa”. Dal 24 gennaio al 5 maggio 2025 a Palazzo Madama, Torino. Mostra promossa dal Centro Internazionale di Studi Primo Levi. A cura di Domenico Scarpa.

[10] Se desideraste approfondire le vostre conoscenze su questo personaggio e sul rapporto epistolare che intrattenne con Levi, sappiate che esiste un volume apposito intitolato “Il carteggio con Heinz Riedt”, edito da Einaudi e curato da Martina Mengoni.

[11] 27 gennaio 1945 – 27 gennaio 2025

 

martedì 29 ottobre 2024

CROSSING. Attraversare una Collezione

 

Le tre sculture di stoffa e sapone di Frédérique Nalbandian, per "Crossing", a Palazzo Madama, Torino.

Chi ha detto che un Museo d’Arte Antica non possa contenere anche Arte Contemporanea? Certamente è necessario saper scegliere con attenzione e cura cosa affiancare al passato, e come farlo in modo tale da favorire un dialogo tra le opere – anche se, a dirla tutta, non ho mai visto opere litigare tra loro per via del gap generazionale… Nel caso della nuova integrazione operata da Palazzo Madama, a Torino, la scelta è opportunamente caduta sulle opere di 4 (quattro) artisti, in particolare, e ora vi racconterò tutto.

In occasione di Artissima 2024, la cima dello scalone juvarriano, la veranda – anch’essa juvarriana -, la sala delle ceramiche e quella dedicata ai vetri, sono state arricchite con delle opere estremamente particolari che vanno a integrarsi e, allo stesso tempo, creano una sorta di contrasto con il panorama artistico presente in Museo. L’esposizione, non a caso, è stata chiamata “Crossing. Attraversare una collezione”. In sostanza, si tratta di un percorso – dall’antico al contemporaneo - in cui coesistono incontri, fusioni, inciampi, richiami/rievocazioni e racconti/narrazioni. Un percorso che comincia proprio in cima alla grande scalinata progettata da Filippo Juvarra (Messina, 1678 – Madrid, 1736) e realizzata tra il 1718 e il 1721 per Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours. Ad attendere chi sale, infatti, ci sono 3 (tre) sculture di Frédérique Nalbandian che richiamano fortemente il passato, dunque si sposano bene con la fondazione romana dell’edificio. L’estetica, almeno, è antica, ma i materiali utilizzati non interpellano il classico marmo, bensì la stoffa e il sapone. L’effetto finale è indistinguibile da quello che darebbe una pietra calcarea come il marmo, eppure la tecnica è più simile a una colata di cera che ad un’operazione da scalpellino. “È proprio nel gioco dell’illusione, nell’inversione tra percezione e realtà, che l’opera di Nalbandian balza nel contemporaneo tracciando sia un dialogo tra forme che appartengono alla scultura antica sia omaggiando l’eredità dell’Arte  Povera che proprio a Torino ha avuto uno dei suoi luoghi nevralgici”.[1]

Le tre sculture di stoffa e sapone di Frédérique Nalbandian, per "Crossing", a Palazzo Madama, Torino.


Questo dialogo tra il passato e il presente è forte anche nelle ceramiche di RunoB, giovane artista cinese di nascita e veneziano d’elezione, che ha contribuito all’allestimento della mostra con 10 (dieci) vasi da lui dipinti seguendo tematiche assai moderne e quanto mai inedite nel mondo dell’arte, ovvero il fast-food e il food-delivery.

 

RunoB e le sue maioliche, per "Crossing", a Palazzo Madama, Torino.

 È una bizzarra rilettura della produzione maiolica, ma perfettamente in linea con l’antico. Per la realizzazione delle sue opere l’artista si è ispirato alla situazione creatasi durante il lungo periodo della Pandemia di Covid, periodo in cui le persone sopravvivevano proprio grazie al duro lavoro dei delivery-men, ovvero di coloro che consegnavano cibo a domicilio.

Alcune opere di RunoB per "Crossing", a Palazzo Madama, Torino.

 I vasi,  usati - sia in Cina sia in Italia – soprattutto per il contenimento e il trasporto di acqua, vino, olio, riso e grappa - sono un richiamo alle grosse bisacce da rider che vediamo ancora oggi sfrecciare sulle strade delle nostre città e simboleggiano l’indispensabile, ciò che è necessario alla vita, mentre alcune figure rappresentano addirittura una narrazione, un racconto che parla di libertà.

RunoB e il racconto del rider/centauro, per "Crossing", Palazzo Madama, Torino.

 È il caso della figura del centauro, un gioco di parole e immagini nato dall’associazione tra il motociclista (per una metà cavallo e per l’altra uomo) e l’uomo delle consegne: durante il percorso narrativo avviene la trasformazione completa in cavallo, una creatura libera che si allontana felicemente dai confini dettati dalla reclusione forzata, lascia la città e va a vivere nella natura. L’intento è quello di creare una sorta di memoriale, un archivio di ricordi - fatto di immagini – per non dimenticare quel passato tanto drammatico, quel pezzo della Storia mondiale che ancora brucia nel nostro presente.


 

“Il grande tondo di quasi due metri che Marta Sforni ha realizzato appositamente per Crossing è certamente un omaggio al monumentale lampadario del 1928 dei Fratelli Toso che domina il centro della sala dedicata ai vetri, ma al contempo si inserisce in una ricerca, sia pittorica sia concettuale, che l’artista sta portando avanti da anni. Il lampadario veneziano è infatti il soggetto per eccellenza della pittura di Marta Sforni e, al contempo, esso rappresenta per l’artista una sorta di stella, un astro che fa parte di una costellazione articolata che da Murano trova connessione e rimandi anche in luoghi lontani, ovunque un lampadario veneziano abbia trovato collocazione. L’originalissima e personale tecnica di Marta Sforni racconta questi giardini pensili per sottili velature che si concentrano in particolare sui dettagli – le bossette, in termine tecnico, e i fiori – dei questi sontuosi manufatti antichi”.[2]

Il grande tondo di Marta Sforni, per "Crossing", a Palazzo Madama, Torino.


Il colore è ammaliante… E poi il significato simbolico si sposta dalla sfera del tempo delle altre opere per adagiarsi al tema dello spazio: il passato temporale si trasforma in lontananza spaziale.

“A chiudere il percorso di Crossing, la veranda juvarriana ospita la grande installazione di Giuseppe Lo Cascio, giovane artista palermitano particolarmente attento ai temi della memoria e di un quotidiano restituito attraverso un uso inatteso e spettacolare degli oggetti. Le sue costruzioni modulari sono schedari monumentali che vanno intesi come un immenso raccoglitore di memoria e, di conseguenza, di conoscenza. Sono torri di Babele in metallo e cartoncino o lamine plastiche, oggetti presenti in ogni ufficio, e che qui ribadiscono però la ragione stessa del museo, inteso come rifugio del sapere in cui persino l’etimo deriva dalle Muse, mitologiche figlie di Zeus, e custodi della memoria e della conoscenza da tramandarsi nei secoli”.[3]

Le "torri di Babele" di Giuseppe Lo Cascio, per "Crossing", Palazzo Madama, Torino.


Di nuovo il tema dell’archiviazione, dunque, dove lo schedario diventa testimone di un tempo che fu, e portatore di un messaggio che tende al futuro. In un Museo che ospita il passato per raccontarci l’oggi e, soprattutto, aprire la nostra visione a ciò che sarà o, quanto meno, potrebbe essere…

Questi quattro blocchi artistico-narrativi sono come dossi sulla strada: segnalano al viaggiatore che è il caso di rallentare e prestare maggiore attenzione al presente, alla direzione, ma – soprattutto – al futuro

 

 

"CROSSING. Attraversare una collezione", a cura di Cristina Beltrami, è a Palazzo Madama (Torino), dal   28/10/2024 al 08/12/2024.



[1] Dalla cartella stampa.

[2] Dalla cartella stampa.

[3] Dalla cartella stampa.