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LA BELLEZZA

mercoledì 29 agosto 2018

Riflessioni personali su un argomento spinoso...


Morte.

Sul significato di questo termine (bello, tra l’altro vedere la parola “morte” accanto alla parola “termine”) il genere umano si divide in due macro-categorie: la prima è quella di coloro che vedono l’uomo come fosse una macchina, costituita da un corpo, tenuta in vita da un motore (il cuore) e guidata da un computer di bordo (il cervello). Spentosi  il motore, non c’è più nulla da fare, secondo il loro punto di vista. Vorrei che queste persone mi spiegassero l’origine della personalità, del carattere, dei sentimenti, dei ricordi (magari di vite precedenti), delle percezioni extrasensoriali e – perché no? – del pensiero, ma senza tirare in ballo ormoni, neuroni o sinapsi…
La seconda categoria, invece, crede che nel corpo ci sia un’anima che continuerà a vivere anche dopo la morte del suddetto corpo.
Per i primi avrei un suggerimento non tanto perché cambino idea, ma perché possano valutare anche un’altra prospettiva: perché non provate a vedere la morte come un naturale passaggio di stato anziché come la cessazione della vita? Il corpo potrebbe essere un vestito, in fin dei conti, un utilissimo “abito” che traduce all’esterno ciò che abbiamo all’interno.
La morte non è soltanto lo smettere di battere da parte del cuore; non avviene soltanto perché sangue e, di conseguenza, ossigeno non arrivano più al cervello; non è solo lo spegnersi dei sensi. La morte è anche il periodico ricambio cellulare (attenzione: delle cellule, non del telefonino);  morte vuol dire anche cambiamento: moriamo ogni volta che subiamo una sconfitta, otteniamo una vittoria o affrontiamo una perdita (che può essere anche di una parte di noi); morte significa anche cessazione della ricerca, del desiderio di scoperta, ovvero l’abbandono della volontà.
Pochi esempi, questi, che ci possono invitare a pensare che la morte si verifica ogni giorno nelle nostre vite, anche se spesso non ce ne accorgiamo perché è il frutto di passaggi graduali. Piccoli cambiamenti di stato che mutano il nostro essere. Prendendo per vero questo semplice presupposto per cui è naturale morire ogni giorno, va da sé che ognuno di noi è anche in grado di rinascere ogni giorno o, comunque, ogni volta che lo desidera.
Certo è che la morte fa paura. Abbiamo paura che sopraggiunga troppo presto e ci impedisca di realizzare i nostri sogni; abbiamo paura di soffrire o di creare sofferenza ai nostri cari; abbiamo paura di cosa ci attende dall’altra parte, se qualcosa dall’altra parte c’è… Allora mi piace pensare che si tratti davvero di un passaggio di stato, magari di un ritorno alla nostra vera natura, al nostro stato originario. E mi chiedo: “Se fossimo sempre noi?” Voglio dire: pensate se i sette miliardi di individui che abitano il pianeta Terra fossero, in realtà, sempre le stesse persone che si re-incarnano in corpi ogni volta differenti… Se così fosse, per quale motivo, ad ogni re-incarnazione, dimentichiamo tutto? Forse per avere la possibilità e l’opportunità di vivere ogni vita senza portarci dietro la zavorra di antichi retaggi, errori commessi, sensi di colpa, rimorsi o rimpianti di qualsivoglia natura? O forse, come nel mito di Er, al momento di “ritornare” beviamo l’acqua del fiume Amelete?
 Chissà… Forse tutti gli spermatozoi con i quali, quando sono stata concepita, ho gareggiato per venire al mondo erano tutti me e qualunque di loro avesse “vinto” la corsa per la vita sarebbe diventato me. E’ inquietante, ma  possibile.
Chissà se nasciamo liberi di fare davvero ciò che vogliamo o se abbiamo una missione da compiere, un Destino già segnato. E chissà se quel Destino lo abbiamo pianificato noi stessi, prima di venire “giù” o se lo ha fatto Qualcun altro per conto nostro.
Chissà…

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