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Kazuko Miyamoto, "Kimono con corde e bastoni", 2004
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Numerosi possono essere i
motivi per i quali alcune persone tendono ad annoiarsi quando vanno a visitare
un Museo; uno dei motivi è che il Museo in questione non ha saputo trovare il
linguaggio adatto al pubblico. Ma questo non vale di certo per il MAO che – in occasione
della consueta e periodica rotazione delle opere – ha saputo rappresentare in
maniera esemplare l’antico e il moderno, rendendo entrambe le cose accessibili,
fruibili e comprensibili. A tutti, da tutti e per tutti. Fino al 5 maggio 2024, infatti, il secondo piano della galleria
giapponese del Museo d'Arte Orientale di
Torino dialogherà con le opere di Kazuko Miyamoto,
grazie alla collaborazione del Direttore del MAO, Davide Quadrio (e del suo Staff) con la Direttrice del Museo Madre
di Napoli, Eva Fabbris. Il tema
principale preso in esame dall’esposizione è il vestito, l’abito, attorno al
quale ruotano la Natura e il movimento. Per Miyamoto, infatti, il kimono – uno dei simboli più potenti e
sentiti del Giappone – si spoglia (è proprio il caso di dirlo) di stoffe e
decori e sfoggia la struttura nuda, lo scheletro, per veicolare i messaggi in
purezza. Perché il kimono simboleggia
apertura/chiusura, rappresenta il potere e – addentrandoci nella biografia dell’artista
– scopriamo che identifica anche la figura paterna.
Questa mostra è circolare: inizia con un kimono stilizzato e con un altro kimono stilizzato termina; il percorso
tra le opere è circolare, come a ricordarci la ciclicità della Natura e l’eterno
ritorno a cui ogni cosa è destinata; e nel mezzo – come in una sorta di mandala – sorgono le declinazioni dei
temi fondamentali.
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Kazuko Miyamoto, Kimono/Corde, 2003 ca.
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Il primo kimono, quello con cui si apre il
riallestimento, è fatto di corda e si affianca ad uno schermo che mostra un
filmato – ovviamente in loop – in cui
Miyamoto compie una danza con l’ombrello (altro elemento di forma circolare).
Accanto a “Umbrella Dance” – questo il
titolo del video – possiamo perderci nelle forme essenziali e minimaliste dei
disegni di Miyamoto che ritraggono kimono,
ombrelli e altre “geometrie” naturali e non. C’è persino il ritratto di un
micio.
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Kazuko Miyamoto, opere
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Pochi passi e ci si trova di fronte a una teca
che riprende i disegni appesi alla parete che ci si è lasciati alle spalle.
Proseguendo, ecco che si
arriva a un’esposizione di magnifici kesa
- indumenti che hanno molto in comune con i kimono. La ricchezza dei primi, però, stranamente non contrasta con
la povertà dei secondi, anzi, la riprende e la compensa. E anche qui la Natura
si manifesta attraverso le proprie forme e le proprie “geometrie” astratte,
ispirate soprattutto ai fiori e alle nuvole.
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Kesa, dettaglio
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La decisione di accostare i kesa ai kimono è dovuta ai metodi di produzione artigianali dei due
indumenti: analogamente ai mantelli rituali buddhisti, infatti, anche i kimono sono tradizionalmente realizzati
assemblando rettangoli di seta. La loro forma non è destinata ad assecondare le
curve del corpo, ma ad avvolgerle, nascondendole. Velare e svelare, dunque, è
questo il gioco creato dal MAO nell’area dedicata al Giappone.
La sala
scorpora le due realtà, mostrandone
significato e significante attraverso la stoffa e la sua struttura portante,
come uno scheletro fa con la pelle che “indossa”. Entrambe le realtà sono
bidimensionali, ma incredibilmente colme di potere simbolico. Nel centro della
sala, a fare da spartiacque, troneggiano le sorprendenti armature dei samurai.
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Le armature dei samurai
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Ed ecco l’antico – con le sue forme piene e tridimensionali – che ricorda le
fondamenta su cui poggia il moderno, l’impalcatura che ci ricorda il passato e
getta le basi per il presente.
Aggirato il “muro”
trasparente che contiene le armature (tre, come il numero di kesa esposti e come quello delle
strutture “cordate” appese) si arriva a una parete ricca di fotografie di fine ‘800
che raffigurano attori di teatro kabuki,
beltà femminili (bijin) immerse in
colorati giardini e fanciulle intente a comporre ikebana. E, proprio per riprendere questa immersione nelle bellezze
naturali, accanto alla parete in questione è stato posto un altro schermo: “In the garden” è il titolo – già di per
sé esplicativo – del video proiettato.
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Kazuko Miyamoto, "Ladder and Branches", 2010
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“Ladder
and Branches” – un’effimera struttura a forma di scala
realizzata con corde fatte di carta arrotolata e pioli in legno – “chiude” la
sala e, contemporaneamente, introduce il visitatore in un corridoio tappezzato
di stampe.  |
Corridoio delle stampe giapponesi
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Idealmente, è un mezzo
per “ascendere”, per cambiare “stato”, per salire a un livello di coscienza
superiore. È un chiaro riferimento alle shimenawa,
le corde utilizzate nei rituali di purificazione shintoisti, ma rappresenta
anche l’attitudine dell’artista a connettere, collegare, fornire passaggi tra l’arte
e la vita e punti di unione tra il passato e il presente.
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Utagawa Kunisada, "L'attore Onoe Kikugoro III nel ruolo di onnagata". Periodo Edo, 1828-1829. Xilografia su carta.
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Al termine del corridoio troverete la
ricostruzione di una sala da tè con all’interno un altro kimono fatto di corda e un quadro
raffigurante un ombrello rosso e nero.
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Utagawa Kunisada, "Camminando sotto la neve". Periodo Edo (1828-1830)
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Pieno/vuoto, apertura/chiusura,
interno/esterno, punti/linee/masse, andata/ritorno, opulenza/minimalismo,
semplicità/complessità, passato/presente… Una mostra che fa incontrare gli
opposti, li fa dialogare tra loro e ci fa scoprire che – come nel Tao – dalla contrapposizione può nascere
un amalgama anziché un conflitto, se solo si riesce a raggiungere e ad instaurare la vera comunicazione tra le
parti coinvolte… Ed ecco che anche questo articolo si chiude così come è iniziato, cioè con la menzione del linguaggio...
Il MAO ringrazia Eva
Fabbris e il Museo Madre di Napoli.
Si ringraziano, inoltre,
l’Estate dell’artista, la Cuomo Collection, la collezione Marilena Bonomo, la
Galleria Alessandra Bonomo, EXILE Gallery e tutti i collezionisti coinvolti.