Pagine

martedì 22 ottobre 2024

BERTHE MORISOT e la NUOVA GAM

 

Berthe Morisot, "Ragazza con cane", 1892, olio su tela, collezione privata.

L’Arte è fatta da tutti, è per tutti, è di tutti, si può fare con qualsiasi cosa e qualsiasi cosa può diventare Arte: Ma allora che cosa distingue l’Arte che viene esposta nei Musei e nelle Gallerie da quello che ognuno di noi fa quotidianamente? Cosa rende un artista meritevole di essere considerato tale? Perché un chirurgo che esegue delle magnifiche suture non viene considerato un artista? Perché una massaia che cucina pietanze strepitose non fa notizia? Non ho LA risposta, ma posso formulare delle ipotesi. Forse è tutto qui, nel riconoscimento del talento da parte di un numero sufficientemente ampio di persone. O forse no. Magari si è artisti a prescindere da quanti sono disposti a riconoscerlo. La fama viene sempre dopo, prima c’è il fare. Fare cosa? Fare della realtà e del quotidiano qualcosa di straordinario, qualcosa che sia già presente nel cuore di tanti per richiamarlo alla coscienza o, perlomeno, renderlo accessibile alla maggioranza delle persone.

Berthe Morisot, "Il ciliegio", 1891-1893, olio su tela, Musée Marmottan Monet, Paris.

La GAM di Torino ha riaperto da poco al pubblico dopo un periodo in cui ha operato grandi cambiamenti al proprio interno, e ha “rilanciato” il talento di un’artista eccezionale: Berthe Morisot, pittrice impressionista del 1800. Perché eccezionale? Per il suo modo di rapportarsi alla realtà e di trasporre quest’ultima sulle tele. Un modo che ha il proprio fulcro sulle “impressioni”. Fare leva su ciò che sentiamo per consegnare quel sentire ad un vasto pubblico che potrà così “sentire” noi attraverso il nostro operato è una forma d’Arte veramente formidabile. Senza contare il fatto che, quando “sentiamo” gli altri, “sentiamo” molto anche di noi stessi. E questo è fondamentale per l’affermazione di chi produce Arte. Nell’Arte impressionista nulla ha contorni netti o ben definiti. “Ciò che più conta in ogni rappresentazione è dunque l’impressione che un determinato stimolo esterno suscita nell’artista il quale, partendo dalle proprie sensazioni, opera una sintesi sistematicamente tesa ad eliminare il superfluo per arrivare a cogliere la sostanza delle cose e delle situazioni, nel continuo tentativo di ricercare l’impressione pura”.[1]

Berthe Morisot, "Eugéne Manet all'Isola di Wight", 1875, olio su tela, Musée Marmottan Monet, Paris.

Svaniscono i contrasti cromatici forti, la prospettiva e il volume; la luce viene colta in flagrante, in un attimo che viene trasformato in eternità, perché la luce – sia sa – cambia in ogni istante e, con essa, cambiano anche i colori e le impressioni. “La pittura impressionista vuol darci conto di questa  estrema variabilità dei colori con la maggior immediatezza possibile, cercando di cogliere l’attimo fuggente, cioè sensazioni di un istante, con la precisa consapevolezza che l’istante successivo potrà generare sensazioni del tutto diverse”.[2] Le pennellate, dunque, sono rapide, fulminee, piccole “virgole” o trattini brevissimi ed ecco che l’impressione è catturata.

Berthe Morisot, "Ritratto di signora", c. 1880, olio su tela, GAM - Galleria d'Arte Moderna, Milano.

“Nel momento in cui l’artista dipinge non rappresenta più la realtà ma le sensazioni che essa gli suscita. È per questo motivo che egli deve essere il più rapido possibile nell’esecuzione del dipinto, al fine di evitare che le condizioni che determinano in lui tali impressioni vengano meno. Quanto detto chiarisce il motivo per il quale quasi tutti i pittori impressionisti prediligevano dipingere en plein air, cioè all’aria aperta”.[3]

Berthe Morisot, "Cupola dell'Arena Rue Pergolèse", 1893, olio su tela, collezione privata.

 

“Per questi artisti, dunque, la realtà è soggetta a un’evoluzione continua e non costituisce uno stato definitivo e acquisito ma – al contrario – un continuo divenire”.[4]

Forse non ci crederete, ma l’insuccesso iniziale di questo movimento artistico – nato ufficialmente il 15 aprile 1874 – fu clamoroso. In quella data, infatti, alcuni giovani artisti (tra i quali spiccano dei nomi poi divenuti celebri come Claude Monet, Edgar Degas, Paul Cézanne, Camille Pissarro, Pierre-Auguste Renoir, Alfred Sisley e Berthe Morisot) le cui opere erano state ripetutamente rifiutate dalle principali e più prestigiose esposizioni ufficiali (i cosiddetti Salons), decisero di organizzare una mostra alternativa, indipendente, dei loro lavori. Si presentarono al pubblico con il nome di “Società Anonima degli artisti, pittori, scultori, incisori etc.” e l’unica sede espositiva adatta alle loro esigenze (economiche, soprattutto) fu quella  messa a disposizione dal celebre fotografo Félix Nadar che, tra i primissimi estimatori di quel nuovo modo di dipingere, cedette loro gratuitamente i locali del proprio studio, al 35 del Boulevard des Capucines, dal quale stava traslocando proprio in quel periodo.

Berthe Morisot, pittrice impressionista. Display di Stefano Arienti. Alla GAM di Torino, fino al 09 Marzo 2025.


La mostra fu un vero fiasco, ma se non arrivò il successo, per il gruppo arrivò almeno il nome: il termine “Impressionisti”, infatti, fu coniato dal noto critico Louis Leroy che, osservando un dipinto di Monet intitolato “Impressione, sole nascente”, lo stroncò scrivendo che «una carta da parati al suo stato iniziale è più rifinita di questa marina» e concluse la propria spietata recensione estendendo ironicamente a tutti gli artisti del gruppo l’appellativo “impressionisti”.

La durata della stagione impressionista fu assai breve: cominciò a sgretolarsi già a partire dal 1880 per poi terminare nel 1886, anno dell’ottava (e ultima) esposizione.

Eppure…

Berthe Morisot, pittrice impressionista. Display di Stefano Arienti. Alla GAM di Torino, fino al 09 Marzo 2025.

 

Eppure, quelle opere, d’ispirazione così intima e personale (come direbbe la bambina di “Io speriamo che me la cavo”) e così lontane nel tempo, sanno – oggi ancor più di ieri – toccarci nel profondo e suscitare in noi le “impressioni” che le hanno prodotte all’epoca. La GAM, dal canto suo, ha messo in rilievo le opere di Berthe Morisot “fondendole” con il lavoro di un altro artista, un artista contemporaneo, Stefano Arienti, che – infatti – è nato ad Asola, in provincia di Mantova, nel 1961. Arienti rappresenta una delle esaltanti novità della GAM introdotte dalla Direttrice Chiara Bertola e dalla sua squadra.

Stefano Arienti, "Marguerite nel giardino di Bellevue, da Édouard Manet", 2024, cera pongo su poster montato su pannello. Courtesy l'artista.

 È L’INTRUSO, ovvero un occhio che si inserisce in maniera inattesa e piacevole nel display espositivo della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, offrendo letture fresche e spunti e “impressioni” perfettamente azzeccate, in linea con l’andamento tematico proposto. In dialogo con le opere di Morisot, utilizza una vasta gamma di elementi per immaginare e creare un contesto e un’ambientazione inedita per le opere di Morisot, arricchendo – di fatto – l’esperienza dell’osservatore. Le sale della GAM offrono, per l’occasione, quattro sfaccettature della produzione artistica di Berthe Morisot: sfera familiare, ritratti femminili, paesaggi e giardini e figure nel verde. Oltre a ciò, è possibile ammirare una bellissima raccolta di opere su carta provenienti dal Musée Marmottan Monet di Parigi. Ma i prestiti internazionali includono anche la collaborazione del Musée des Beaux-Arts di Pau, il Musée d’Orsay di Parigi, il Thyssen-Bornemisza di Madrid e il Musée d’Ixelles di Bruxelles.

Berthe Morisot, "Donna con ventaglio (al ballo)", 1875, olio su tela, Musée Marmottan Monet, Paris.

Inutile dire che l’effetto complessivo è estremamente coinvolgente. Tanto per farvi un esempio: quando sono entrata nella sala col grande tappeto verde al centro e la panchina sulla sinistra e la carta da parati con gli alberi dorati e la parete azzurra di fronte, coi dipinti a spiccare nel mezzo, ho avuto proprio l’impressione di immergermi nell’atmosfera di un parco o di un giardino incantato. Stefano Arienti si è adattato perfettamente allo stile di Berthe Morisot e ne ha esaltato il fascino e la delicatezza.

Stefano Arienti, "Berthe Morisot distesa, da Édouard Manet", 2024, cera pongo su poster montato su pannello. Courtesy the artist.

 È riuscito a sottolinearne la natura effimera senza, però, definirla o bloccarla anzi, ne ha ampliato i contorni di per sé già inesistenti (per il fatto di appartenere alla corrente Impressionista) e l’ha avvicinata ai visitatori. Con le sue carte da parati e nastri d’organza a righe o a fiori (tipici dell’epoca), coi suoi arredi (come un pianoforte, un attaccapanni e una bacheca con la frutta di Francesco Garnier Valletti proveniente dal Museo della Frutta di Torino), coi suoi quadri di pongo, i suoi tappeti e molto altro, Arienti è davvero un ottimo Intruso!

Berthe Morisot, pittrice impressionista. Display di Stefano Arienti. Alla GAM di Torino, fino al 09 Marzo 2025.

Ma approfondiamo questa figura, che – come ho detto - nasce da un’idea di Chiara Bertola e che rappresenta una delle succosissime novità della GAM…

L’Intruso è un artista o un curatore invitato in ogni Risonanza a dialogare con le mostre e con le collezioni della GAM. La sua “intrusione” sarà decisiva in ogni riallestimento delle collezioni e in quel rimettere in moto traiettorie interpretative o tranquillizzanti percorsi cronologici. Intrusione per elaborare una propria visione a contrappunto e, insieme, a sostegno dell’organismo espositivo museale. Quando si parla di intrusione si fa riferimento a una pratica in qualche misura disturbante, nella quale qualcosa o qualcuno viene inserito o si inserisce con prepotenza all’interno di un’unità dotata di equilibrio proprio. Questa figura è destinata a creare degli inciampi al percorso rassicurante del Museo. Sorprendere con display imprevisti e offrire visioni inattese all’interno del palinsesto della programmazione e dell’allestimento delle collezioni del Museo.

L’intruso sarà quindi invitato a ogni stagione espositiva per scompaginare e ricomporre con ordini visivi imprevisti, per riaprire e rimettere in moto tutte le relazioni spazio temporali all’interno del mondo “congelato” del Museo. Rivedere allora il concetto di conservazione e portarlo fino a coincidere con il suo contrario, il più lontano possibile dall’idea di chiusura, di immobilità restando comunque all’interno del museo.

Corredano il progetto i Quaderni dell’Intruso, generosamente offerti e pubblicati dalla casa editrice Umberto Allemandi.

 

Stefano Arienti è il secondo Intruso, dopo il curatore Fabio Cafagna nella mostra di Italo Cremona, chiamato a intervenire negli spazi delle collezioni permanenti e della mostra dedicata a Berthe Morisot.

Per la prima Risonanza l’artista ha offerto il suo particolare punto di vista nell’allestimento del Deposito Vivente intervenendo insieme ai curatori nella selezione delle opere e sulla composizione del display espositivo, e nella sala di riposo del secondo piano con l’opera del grande tappeto, un esempio di manipolazione di un’immagine caratteristica del suo fare: una fotografia dell’immagine di una superficie d’acqua stampata su moquette, creando una sorta di trompe l’oeil contemporaneo.

La nuova veste della GAM di Torino.

La nuova veste della GAM di Torino.

Infine è possibile scoprire alcuni suoi interventi sui tre piani del museo, negli ambienti di passaggio che portano agli spazi espositivi, il disegno su telo antipolvere di una grande montagna dorata al piano -1, un grandissimo pioppo che sembra nascere dai pavimenti arabescati di marmo al primo piano e due meridiane nelle due entrate del Deposito Vivente al secondo piano”.[5]

Ed ecco a voi le altre novità, in tutto il loro splendore:

- Sono stati riqualificati gli spazi espositivi e di accoglienza, grazie al completamento del LOTTO ZERO.

- È stato riaperto il secondo piano dell’edificio, dove – sorpresa nella sorpresa – è stato creato un DEPOSITO VIVENTE!

- Nuovo ALLESTIMENTO (e nuove RISONANZE!) delle Collezioni permanenti, ispirato ai temi delle mostre: luce, colore, tempo.

- La GAM presenta anche una nuova identità visiva, realizzata da Studio Fludd.

Partiamo dal LOTTO ZERO…

Una delle scalinate della GAM di Torino.

 

Avete presente il famoso detto che recita “Less is more”? Ecco, per riqualificare il secondo piano, il foyer e gli spazi del dipartimento di educazione, “alla GAM si è lavorato per sottrazione, cercando di liberare l’edificio originale dalle aggiunte che si erano accumulate nel corso degli anni: strati di intonaco, cartongesso, controsoffitti, impianti in disuso. Un intervento che ha coinvolto una superficie di 3200 mq nel pieno di quel “fare di più con meno” che è un imperativo etico ed ecologico.

Nel foyer è stata razionalizzata l’organizzazione di biglietteria e guardaroba per restituire allo spazio il respiro originario. I pilastri, che negli anni erano stati intonacati o inglobati in strutture di cartongesso, sono stati liberati e stonacati, riportando alla luce il calcestruzzo bocciardato che si vedeva nelle foto del 1959, quando la Galleria d’Arte Moderna appena inaugurata era un riferimento di avanguardia architettonica museale in Europa. Altri cartongessi sono stati rimossi dalle vetrate del vano scale, per farlo intravvedere, rendendo l’atrio più luminoso. Gli arredi originari, come le sedute fatte produrre dai progettisti appositamente per l’auditorium, disperse negli anni in diversi uffici comunali, sono stati restituiti al loro luogo d’origine.

La visione che ha guidato la Direzione del museo e lo studio PAT. Architetti associati è stata quella di rendere l’intero piano terreno – e il giardino – un luogo aperto e vivo, a cui si possa accedere anche senza biglietto. Si è lavorato con un occhio al passato e uno al futuro, dando spazio a tecnologie multimediali per comunicare al meglio le numerose attività della GAM.

La strategia di rimozione, anticipata nel foyer si manifesta in modo più compiuto nel secondo piano del museo, che riapre al pubblico dopo sei anni. La chiusura era stata determinata da problemi di infiltrazioni, già risolti, mentre restava da affrontare un problema di sfondellamento dei solai in laterizio. Intervenire è stata l’occasione per rimuovere il carabottino (controsoffitto a griglia) in alluminio che dagli anni ‘90 ingabbiava quei soffitti la cui conformazione è il tratto distintivo del museo: l’inclinazione di tetto e pareti perimetrali era stata progettata per poter consentire l’illuminazione naturale delle gallerie dall’alto. Una concezione all’avanguardia, purtroppo compromessa da carenze realizzative: le coperture trasparenti furono sostituite con pannelli ciechi e, con l’introduzione dei controsoffitti grigliati e di contropareti perimetrali a mascherare nuovi impianti, si perse ogni traccia della spazialità originaria. Erano state chiuse anche le vetrate sul perimetro, eliminando gli affacci verso il giardino e la città – elementi fondamentali per prevenire quella che in linguaggio scientifico si chiama museum fatigue. Le rimozioni operate hanno permesso di svelare i soffitti della galleria, rendendone leggibile l’articolazione, di restituire le aperture verso l’esterno e di rimettere in comunicazione le due maniche parallele, ricreando una zona di riposo a due arie, con affacci a Est e Ovest, come già era presente nel progetto degli anni ’50.

L’intervento ha reso nuovamente fruibili 1200 mq di spazi espositivi, un bene quanto mai prezioso perché la città possa godere di opere troppo spesso relegate nei depositi.

È proprio in questo senso che il secondo piano della GAM si è arricchito del Deposito Vivente, una sezione dove, riutilizzando le griglie provenienti dai depositi della Galleria, alcune opere sono allo stesso tempo conservate ed esposte: un gesto fondato sulla circolarità che valorizza un bene pubblico in tutte le sue componenti, tanto di infrastruttura quanto di patrimonio artistico.[6]

Il DEPOSITO VIVENTE…

La nuova veste della GAM di Torino.

 

Il Deposito Vivente, situato al secondo piano dell’edificio, nasce da un’idea di Chiara Bertola e Fabio Cafagna e beneficia dell’intervento “intrusivo” di Stefano Arienti. L’obiettivo è di creare “un contatto inedito tra il pubblico e la collezione del museo, rivelando parte del vasto patrimonio artistico. Il Deposito Vivente permette ai visitatori di scoprire la dimensione nascosta della GAM, rivelando come ogni museo sia un organismo vivo, in costante trasformazione. Le opere sono visibili dal pubblico attraverso uno sguardo dal di dentro, da dietro le quinte, così come sono abituati a vederle gli addetti ai lavori: appese alle rastrelliere, allineate sugli scaffali, custodite in casse, tutte cariche di un’energia potenziale che le scelte curatoriali devono portare alla luce e far parlare.

Il contrappunto tra il display delle sale, la studiata mise en scene di mostra, e il giacimento grezzo delle opere, tipico invece degli spazi di deposito, sarà un ulteriore modo di far conoscere ai visitatori la macchina museale e gli innumerevoli modi in cui la GAM disvela il senso di ciò che custodisce”.[7]

La nuova veste della GAM di Torino.

A questo punto potreste pensare che l’effetto finale sia quello di un semplice magazzino, invece è un concentrato di bellezza e meraviglia tale che, inizialmente, lo sguardo non sa dove poggiarsi… Poi, pian piano, qualcosa cattura l’occhio: l’espressione di una statua che sembra viva, il colore vibrante di una tela, la struggente malinconia di un ritratto, un bizzarro contrasto cromatico…

 

Cose belle alla GAM di Torino.

Il DEPOSITO VIVENTE non è solo un luogo di conservazione, ma anche un luogo di osservazione, di meditazione e di cambiamento. Un luogo in cui le opere vengono non soltanto custodite, ma anche e soprattutto esaltate. Un ambiente dinamico che porta il visitatore fuori dai percorsi espositivi canonici e tradizionali pur avvolgendolo nella calda e confortevole coperta di un patrimonio artistico straordinario. Grazie all' “accostamento inedito di alcuni capolavori della collezione a sculture e dipinti meno noti, e per alcuni aspetti sorprendenti, le opere acquisiscono nuova vitalità, stimolando interazioni e riflessioni critiche che sfidano le gerarchie convenzionali”.[8]

Cose insolite alla GAM di Torino.

 

Le COLLEZIONI: luce, colore, tempo…

Guizzi di colori alla GAM di Torino.

 

Grazie all’impegno e alla cura di Chiara Bertola, Elena Volpato e Fabio Cafagna, la GAM rinnova l’allestimento delle sue collezioni, articolate in quindici sale tra il primo e il secondo piano dell’edificio. Troverete di tutto, in quelle sale! Come già accennato, c’è persino un altro splendido e rilassante salottino in cui godersi il significato di tutti i passi che i nostri piedi hanno fatto sui pavimenti della GAM. Un salottino colorato, in cui anche le sedie sono pezzi d’arte!

La nuova veste della GAM di Torino.

E poi c’è il panorama fuori dalle finestre, che pare di per sé un dipinto…

Uno scorcio del panorama esterno alla GAM di Torino (con mio riflesso incorporato).

 

 

 

 

 

 

 

Info utili:

- La mostra “BERTHE MORISOT – Pittrice impressionista”, Display di Stefano Arienti, sarà visitabile dal 16 Ottobre 2024 al 9 Marzo 2025.

- L’esposizione è organizzata e promossa da Fondazione Torino Musei, GAM Torino e 24 ORE Cultura – Gruppo 24 Ore, a cura di Maria Teresa Benedetti e Giulia Perin, con il sostegno eccezionale del Musée Marmottan Monet di Parigi, istituzione che vanta la più grande raccolta di opere di Berthe Morisot da cui provengono importanti dipinti, e realizzata grazie allo sponsor di BPER Banca.

 

 

 

 



[1] P. 608 di “Itinerario nell’arte. Dall’Età dei Lumi ai giorni nostri”, vol. 3, Giorgio Cricco e Francesco P. Di Teodoro, Zanichelli.

[2] P. 609, ibidem

[3] P. 609, ibidem.

[4] P. 609, ibidem.

[5] Dalla cartella stampa.

[6] Dalla cartella stampa.

[7] Dalla cartella stampa.

[8] Dalla cartella stampa.

 

Nessun commento:

Posta un commento

Grazie per essere passato/a di qua. Cosa pensi di questo post? Lasciami un commento e ti risponderò al più presto!!!