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sabato 21 ottobre 2023

SIMONE FORTI

 

SIMONE FORTI (una mostra a cura di Elena Volpato) alla GAM di Torino (dal 20 ottobre 2023 al 25 febbraio 2024).

 

Nel “Doctor Faustus” Thomas Mann fa dire ad Adrian, il protagonista: «Apparenza e gioco hanno contro di sé, già oggi, la coscienza dell’arte. L’arte vuole smettere di essere apparenza e gioco, vuole diventare conoscenza. Ma non è forse vero che ciò che smette di concordare con la propria definizione cessa di esistere? E come può vivere l’arte se diventa conoscenza?»

Caro Adrian, mi dispiace, ma non mi trovi d’accordo col tuo ragionamento. L’arte è tante cose, e tutto può diventare arte. L’arte che cambia è ancora arte, ma in un’altra forma. L’arte è soprattutto espressione, è un far uscire ciò che c’è dentro e un camuffare ciò che appare all’esterno. L’arte spiega, nasconde, racconta, enfatizza, simboleggia, interpreta e si lascia interpretare. E poi esiste. Sempre. Perché se “esistere” vuol dire essere in vita, nella realtà, ed “essere” vuol dire accadere, succedere, verificarsi, allora significa che – se esisti – sei. E, se sei, è perché esisti. L’essere è subordinato all’esistenza e presuppone una “sostanza” che si manifesta nella realtà, nel mondo dei fatti. L’arte si manifesta.

«Che cosa è successo? È successa l’arte», scrive Marina Abramović in “Attraversare i muri”.

A volte lo fa attraverso delle “illuminazioni”, delle epifanie che portano a una conoscenza [attenzione Adrian,  ho appena usato la parola “conoscenza” associata ad “arte”!] più profonda delle cose o – addirittura – di noi stessi. L’arte, in questo caso, è un’esperienza, e tale esperienza è la base di partenza - ma anche l’approdo - del lavoro di Simone Forti.

In mostra nella videoteca della GAM di Torino (dal 20 ottobre 2023 al 25 febbraio 2024) due opere di questa artista molto particolare il cui lavoro va a chiudere un ciclo (curato da Elena Volpato)  che ha avuto uno sviluppo annuale ed è cominciato con Michael Snow ed è proseguito con Giuseppe Gabellone. Un progetto che mette in relazione movimento, suono, spazio e tempo.

Per ammissione della stessa Curatrice, le opere in mostra – probabilmente – non verrebbero scelte per rappresentare Simone Forti dato che questa artista è conosciuta in prevalenza per le sue performances di danza, ma la verità è che la stessa Simone Forti parla di queste opere in tutte le sue interviste, le cita e ne discute spesso in quanto costituiscono il seme del suo lavoro, la matrice da cui sono nate molte riflessioni sul significato di movimento, soprattutto della cinematica.

Ed è proprio sul concetto di movimento che Chiara Costa, graphic designer che cura i progetti (grafici, per l’appunto) della GAM, ha giocato sul posizionamento asimmetrico e discontinuo delle lettere che compongono il nome e il cognome di Simone Forti per creare il manifesto della mostra. Ha trovato, in questa idea, la modalità perfetta per rappresentare al meglio il concept dell’esposizione.

ILLUMINATIONS

Simone Forti, "Illuminations", 1972, inchiostro vegetale e grafite su pergamena.

 

All’uscita da scuola, Simone Forti soleva trascorrere i suoi pomeriggi al Coronet Theatre[1] di Los Angeles, luogo cardine della città nel secondo dopoguerra.

Cosa andava a vedere la giovanissima Simone Forti di così interessante?

I film del Surrealismo, come “Le Retour à la raison” di Man Ray e “Ballet mécanique” di Fernand Leger. Fu così che, riprendendo i carousel illuminati nel buio - dell’uno - e i movimenti circolari delle sfere - dell’altro -, Simone Forti diede vita alla performance “Illuminations”[2] [realizzata in collaborazione con Charlemagne Palestine a Cal Arts], durante la quale lei – l’artista – immersa in una luce rossa molto intensa creava vorticosi movimenti circolari[3].

Durante la performance, i cerchi, la luce rossa, l’artista e il movimento si fondono insieme; il movimento si fa più veloce e frenetico, i passi più ristretti, la luce acquista un’intensità maggiore, il cerchio diventa come infuocato e l’artista stessa ha l’impressione che il suo corpo prenda fuoco…

Alla GAM non troverete Simon Forti in carne e ossa, bensì nella sua trasposizione su pergamena, anzi, su quattro pergamene, sulle quali spiccano dei “bolli” rossi, arricchiti da una sorta di “ritmo” ottenuto grazie proprio all’azione della “timbratura”. Quei timbri rossi sono anche un concentrato dei due film surrealisti citati poco fa, ma non v’è staticità in quelle immagini fisse, al contrario… Il segreto (dell’illusione?) del movimento è racchiuso nella forma circolare[4] che, non avendo un inizio e neppure una fine, si inserisce nella dimensione spaziale dell’infinito e in quella temporale dell’eternità. In pratica, un cerchio è “sempre”. È come se Simone Forti stesse ancora oggi ballando/disegnando, in un loop senza fine ma composto da innumerevoli partenze e altrettanti ritorni. Le une indistinguibili dagli altri. E in questo eterno e infinito ritorno entriamo anche noi spettatori che, guardando il rosso dei cerchi, ci illuminiamo e diventiamo fuoco. Nel titolo stesso ravviso un duplice significato: illuminazioni intese come eventi luminosi, e illuminazioni intese come epifanie, prese di coscienza.

Così il loop diventa una sorta di mantra e, lavorare all’interno di uno spazio, non soltanto ci permette di definire quello spazio, ma anche di uscirne… Lo spiega molto bene Marina Abramović nella sua autobiografia:

«Ripetere il mantra in continuazione ha un effetto stabilizzante sul corpo e sulla mente; sonno e veglia diventano indistinguibili; i sogni fluiscono nella realtà. E nel momento in cui entri in questo stato mentale, attingi a un’energia illimitata, a un luogo dove puoi fare ciò che vuoi. Non sei più un piccolo io con tutti i suoi limiti. [...] Quando si presenta questo tipo di libertà, è come essere connessi a una coscienza cosmica».

E poiché il mantra è indissolubilmente legato al suono, ecco che entra in gioco la seconda opera di Simone Forti esposta nella videoteca della GAM.

BOTTOM

Simone Forti, "Bottom", 4 cartoline con disegni e spartito.


 

Apparentemente di un anno successiva a “Illuminations”, il concepimento di “Bottom” avvenne già nel 1968, proprio nel periodo in cui l’artista si trasferì con suo marito – Robert Morris – da Los Angeles a New York compiendo un viaggio coast to coast. Forti tenne traccia dei suoi spostamenti scegliendo di volta in volta una cartolina che ritraeva l’entroterra americano. Alla fine del viaggio si ritrovò così ad avere quattro[5] cartoline (montagne, cascate, deserto, bufalo) ad ognuna delle quali associò un suono: il ritmo veloce e costante di un tamburo – per la prima -, un alto accordo continuo di tre voci – per la seconda -, un aspirapolvere – per la terza -, e il proprio fischiettio per l’ultima.

Nessuno di questi accostamenti è casuale.

I tamburi hanno un suono “duro” e cadenzato che ben si sposa sia con la “durezza” delle rocce sia con il rimbalzare da una cima montuosa all’altra, in modo continuo e incessante; le voci sostituiscono il fluire dell’acqua con il fluire del suono; l’aspirapolvere è – invece – in intermezzo “giocoso” [visto, Adrian? L’arte avrà sempre voglia di giocare finché ci saranno artisti che hanno voglia di giocare!] che smorza la tensione senza però spezzare la continuità sonora[6]; e il motivo fischiettato da Forti riconduce ad un’atmosfera bucolica dove c’è serenità mista a un pizzico di malinconia.

Simone Forti, "Bottom", 1973, part. video, col, sound, 20'.

L’opera è esposta in due versioni: in una proiezione da 5 minuti per ogni cartolina (per un totale di 20 minuti di filmato) e in un quadro che raccoglie le quattro cartoline con i rispettivi disegni e lo spartito.

Per quanto siano immagini fisse, neanche qui c’è la staticità che ci si potrebbe aspettare, perché torna il tema della ciclicità. La riproduzione in sequenza delle immagini, infatti, non dà l’idea di un percorso lineare. Per i suoni ad esse associati vale la stessa cosa: ascoltandoli, non si capisce se ci si trova all’inizio, a metà o alla fine del “brano”. Come nel cerchio non si distingue l’inizio dalla fine, così anche in “Bottom” sembra non esserci un vero e proprio bandolo da cui partire e un punto di arrivo in cui fermarsi. Le immagini sono in sequenza continua, i suoni sono monotoni e costanti, un po’ come lo erano nelle opere di Snow e di Gabellone.

La sensazione che si avverte è di essere immersi in un continuum spazio-temporale ipnotico dove non esistono un prima e un dopo, un sopra e un sotto, un davanti e un dietro, ma c’è solo la ripetizione con le sue conseguenze, positive e negative: la sicurezza, l’ossessione, la serenità, l’inquietudine, la noia, la paralisi, l’angoscia, la calma, la stabilità, la stasi, il movimento perpetuo.

Come dicevo, l’arte interpreta e si presta ad essere interpretata. Io vi ho dato la mia interpretazione, ora tocca a voi.

Da sx: Luigi Cerutti (Segretario Generale Fondazione per l'Arte Moderna e Contemporanea CRT), Elena Volpato (Conservatrice GAM Torino e Curatrice della mostra), Riccardo Passoni (Direttore GAM Torino), Massimo Broccio (Presidente Fondazione Torino Musei).

 

 

Nota: si ringrazia la Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT per il sostegno alla collezione della VideotecaGAM il cui programma di mostre nel 2023 (dedicate a Michael Snow, Giuseppe Gabellone e Simone Forti) si è sviluppato attorno alle loro recenti acquisizioni per la GAM. Si ringrazia inoltre per la collaborazione la Galleria Raffaella Cortese presso la quale le due opere  di Simone Forti sono state acquisite in occasione di due diverse edizioni di Artissima, nel 2019 e nel 2022.



[1] In quello stesso teatro ebbe luogo la prima mondiale dello spettacolo di Bertold Brecht intitolato “Vita di Galileo”.

[2] A partire dal 1971.

[3] Il cerchio era già allora oggetto di studio di Forti, la quale si stava esercitando a comporne – a mano – di perfetti.

[4] Forma particolarmente cara all’artista che, nel cerchio, vede un riferimento alla stella di David, dunque alle proprie origini.

[5] Sarà una coincidenza il fatto che la mostra presenti 4 cartoline e 4 pergamene? Chissà…

[6] Sono stati scelti suoni che potrebbero andare avanti all’infinito.

4 commenti:

  1. Bellissimo l'articolo e bella deve essere la mostra complimenti 👏

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    1. Grazie mille! La mostra è particolare... Va a chiudere un cerchio concettuale che si è delineato nel giro di un anno [tutto richiama la forma circolare ;) ]. Diciamo che questo è il momento perfetto per andare alla GAM: c'è la mostra su Hayez (che è BELLISSIMA) e poi c'è questa chiusura "ciclica" interessante con Simone Forti... Definirei il tutto "esperienziale".

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  2. Come sempre un lavoro magnifico mamma

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