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giovedì 17 maggio 2018

ANTOINE VOLODINE


CHI è ANTOINE VOLODINE?


Il 2018 ha portato al Salone del Libro di Torino molti nomi conosciuti, tra cui quello di Antoine Volodine. Descrivere lui è difficile quanto descrivere i suoi libri. Attorno alla sua persona è visibile un delicato alone di mistero, a partire dall’anno di nascita… 1949 o 1950? In fondo non è tanto importante conoscere l’età esatta di uno scrittore quanto il suo stile di scrittura e le motivazioni che lo hanno spinto ad adottare proprio quello stile e a scrivere proprio quelle storie. Lo ha affermato Volodine stesso, durante l’intervista condotta da Gabriele Pedullà all’interno della Sala Blu del Salone (sabato 12 maggio).
Volodine è considerato un personaggio “unico e inimitabile, fondatore e portavoce del movimento letterario del post-esotismo” e – analizzando a fondo questo movimento – si possono dedurre, estrapolare le esperienze biografiche che gli stanno dietro. Ogni opera scaturisce dal vissuto personale del suo autore. Infatti – entrando nel vivo dell’intervista – Volodine ha raccontato di aver iniziato a scrivere  quando era molto giovane, entrando – così – in una sorta di “trance sciamanica di scrittura”, dominata da una ricca serie di pseudonimi. Volodine stesso è uno pseudonimo, al cui interno si nasconde una “pluralità di voci” (eteronimi).
Ma perché Volodine ricorre all’uso di pseudonimi (o – per meglio dire - eteronimi)? Per la stessa ragione per cui mantiene il segreto sull’anno di nascita, vale a dire per dare importanza al pensiero, all’idea, più che alla persona che l’ha partorita. Col passare degli anni gli eteronimi di Volodine hanno acquisito sempre più forza, hanno adottato stili e partorito idee differenti; hanno anche avuto editori differenti, ma – di sicuro - hanno concorso tutti per dare vita ad un’unica corrente: il post-esotismo, appunto.
E parliamo – dunque – di questo fantomatico post-esotismo. Deriva per la maggior parte dalla fantascienza, genere letterario molto caro a Volodine, ma anche piuttosto disagevole. Perché disagevole? Perché, per molti anni, in Francia la fantascienza è stata considerata  una sorta di “ghetto” della letteratura e – di conseguenza – chi se ne occupava era a sua volta ghettizzato.
Volodine scrive spesso di mondi in cui “l’umanità è prossima all’estinzione”, ma come si costruisce una storia in cui la morte non rappresenti veramente la fine dei personaggi? Se è vero che – di solito – la morte è vista come una cosa lugubre, è vero anche che il post- esotismo è una corrente un po’ più ottimistica secondo la quale, dopo il decesso, non si smette di vivere, ma si entra in un Bardo, un luogo caratterizzato da un tempo-non tempo. I personaggi di Volodine sono già in quel Bardo, quando inizia la storia, pertanto la fine non è la morte vera e propria, ma un lentissimo (e graduale) spegnimento della voce narrante.  Il post-esotismo non è post-modernismo magico - viene precisato durante l’intervista – perché, all’interno del Bardo, ciò che conta è costruire un annullamento dei contrari dove “IO” e “NOI” sono la stessa cosa. E come si fa a costruire questo annullamento dei contrari? Coi ricordi. La condizione di tempo-non tempo forza i ricordi, li ritrova e – infine – li riassembla.
Ancora una “chicca” prima di terminare la trascrizione dell’intervista…
Antoine Volodine ha origini russe (ha persino insegnato russo per quindici anni, prima di dedicarsi alla scrittura) e, in gioventù, si è “nutrito” di canti russi, di letteratura russa (di Tolstoj, in particolare) e di cinema.
Personaggi, per lui, fondamentali sono stati: Sergej Michajlovič Ėjzenštejn (con  La corazzata Potëmkin), Tarovskij e Strugatsky.

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