Torino, Circolo dei Lettori |
La Bibbia – Una nuova traduzione (per i Millenni Einaudi).
Incontro di mercoledì 1 dicembre 2021 al Circolo dei Lettori di Torino.
Partecipanti: Enzo Bianchi, Gustavo Zagrebelsky e Mauro Bersani (moderatore).
In collaborazione con Torino Spiritualità.
Trascrizione conferenza
Apre l’incontro MAURO BERSANI
Questa è la prima Bibbia completa che Einaudi abbia mai pubblicato. In realtà, dell’idea di pubblicare una Bibbia, c’è una traccia antica in una lettera di Pavese del settembre del ’45 in cui – progettando i Millenni, che sarebbero nati di lì a poco, nel ’47 – diceva che gli sarebbe piaciuto realizzare una collana che potesse mettere insieme la Bibbia, Le Mille e Una Notte e Il Capitale di Marx. Per Pavese, infatti, l’unica vera conoscenza nasce dal sapere mitico-religioso (lo dice anche ne “Il mestiere di vivere”) e il Marxismo – per Pavese – era una grande mitologia (o religione) moderna. Ma l’Einaudi dell’epoca era caratterizzata da un liricismo ideologico troppo forte per arrivare davvero a una pubblicazione della Bibbia, e – per decenni – non se ne è più parlato. Negli anni 2000, poi, ci sono stati degli approcci con Paolo De Benedetti, che era un grande biblista, per un’ipotesi di nuova traduzione-nuovo commento. Ma, alla fine, non se ne fece nulla per via dell’età e delle condizioni di salute di De Benedetti. Fortunatamente, qualche anno dopo, intorno al 2014, la volontà della Casa Editrice di arrivare a una nuova traduzione della Bibbia (di Ernesto Franco) si incrociò con la volontà di Enzo Bianchi e il suo progetto di fare un’operazione di questo genere (progetto che aveva già proposto ad altre Case Editrici). Da lì in poi c’è stato molto lavoro organizzativo, soprattutto per la scelta dei collaboratori, la loro selezione, le riunioni, le prove di traduzione e poi il lavoro di traduzione vero e proprio, le prove di impaginazione e di redazione… È stato un lavoro durato sei/sette anni. Gustavo Zagrebelsky si è occupato trasversalmente della Bibbia e in particolare della figura di Gesù Cristo in un suo libro, attraverso la sequenza del Grande Inquisitore di Dostoevskij, ma – recentemente – (con il suo ultimo libro) ha preso la Bibbia molto “di petto”.
Interviene GUSTAVO ZAGREBELSKY
Io sono uno dei tanti che si avvicina alla Bibbia senza essere uno studioso/biblista. Del resto, questi testi sono stati prodotti per indirizzarsi a persone come me/noi. Spesso, infatti, i biblisti si aggrovigliano in questioni filologiche che interessano sostanzialmente solo loro, quindi la mia lettura è una lettura di questo genere: di un profano. Comincerei col dire che la Bibbia non è un libro che si legge come si legge un libro di narrativa. Si dice che la Bibbia sia il testo più stampato e più comperato nel mondo, ma il meno letto; ma è giusto che sia così, perché non è un romanzo. Come diceva Dostoevskij attraverso le parole dello Starec (o Starets, n.d.r.) Zosima: “è il grande bassorilievo dell’umanità”. Tutta una storia di esperienze, di violenza, di compassione, di amore, delle contraddizioni dell’umanità… La Bibbia è uno di quei testi, secondo me, non letti come un romanzo, ma frequentissimamente consultati, a seconda dei temi che ci interessano. E ci troviamo quasi sempre degli spunti di riflessione importanti. Quindi si tratta non tanto di leggere la Bibbia quanto di consultarla. Io sono stato chiamato a dire qualche impressione su questa nuova traduzione di Enzo Bianchi, che ha coordinato un gruppo di dodici studiosi (come gli Apostoli!) La versione greca classica è quella dei “Settanta”, loro – invece – in dodici, hanno fatto questo lavoro mostruoso (mastodontico, imponente, n.d.r.) che ci intimorisce e mi intimorisce. Quest’opera è arrivata nelle mie mani dieci giorni fa, prima che uscisse nella stupenda rilegatura dei Millenni Einaudi; in questo caso – devo dire – è un’edizione veramente favolosa e – aggiungo – c’è un apparato iconografico che io non ho mai visto altrove. Qui, davvero, la Casa Editrice non ha badato a spese perché l’acquisto di queste immagini – come sapete – non è gratuito… Ho avuto poco tempo per farmi un’idea e ho deciso, in occasione di questo incontro, di tentare di fare un approfondimento prendendo in esame quattro parole/temi per vedere come sono stati trattati in alcune delle edizioni che abbiamo alle spalle. Il primo è CIELO; il secondo è SILENZIO; il terzo è l’inizio del Qoheleth, VANITÀ delle VANITÀ; e il quarto è CARITAS o AGAPE.
CIELO: il primo versetto del primo capitolo della Genesi, come tutti noi sappiamo, dice: “Nel principio (o ‘In principio’) Dio creò il cielo e la terra”. San Paolo, nella lettera ai Colossesi riporta questa formula ma con una precisazione: sono state create tutte le cose nel cielo e sulla terra, tutte le cose visibili e quelle invisibili: ecco, chi legge la prima formulazione può pensare che Dio abbia creato quella cosa azzurra o nuvolosa lassù che noi vediamo con gli occhi; invece San Paolo precisa che il cielo di cui si parla riguarda le cose invisibili, dunque Dio ha creato le cose che cadono sotto i nostri sensi (il cielo e la terra visibili o calpestabili) e poi c’è la sfera dell’invisibile, anch’essa creata da Dio, dunque esistente. Noi non lo percepiamo coi nostri sensi, ma esiste. Tra la sfera delle cose visibili e la sfera delle cose invisibili c’è un confine, c’è uno sbarramento che però non è detto che non possa essere superato. Ecco, questa è l’esperienza mistica o l’esperienza artistica che – attraverso suoni o segni, ad esempio – ci proietta al di là immediatamente. E pensate: quante volte noi parliamo del Cielo… Il “Credo” stesso dice: “Dio Padre Onnipotente, Creatore del cielo e della terra”. Ne “Il Giardino dei Finzi-Contini” c’è quella famiglia che canta la sequenza dei numeri sacri e anche lì si parla di cielo, di Dio che sta in cielo, ma non tra le nuvole, in un’altra dimensione. L’interpretazione di questo testo ci porta a interrogarci sui significati che stanno al di là delle parole che noi usiamo e che sono quelle consuete. Il linguaggio biblico, forse, non può che avvalersi di parole di uso consueto anche per definire ciò che consueto non è e non può essere. Ci sfida.
Il SILENZIO. Quanti significati ha il silenzio… Il silenzio del Cristo davanti al Sinedrio o davanti a Pilato. Il silenzio del Cristo davanti al Grande Inquisitore. Il silenzio può essere un rifiuto di dialogo può essere una sfida, può essere un’occasione per ascoltare qualcosa di profondo. E proprio qui c’è il riferimento a quel passo in cui si narra dell’incontro di Elia sul Monte Oreb… “e Dio passò”. Elia, perseguitato, stava fuggendo, si rifugia in una grotta e Dio gli si mostra. È una delle tante Teofanie, si usa dire, ed è un passaggio di una bellezza – anche artistica – straordinaria. “Ecco il Signore passò. Ci fu un vento grande e forte che spaccava i monti e spezzava le rocce, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, la Voce di un Silenzio Sottile”. Riflettiamo un po’ sulla pregnanza di questa formula che non è quella che troviamo in altre edizioni. Per esempio, nella Bibbia del Diodati, prima Bibbia in Volgare, si dice: “veniva un suono sommesso e sottile”. C’è sempre questo “sottile”…
ENZO BIANCHI
Quello che viene tradotto con “sottile” può addirittura essere tradotto con “trattenuto”.
GUSTAVO ZAGREBELSKY
Dall’Edizione CEI: “sussurro di una brezza leggera”.
ENZO BIANCHI
Però, pensate bene: “silenzio trattenuto” o “silenzio sottile” è un paradosso. Un silenzio sottile che ha una voce, ma è per dire che Dio ha parlato a Elia dove meno Elia se l’attendeva. Non nel vento, non nel terremoto, non in una manifestazione di potenza, bensì in un silenzio trattenuto. Le interpretazioni sono infinite. Che cos’è il terremoto, ad esempio? Perché l’esperienza di Elia è interiore e quando si parla di terremoto non è certo un terremoto esterno. Tutto questo avviene nel nostro cuore, nel nostro intimo ed è un’esperienza straordinaria del credente che non vede Dio, non lo sente sonoramente ed è obbligato a dire: ho ascoltato un silenzio sottile. Provate a pensarci… Ho ascoltato un silenzio sottile… Si ascolta, il silenzio? Dio parla così, con un silenzio sottile.
GUSTAVO ZAGREBELSKY
Io, però, vorrei sottolineare una cosa: c’è un silenzio, dentro il quale c’è una voce, ma sottile è che cosa? Il silenzio o la voce? Ma se siamo nell’ambito del silenzio, noi la voce dobbiamo andare a cercarla. Il silenzio è come una boccia dentro la quale noi entriamo per cercare qualcosa, come una risposta a una nostra domanda. Diverso è dire, invece: “veniva un suono sommesso”, perché il suono – se c’è – lo udiamo indipendentemente dalla nostra ricerca. Capite le sottigliezze… e anche la bellezza… Io non so se di una traduzione si possa dire che è più vera, più giusta di un’altra. Confrontando le diverse versioni ti vengono tante idee in testa… La Bibbia ci fa riflettere su cose molto importanti. Tra l’altro, aggiungo, questa nuova edizione della Bibbia – come tutte le nuove edizioni dei classici – non si può dire che abbia sostituito la precedenti o che le abbia abrogate: è un contributo a una riflessione che probabilmente sulla Bibbia non finirà mai.
VANITAS VANITATUM. Vanità delle Vanità. L’edizione di Enzo dice: “Assoluto Soffio”. La versione più diffusa è “Vanitas Vanitatum” che ha una connotazione morale, perché una brezza che passa lascia le cose immutate, ma Vanità allude a un vizio degli esseri umani. Qui si dice “Assoluto Soffio”: “Assoluto” è una parola largamente abusata, oggi. La CEI e il Diodati traducono con “Vanità delle Vanità”. Allora la riflessione è su questo… [Bianchi interviene specificando che il termine di cui si sta disquisendo non è “Ruach”, bensì “Habel Hebelim” (o Habel Habelim o Habel Habalim o Hebel Habalim, n.d.r.)]. Qualche versetto dopo si parla delle forze della natura: l’acqua, il vento e il sole che sorge e tramonta. Secondo me, queste tre forze non si prestano tanto facilmente ad essere interpretate nel senso dell’inutile ritorno. Ma se “Vanità delle Vanità” viene tradotto come “Spirito”, “Alito”, allora questa traduzione è erronea perché nei versetti successivi si fa l’elenco delle forze della natura e si dice che – per quanto le riguarda – c’è sempre il grande ritorno, l’inutilità delle cose: il vento gira, gira, ritorna; l’acqua scende dai monti, e si riversa nel mare, ma non finisce mai perché il ciclo ricomincia da capo. E il sole si affatica dal mattino alla sera. Se fosse così, sarebbe forse il caso di dire che queste forze della natura sono estremamente benefiche: immaginate la nostra vita se fosse esposta al sole perenne… E se non ci fosse il vento tutto imputridirebbe, così come se non ci fosse l’acqua che scorre. Allora forse ha fatto bene chi ha tradotto questo così [Bersani interviene per fare il nome del traduttore in questione, ossia Mazzini], ma induce all’errore la versione che – invece – fa riferimento al vento, all’alito, perché in contrasto con l’utilità che hanno tali forze.
Ultimo punto: AGAPE
Corinzi, 13: 1-8 Qui non c’è un problema di interpretazione, ma di estensione. “Se non avete l’amore siete come un cembalo stonato, come un vaso che rimbomba a vuoto”.. E poi c’è l’elenco dei caratteri che deve avere l’amore: l’amore è magnanimo, benevolo, non ambizioso (la CEI dice: “invidioso”), non si vanta, non si gonfia, non fa cose indecorose, non manca di rispetto, ecc. Questo grande testo di solito viene prospettato come elogio dell’Amore o della Caritas o dell’Agape. Ecco, io credo che un testo come questo assuma un significato se tu lo cali in una relazione inter-umana, inter-soggettiva concreta. Se no sono solo belle parole. Per più di cinquant’anni io ho fatto “lezione”, quel grandissimo privilegio che hanno i professori universitari di potersi confrontare con una classe e creare con queste altre persone una relazione che – nel rispetto dei ruoli – a volte ha a che vedere (se la lezione “riesce”) con l’Agape. Come comunanza di intenti. Relazioni costruttive degli uni con gli altri. Il rapporto tra il professore e i suoi studenti è magnanimo, benevolo, non ambizioso, non si vanta, non si gonfia e così via. Che grande utilità si può trarre da questo passo una volta che lo si cala in un ambiente così concreto come quello della lezione. Qui viene fuori tutta la ricchezza e la produttività di un testo come quello biblico, una volta che noi lo applichiamo. Cioè lo rendiamo concreto. La mera lettura della Bibbia come se fosse un romanzo non ci dice nulla. Noi ci avviciniamo a questo testo per applicarne l’interpretazione a situazioni concrete. Noi interroghiamo queste parole, forse “eterne”. Più eterne di noi, sicuramente.
BERSANI
Grazie, Gustavo, hai fatto vedere come delle differenze di traduzione entrano profondamente nell’interpretazione di un testo e lo cambiano. Questo del Qoheleth è particolarmente importante. Tradurre come San Girolamo, Vanitas Vanitatum, ti dà tutta un’altra idea. Il soffio fa evidentemente riferimento a qualcosa di vitale: se c’è un soffio c’è qualcuno che soffia, quindi è la vita che viene soffiata. Se tutto è soffio, è proprio il contrario di dire che tutto è vano… Di questi casi – cioè di traduzioni che cambiano l’interpretazione e il senso - ce ne sono a decine nella Bibbia.
La parola viene passata a ENZO BIANCHI
Non è facile dire
qualcosa di un’opera e di un lavoro così complesso. Vi dico alcune cose che per
me sono state importanti sia nel progetto di questa Bibbia sia in tutti i
lavori a cui abbiamo cercato di attenerci il più possibile in una grande
sinfonia. Non abbiamo avuto – tra noi dodici – scontri o difficoltà (“mancava
Giuda”, scherza Zagrebelsky).
Certamente qualche volta abbiamo avuto un confronto serrato, ma con molto
ascolto reciproco siamo sempre arrivati ad accettare una traduzione che fosse
anche sinfonica. Vi dico alcune caratteristiche di questa traduzione:Da sinistra: Enzo Bianchi, Gustavo Zagrebelsky, Mauro Bersani
· Si voleva una traduzione che fosse debitrice il meno possibile delle traduzioni precedenti. Chiunque oggi si accosti alla Bibbia ha un approccio molto diversificato, a prescindere dal grado di preparazione che ha. Chi, per molti anni, ha praticato la lettura della Bibbia sulla Vulgata latina di Gerolamo – pensate a tutto il corpo clericale – certamente, quando si trova di fronte al testo (che sia ebraico, aramaico o greco) facilmente traduce con queste parole, che lui porta nelle viscere o nel fondo del cervello. È chiaro che se io vedo, in ebraico, Abel Ebelim, nella mia testa c’è Vanitas Vanitatum perché ripetuto per secoli dalla Vulgata e ripreso da quanti hanno tradotto dal latino, per secoli. Attenzione: la traduzione in lingua volgare, la prima autorizzata in ambito cattolico, è del Martini, del 1700. E poi ce ne sono state il secolo scorso, ma non ce ne sono altre. Allora è chiaro che noi abbiamo in questa profondità il testo latino. Mi trovo di fronte a questa espressione ebraica. come tradurla? Vanità delle Vanità. Tutto è vanità. Ma se io voglio fare una traduzione che vada all’osso ebraico, che non sia debitrice del latino, sapendo che il latino era già debitore del greco dei “Settanta”, io devo cercare cosa significa in ebraico Abel. Abel è il nome di Abele! Che indica fragilità, una persona che è stata avuta in un secondo tempo dalla madre che l’ha “aggiunto” al primogenito Caino. Era un debole. Era il solito fratello minore, inconsistente e fragile, tant’è vero che il fratello l’ha ucciso. È passato come un soffio (Abel). Ma, attenzione, in ebraico Abel Ebelim è un superlativo: “Soffio dei Soffi”, espressione che in italiano suona molto male, ecco perché “Soffio Assoluto”. Perché un assoluto, in ebraico, si fa con un aggettivo e con un genitivo successivo. Ad esempio: il Santo. Per dire l’Assoluto del Santo io posso dire sia Santissimo che Santo dei Santi. Allora Soffio dei Soffi, ma – essendo molto brutto, in italiano – Soffio Assoluto. Quando poi, nel Qoheleth, si parla del vento, della terra, il termine è “Ruach”, che significa “vento”, quello che noi sentiamo sulle guance, quello che scuote gli alberi. Là, certo, va reso con “vento”, perché è un altro termine. Ma qui Abel non è vento, è soffio. Poi, se voi prendete la prima pagina della Genesi, siete abituati a leggere: “In principio Dio creò il cielo e la terra”. Perché? Perché in latino è: “In principium Deum creavit”. In ebraico è “Bereshit”, che significa “In quel momento”, “Quando”. La traduzione, allora, è: “Quando Dio creò il cielo e la terra”. Perché se io traduco con “In principio”, faccio un’opzione filosofica dottrinale, tipicamente cristiana, che c’è stato un principio; tanto è vero che poi i Cristiani finiranno per dire che prima c’era il nulla e che la creazione è dal nulla. Ma nella Bibbia non c’è scritto che la creazione è dal nulla, anzi dice: “Quando Dio creò il cielo e la terra, la terra era vuota e informe”. Perché hanno voluto mantenere i suoni ebraici, così han tradotto “vuoto e vacuo”, per riprodurre l’allitterazione. Il criterio che ci siamo dati, insomma, è che la nuova traduzione fosse il più possibile vicina all’osso ebraico, così da spogliarla di tutto ciò che si è sedimentato nei secoli. Non è un lavoro che siamo sicuri di aver fatto al cento per cento, ma il tentativo – quello sì – l’abbiamo fatto. Il primo tentativo di tradurre la Bibbia io l’avevo concordato con un ebreo che ha fatto la più bella traduzione dall’ebraico in francese una quarantina di anni fa. Se uno sa il francese e vuole una Bibbia in francese, io gli consiglio la sua perché avrà l’impressione di leggere la Bibbia per la prima volta. Quest’uomo (che parlava ebraico, che era stato vice-sindaco di Gerusalemme e che era stato anche Professore all’Università) ha voluto dare addirittura un fondo di ebraico al Nuovo Testamento greco.
· Che non fosse una traduzione confessionale. Perché? Perché in qualche misura c’è un accondiscendere alla Dottrina da parte dei traduttori. Ad esempio, nel libro di Isaia c’è il famoso oracolo sull’annuncio della nascita del Messia. In Isaia, in ebraico, c’è scritto: “La ragazza concepirà e darà alla luce un figlio e il suo nome sarà Emanuele”. La ragazza. I “Settanta”, quando traducono in greco, non traducono “una ragazza”, traducono “la Vergine”. E la Vulgata, dunque, dice “la Vergine”. La Bibbia CEI non dice “una ragazza”, ma si sente autorizzata a dire “la Vergine concepirà”. No! È giusto tradurre così in Luca, perché Luca usa la traduzione dei “Settanta”, ma nell’Antico Testamento è una ragazza, non una vergine. Ora, per assecondare la Dottrina della verginità di Maria si traduce il testo in una maniera che va oltre il testo letterale. Questi sono i rischi delle traduzioni confessionali. Noi li abbiamo voluti evitare. E infatti non abbiamo mai chiesto il Nulla Osta o l’Imprimatur dalla Conferenza Episcopale Italiana. Noi abbiamo cercato di essere fedeli al testo ebraico o al testo greco.
· È per questo che non abbiamo seguito l’ordine dei libri cristiani nell’Antico Testamento, ma l’ordine che hanno gli Ebrei nella loro Bibbia. Perché l’Antico Testamento lo riceviamo da loro e se ci sono dei libri che loro non han messo nei libri santi, ma che la Chiesa ha ricevuto dai “Settanta” e in greco, li abbiamo messi in appendice, non li abbiam messi insieme agli altri. Così i Cristiani hanno tutta la loro Bibbia e gli Ebrei hanno la loro Bibbia distinta, con l’Antico Testamento secondo il loro ordine e non secondo l’ordine che abbiamo stabilito noi, soprattutto ricevendolo dalla Vulgata e dai “Settanta”. Quindi questa Bibbia rappresenta una novità, in tal senso.
· Poi, avevamo un tale rispetto dei lettori, che non abbiam messo i titoli dei capitoli. È una scelta mia, già fatta nel Salterio di Bose, ben vent’anni fa. Perché se io metto un titolo – che certamente è una comodità – quel titolo dà una chiave di interpretazione per il lettore. Ad esempio, prendiamo la Parabola del figliuol prodigo: se io metto questa frase come titolo, a quel punto tutti vanno a cercare il figliuol prodigo. Perché allora non la chiamo Parabola dei due figli? O perché non Parabola del padre misericordioso? Vedete come i titoli sono svianti e possono seguire le mode? Adesso che si predica la misericordia nella Chiesa Cattolica, tutti mettono il titolo: Parabola del padre misericordioso. Prima, quando c’era bisogno di fare la morale ai figli degeneri: Parabola del figliuol prodigo. Niente titoli, allora. Solo una frase presa dal brano e messa “in testa”, in modo che il lettore sia rispettato e non sia aggiunto nulla di personale a ciò che sta scritto. Su questo sono stato molto severo, fin dall’inizio. Ma in questo modo, almeno, siamo risultati “giovani”.
· C’è solo un limite che qualcuno riscontrerà: tra i dodici c’è solamente una donna. Perché? Perché altre donne, esegete molto in gamba, erano impegnate da qualche anno nella traduzione del Nuovo Testamento e non potevano certamente fare un’opera in concorrenza. Una sola non era impegnata ed è venuta. Le altre non hanno accettato. Però non c’era nessuna discriminante, perché in Italia abbiamo bibliste e biblisti bravi in egual misura, perciò non esiste una selezione in tal senso.
· Le illustrazioni. Abbiamo scelto attualmente il più grande Professore di arte Cristiana/Religiosa. Professore all’Università di Strasburgo. Ha scritto libri tradotti in tutto il mondo. È esperto in iconografia religiosa. È lui che ha scelto tutte le tavole ed è lui che ha dato questo apparato perché i Millenni, giustamente, sono un’edizione che ha una certa solennità, una certa qualità, e pretende anche una bellezza estetica e non semplicemente del testo.
· È una traduzione che rappresenta un balzo in avanti molto grande. In Italia, infatti, le traduzioni non abbondano. Se voi, per esempio, andate in Francia, trovate ancora almeno una ventina di Bibbie con diversa traduzione. Ancor di più nel mondo anglosassone. In Germania, almeno dieci traduzioni. In Italia trovate solo la versione ufficiale. Perché dal 1970 la CEI ha comprato (attenzione: non ha fatto fare una traduzione, ha comprato una Bibbia già esistente), l’ha fatta rivedere (non da esegeti, tra l’altro); l’ha rivista l’Arcivescovo di Firenze di allora e un letterato (Bargellini). Poi c’è stata una revisione da parte di esegeti (tra i quali c’ero anch’io) all’inizio di questo secolo, ma non c’è mai stata una traduzione nuova. E, in tutti questi anni, non sono apparse traduzioni nuove della Bibbia… Negli anni Sessanta è uscita la Bibbia del Nardoni, poi ne sono uscite alcune altre come quella Ecumenica (che però Ecumenica non è). Negli anni Settanta, poi, è uscita una Bibbia in cui ogni libretto è stato tradotto da un esegeta come voleva, senza criteri ben definiti, per cui avete la Genesi tradotta da un esegeta che si chiamava Testa, un francescano di Gerusalemme, che è una parafrasi completa. E trovate il Levitico tradotto da un mio amico, grandissimo esegeta, Enzo Cortese che è quasi illeggibile tanto vuol essere fedele all’ebraico, per cui ci si smarrisce e non si riescono più a capire i termini.
· Noi abbiamo cercato i termini con una serie di griglie così che tutti potessero lavorare sinfonicamente e con dei criteri comuni. Era un grande sogno, il mio, che non pensavo di vedere realizzato. Ha ragione, Gustavo, a dire che la Bibbia non si può leggere come un romanzo, anche se effettivamente ci sono delle parti, al suo interno, che sono come romanzi. Per esempio, tutte le storie dei patriarchi si leggono come narrazioni… La Bibbia è un libro dalla lettura infinita: si legge e si interpreta in migliaia di modi. I rabbini, ancora oggi, la interpretano e ci aiutano a capirla meglio. I rabbini di oggi oltre quelli del passato. E poi oggi capiamo la Bibbia meglio di come la capivano qualche secolo fa, grazie a tutto il lavoro di esegesi, di traduzioni, le scoperte archeologiche, gli strumenti letterari e filologici, la fissazione del testo… Poi dovete anche pensare che la Bibbia è un libro umanissimo, scritto in ebraico, aramaico, greco, ma noi non abbiamo dei testi originali; noi abbiamo alcuni manoscritti trovati a Qumran che risalgono al tempo di Gesù, ma non è tutta la Bibbia. Abbiamo alcuni libri e alcuni frammenti e poi abbiamo dei Codici, tutti di epoca cristiana, quindi quando leggiamo l’Antico Testamento, in realtà, dobbiamo fidarci dei Masoreti ebrei che hanno fissato il testo con le vocali; dobbiamo fidarci di quelli che han tramandato il testo e sovente troviamo dei testi in cui non si capisce nulla. Dovete sapere anche che l’ebraico non ha le vocali, ha solo le consonanti, quindi le vocali dobbiamo metterle noi. E quando mettiamo le vocali, a seconda di quali inseriamo, un vocabolo è diverso. Pensate, ad esempio, alle consonanti R ed M: inserendo gruppi di vocali diverse possiamo ottenere RAME, ROMA, REMO, RIMA, RAMO, e via dicendo. Abbiamo di fronte un testo umanissimo che ha bisogno di molta cura e, sovente, dobbiamo confessare di non capirci molto. Perché il testo si è eroso, è stato mal copiato, ecc. Ad esempio: io ho tradotto cinque volte i Salmi, nella mia vita. Il Salmo 68 è talmente malmesso che in ogni traduzione che faccio quasi non è riconoscibile la traduzione precedente. Le prime volte ricordo che mi arrabbiavo con me stesso. Poi ho letto che Davide ha promesso un posto accanto a lui, in Paradiso, a chi avrà tradotto quel Salmo perché anche lui che l’aveva scritto diceva di non capirci niente. Allora io spero in un posto vicino a lui… L’ho tradotto più volte, ma sono incerto perché quel Salmo ha delle espressioni che non riusciamo a capire: e tutta la Bibbia è piena di questi buchi.
BERSANI
Enzo è stato “l’allenatore” di questa squadra, ma un allenatore-giocatore perché ha anche ritagliato per sé una cosa: il “Cantico dei Cantici”, che è una “cerniera” in quanto è l’unico libro dell’Antico Testamento in cui l’Amore è al centro e supera la morte; è già una proiezione verso il nuovo. Un’ultima glossa sulla parte iconografica: il nostro esperto ha scelto alcune immagini molto note e altre molto rare, per cui il bello di questo apparato è che ci sono delle cose non viste, degli affreschi di Chiese armene e tante altre cose che rendono il tutto davvero molto originale. E poi pensate che la sequenza delle tavole non è una sequenza cronologico-storico-artistica, ma è una sequenza narrativa che va in base agli episodi della Bibbia; perciò possiamo vedere un accostamento di antichi e moderni che è un po’ spiazzante, ma in realtà anche molto profondo nel dire che la Bibbia è letta in tutte le epoche. All’inizio c’è un’artista francese contemporanea, ancora viva; nel secondo volume c’è Guttuso che arriva come terza tavola. C’è questo andirivieni tra antico e moderno che, secondo me, è molto suggestivo.
Ringrazio Gustavo, per il suo contributo molto bello; Enzo, per quello che ha detto, ma soprattutto per quello che ha fatto in questi sei/sette anni. Noi ci godiamo questa Bibbia e spero che ve la godiate anche voi.
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